Scroll Top

D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 40

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 40
Sabato 16 settembre 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Lc 6, 43-49)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo.
L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.
Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?
Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene.
Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 16 settembre 2023. Oggi ricordiamo e festeggiamo i santi Cornelio, Papa e Cipriano, Vescovo, martiri.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal sesto capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 43-49.

Proseguiamo la nostra lettura del libro Sequela di Bonhoeffer.

Oggi vediamo:

«Beati coloro che sono perseguitati per causa di giustizia, perché loro è il regno dei cieli».

Scrive Bonhoeffer:

Qui non si parla della giustizia di Dio, ma della sofferenza per una causa giusta, per amore del giusto giudicare e del giusto agire da parte dei discepoli di Gesù. Nel giudizio e nell’azione coloro che seguono Gesù rinunciando al possesso, alla felicità, al diritto, alla giustizia, all’onore e alla violenza” si distingueranno dal mondo; essi saranno di scandalo al mondo. Perciò i discepoli saranno perseguitati a causa della giustizia. Non riconoscimento, ma riprovazione è la ricompensa della loro parola e opera da parte del mondo. È importante che Gesù dichiari la beatitudine dei discepoli anche per la sofferenza subita non direttamente per la confessione di fede nel suo nome ma per una causa giusta. Essi partecipano della stessa promessa riservata ai poveri. In effetti sono simili a questi, in quanto perseguitati. Qui, alla fine delle beatitudini, sorge la domanda su quale luogo resti ancora, in questo mondo, ad una comunità del genere. È risultato chiaro che per essa c’è solo un luogo, cioè quello dove possiamo trovare il più povero, il più contestato, il più mite di tutti: la croce sul Golgota. — Noi aggiungiamo l’Eucarestia — La comunità di coloro che sono detti beati è la comunità del crocefisso. Con lui essa ha perduto tutto e con lui ha tutto trovato. A partire dalla croce ora si dice: beati, beati.

“Beati i perseguitati per causa della giustizia”. Bonhoeffer qui parla della sofferenza per una causa giusta, di una sofferenza per amore del giusto giudicare e del giusto agire da parte del discepolo. Allora “non giudicare” — frase assolutamente conosciuta da tutti, famosissima del Vangelo — questo non giudicare che dice Gesù, non è nel senso di dire che dobbiamo diventare tutti incapaci di intendere e di volere. Non è l’abdicazione alla valutazione, ovviamente, perché sennò Dio non ci avrebbe dato una ragione, un’intelligenza, una capacità valutativa. Quindi non è di questo che sta parlando Gesù.

C’è un giusto giudicare, che non è quello che va appunto a giudicare, valutare, pesare le intenzioni degli altri, perché noi le intenzioni degli altri non le possiamo conoscere, le conosce solo Dio. Nessuno di noi vede nel cuore dell’uomo: facciamo fatica a vedere nel nostro, immaginatevi a vedere in quello degli altri. Quindi nessuno di noi potrà mai dire la ragione profonda — l’intenzione — per cui quella persona ha detto e fatto qualcosa: noi non lo sappiamo. Non possiamo esprimere giudizi di merito sulla persona, perché noi come facciamo a sapere? Non possiamo saperlo. Però esiste un giusto giudicare, cioè un giudicare fondato sulla giustizia, per cui se tu — facciamo un ipotesi — hai rubato, faremo una valutazione, quindi un processo, dove: ascolteremo te, ascolteremo la persona che è stata derubata, ascolteremo il tuo avvocato, ascolteremo il suo avvocato, valuteremo tutte le circostanze del caso, valuteremo le aggravanti e anche le attenuanti, tutto! Dobbiamo mettere tutto sul tavolo. Poi esprimeremo un giudizio giusto, che non va a toccare le intenzioni del tuo cuore, perché quelle non le possiamo sapere, ma va a toccare l’oggettività dei fatti: tu hai rubato. Quindi, questa cosa è un fatto e questa cosa va valutata. Cioè, la responsabilità di questo atto è qualcosa della quale tu devi rispondere. 

Se noi vediamo sorgere il sole è chiaro che esprimiamo un giudizio, diciamo: oggi sarà una bella giornata, e quindi facciamo tutti i nostri programmi, stiamo valutando la situazione. E di tutto ciò che ci capita attorno noi dobbiamo esprimere un giudizio: un giudizio sui fatti, un giudizio sull’oggettività. Se questa cosa è oggettivamente sbagliata, non può diventare giusta. Anche se mi dispiace, anche se non vorrei mai che fosse così, però è così.

