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“Comunione spirituale e comunione psichica” da “Vita comune” di D. Bonhoeffer. Parte 57

Comunione spirituale e comunione psichica

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: “Comunione spirituale e comunione psichica” tratta dal testo “Vita comune” di Dietrich Bonhoeffer.
Domenica 12 marzo 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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SECONDA LETTURA (Rm 5, 1-2. 5-8)

Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.
La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a domenica 12 marzo 2023, Terza domenica di Quaresima. Abbiamo ascoltato la seconda lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal capitolo quinto della lettera di san Paolo apostolo ai romani, versetti 1 e seguenti.

Ascoltiamo, dal diario della beata Edvige Carboni.

Maggio 1941. Gesù mi presentò due fogli e mi disse: Scrivi sopra questo foglio “Ama il tuo prossimo, perdona il tuo prossimo, non parlar mai male del tuo prossimo”. Io scrissi le parole da Lui dettate. Poi mi disse: Ora scrivi sopra il secondo foglio, per tua sorella. Io scrissi. In ultimo timbrò tutti e due i fogli con un timbro pieno di sangue.

Ecco, allora, per questa terza domenica di Quaresima, penso potrebbe essere utile ricordarci, richiamarci un’altra volta, per l’ennesima volta, sull’importanza di vivere nella carità, lontano da ogni mormorazione, lontano da ogni critica e imparare a perdonarci. Noi dobbiamo imparare a perdonare e questo è veramente importante. Vedete che il Signore timbra questo foglio sul quale ha scritto. Lo timbra con il sangue. Beh, mi vien da dire che se il Signore lo timbra con il sangue, vuol dire che effettivamente richiede sangue. Il nostro, il sangue della nostra fede, il sangue della carità. Vuol dire che è importante saperci sacrificare. Sapersi sacrificare per la carità. Questo è quello che dobbiamo imparare: non parlare mai male, perdonare, amare. Questo è il centro.

Continuiamo la nostra lettura del libro di Bonhoeffer, Vita comune. Oggi iniziamo un nuovo capitolo, che si intitola “Confessione e Santa Cena”. Allora, precisiamo subito che, per quanto riguarda i Luterani e i Protestanti in genere non c’è Sacramento della Confessione come lo abbiamo noi e non c’è il Sacramento dell’Eucarestia. Ci sono questi due termini, che a noi richiamano subito il Sacramento della Confessione e il Sacramento dell’Eucarestia; in realtà loro vivono la confessione e la santa cena (la chiamano così, in un modo diverso). Non c’è la transustanziazione, quindi, in quel pane non c’è Gesù, non ci sono il Corpo, il Sangue, l’anima e la divinità di Gesù; non è presente Gesù realmente, sostanzialmente, veramente, e questa confessione non ha niente a che vedere con la confessione sacramentale, che noi facciamo con un Sacerdote. Tuttavia, in entrambe queste loro modalità, c’è qualcosa, come adesso sentirete, che a noi può essere molto utile ascoltare.

Fatta chiarezza sulla doverosa distinzione che esiste, adesso io leggerò e cercherò di farvi capire che cosa può essere utile per il nostro Sacramento della Confessione, che è diverso, è tutta un’altra cosa. Però qui c’è una riflessione che a noi può essere utile. Perché comunque di confessione dei peccati si tratta. Si tratta di dire questi peccati. Non c’è poi il momento dell’assoluzione sacramentale — va bene — però questo tema del confessare i peccati è comune. Scrive:

«Confessate l’uno all’altro i vostri peccati» (Gc 5,16). — Questa è la scrittura — Chi resta solo con la propria malvagità, resta solo completamente.

Ecco questo, non dimentichiamolo mai. Vedete subito com’è vero quello che scrive: “Chi resta solo con la propria malvagità, resta solo completamente”. Chi non si è abituato a strappare via dalla propria anima la propria malvagità, il proprio peccato, è un uomo solo. La compagnia — ma solo nel senso brutto del termine — e l’abitudine del nostro peccato nella nostra anima, ci rende persone sole, tristi, malcontente, avvilite e, mi viene da aggiungere, instupidite.

