Scroll Top

D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 24

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 24
Mercoledì 30 agosto 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Mt 23, 27-32)

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

ia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a mercoledì 30 agosto 2023. Oggi festeggiamo il Beato Alfredo Ildefonso Schuster, Vescovo di Milano.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo ventitreesimo del Vangelo di san Matteo, versetti 27-32.

Continuiamo la nostra lettura del libro di Bonhoeffer, Sequela.

Abbiamo visto proprio ieri, diciamo così, la prima espressione di Gesù: «Se uno vuol porsi alla mia sequela, rinneghi sé stesso». Ecco, questa è la prima e adesso vediamo la seconda:

«E prenda su di sé la sua croce».

Leggiamo cosa scrive:

È grazia di Gesù aver preparato i discepoli a questa parola parlando preliminarmente del rinnegamento di sé. Se in effetti ci siamo del tutto dimenticati di noi e non conosciamo più noi stessi, solo a questo punto possiamo essere disposti a portare la croce per amor suo. Se ormai conosciamo soltanto lui, allora non conosciamo più nemmeno le sofferenze della nostra croce, e vediamo solo lui. Se Gesù non ci avesse così premurosamente preparato a questa parola, non saremmo in grado di sopportarla. Ma in questo modo ci ha messo in condizione di cogliere come grazia anche questa dura parola. Essa giunge a noi nella gioia della sequela e ci rafforza in essa.

Uno può prendere la sua croce — e ognuno di noi ha la sua croce — solo se innanzitutto ha rinnegato sé stesso, cioè solo se si è dimenticato di sé. Solo se siamo ormai giunti — o comunque ci siamo incamminati seriamente — a conoscere solamente Gesù, solo in questo modo, se ci siamo ego-decentrati e Cristo-centrati, allora siamo disposti a portare la nostra croce per amore suo. Perché capite, la sofferenza, volenti o nolenti, la dobbiamo sopportare, la dobbiamo portare. Bisogna vedere in che modo la portiamo. C’è chi porta la sofferenza con rabbia, con ribellione, incattivendosi, e c’è chi porta la croce per amore di Dio, dipende; tutto sta quanto noi ci siamo rinnegati, quanto noi ci vogliamo rinnegare, quanto abbiamo sgombrato il campo dall’ingombro pesante del nostro io. E quindi se ci siamo incamminati nella conoscenza di Gesù, allora — dice Bonhoeffer — non conosciamo più nemmeno le sofferenze della nostra croce, perché vediamo solo lui.

Chi non ha letto e non ha in mente la vita di Bonhoeffer e come muore Bonhoeffer, lo vada a leggere, così capisce la serietà di queste parole; non è una persona che è morta in un batuffolo di cotone. Una persona che ha vissuto una vita veramente molto, molto, molto dura e molto difficile. In questo mese abbiamo ricordato Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce, monaca carmelitana, abbiamo ricordato San Massimiliano Maria Kolbe. Tutti sappiamo come sono morti e possiamo proprio dire che non conoscevano più nemmeno le sofferenze della loro croce, perché vedevano solo Gesù. E non solo lo vedevano, ma lo facevano vedere. Conducevano gli altri a distogliersi dalla fatica, dalla pesantezza dalla durezza della croce, per concentrarsi solo in Gesù. 

Vedete cosa scrive?

Essa — la croce — giunge a noi nella gioia della sequela e ci rafforza in essa.

Dobbiamo proprio imparare a entrare in questa dinamica nuova: la croce fa parte della sequela. Vediamo cosa scrive adesso:

La croce non è un’avversità o un duro destino — attenti a cosa scrive adesso — ma è quel patire che ci deriva solo a causa del nostro vincolo con Gesù Cristo. Non è sofferenza casuale, ma necessaria. La croce non è sofferenza legata all’esistenza naturale, ma all’esser cristiani. La croce non è assolutamente soltanto patire, ma è patire e insieme è l’esser riprovati e, anche qui, a rigore, esser riprovati a causa di Gesù Cristo, non per un qualsiasi altro comportamento o confessione di fede.

Mi fermo. Vedete come la prospettiva di Bonhoeffer è molto precisa. Mi spiego: nella nostra vita noi abbiamo tante sofferenze, tanti dolori, tante cose o tante situazioni che ci angustiano, tante preoccupazioni, però tutto questo — Bonhoeffer ci dice — non è ancora esattamente la croce di cui parla Gesù nel Vangelo: «E prenda su di sé la sua croce». 

