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Com-patire – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.24

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Com-patire – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.24
Venerdì 24 novembre  2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Lc 19, 45-48)

In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà casa di preghiera”. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a venerdì 24 novembre 2023. Oggi festeggiamo Sant’Andrea Dung-Lac e santi compagni martiri. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal diciannovesimo capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 45-48.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione.

5 — Tale è l’amore che vorrei vedere tra voi. Forse da principio non sarà tanto perfetto, ma il Signore lo verrà perfezionando. Cominciamo col ricorrere ai mezzi opportuni, e non preoccupatevi se va frammisto a qualche tenerezza naturale, perché se questa riguarda tutte indistintamente, non vi sarà di alcun danno. Sentire e mostrar tenerezza, essere sensibili alle pene e alle più piccole infermità delle sorelle è bene e, alle volte, necessario. Può accadere talvolta che una cosa da nulla sia a una sorella di maggior tormento che non una prova assai grande, essendovi persone così impressionabili che s’inquietano per ogni piccola difficoltà. Ma non lasciate voi di compatirle, se siete di temperamento contrario. Può darsi che il Signore ci risparmi queste pene per darcene altre che a noi sembreranno pesanti — e forse anche lo saranno — ma che le nostre sorelle stimeranno leggere. In queste cose non bisogna mai giudicare le altre da noi stesse: invece di considerarci in quelle circostanze in cui il Signore ci ha rese forti senza alcuna nostra fatica, consideriamoci in quelle in cui siamo state più deboli.

Io so che, per qualcuno di voi, magari il ragionamento che nasce è: “Cosa ci serve meditare Santa Teresa di Gesù, visto che noi non siamo monache?” Perché, insomma, queste mie meditazioni sono per laici, per persone sposate, per figli, per papà, per mamme, per sacerdoti — che so che le ascoltano — per consacrati, insomma, per tutti! E uno dice: “Ma scusa, padre Giorgio, perché hai scelto il Cammino di perfezione di Santa Teresa di Gesù, che è scritto per le monache? Dovresti andare a predicare in un monastero, non a noi”.

Allora, questo modo di ragionare, se è comprensibile da una parte, dall’altra rivela una sorta di ottusità di fondo. Perché noi pensiamo che ciò che è scritto per qualcuno non sia per tutti. Questo può essere vero, ma può anche essere non vero, dipende dalla genialità della persona che scrive. Qui ci troviamo di fronte non solo a una grande genialità, ma anche a una grande santità! Ciò che scrive Santa Teresa per le monache, certamente è per le monache, ma, come vi ho fatto vedere in questi ultimi tempi, e oggi ancora di più, è per tutti. Questo lo dico anche perché magari qualcuno dice: “Ah vabbè, siccome è per le monache, sono cose troppo complicate, difficili, elevate, «di nicchia», e quindi non mi interessano, non mi riguardano”. Questo vuol dire veramente ragionare in modo ottuso, come i cavalli che vanno in giro con i paraocchi. Questi insegnamenti sono utili per tutti!

S. Teresa in questi ultimi paragrafi, in questo capitolo e anche in quello precedente, sta parlando di questo amore vicendevole e dice: come vorrei vedere questo amore tra voi. Però — lei dice — che da principio non sarà così perfetto, nessuno parte perfetto. “Cammino di perfezione” vuol dire che è un cammino, e vuol dire che arriveremo alla perfezione in fondo; però, nel frattempo, questa perfezione andrà sempre più aumentando, sempre più raffinandosi, sempre più migliorando, perché non si diventa perfetti dall’oggi al domani, capite? Quindi è normale che questo amore dal principio non sarà molto perfetto, però lei dice: Gesù lo andrà perfezionando se noi saremo costanti. E continua: innanzitutto scegliamo i mezzi opportuni per il raggiungimento di questa perfezione — alcuni di questi mezzi li abbiamo già visti e alcuni li vedremo più avanti.

