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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 54

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione sul testo “La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia” di S. Pietro Giuliano Eymard di lunedì 25 luglio 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Mt 20, 20-28)

In quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 54

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a lunedì 25 luglio 2022.

Oggi festeggiamo San Giacomo Apostolo.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo XX di San Matteo, versetti 20-28.

Ieri vi ho detto che avevamo terminato questo capitolo, questo paragrafo, questa meditazione, che abbiamo fatto sulla povertà, però vi ho detto: «Non vi dico ancora il prossimo, vi farò una sorpresa».

Forse non ve l’ho detto perché qualcosa non mi tornava, e infatti, adesso, mettendomi a pensare alla nuova meditazione che dovevo farvi, sentivo di aver lasciato indietro qualcosa e sono andato un po’ a rivedere le ultime espressioni che vi ho letto della meditazione sulla povertà.

Credo di essere stato un po’ troppo veloce nell’ultima parte e la vorrei riprendere.

Dunque, innanzitutto, torniamo sulla centralità dell’amore di Dio per combattere l’amor proprio. Sono cose che abbiamo già letto eh, proprio le ultime, ma devo ritornarci su.

Quindi, io combatto l’amor proprio, non con atti di volontà semplicemente, ma con l’amor di Dio, e l’amor di Dio si accresce stando davanti all’Eucarestia, fidandosi di Lui e obbedendo alla Sua Legge.

“Ogni qualvolta avrete più che Gesù Cristo, voi vi ripigliate”.

Quindi, tutte le volte che noi abbiamo qualcosa di altro, di più, di più importante, di più consolatorio, di più piacevole, di Gesù, noi stiamo riprendendo ciò che abbiamo detto di voler dare al Signore, cioè viene meno questo stile essenziale della vita, che è la povertà.

“Agite in forza di principii: questo dura; il sentimento, invece, non fa che splendere e passare”.

Quindi, noi abbiamo dei principi, potremmo dire che noi abbiamo delle logiche, e in base a queste logiche noi dobbiamo vivere, non in base al sentimento, perché il sentimento viene e il sentimento va.

E allora San Pietro Giuliano Eymard dice:

“Se ne veggono venire in religione accesi in volto dalla soddisfazione, non parlano che della felicità della vita religiosa e della loro gioia di entrarvi. In generale non contate molto su di essi; sono presi dal sentimento del cuore come i fanciulli ed il loro è un fuoco di paglia che non ha alimento”.

Tutta questa gioia, tutta questa soddisfazione… sì, poi vediamo quanto dura, e vediamo se regge all’incontro con la vita.

È un po’ come quello che succede tra i fidanzati, no?

Stessa cosa.

Tutto questo amore, tutte queste corse… Uno si fa chilometri e chilometri per andare a trovare il proprio fidanzato, la propria fidanzata, si fanno le notti sui treni, in macchina, col freddo; niente conta, tutto si fa con una gioia incredibile, tutto è bello, tutto è stupendo.

Si mangia in mezzo ai prati, non si mangia, si affronta il caldo, il freddo, la scomodità, tutte le cose più impossibili del mondo, e si affrontano con il sorriso, con la gioia, con la bellezza, non ci si accorge neanche, le ore di treno e di macchina volano!

Benissimo.

Poi, dopo due anni di matrimonio, ecco che viene in gioco, entra in scena, la “famiglia menù”.

E uno dice: «Scusami, ma fino a due anni fa ti facevi cinquecento chilometri per venirmi a vedere, quando stavamo insieme il tempo non bastava per parlare e quasi neanche avevamo più voglia di mangiare, tanto era bello stare insieme, adesso, che viviamo sotto lo stesso tetto, facciamo fatica a dire cosa abbiamo fatto oggi al lavoro, per dire tre parole in croce mentre mangiamo… ma cos’è successo?

Ma com’è possibile che adesso ci salutiamo a fatica? Com’è possibile che adesso il sorriso è sparito dal nostro volto? Com’è possibile che, adesso, entrare in casa sembra la stessa cosa che entrare in un cimitero?

Un peso, una noia, una fatica… uno deve stare lì a riflettere e dire: “Spirito Santo illuminami, dimmi di che cosa devo parlare perché non ho in mente niente, ho il vuoto, non sento niente”.

Com’è possibile che prima mangiavamo, come due pellegrini, pane, cipolla, olio e sale ed eravamo le persone più ricche e felici del mondo e adesso non ci basta il filetto, il caviale, lo champagne, lo spumante e non so cos’altro? Come mai?»