E quindi per un giusto giudizio, e quindi per un giusto agire — perché io devo comportarmi in maniera retta — questo purtroppo nella storia dopo il peccato originale genera sofferenza nei discepoli di Gesù, che lo fanno per amore, per amore del Signore. Per amore del Signore non posso cadere in un giudizio ingiusto, non posso cadere in un’assenza di giudizio, che è sbagliato tanto quanto un giudizio ingiusto. Cioè, non giudicare quando devo farlo e giudicare male sono tutti e due sbagliati. Quando devo giudicare, devo giudicare; quando devo valutare, devo valutare. “Ah no, ma io non voglio giudicare” — è sbagliato! Perché comunque quella realtà ti sta interpellando, ti sta chiamando, ti sta domandando, e tu devi esprimere un giudizio, devi esprimere un tuo parere sull’oggettività della realtà. C’è poco da fare, altrimenti cosa facciamo? Che “la vita ci vive”? Siamo “vissuti dalla storia”? No, non è possibile.

Da un giudizio giusto verrà un agire giusto, come da un giudizio errato verrà un agire sbagliato. L’agire giusto è quello che mi fa dire: “Se queste sono le premesse, questo è il comportamento”. E allora, ovviamente, il mondo si ribella e dice: “Eh no, no, non si può vivere così, non si può agire così!” Eh, certo, per te che non sei un discepolo di Gesù non è possibile. Perché questo agire giusto, che nasce da un giudicare giusto, si fonda sull’amore per il Signore: se tu non hai questo amore per il Signore, non potrai avere un giudizio giusto, non potrai avere un agire giusto. Perché? Perché sarai portato a seguire quello che tutti dicono, il mondo dice, il contesto consiglia e quant’altro.

È vero che ci sono persone che si dichiarano non credenti eppure arrivano a formulare dei giudizi giusti, ad agire giustamente e a soffrire per questa decisione, ma anche lì, in qualche modo, del quale loro ovviamente non sono consapevoli, anche lì agisce lo Spirito di Dio. È proprio lui che ci conduce, attraverso la voce della coscienza, sulla via della giustizia.

E questo distinguersi dal mondo, questo essere scandalo, cioè inciampo per il mondo, si vede dal fatto che i discepoli rinunciano: al possesso, alla felicità del mondo, al diritto, alla giustizia — le abbiamo già viste queste cose — rinunciano all’onore e alla violenza. Ovviamente, se tu vivi una vita del genere, tu immediatamente ti stacchi e ti distingui dal mondo, perché fai tutto il contrario. E, ovviamente, sarai uno scandalo, perché chi ti vede dice: “Ma questo qui cosa sta facendo? Perché tutti andiamo a sinistra e lui va a destra? Perché tutti andiamo dritti e lui va indietro? Perché non fa come facciamo tutti?”.

Perciò i discepoli saranno perseguitati a causa della giustizia.

Siccome ti distingui e siccome sei di scandalo, sarai perseguitato. Perché il mondo ammette la diversità — a me piace di più parlare di singolarità che di diversità, un giorno magari faremo una catechesi sulla differenza tra diversità e singolarità — il mondo ammette una certa possibile diversità, entro certi limiti e confini ben precisi. Quindi, puoi essere diverso dentro a quei limiti e a quei confini, portando addosso quei determinati — diciamo — “colori”, per intenderci. Se tutti portano addosso la maglia arancione intenso, puoi portare un arancione tenue, un giallino macchiato di arancione, un rosso molto sbiadito, va bene; ma non venirmi fuori con un blu, ecco questo no! O con un nero o con un verde o con un lilla. Ecco, questo non è possibile, devi stare dentro a quel range. Ricordate quando andavamo a scuola, che ci facevano fare quella tabella dei colori? Quindi per esempio la tabella del giallo: quindi partire dal bianco con dentro una punta di giallo — c’erano, mi sembra otto/dieci caselle — e dovevi salire, salire, salire fino al giallo puro. Ecco dentro a quel range va bene o a qualcosa che gli somiglia. Un giallino un po’ forte, un rosso sbiadito, un arancione tenue o più forte, va bene, però non colori freddi, non altro (sapete che ci sono i colori caldi e i colori freddi).