S. Teresa aggiunge: non preoccupatevi se, in mezzo a questa ricerca dell’amore perfetto, voi troverete anche la tenerezza naturale. Se questa riguarda tutte, indistintamente, va bene, quindi, se hai una tenerezza naturale ed è per tutti, non c’è problema. E aggiunge: sentire e mostrare tenerezza, essere sensibili alle pene delle sorelle, anche le più piccole infermità, è bene e, a volte, è necessario. Quindi, ci vuole anche.

Santa Teresa non ci sta insegnando a diventare dei monoliti di ghiaccio, che passano accanto alle persone che soffrono e che muoiono e non ne sono toccate. Ci sta dicendo che questa tenerezza naturale, soprattutto quando è rivolta a tutti, questa sensibilità, questa dolcezza, non solo è bene, ma è necessaria, alle volte. Per cui voi troverete sempre — non so, penso a Padre Pio ma non solo — questi grandi santi, che erano capaci di grande distacco e, allo stesso tempo, di grandissima tenerezza; però, tutto sempre orientato a Dio — quello che abbiamo visto nei giorni scorsi — tutto che porta a Dio e tutto che parte da Dio.

S. Teresa scrive una cosa molto importante: talvolta può accadere che una cosa da nulla sia per una sorella un tormento grandissimo. Magari al mio giudizio quella cosa è una piccola cosa e invece per quell’altra persona è una sofferenza enorme.

Vi faccio un esempio, pensiamo a un papà o a una mamma o a un fratello maggiore, che ha un fratello più piccolo di lui. È chiaro che per un bambino perdere il suo pupazzo preferito a forma di elefantino è un dramma assoluto, come se fosse scoppiata la terza guerra mondiale, no? Il suo mondo è il suo elefantino e, quindi, perdere il suo elefantino è come morire. Chiaro che un papà di quaranta o cinquant’anni vede questa scena e dice: “No, aspetta un momento, te ne compro un altro! L’elefantino è un elefantino. Pazienza, non lo cerchiamo neanche, ne compriamo un altro, non facciamo una tragedia per un elefantino”. Ecco, questo non va bene, questo comportamento non va bene.

Oppure, quando un ragazzo viene a raccontare il suo dramma, l’ultima cosa da fare è ridergli in faccia. Perché diciamo: “Ma sì, vabbè, ma son stupidaggini”; non si dice: “Son stupidaggini”. Ce lo possiamo dire, magari “tra di noi adulti”, possiamo dire a un altro adulto: “Ma dai, ma su, non perderti in un bicchier d’acqua” — a dire il vero S. Teresa dice che non è neanche concesso questo — ma sicuramente non con un ragazzo, non si può andare a dire a una ragazza che sta soffrendo per qualcosa: “Ma no, ma dai, ma su, ma smettila, se tu sapessi i problemi che ci sono… con le tasse!”. Ecco, questa cosa non si fa.

Bisogna essere capaci di grande comprensione, anche perché, magari, noi invece vediamo per noi delle sofferenze enormi e gli altri che ci guardano dicono: “Ma cos’è questa roba? Ma di cosa stai parlando? Ma questa non è una sofferenza!”. E ci rimaniamo male quando qualcuno ci banalizza, quando qualcuno ci prende in giro, quando qualcuno dice: “Ma va là…. Ma non fare tante scene!”. Magari stai soffrendo per un male fisico e qualcuno neanche se ne accorge, neanche ti dice una parola o, appunto, lo banalizza. Uno soffre perché dice: “Ma come, io sto così male…” — “Eh, ma no, ma vabbè…”

Ecco, lei dice che non bisogna mai giudicare le altre da noi stesse. E aggiunge: invece di guardare te come sei capace di superare quella medesima prova. Vediamo una cosa che ha fatto soffrire una persona e diciamo: “Eh ma io quella cosa lì l’ho superata, l’ho fatta”. Non bisogna vedere la debolezza, la fatica dell’altro, dalla nostra prospettiva di coloro che la stessa fatica l’hanno superata e vinta, ma — lei dice — consideriamoci in quelle realtà in cui siamo più deboli. E allora sì che saremo più comprensivi, perché diremo: “Sì, in effetti anch’io, non in questa situazione, ma in un’altra simile, non riesco, faccio una fatica terribile, sono fragilissimo, sono debolissimo”.

