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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 53

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione sul testo “La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia” di S. Pietro Giuliano Eymard di domenica 24 luglio 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Lc 11, 1-13)

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”. Ed egli disse loro: “Quando pregate, dite:
“Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione””.
Poi disse loro: “Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!”.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 53

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a domenica 24 luglio 2022.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo XI di San Luca, versetti 1-13.

Continuiamo la nostra meditazione del libro di San Pietro Giuliano Eymard; stiamo affrontando il tema della povertà.

“So bene che si allegano ragioni per essere trattati in modo confortevole: le sanità sono più deboli che una volta, bisogna sostenersi per il lavoro, ecc. Ma io so pure che in tal modo si giunge a porre la sensualità e la golosità in luogo della povertà.

E che? Gesù ha sofferto la fame, fu ridotto co’ suoi apostoli a sgranare spighe per sostenersi un po’, e noi, religiosi, vorremmo avere un trattamento confortevole in cui non manchi mai nulla? Che facciamo della povertà di Nostro Signore?”

Quindi, cosa vuole dirci?

Vuole dirci: «È vero che la necessità non ha legge, verissimo, stiamo attenti però a non inventare scuse, tutto qui. Stiamo attenti alla nostra sensualità, stiamo attenti alla nostra golosità, che non diventino più importanti della povertà».

Quando ero piccolo, quando dicevo: «Ho fame», mi veniva detto così: «Guarda, il pane è lì nel paniere». E io dicevo: «No, non ho voglia del pane, avrei voglia di…», e allora mi veniva risposto: «Guarda, Giorgio, se tu avessi veramente fame, tu mangeresti il pane, ma siccome tu hai la gola, che è un’altra cosa, allora tu non desideri il pane, desideri la brioche, desideri la merendina, desideri… ma questa non è fame».

Quando uno ha fame, ha fame, è questo il concetto, e quindi mangia il pane volentieri; a dire la verità, mangia qualunque cosa, perché, quando hai fame, hai fame.

Quindi lui dice: «Stiamo attenti a non usare le scuse (siamo più deboli di una volta, siamo più fragili, dobbiamo lavorare e abbiamo bisogno di tenerci in piedi), che, in realtà, sono tutte cose anche vere, però bisogna vedere dove si collocano e che importanza gli si dà, e poi non ci dimentichiamo che Gesù e gli apostoli hanno sofferto la fame e quindi anche noi possiamo, ogni tanto, quando la Provvidenza vuole, sentire un certo languorino».

E poi, io non credo che noi soffriamo la fame e non so quanti di noi nella propria vita abbiano sperimentato la fame.

Sapete, la fame è la fame eh…

Mio nonno, che fece la Campagna di Russia, eh beh…

Quando ascoltavo i racconti dei miei nonni, che fecero la guerra, insomma, mi sembravano racconti di un libro di fantascienza, ma in realtà erano i loro, eh…

Mio nonno mangiava le bucce delle patate crude… adesso, fino a questo punto non credo che siamo mai arrivati, fino a dover mangiare la buccia della patata cruda!

Quindi, quando patiamo un pochino di languore (perché patiamo quello noi, di fatto, un pochino di buco nello stomaco), oppure quando dobbiamo patire qualcosa inerente al gusto (ad esempio: la vorremmo gialla, invece è verde; la vorremmo cotta, invece è cruda; la vorremmo cruda, invece è cotta; la vorremmo fredda, invece è calda; la vorremmo calda, invece è fredda; ne vorremmo tanta, invece è poca; ne vorremmo poca, invece è un pochino di più; vorremmo cinque panini e invece ne abbiamo tre; noi vorremmo le Gocciole, invece abbiamo il Pan di stelle), quando abbiamo queste piccolissime penitenze che ci riguardano, ricordiamoci che Gesù ha sofferto la fame e soffrire la fame è terribile, perché non riesci neanche a dormire.

Non riesci a dormire quando hai fame, e poi ti viene un mal di stomaco… stai proprio male, senti dolore. Questa è la fame!

“Noi dobbiamo essere poveri nelle vesti. Se cercate il fino, il bello, certo mancate alla povertà”.

Il Cardinal Schuster, quanto era povero nelle vesti! Portava la sua coda cardinalizia di nove metri, però, quanto era povero! Quell’ossesso disse: «Potessi mettere un pizzico di superbia su quella coda!», mentre il Cardinale entrava in Duomo con la sua coda cardinalizia.

Vedete… noi che siamo tanto pauperisti: «Ah, la coda di nove metri in porpora e qui e là…, segno di sfarzo della Chiesa». Ma non diciamo stupidaggini… non diciamo stupidaggini!