La presenza del peccato è come avere nella camera da letto, un topo morto. Avete presente cosa vuol dire? Non so se avete mai sentito l’odore di un topo morto che marcisce. Già un essere vivente che marcisce fa una puzza impossibile. Provate a entrare in una casa dove c’è un cadavere da una settimana e vedete cosa succede. Non riuscite neanche ad aprire la porta. Ma un topo morto sotto il letto, che sta marcendo, con i vermi… Ecco, provare per credere. Neanche dopo un mese che l’hai tolto, che hai disinfettato la casa, che ci hai buttato l’ammoniaca, la candeggina, l’acido muriatico; tu dopo un mese non riesci ancora a entrare lì dentro, tanto è la puzza, l’odore schifoso che si viene a creare. Chi porta nella propria anima il peccato mortale, così, come se fosse un cesto di fragole, ecco, è come una persona che ha un topo morto sotto il letto che sta marcendo con dentro i vermi. Solo che quello ce l’ha nella camera, tu ce l’hai nell’anima. Infatti, sapete che molti santi sentivano la presenza del peccato mortale dalla puzza. Quando si avvicinavano a certe anime, i santi, alcuni santi, inorridivano, scappavano via e gli veniva il vomito, perché sentivano la puzza del peccato.

Tu sei solo. Ecco perché dobbiamo confessarci frequentemente. Perché non vogliamo essere soli in questo modo. Questa solitudine è la solitudine dei dannati, la solitudine dell’inferno. Non è la solitudine dell’eremita, dell’uomo di Dio, del monaco. All’inferno sono tutti insieme. Ma sono una massa di esseri soli. Non è come in paradiso dove c’è la comunione dei santi. Quella comunione nel male assoluto è l’antitesi della comunione, è la scimmia della comunione. Perché, di fatto, i dannati sono l’uno contro l’altro, non c’è comunione tra di loro, c’è odio. Quindi sono soli. E chi vive con la propria malvagità, chi resta solo con la propria malvagità è una persona che è sola completamente. Chiusa col suo topo morto, chiusa nel suo male puzzolente.

Immaginatevi, se i santi sentivano l’odore de li peccata — dicevano — immaginatevi cosa sente Dio quando noi ci presentiamo al suo cospetto pieni — speriamo non troppo — di questi peccati. Ecco perché bisogna imparare a confessarsi frequentemente. Ecco perché non bisogna aver vergogna di andare a cercare il sacerdote per essere confessati. Ecco perché non bisogna mai aver vergogna di dire i peccati, così come sono, chiamandoli col loro nome, cognome, numero e quant’altro,  essere precisi, tirarci fuori tutti i topi morti dall’anima.

Ecco il senso della pratica dei Primi sei giovedì, dei Primi nove venerdì e dei Primi cinque sabati. Ecco il senso della pratica di Don Tomaselli, dei 15 venerdì consecutivi. Perché se nei Primi nove venerdì siamo chiamati a confessarci almeno una volta al mese, con la pratica dei 15 venerdì consecutivi di Don Tomaselli, siamo chiamati a confessarci settimanalmente. È questo che Gesù dice a Don Tomaselli: “Vedi, in questa pratica io chiedo la confessione settimanale”. Che è ancora di più.

C’è chi dice: “Ma io non faccio peccati, ma che peccati faccio, padre? Una volta a settimana, cosa vado a dire?”.

San Carlo Borromeo si confessava una volta al giorno. Mangiava cinque lupini e non dormiva mai. Cinque lupini in un giorno! Provate voi a mangiare cinque lupini in un giorno, fatelo per tre giorni poi me lo venite a raccontare.

Può darsi che dei cristiani restino abbandonati a sé stessi, nonostante la meditazione e la preghiera in comune, nonostante si sia realizzata la comunione nel servizio; può darsi che non si riesca a fare l’ultimo sforzo per giungere veramente alla comunione, proprio perché l’abbiamo raggiunta sul piano della fede, della devozione, ma non quando ci dobbiamo riconoscere ribelli a Dio, peccatori.

Capite? Ve lo spiego. Ci sono dei cristiani — lui dice — che restano soli,  che sono soli. Siccome lui dice: “Chi resta solo con la propria malvagità è solo completamente” allora spiega e dice: “Ci sono dei cristiani che sono soli, sono abbandonati a sé stessi”. Questo perché rimangono col topo morto addosso, col peccato. Questo “nonostante la meditazione, la preghiera in comune”. Che è una follia: che preghiera stai facendo? Che meditazione stai facendo?”.