Ecco, questo vuol dire “compatire”. Guardate che la compassione è importantissima, non vuol dire piangere addosso all’altro, ma vuol dire non lasciarlo solo nel suo male, nel suo dolore, nella sua sofferenza, nella sua fatica.

Io personalmente — non so voi, ma credo anche voi — ho molto ben chiaro nella mente situazioni della mia vita in cui, in particolari gravi casi di necessità, sia fisica che spirituale, alcune persone sono state veramente delle veroniche, delle sante veroniche, che veramente sono state accanto. Non hanno risolto il dramma, non hanno risolto la questione perché non potevano, non potevano fare un miracolo, però quell’essere accanto, quel panno messo sul viso di Gesù per asciugarlo… 

Ricordate Santa Veronica, che asciuga il volto, lo pulisce dal sangue, dalla polvere, dagli spunti… Pensate che è l’unico gesto di tenerezza, di umanità, che Gesù riceve nella sua Passione, quello di Santa Veronica, non ce lo dimentichiamo mai. Una cosa incredibile. È la stazione della Via Crucis che io preferisco, in assoluto. È l’unico gesto, l’unico istante, l’unico momento in tutta la sua Passione in cui Gesù ha avuto attenzione, umanità, cura, compassione, l’unico! 

E non è che la Veronica faccia chissà che cosa… ma pensate in quella situazione trovarsi una persona che ti porge un panno morbido sul volto pestato, sputato, schiaffeggiato, intriso di sangue, incrostato, pieno di sudore, di polvere, che era caduto, tutto spaccato… Questa persona che ti appoggia questo panno asciutto, pulito, profumato, sul volto e ti asciuga, e ti pulisce. Guardate, vale di più che una cascata d’oro, eh! 

Ci sono persone così; io personalmente le ho in mente, ma sono sicuro anche voi: persone che ti sono state accanto nei momenti più drammatici della tua vita, nei momenti più difficili, dove hai misurato con mano che non ce la facevi da solo, che non era possibile affrontare da solo quel dramma… Persone che ci sono state. Altre? Sfuggite! Ma alcune rimaste… Altre fuggite, altre che ti hanno giudicato, altre che ti hanno condannato, altre che ti hanno banalizzato, altre che sono venute lì solamente per mettersi a posto la coscienza. E però ci sono persone come Santa Veronica, che hanno vissuto questo paragrafo quinto del Cammino di Perfezione di Santa Teresa. Compassione: proprio questo com-patire, patire insieme, questo è il significato di compassione. E non: “Poverino, poverino, vieni qua che ti do il bacino…”; No! Ma è: patisco con te!

Anzi ci sono persone — io ho avuto la grazia, nella mia vita, di conoscerne più di una, io la ritengo una delle grazie più incredibili che un uomo possa ricevere, mi rendo conto che sono una rarità — che veramente hanno un cuore enorme. Io, quando morirò, davanti al giudizio di Dio, veramente dovrò dire: “Signore, guarda, prima di giudicarmi, lascia che ti dica grazie. Devo dirti grazie, voglio dirtelo proprio vis-à-vis: grazie, perché nella mia vita mi hai donato persone meravigliose, veramente bellissime persone”; con un cuore… che io lo guardavo e dicevo: “Ma come fanno ad avere un cuore così grande? Un cuore così bello, così generoso?”. 