Questo «prenda su di sé la sua croce», questa croce di cui parla Gesù nel Vangelo — Bonhoeffer dice — non è un’avversità, non è un duro destino, è un qualcosa di ben preciso: è quel patire che ci deriva solo a causa del nostro vincolo con Gesù Cristo. Quindi potremmo dire che tutte quelle sofferenze che noi siamo chiamati a vivere, penso ad esempio alle sofferenze del corpo, alla malattia fisica — ma non solo — mi sembra che potremmo quasi vederle come un allenamento, cioè come se fossero, diciamo così, delle piccole croci, proprio dei piccoli allenamenti. Voi direte: “Sì, ma ce ne sono alcune che sono belle pesanti”, si sì, certo, mi rendo conto, e ciononostante sono proprio delle occasioni per imparare a vivere la croce, la vera croce, che è quella causata dal nostro vincolo con Gesù. 

La croce di cui parla Gesù nel Vangelo è quella che riguarda il nostro rapporto con Lui, non è una sofferenza casuale, dice Bonhoeffer, ma necessaria. Non è una sofferenza legata all’esistenza naturale.

Vedete: la malattia, l’invecchiamento, non so… ce ne sono tante di situazioni di dolore, di sofferenza, che viviamo… Ecco, la croce non è una sofferenza legata all’esistenza naturale, cioè al fatto che nasciamo, che cresciamo, che invecchiamo, che ci ammaliamo ma è legata all’essere cristiani. È proprio molto specifica questa croce. Infatti, prima vi ho citato San Massimiliano Maria Kolbe, vi ho citato Edith Stein; San Massimiliano Maria Kolbe perché finisce nel campo di concentramento? Capite che c’è una ragione ben precisa! E tutto il suo percorso, di fatto, è legato addirittura al suo essere sacerdote, all’essere cristiani.

La croce non è assolutamente soltanto patire…

Anche questo è importante. Noi spesse volte diciamo: “Mamma che croce che mi è successa!”, perché è legata alla sofferenza; ecco perché vi ho detto che quelle croci, quelle sofferenze, sono delle piccole croci che ci insegnano e ci preparano a vivere la grande croce: la croce della sequela. Quindi lui dice:

ma è patire e insieme è l’esser riprovati e, anche qui, a rigore, esser riprovati a causa di Gesù Cristo, non per un qualsiasi altro comportamento o confessione di fede.

Cioè, la croce di cui parla Gesù nel Vangelo è quella del patire, del soffrire e dell’essere riprovati a motivo di Gesù, non per qualsiasi altra ragione.

Quando abbiamo — io spero tante volte, anche ultimamente — sentito parlare qualcuno che ci ha preparato, che ci sta preparando, che ci insegna a portare la croce, questa croce, la croce di cui parla Gesù, «Prenda la sua croce e mi segua»; la croce del vincolo con Gesù, la croce dell’essere cristiani, la croce del patire e dell’essere riprovati a motivo di Gesù, e per nessun’altra ragione? Non è così frequente credo! Eppure, questa è la croce di cui parla il Vangelo, questa è la croce di cui parla Gesù. Eppure, ci sono tante persone — giovani, meno giovani, ragazzi, anziani — che stanno portando questa croce; sacerdoti, vescovi, suore, diaconi, papà, mamme, figli, persone che veramente sono nella condizione di vita che è quella di colui che sta soffrendo per il suo vincolo con Gesù, per il suo essere cristiano e per questo patisce ed è riprovato a motivo di Gesù e per nessun’altra ragione, solo a motivo di Gesù. Che, se togliesse Gesù dalla sua vita, la sua croce finirebbe.

Questo è il segno che ci fa capire che uno sta portando questa croce, la croce di cui parla Gesù nel Vangelo: se io tolgo Gesù dalla mia vita, questa sofferenza rimane o sparisce? Se io ho il tumore, che ci sia Gesù o non ci sia Gesù nella mia vita, il tumore è lì! Poi la preghiera, il riferimento a Gesù, magari mi può anche far guarire, oppure mi insegna a portare quella sofferenza, ma non è che io dico: “Oggi decido di rinnegare Gesù, oggi decido di abbandonare Gesù, oggi decido di non essere più cristiano” e il tumore va via. No! Ma ci sono situazioni di vita dove è chiara la pressione e l’invito ad abbandonare Gesù. Sono tutte quelle in cui so che se abbandonassi Gesù, se smettessi di essere suo discepolo, questa precisa sofferenza che sto vivendo, questa precisa croce che sto portando, sparirebbe all’istante. Questo vuol dire che sono esattamente nella condizione di colui che sta portando la croce dietro a Gesù: «prenda la sua croce». 