Capite quanto siamo in grado di recitare una parte, di non aver capito niente? Noi preghiamo e meditiamo in comune e ciononostante rimaniamo col topo morto sulla coscienza. “Nonostante la meditazione e la preghiera in comune, nonostante si sia realizzata la comunione nel servizio”,  nonostante questi si siano messi a servirsi uno con l’altro, con tutto quello che abbiamo detto sul servizio nelle volte scorse. Nonostante abbiano fatto la meditazione, nonostante abbiano fatto la preghiera, nonostante abbiano fatto il servizio… sono soli. Sono abbandonati a sé stessi perché non riescono a fare l’ultimo sforzo, manca uno sforzo per giungere veramente alla comunione. Tutto quello che abbiamo detto in queste cinquanta e più meditazioni che abbiamo fatto… tutte cose bellissime e verissime, santissime ma manca uno sforzo,  tutto il percorso fatto fin qui è assolutamente inutile, non produce nessuna comunione, se non c’è quest’ultimo sforzo. Solo quest’ultimo sforzo determina il coronamento di tutto il percorso.

Lui dice: hanno raggiunto la comunione sul piano della fede e della devozione  (credere nello stesso Dio, nella stessa fede, sul piano della devozione, la preghiera, la meditazione e quant’altro) ma — ecco il punto — non hanno raggiunto la comunione in che cosa? Nel riconoscersi peccatori, ribelli a Dio. Se non c’è questo punto, cade tutto l’impianto. Tutto, tutto. Se non c’è questo punto, il riconoscimento dell’essere ribelli a Dio, e quindi peccatori, se non c’è questo punto, non ci sarà mai nessuna comunione. Non ci sarà mai nessuna fraternità, comunità, agape, chiamatela come volete, non ci sarà mai niente. Non ci sarà mai una vera amicizia cristiana, non ci sarà mai un vero amore cristiano. Questo punto è fondamentale: riconoscersi insieme ribelli a Dio.

In effetti — attenti — la comunione, se si configura come comunione di devoti, non permette a nessuno di essere peccatore.

Certo! Se noi ci riconosciamo in comunione solamente perché siamo persone di fede e diciamo il rosario e andiamo a messa tutti i giorni, uno dice: “Come faccio a riconoscermi peccatore?” Capite il ragionamento? Se il mio essere in comunione con te è fondato su: dire le preghiere, andare alla messa, fare la meditazione, parlare di Gesù e credere nello stesso Dio, dov’è lo spazio per cui io mi possa riconoscere peccatore? In tutta questa comunione, come faccio a riconoscermi peccatore, visto che non facciamo comunione su quello?  Non me lo permette, non è permesso di essere peccatore.

Per questo — ecco qua, adesso viene fuori quello che abbiamo già detto un po’ di volte fa, un po’ di giorni fa —ognuno deve nascondere il peccato ai suoi propri occhi e allo sguardo della comunità. Non ci è permesso di essere peccatori. Non si riesce a immaginare l’orrore di molti cristiani, se improvvisamente un vero peccatore capitasse fra la gente devota. Per questo restiamo soli con il nostro peccato, nella menzogna e nell’ipocrisia; infatti siamo noi ad essere peccatori.

Ma ditemi se c’è una virgola che non sia vera in tutto quello che ha scritto Bonhoeffer in queste righe. Una virgola. Ditemi se c’è una virgola, che voi dite: “No, questa cosa qui non è giusta, non è vero, non è secondo la nostra fede”.

Bene, allora commentiamo.

Ognuno, poiché deve nascondere il suo peccato alla comunità — questo lo sto dicendo io, sto rivedendo un po’ la frase che lui ha detto, — di necessità lo deve nascondere ai propri occhi. Se io non posso essere quel peccatore che sono, e non posso dire di esserlo e non posso dire il mio peccato, per non impazzire, devo nasconderlo anche i miei occhi. Devo dire: “No, ma io non lo sono”. Perché se io dovessi ammettere di essere peccatore e non posso dirlo alla comunità, altrimenti si scandalizzano, il risultato sarebbe che o lascio tutto, o divento schizofrenico.

Capite quanto è grave il problema? Capite di cosa stiamo parlando? A che livelli siamo? Siamo a questi livelli. Una cosa gravissima. È la stessa cosa che avviene poi tra gli amici, tra i fidanzati, tra gli sposi, nelle comunità, la stessa cosa. Quest’ansia da prestazione, di dover essere supereroi. “Ho bisogno di sapere, di vedere, che tu sei perfetto, che tu sei bravissimo, che tu sei santissimo, che tu sei devotissimo, che tu sei maturissimo, che tu sei… perché altrimenti non riesco a dare credito alla tua parola”. Ma vi rendete conto in quale delirio entriamo vivendo così? Questo veramente ci porta alla malattia psichiatrica. Perché nessuno di noi è così, nessuno, grazie al cielo, neanche Superman. Perché anche lui ha il suo punto debole, che è la kryptonite. Meno male che anche Superman ha la sua kryptonite.