Ci sono persone che veramente quasi ti fanno dimenticare che stai male, incredibile, che condividono con gioia la tua situazione di dolore. Guardate, questa cosa è eroica, eroica. Tu sei lì, tutto piagato dal tuo male — che magari non puoi muoverti, che magari sei limitato, che stai male, che soffri… — e persone che, con gioia, condividono questo stesso stato. Tu non ti puoi muovere e non si muovono, tu non puoi uscire e non escono; che uno dice: “Ma vai fuori, ma esci, ma fai qualcosa, prendi un po’ d’aria, no? Perché poverino, sennò…” — “No, no, ma io sto bene così…”. Persone che quando si muovono sembrano gli angeli che volano, che per non disturbare, per non svegliare — sapete, un malato, se c’è una cosa che non sopporta, sono i rumori — quindi che sembrano angeli. Che stanno lì sedute come se fossero veramente l’angelo custode, con una delicatezza, con una cosa… Veramente persone meravigliose, veramente meravigliose, che hanno saputo “patire con”, senza spazientirsi perché poi, sapete, il malato alle volte è anche difficile da gestire, perché si arrabbia, perché è nervoso, perché gli basta un niente che gli va la mosca al naso… Perché sta male, perché sta soffrendo, perché non ha voglia di parlare, perché ha voglia di parlare troppo, perché… Cioè, il malato è così, no? “Ho fame, ho fame, ho fame, ho fame, ho fame, ho fame”: tu gli prepari un bel piattone di pastasciutta e poi mangia uno spaghetto; dice: “No, basta, sono pieno” — “Ma come?! Sto qui a prepararti tutta ‘sta roba…!”; eh, vedete, io direi così: “Ecco vedi, ti ho preparato tutte queste cose, tu invece mangi uno spaghetto…”; invece, queste persone meravigliose vanno a raccoglierti le ciliegie in Nicaragua — non so se in Nicaragua ci sono le ciliegie, comunque va bene — vanno a coglierti le ciliegie in Cile, poi tornano e tu dici: “No, grazie”.

Mi viene in mente quella scena di Padre Pio, ricordate quando lui disse: “Ho voglia di mangiare un piatto di pastasciutta all’amatriciana” — se non ricordo male o alla amatriciana o alla carbonara, forse era alla fine della sua vita, adesso non mi ricordo bene — e allora vanno a preparare, corrono subito, forse è la stessa Cleonice che fa questa cosa, va subito a preparare questa pastasciutta all’amatriciana. Poi arriva con il piatto di pasta e Padre Pio dice: “No, non lo mangio più” — dice: “No, padre, come no, siamo impazziti per andare a farla” — “No, voglio offrire un sacrificio al Signore” — “Ma no! Ne ha già fatti di sacrifici, ha sofferto abbastanza, voglio dire, abbiamo fatto …”. Allora lui, per non mancare di carità, ne mangia due forchettate.

Ecco, vedete, queste persone eroiche, meravigliose, che sanno veramente patire, impariamo, chiediamo a Gesù la grazia di saper “com-patire”, di saper stare lì, accanto a chi soffre. Guardate che è un’arte, è un servizio di carità meraviglioso; non pensiamo che una persona che soffre è semplicemente un corpo da sfamare, da operare, da pulire e da vestire. Una persona che soffre è un sofferente, è un paziente, è uno che è chiamato alla pazienza ma, in quel momento, ce n’è poca, perché il dolore occupa tutto lo spazio.

Ecco, ci sarebbe il paragrafo sesto, ma è molto bello e non voglio iniziarlo adesso; scusate se mi sono fermato su questo quinto tutto il tempo, ma mi sembrava veramente molto importante. Adesso col sesto lo riprenderà, Santa Teresa, e quindi ne parleremo ancora. Ecco, però non posso farlo adesso, perché è troppo importante il sesto, come il quinto.

Vabbè, abbiate pazienza, un passino alla volta; siamo in un cammino, faremo un passino alla volta.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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