E ripeto, non è solo patire, ma essere riprovati a motivo di Gesù, a motivo dell’essere cristiani. E riprovati, guardate, vuol dire tante cose: riprovati vuol dire umiliati, vuol dire esiliati, vuol dire emarginati, vuol dire denigrati, diffamati, scherniti, ingiustamente colpiti. Vuol dire tutto questo! Vuol dire proprio misconoscere la persona. È quello che ha vissuto Gesù: l’infamia di quella morte, di quella via dolorosa. Patire ed essere riprovati vanno insieme. 

La Croce di cui parla il Vangelo, è l’unione tra patire ed essere riprovati. E uno dice: “È inutile che mi stupisco, ormai ho imparato che non c’è niente da stupirmi, perché tutta questa situazione che sto vivendo, che si chiama croce — patire ed essere riprovati — è legata al mio essere cristiano. Se io oggi smettessi di essere cristiano, se io oggi smettessi di seguire Gesù, sparirebbe tutto. Ma noi non vogliamo smettere di seguire Gesù, quindi resta la croce; ecco che allora questa croce la prendiamo.

Capite perché Gesù nel Vangelo dice: «prenda la sua croce»? Perché tu la puoi anche abbandonare, questa croce, puoi anche non prenderla. Mentre il tumore tu non puoi non prenderlo, se ce l’hai lo devi portare, volente o nolente. Non puoi dire: “No, stamattina mi sveglio e decido che non voglio più avere il tumore”, no, non è possibile. Questa malattia, come del resto tutte le malattie, non sei libero di tenerla o non tenerla. Invece la croce del seguire Gesù devi scegliere continuamente se prenderla o non prenderla. E purtroppo ci sono alcuni che non la prendono… la prendono per un po’ e poi dicono: “No no no, non ce la faccio. Troppo pesante, troppa sofferenza, troppa solitudine, troppa incomprensione, troppa ingiustizia, troppa cattiveria, troppe cose brutte, io non ci riesco” e quindi: non riescono a prenderla e a portarla.

Vi prego di seguire molto bene queste parole, perché, guardate, sono di un’attualità e di una verità incredibili, di una precisione chirurgica; scrive Bonhoeffer:

Una cristianità non più capace di prendere sul serio la sequela, che aveva ridotto il vangelo solamente alla consolazione di una fede a buon mercato, e per la quale, quanto al resto, esistenza naturale ed esistenza cristiana si fondevano l’una nell’altra senza distinzione, doveva necessariamente interpretare la croce come l’avversità quotidiana, la distretta e l’angoscia della nostra vita naturale. Qui si era dimenticato che la croce implica sempre anche l’esser riprovati, che di essa fa parte l’onta del patire. Essere espulsi nel patire, essere disprezzati e abbandonati dagli uomini, come nel lamento senza fine del salmista, questa è la caratteristica essenziale del patire proprio della croce, che una cristianità ormai incapace di distinguere l’esistenza borghese dall’esistenza cristiana non è più in grado di capire. La croce è patire con Cristo, è passione di Cristo. Solo il vincolo a Cristo, come si realizza nella sequela, sta seriamente sotto la croce.

Mi fermo qua, ve lo commento, domani andremo avanti da qui. 

Lui dice: se io come cristiano non sono più capace, non mi insegnano più, non ne parliamo più del fatto che la sequela va presa sul serio, che cosa succede? Succede che io riduco il Vangelo a consolazione di una fede a buon mercato; torna il tema. 

Se la sequela non è al centro, il Vangelo è semplicemente consolazione. E che cosa succede? Succede un ibrido, terribile! Quale? Esistenza naturale ed esistenza cristiana si fondono una nell’altra, diventano un tutt’uno senza distinzione. 

Se io fondo l’esistenza naturale, il mio essere uomo, con il mio essere cristiano, la croce che cosa diventa? Diventa quello che dicevamo prima: l’avversità e l’angoscia della nostra vita naturale. Diventa quello che dicevo prima, per esempio il tumore; perché li ho fusi insieme, esistenza naturale ed esistenza cristiana. Le fondo insieme e quindi la croce si riduce — perché è una riduzione — all’avversità quotidiana, all’angoscia della vita naturale. Quindi se sono in strada e ho un incidente stradale, mi viene addosso una macchina, ecco che ho la croce di dover farmi un tot mesi per guarire, per essere operato… 

Qui, in questa situazione, in questo ibrido, che cosa ci si dimentica? Che la croce implica sempre l’essere riprovati. Questo non dobbiamo mai dimenticarlo. L’essere riprovato fa parte inscindibile del patire a motivo di Cristo, allora abbiamo la croce di cui parla il Vangelo. Diversamente stiamo attenti a non fondere l’esistenza naturale con l’esistenza cristiana e quindi a vedere l’avversità, l’angoscia della nostra vita, come espressione della croce di cui parla Gesù nel Vangelo.