Il Cardinal Schuster aveva la coda di nove metri e quell’indemoniato disse: «Potessi mettere un pizzico di superbia…»

Io potrei andare in giro vestito come un cencioso, di stracci, ed essere più superbo di un demonio, e cosa me ne faccio di questa cosa qui?

Così come il Cardinal Schuster poteva essere vestito di porpora, ma essere umilissimo, come San Carlo Borromeo.

Anche questo è interessante:

“Esaminatevi bene a questo riguardo. — Il panno fino dura di più, si dice, è dunque economico. — Ed io vi dico che questo è orgoglio nella povertà.

«Ma mi fu dato, la povertà vuole che io lo riceva ». Innanzi tutto domandate il permesso e poi portatelo con rincrescimento e con vergogna. Andate a vedere ad Argenteuil la tunica di Nostro Signore: è forse di panno fino quella? Se siete il religioso di Nostro Signore, vestite dunque com’Egli vestiva.

Non fatevi illusione. È bello, è facile dire: Io sono povero. Guardatevi tutto intorno e vedrete se lo siete davvero; esaminatevi bene se avete attacco a qualche cosa, e rigettatela, chè vi perderebbe”.

Credo che ciascuno di noi potrebbe guardarsi intorno e capirebbe che non siamo proprio così poveri, nel senso che non siamo proprio così liberi.

Io ho conosciuto persone ricchissime, assolutamente poverissime, veramente poverissime; ho conosciuto persone poverissime, assolutamente ricchissime, piene di superbia, piene di orgoglio, piene di giudizi cattivi, piene di…

Dobbiamo proprio imparare questa essenzialità. Ci vuole questa povertà di beni esterni e ci vuole questa povertà della rinuncia a se stesso, nel corpo, nella mente, nel cuore. Rinunciare ad essere curiosi, rinunciare a guardare una cosa che ci piace, rinunciare a mettere il naso in un bel cespuglio di gelsomino fiorito. Sì, sono piccole cose, però ci educano… ci educano.

“[…] III. Nostro Signore attende da voi questo doppio omaggio del vostro corpo e della vostra anima; non riservatevi né i beni del corpo né quelli dell’anima, se volete essere un buono e leale servitore. Nostro Signore vi ha dato dell’intelligenza, ne vuole i frutti. Tutti i vostri studi siano per lui. Esaminatevi bene su questo punto, vedrete che voi vi ripigliate ogni giorno, studiando per voi stessi, per naturale attrattiva di questo o quell’oggetto. Ora, la scienza del Santissimo Sacramento dev’essere la vostra e la sola vostra scienza.

Avete sempre in mira questa scienza unica della sua divina Persona, del suo miglior servizio? — No; ed è perché non avete dato perfettamente la vostra intelligenza”.

Perché studi? Studi per Dio o studi per te stesso, per la tua conoscenza, per il tuo gusto?

E studi cosa? Non puoi studiare tutto, quindi devi scegliere, e su cosa concentrerai la tua attenzione? Su Gesù? Sulla Sua Divina Persona? Sull’Eucarestia?

“Avete dato il vostro cuore? amate voi unicamente Nostro Signore? e a qual grado? Non avete altri affetti che intralcino questo? Esaminate ove si portino i vostri pensieri, se abitualmente si fissano su Nostro Signore, sul suo amore, sulla sua adorabile presenza. Si pensa come si ama: il vostro pensiero va dove lo trae il vostro cuore”.

Interessante… “Si pensa come si ama”.

Forse è per quello che spesse volte pensiamo male, perché non amiamo.

“Se amate Nostro Signore unicamente e sopra ogni cosa, non potrete pensare ad altro che a lui, lo studierete con passione, finirete per comprenderlo. L’amore ha fatto concepire ai santi pensieri tanto nobili; i più amanti furono pure i più dotti. Iddio è luce perché è amore”.

A cosa pensi durante la giornata?

A cosa stai pensando in questo momento?

Qual è il pensiero che occupa di più la tua mente?

“Or bene, il vostro cuore è tutto pel Santissimo Sacramento? Non è in voi cosa alcuna contro il suo servizio o all’infuori di esso? Qui è la pietra di paragone.

Anche il vostro corpo sia tutto al servizio di Nostro Signore; questo è assolutamente necessario, se volete darvi totalmente. Santa Teresa dice che finché non si è abbandonata a Dio la propria sanità, non gli si è dato niente. Ed ha ragione.

Nell’ordine della santità quel che sembra meno perfetto è sovente più difficile e diviene l’occasione del più perfetto”.

Quanto è difficile, no?

È difficile abbandonare a Dio la propria salute, e dire: «Signore, questa è la mia salute, questi sono i miei dolori fisici, queste sono le mie malattie… Te le do».