È importante quello che scrive adesso Bonhoeffer: “Non ci è permesso di essere peccatori”. Lui lo sta scrivendo inerente alla sua realtà religiosa di cristiano luterano. Ma noi questa cosa qui la possiamo dire anche all’interno del nostro essere cattolici; vedete che è comune? C’è questo vizio di fondo di voler rimuovere tutto ciò che sa del mio cadere per terra, tutto ciò che sa, appunto, del mio peccato, tutto ciò che sa del mio essere fragile.

Non mi è permesso di essere peccatore. Anche Santa Teresa lo dice molto bene, dice che il mondo pretende un tale livello di perfezione da quelli che iniziano il cammino di perfezione che questi qua si sentono così in ansia, così angosciati, che lasciano tutto e se ne tornano indietro, perché dicono: “Ma io non ce la faccio”.

Ma Gesù tutto questo non lo chiede. La cosa interessante è che noi, che non siamo Gesù, lo pretendiamo negli altri e quindi in noi stessi, ma Gesù questa cosa non la chiede. Gesù non si aspetta che noi, dall’oggi al domani, diventiamo santi, nel senso di perfetti. Che poi bisogna distinguere tra perfezione e santità,  ci sarebbero da dire alcune cosine interessanti anche su quello; perché il santo non è il perfettino e il perfettino non è santo. Il santo è colui che è innamorato di Dio, è colui che mette Dio al primo posto, è colui che sceglie il meglio, Gesù Cristo, sopra tutto e sopra tutti, questo è il Santo, e tutto passa attraverso Gesù. Il Santo è questo.

Non si riesce ad immaginare l’orrore di molti cristiani, se improvvisamente un vero peccatore capitasse fra la gente devota”. Ma voi ve lo immaginate? Io l’ho detto una volta in un’omelia, lo ricordo come se fosse oggi. Era una domenica e la chiesa era stracolma di gente, tutti belli agghindati con i loro vestiti stupendi, meravigliosi, tutti elegantissimi, bellissimi. Tutti più o meno devotissimi. Non so quale solennità fosse. E io mi ricordo che dissi: “E se adesso dovesse capitare che da quella porta in fondo entrasse una prostituta, vestita da prostituta, che è stata folgorata da una luce di Dio, che qualcosa dentro l’ha toccata, che ha capito d’aver sbagliato tutto, e quindi, in preda a questo amore che l’ha avvolta, che l’ha presa, che l’ha rapita al suo male, in preda al desiderio di gettarsi tra le braccia di Gesù, di chiedere perdono al Signore e di far parte di una comunità cristiana entrasse in chiesa, la prima chiesa che trova aperta, la nostra, entra in chiesa, non sa neanche cos’è, perché, dov’è, sa solo che è una chiesa, non sa cos’è la messa, sa solo che è una chiesa e che lì c’è Dio e che vuole chiedere perdono a Dio. Questo sa. Entra in chiesa, così di corsa. E trova tutta questa gente. Non sa neanche cosa stiamo facendo, forse più o meno. Ci sarebbe spazio per lei? Non è un discorso demagogico, assolutamente, no, no, molto concreto. Ci sarebbe spazio? Saremmo tutti felicissimi e contentissimi di vederla e qualcuno si alzerebbe per farle posto, per farla venire in prima fila a partecipare alla Santa Messa? E chissà, magari sarebbe anche l’unica che si mette a piangere durante la consacrazione, che magari sarebbe in ginocchio tutta la Messa, a differenza nostra che stiamo lì a tirarci i codini e i riccioli, che ci guardiamo le unghie laccate e quant’altro. Ci sarebbe posto? O cominceremmo a bisbigliare, come le serpi che si svegliano nelle tane?

“[bisbigliando] Ma chi è quella lì? Ma da dove arriva? Ma cosa fa? Ma perché, ma dov’è, ma, ma, il padre non dice niente? Ma non può mica stare qua conciata così, ma è uno scandalo che sia vestita in questo modo…”

Le sentite queste voci? Io le sento già. Me le sento già nella testa.

L’orrore di molti cristiani se improvvisamente un vero peccatore, capitasse fra la gente devota”. Ma il Signore è venuto per i giusti o per i peccatori? Il Signore è andato a cercare la pecora perduta, o ha tenuto le novantanove attaccate a sé? “Per questa ragione — verissimo, quello che scrive adesso — restiamo soli”. Col nostro topo morto (lui non scrive topo morto). “Restiamo soli con il nostro peccato. Nella menzogna e nell’ipocrisia; infatti, siamo noi ad essere peccatori”. Capite?