E lui scrive:

Essere espulsi nel patire, essere disprezzati e abbandonati dagli uomini… questa è la caratteristica essenziale del patire proprio della croce.

Capite? Ecco questo essere riprovati, l’essere espulsi — vi dicevo prima l’essere emarginati, l’essere esiliati, l’essere disprezzati, l’essere abbandonati, tutte queste cose qui — a motivo di Gesù, ovviamente, solo per questo; questo fa proprio parte della croce di cui parla Gesù nel Vangelo: «prenda la sua croce». Del resto, perché Gesù viene inchiodato alla croce? Semplice: per la sua appartenenza al Padre che gli scribi e i farisei non avevano e non potevano assolutamente accettare. Non avevano accettato, non avevano capito e non lo volevano, non lo potevano accettare. Perché loro appartenevano al mondo e quindi non potevano accettare questa appartenenza di Gesù al Padre. L’abbiamo già visto, questa è la radice dell’incomprensione radicale e incolmabile tra Gesù e gli scribi, i farisei e i dottori della legge.

Quindi il cristiano che non sa più distinguere l’esistenza borghese dall’esistenza cristiana, non è più in grado di capire la sequela. Infatti non se ne parla più. Sono pochi quelli che oggi parlano, discutono, spiegano che seguire Gesù vuol dire soffrire e vuol dire essere riprovati. Tutti e due fanno parte di questa cosa: patire ed essere riprovati. La croce, quindi, è partire con Cristo, è passione di Cristo. Certo, perché è vissuta per lui. Se io non appartenessi a Cristo, se io non fossi di Cristo, se non volessi vivere unito a Cristo, avrei davanti un futuro mondanamente meraviglioso. I miei amici sarebbero mille e sarei sempre in festa, e invece mi ritrovo a soffrire e patire. Quindi la ragione della croce sta nel vincolo a Cristo e il vincolo a Cristo sta seriamente sotto la croce.

Ecco, credo che anche oggi abbiamo ampi motivi per riflettere e magari arrivare alla conclusione che noi non stiamo vivendo ancora questa croce. Ci sono persone che non la stanno vivendo, nel senso che il Signore ancora non gliela ha donata. È una grazia immensa ricevere questa croce, non a tutti viene data. Perché? Perché non tutti sono in grado di portarla. Perché magari devono ancora allenarsi e allora la Divina Provvidenza sapientemente ancora non la dà. Ma, state tranquilli che, se veramente viviamo il nostro “vincolo” — è bella questa espressione che usa Bonhoeffer — con Gesù, tranquilli che il mondo, che Lucifero, prima o poi, molto prima che poi, apre l’occhio, punta l’occhio su di voi e dice: “Quello lì, perché non cammina come gli altri? Quella lì, perché non va dove vanno gli altri? Perché non ha le mie insegne? Perché è diversa? Aspetta, aspetta, aspetta, aspetta, andiamo un po’ a vedere”, ecco. E quindi poi si scopre che… inizia l’avventura. Guardiamo un po’ le nostre sofferenze, guardiamo la nostra croce che croce è.

Uno dice: “Eh, ma anch’io vorrei allora questa croce!”. Guardate, cerchiamo di non volere niente; veramente fidiamoci di Dio. Se non l’abbiamo, è perché va bene così. È perché ancora dobbiamo allenarci. Se l’abbiamo, ringraziamo tanto il Signore:

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate…

Vedete? Chi invece la sta vivendo, ringrazi il Signore e senta questo invito: «prenda la sua croce». Non fare niente per risolvere la situazione perché risolvere la situazione vorrebbe dire strapparti Cristo dal cuore. Non si può risolvere, perché il motivo è Gesù. Siccome tu rimani legato a Gesù devi patire, perché il mondo ti perseguita — come dice ad esempio il Montfort — e perché il mondo ti riprova, quindi ti abbandona, ti disprezza, ti espelle, ti esilia. Va bene! So che tutto questo accade per la mia appartenenza a Gesù.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

Post Correlati