La singolarità il mondo invece assolutamente non la approva. Non la approva, perché la singolarità è per definizione l’affermazione del “totalmente altro a livello umano”.

È questa la grandezza del messaggio cristiano: che ogni persona è un singolo, è una singolarità posta davanti a Dio e da Dio posta in questa storia, in questo mondo.

Ecco perché non è vero che ciò che non fai tu lo fanno gli altri, no! Nessuno di noi è sostituibile! “Se non lo fai tu lo fa un altro; eh non sentirti così necessario perché tanto…”. Invece sì! Quello che sto facendo io adesso lo posso fare solo io. È così! Non c’è nessun altro sulla faccia di questa terra che può fare quello che faccio io come lo faccio io, nel modo in cui lo faccio io, eccetera eccetera. Perché Dio ci chiama singolarmente. Quello che fai tu, mamma, oggi — questa mamma singolarmente presa, quella mamma precisa — lo puoi fare solo tu. Se tu non lo fai, se tu muori, altre centomila mamme non potranno mai farlo come lo fai tu, mai! Non potranno mai essere te, esattamente te nella storia, anche se sono donne, anche se fanno le mamme. E quel bambino riconoscerà la voce della sua mamma tra un milione di voci di altre mamme, perché nessuna mamma ha quella voce lì, nessuna mamma ha quel modo di fare lì, capite? Centomila mamme sono centomila diversità. E il mondo dice: vabbè, sono tutte diverse, però sono tutte mamme! Nella singolarità, ti dice: sono centomila mamme diverse, ma, ciascuna mamma, è mamma a sé. Non: “tanto sono tutte mamme”! Non esiste lo scaffale delle mamme. Non è come per i biscotti, che uno dice: “Vabbè, senti, sono nello scaffale delle colazioni, se non trovo le Macine mi prenderò i Baiocchi, mi prenderò gli Abbracci, mi prenderò gli Oro Saiwa, mi prenderò… Siamo nello scaffale dei biscotti, non facciamo una tragedia, se non trovo quelli al pistacchio prenderò quelli all’arancia, ma tanto son tutti biscotti e uno vale l’altro”. Ecco, se questo vale per i biscotti, non vale per gli esseri umani. E guardate che non vale neanche per le piante, non vale neanche per un animale, ognuno ha la sua singolarità. Quel cagnolino lì, tu lo puoi rimpiazzare con tutti i cani che vuoi, ma non sarà mai quel cagnolino lì, anche se ha avuto cento gemelli, ma quel cagnolino lì è lui.

E di questo il mondo ha paura. Ha paura perché puoi gestire la diversità, puoi confinarla, puoi etichettarla — e la storia ci ha insegnato che più di una volta è accaduto questo — ma le singolarità non puoi. Non puoi confinare le singolarità, non puoi dominarle e non puoi gestirle, assolutamente. Perché non stanno dentro a questa sorta di “movimento tamburato”, non ci stanno. E quindi sono perseguitati. E quindi questi discepoli non si attenderanno il riconoscimento, ma la riprovazione; sia per la parola che per le opere. È così! Sono delle singolarità. Vi ricordate che anche con Bonhoeffer, poche volte fa abbiamo visto che Dio parla singolarmente a quell’uomo, ad ogni uomo, non c’è la massa. Chiama Pietro, esattamente, solamente, unicamente Pietro. E quindi stiamo parlando di una sofferenza che viene subita per una giusta causa.

Ci sono persone che soffrono, e soffrono terribilmente, non per la confessione di fede, non perché gli è stato chiesto di rinnegare Gesù, ma per una causa giusta. Non girano la testa dall’altra parte. Non dicono: “Ma si, vabbè, mi adeguo, mi adatto. Ma sì, vabbè, tiriamo a campare. Ma sì, vabbè, se non lo faccio io lo farà qualcun altro. Ma sì, vabbè, cosa vuoi fare? In questa situazione non è che posso mettermi a lottare contro i mulini a vento” — Eh no! — “Eh, ma sono un piccolo Davide contro un gigante Golia” — No! — Quella è una causa giusta, e queste persone combattono per questa causa giusta, anche se non stanno soffrendo direttamente per la confessione di fede. E quindi sono perseguitati. Guardate che nella storia ce ne sono stati tantissimi che hanno sofferto, che sono morti per cause giuste. 