Questo non vuol dire che, se sono diabetico, prendo l’insulina e la butto fuori dalla finestra, non vuol dire questo; non vuol dire avere il mal di denti e fare gli sciacqui con l’acqua benedetta… no, non è questa cosa eh.

Vuol dire, invece, dare a Dio la principale preoccupazione per il benessere del nostro corpo, cioè vuol dire non angustiarci… difficile.

Lo so, lo so, sono tutte cose molto difficili, però, almeno, cominciamo a dirle, cominciamo a vederle, cominciamo a ragionarci.

Non dico che arriveremo a vivere come San Pietro d’Alcantara, però, magari, quando andiamo a fare gli esami del sangue e dobbiamo fare la coda al CUP, non andiamo con il coltello tra i denti ad accoltellare la prima persona, che, per sbaglio, prende il nostro bigliettino e invece di essere al numero tre siamo al numero quattro… ecco, magari; magari, non incominciamo alle 7 del mattino ad urlare e a litigare per un posto.

Questo vuol dire mettere il corpo al servizio di nostro Signore.

Dio sa che abbiamo bisogno della salute, e allora affidiamola a Lui: «Oh Signore, mi serve la salute per fare questo, questo e quest’altro; se poi non me la dai, vuol dire che per Te è più importante altro, e allora farò altro».

Non dobbiamo essere, quindi, fatalisti, assolutamente; non dobbiamo neanche essere superficiali e dire: «Ah, ci pensa il Signore!».

No, a quello che tocca a me, ci penso io, non il Signore, devo fare io la mia parte: se devo prendere l’insulina, prendo l’insulina, punto.

Se devo andare dal dentista, vado dal dentista, e via di seguito.

Se non posso bere vino, non lo bevo; se non devo mangiare i fritti non li mangio, va bene, però tutto deve essere fatto, credo, con questo affidamento interiore, con questo lasciarsi condurre, con questa serenità.

“Se dite: «Io voglio dapprima dare il mio spirito», io vi rispondo che quest’è pigrizia: date prima il corpo, poi darete lo spirito”.

Sorrido… i Santi sono veramente astuti eh…

“Quella prima rinunzia costa di più, perché noi siamo essenzialmente corporali e affondati nei sensi”.

Quindi, comincia a dare il corpo, con tutto quello che abbiamo detto fino ad adesso, poi darai anche lo spirito.

“Nella pratica, l’io è il corpo, è il naturale, il sensibile, molto più che quanto appartiene allo spirito; il nostro spirito, rinchiuso nella carne, sembra essere di carne anch’esso. Date dunque dapprima questo corpo che vi assorbe totalmente”.

Beh, sì, in effetti… sì, uno leggendo queste pagine dice: «Eh, Padre Giorgio, ma che antropologia c’è qui sotto? Che teologia c’è qui sotto?»

Sappiamo quando questo testo è stato scritto, quindi non mettiamoci a pretendere che al tempo di San Pietro Giuliano Eymard, di San Francesco di Assisi, di Santa Teresa d’Avila ci fosse la teologia, l’antropologia, la psicologia, o quant’altro, che abbiamo oggi, ma questo non è un problema; ciò che conta è la verità di queste affermazioni.

Uno dice: «Eh, ma questa visione è platonica».

Lascia stare la visione platonica, ciò che conta è la verità.

È vero che noi siamo assorbiti dal nostro corpo, questo è vero!

È vero nel 1800, è vero nel 1300, è vero oggi.

Allora, impariamo a rimettere il nostro corpo un po’ al suo posto e a saperlo offrire.

Mi ricordo un’estate, era luglio, era la Festa della Madonna del Carmine. Avevamo la Santa Messa solenne e c’era un caldo… oh che caldo… che caldo che faceva quell’anno, pensavo di morire!

Un caldo impossibile… e Messa alle 11.00, quindi il sole già… e poi, se anche non ci fosse stato il sole, già alle 7 del mattino faceva un caldo da morire e ci siamo dovuti vestire per celebrare la Santa Messa, poi era solenne, quindi metti l’abito, che è di lana, a luglio… capito?

Sì, uno dice: «Ma è fresco di lana…»

Sì, sì, tu mettiti un abito che si chiude dal collo fino ai piedi e poi ti dicono: «Ma stai tranquillo, è fresco di lana!»

Sì, sì, ti assicuro che senti la lana, ma non senti il fresco.

Quindi l’abito, poi l’amitto attorno al collo… andate a vedere che cos’è l’amitto.

«No, ma è cotone!»

Sì, sì…

Poi il camice, poi la stola e, dulcis in fundo, una bella pianeta.