Quel peccatore lì, che capita tra la gente devota, sono io. Siccome non me lo posso permettere, perché non me lo consentono, allora cosa faccio? Divento un’ipocrita, un clown, un pagliaccio. E vivo nella menzogna, faccio finta di essere quello che non sono. Bello. Noi andiamo ad ingannare Dio, dopo aver ingannato noi stessi, noi andiamo ad ingannare Dio e gli altri. E agli altri fa piacere, son contenti, di vederci lì, tutti incipriati. Ma sotto, sotto fa niente se siamo pieni di ogni immondezza.

Quindi cosa vogliamo fare? In questa terza domenica di Quaresima? Vogliamo continuare a stare soli con il nostro peccato, vogliamo continuare a vivere nella menzogna, nell’ipocrisia?

Perché non impariamo a consentire agli altri di dirsi per quei peccatori che sono? Perché dobbiamo costringere le altre persone ad avere sempre quest’ansia addosso? No, uno dovrebbe dire: “Io sono così. Sono quello che sono. Però, mi vado a confessare, perdono a Dio lo chiedo. Sto facendo questo mio bel cammino”. Però, cari miei, non è facile. Non è una passeggiata.

Ecco perché ci fa bene andarci a confessare, perché impariamo questa pedagogia di riconoscerci peccatori almeno davanti al volto del Sacerdote. È tanta grazia questa cosa. E poi impariamo, nel limite del possibile, con qualche persona un po’umana e veramente cristiana, impariamo anche lì a essere semplici ed essere quello che siamo, senza doverci ogni volta nascondere, ogni volta mascherare…

Mi fermo qui. Perché vedete che è un po’ denso. Non sono tante LE righe che abbiamo letto, ma, avete visto che Bonhoeffer ha questa caratteristica: decollo immediato. Dopo la citazione della Scrittura, la prima frase è già una quota 10.000 metri. È bello, perché non perde tempo in fronzoli, in chiacchiere. Tac, arriva subito al punto. E questo ci fa bene, ne abbiamo bisogno.

Domani andremo avanti.

Oggi è domenica e cerchiamo proprio di viverla così, nella gioia, nella letizia, nel gaudio, nella comunione e nella fraternità. Ve lo dico sempre, ve lo ripeto sempre, impariamo proprio a essere uniti.

Per questa ragione, per chi ci sarà, il 16 di aprile, domenica in Albis, a Fontanelle di Montichiari, al santuario di Maria Rosa Mistica, tutto inizierà con la Santa Messa delle ore 08:00, ci tengo che ci sia la Santa Messa come primo momento del nostro stare insieme, ma poi ci deve essere lo stare insieme.

Abbiamo già visto l’importanza del condividere il pasto. E mi ricordo quando abbiamo già fatto questa esperienza la volta precedente, io e altri Sacerdoti, non avevamo portato nulla da mangiare, io non avevo voluto portare niente. Mi avevano detto: “Ma padre, prepariamo qualcosa anche per lei?” — “Ma sì, boh, non lo so”, avevo dato qualche indicazione, però non mi ero portato niente da casa, perché ho detto: è bello che ci sia una sorta di elemosina, di dire: “Signore, oggi provvedi tu al mio sostentamento” e qualcosa arriverà. Beh, insomma, sono arrivate talmente tante di quelle cose che il mio sostentamento sarebbe bastato per dieci anni e questo e fa onore, è bello vedere la generosità delle persone, dei fratelli e delle sorelle nella fede. Ovviamente, non ho potuto prendere tutto quello che mi hanno offerto perché era impossibile. Ma una cosa bella che mi è piaciuta molto è stata vedere come le persone passavano nelle varie postazioni in cui eravamo divisi e chi portava il salame, chi ti portava il pane, chi ti portava la focaccia, chi ti portava la pizza, chi ti portava il dolce,… insomma… vedere persone che umanamente non si conoscono, ma che condividono la stessa fede, e che fanno una domenica insieme, e si preoccupano uno dell’altro e si mischiano, perché poi ovviamente ci si mischia, si parla, ci si conosce: “Ah, ma anche tu vieni da lì? Ma non lo sapevo, ma allora scambiamoci gli indirizzi…” — Uno va a casa la sera stanco morto, ma con un cuore gonfio! Va a casa la sera e dice: “Ma quanto è stato bello! Ma quanto mi ha fatto bene! Ma quanta grazia ho ricevuto!” Ecco, mi vien da dire che ogni domenica dovrebbe essere così, nel piccolo, certo, ma ogni domenica dovrebbe essere così: tutta dedicata a questo stare insieme!

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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