Pensate a Falcone e Borsellino, io ho sempre in mente questi due giudici meravigliosi. Ogni tanto guardo i video di Falcone, perché sento proprio che mi fanno bene. Ogni tanto guardo questi video e nella mente ovviamente penso al fatto che da lì a breve sarebbe morto. Veniva attaccato sempre, anche quando andava in pubblico a parlare. Tra l’altro, un magistrato! Non avevano alcun rispetto! Stai parlando con un magistrato, stai parlando con un giudice, un po’ di rispetto! No, venivano attaccati in un modo che mi sembrava di vedere le arene con i leoni. Venivano attaccati con degli insulti, delle mancanze di rispetto. Ma non dal popolo, no! Da gente importante, famosa, conosciuta. Eh, certo, con la differenza che Falcone è morto e questi sono ancora vivi. Chissà questo cosa vorrà dire… Quello che mi colpisce, ogni volta che guardo, è proprio questo: la dolcezza, la trasparenza che usciva dagli occhi di questo magistrato e anche la mitezza. Perché dentro quegli attacchi ferocissimi, violenti a livello verbale, molto violenti, molto aggressivi, lui si manteneva in una calma… e io mi chiedo: ma come fa? Veramente invidiabile. Una pacatezza anche nelle risposte e poi una dolcezza legata ad una grande consapevolezza: lui era profondamente consapevole che ogni giorno poteva essere l’ultimo giorno, è così. Così come il giudice Livatino, uguale! Tanto che ha rifiutato la scorta, perché diceva: “Se devo morire, muoio io solo”. E infatti è morto.

Hanno sofferto per una causa giusta. Uno dice: “Sì, vabbè, ma a cosa serve?” Serve, serve… “Hanno risolto il problema della mafia?” Non è questo quello che conta. È che quella singolarità — che in questo caso si chiamava Falcone, in quello Livatino, in un altro caso si chiama in altro modo — ha combattuto per una giusta causa, ha speso la sua vita per quella causa. E oggi siamo qui ancora a parlarne.

Ecco, e allora mi avvio alla conclusione e Bonhoeffer dice:

…sorge la domanda su quale luogo resti ancora, in questo mondo, ad una comunità del genere…

E questa è una cosa interessante, cioè una comunità fatta di queste singolarità, una comunità fatta di questi discepoli, che mi verrebbe da definirli così: i discepoli, veri discepoli di Gesù sono delle “singolarità esplosive”. Ecco perché li uccidono, ecco perché li perseguitano, perché sanno che quelli esplodono, prima o poi. Sono persone che hanno dentro una carica vitale, una potenza di generazione incredibile. E allora, qual è il luogo di questa comunità? Il luogo è:

il più povero, il più contestato, il più mite di tutti: la croce sul Golgota

Questo è il luogo di questa comunità: il Crocifisso e io vi ho aggiunto l’Eucarestia. Perché è certo che il più povero, il più contestato, il più mite di tutti, noi lo troviamo nell’Eucarestia. Nessuno è più povero di Gesù Eucarestia, nessuno è più contestato di Gesù Eucarestia, nessuno è più mite di Gesù Eucaristia, aggiungiamo: nessuno più maltrattato di Gesù Eucaristia. Quindi quando lui dice:

La comunità di coloro che sono detti beati è la comunità del crocefisso.

E io aggiungo: è la comunità del Cuore Eucaristico di Gesù, che porta in sé anche il crocifisso. Sono coloro che hanno perso tutto e che hanno ritrovato tutto in Gesù. E questa è la loro beatitudine.

Ecco allora, non stanchiamoci di essere delle singolarità, non perdiamoci d’animo. Si soffre, è vero, questi grandi uomini ce lo insegnano, si soffre tanto, si perde veramente tutto. Falcone non poteva andare al mare, Falcone non poteva andare a mangiarsi un gelato in gelateria come tutti, non era possibile. Non era più possibile, non poteva fare le vacanze. Non poteva dire: “Ma stasera vado al ristorante con la mia famiglia a mangiare”. Non poteva, non si poteva più. Viveva in un bunker, costantemente sotto scorta. E la sua vita era il suo lavoro, che era combattere il mostro della mafia.

«Beati i perseguitati per causa di giustizia, perché loro è il regno dei cieli».

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

Post Correlati