Mentre entravamo in chiesa, così vestiti, per una celebrazione che durava circa un’ora, un’ora e mezza, guardavo la gente in pantaloncini corti, magliette a manica corta, infradito bianco (veramente carinissimo l’infradito bianco a Messa), con il ventaglio che si faceva aria, e dicevo: «No, non ci credo… non ci credo. Sono qui quasi in costume e, guardando noi, hanno anche il coraggio di farsi aria col ventaglio, ma noi cosa dovremmo fare, dovremmo entrare in una cella frigorifera? Non lo so».

Incredibile… incredibile come non siamo capaci di saper dire dei no al nostro corpo.

“Certuni non vogliono servire Nostro Signore che a condizione di essere trattati meglio che nel mondo. Oh, quanti domandano alla religione soltanto i suoi vantaggi, non vi entrano che per assicurarsi il pane, trovarvi un ritiro e un riparo comodo! Religiosi nulli! Di tali religiosi gli agitatori politici poterono arrolarne a piacimento. Son ladri nel santuario; e Dio può loro dire: Voi mi avete fatto passare dopo il vostro corpo!”

Sentiamole tutte queste frasi, queste parole, chiediamocelo, chiediamocelo… chiediamocelo se facciamo passare nostro Signore dopo il nostro corpo.

“Esaminiamoci bene a questo riguardo: vi è qualche cosa a fare senza dubbio.

Ecco il dono totale, ecco l’abnegazione. Il voto di povertà si estende a tutto il nostro essere: chi si arresta alle cose esteriori, non ne comprende lo spirito: esso consacra il religioso tutto quanto; se non diamo tutto non entriamo nella sua virtù.

È facile dire: «Mio Dio, vi do tutto»; non è tanto facile l’eseguirlo.

Orsù, riflettete, discutete il vostro affare; sappiate bene quel che fate ed a che cosa vi siete obbligati; rinnovate sempre il movimento della vostra vita, cioè la buona volontà e l’intenzione. L’amor di Dio sempre combatta in voi l’amor proprio.

Ogni qualvolta avrete più che Gesù Cristo, voi vi ripigliate.

Vi siete obbligati a progredir sempre, non indietreggiate, non guardate a destra né a sinistra: — sentite che espressione — dietro di voi sono le baionette della giustizia di Dio, di qua e di là i precipizi dell’inferno! Agite in forza di principii: questo dura; il sentimento, invece, non fa che splendere e passare.

Se ne veggono venire in religione accesi in volto dalla soddisfazione, non parlano che della felicità della vita religiosa e della loro gioia di entrarvi. In generale non contate molto su di essi; sono presi dal sentimento del cuore come i fanciulli ed il loro è un fuoco di paglia che non ha alimento.

Ma quando alcuno si presenta e dice: «Io vengo per immolarmi ogni giorno per amor di Dio mediante l’abnegazione; fui fin qui abbastanza cattivo, sarò innanzitutto la vittima di propiziazione per i miei peccati», oh ecco una vera vocazione!

Procedete dunque per convinzione, fermamente e chiaramente persuasi che è vostro dovere e la volontà di Dio; ditevi bene che anche la vostra felicità è tutta là.

Voi non potete più tornare indietro: nel mondo trascinereste i vostri voti come palle da galeotti, e se volete restarvene tiepidi in religione, sarete in un vero inferno; ché dovrete fare quanto gli altri e senza profitto. Fare il bene esteriormente, condannarsi ad una vita di regola e di violenza senza provarne in cuore soddisfazione, anzi esser punito ad ogni istante dal rimorso, dalla paura, dalle angosce della coscienza, non è cosa sopportabile! Bisogna almeno aver la pace con la propria coscienza”.

Questo è fondamentale eh… avere la pace della propria coscienza.

Si possono sopportare tutte le privazioni, tutti i digiuni, tutte le sofferenze del mondo, ma la pace della coscienza dobbiamo averla.

“Se costa fare il bene, costa molto più non farlo mostrando di farlo; è impossibile menare una vita da santo e rimanere interiormente un demonio”.

Verissimo eh… non si può, non si può, non si può.

“Datevi dunque davvero interamente e per ragione, per convinzione. Se il corpo si lamenta, persuadetevi che guadagnate a tenerlo in regola, poiché ad ogni modo dovrà menar la stessa vita che gli altri.

Quanto alla parte superiore, considerate come è buona, grande e nobil cosa servire Nostro Signore; guardate al bene in se stesso; datevi non per interesse ma per amore; e così disposti operate”.

E abbiamo concluso questa parte sulla povertà; domani vedremo un’altra meditazione molto bella che non vi anticipo.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

 

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