Ecco, di questo ci sta parlando San Pietro Giuliano Eymard, di questo fuoco di paglia che tanto splende, che tanto è bello, che tanto… e poi… e poi non c’è più niente, non rimane nulla, come la paglia che si incendia e svanisce.

Allora lui dice: «Che cosa, invece, è sintomo di una vera vocazione?»

Guardate, lui sta parlando ai suoi Frati, ma io mi permetto (e credo, immagino, che San Pietro Giuliano Eymard sia d’accordo), mi permetto davvero di usare queste parole per tutti noi, per i Sacerdoti, per i Frati, per le suore, per i papà, le mamme, per i mariti, le mogli, i figli, per tutti.

Lui dice: «Da che cosa si capisce una vera vocazione?»

Da questo:

“Ma quando alcuno si presenta e dice: «Io vengo per immolarmi ogni giorno per amor di Dio mediante l’abnegazione”.

Qualunque sia il tuo stato di vita, qualunque sia la tua vocazione, se non c’è questo, è un fuoco di paglia. Se tu non entri in quello stato di vita con questa logica, diventerà un Inferno.

Se tu entri per immolarti… se tu entri nel Matrimonio, se tu entri nel Sacerdozio, se tu diventi Frate, per immolarti, per immolarti per amore di Dio attraverso la penitenza, la mortificazione, l’abnegazione, basta!

Quale problema per te potrebbe succedere, potrebbe accadere, che tu non puoi affrontare e superare? Quale? Non esiste.

Hai fatto questa strada, hai scelto questa vocazione, hai detto di sì a questa chiamata per immolarti, non per trovare altro!

Tu stai cercando l’immolazione, tu stai cercando la mortificazione per amore, tu stai cercando l’amore di Dio, e allora va bene tutto.

Qualunque cosa succeda, non è un problema, fa parte del tuo programma, della tua logica: ecco che è un problema di logica!

Noi quale logica scegliamo? E mi dispiace dirlo, ma noi non abbiamo questa logica. Io vi dico che il primo sono io, sapete, il primo sono io.

Mi guardo e dico: «Io non ho questa logica… e sono tanti i segni, che io vedo, che mi dicono che io non ho questa logica, questa logica dell’immolazione, questa logica dell’abnegazione, per cui anche la cosa più tragica va bene, perché fa parte di questa logica di immolazione».

Infatti, lui dice: «Ecco una vera vocazione!»

Allora, ti manca il mangiare? Benissimo, fa parte della mia mortificazione d’amore, perché sono venuto per immolarmi.

Allora, ti manca l’amore, ti manca l’affetto, ti mancano le attenzioni, non ti guardano, non ti amano, non ti dicono, non ti fanno…? Benissimo, sono venuto per immolarmi, sono venuto per abnegarmi, sono venuto per mortificarmi per amor di Dio.

E allora, qual è il problema?

Tutto, tutte le nostre recriminazioni, tutti i sentimenti, le rabbie, i nervosismi e quant’altro, si azzerano se c’è questa logica; se non c’è questa logica, tutto diventa un problema. Basta che il mio io, che il mio sentimento, non venga soddisfatto, fine, e viene fuori il disastro.

“Voi non potete più tornare indietro: …”

Questo vale per tutti. Una volta che abbiamo detto di sì, non stiamo a fare i giochi, non si può giocare con la vita, non si può giocare con Dio. Hai detto di sì, basta, è un sì per sempre.

“… nel mondo trascinereste i vostri voti come palle da galeotti…”

Ma questo non vale per tutti?

Questo non vale per tutti?

Quel sì che tu hai detto tot anni fa, come può tornare indietro?

Certo che diventa una palla da galeotto!

“… e se volete restarvene tiepidi in religione, — o nel Matrimonio, aggiungo io — sarete in un vero inferno; …”

Ma perché? Non è forse vero? Vivere con un marito tiepido, con una moglie tiepida, ma non è forse come vivere all’Inferno?

“…ché dovrete fare quanto gli altri e senza profitto”.

Certo, se vivi con tiepidezza dov’è l’amore? Non c’è l’amore, non c’è profitto, non c’è niente!

Quindi, devi fare le stesse cose, ma senza amore, senza anima, ma questo non è un Inferno?

Con tutti i sacrifici che la vita matrimoniale e la vita sacerdotale ti chiedono, non è forse un Inferno, se togli quella logica iniziale dell’immolazione, dell’abnegazione, tutto per amor di Dio?

“Fare il bene esteriormente, condannarsi ad una vita di regola e di violenza senza provarne in cuore soddisfazione, anzi esser punito ad ogni istante dal rimorso…”

Capito? Cioè, se tu esteriormente ti condanni ad una vita fatta di apparenza, di regole, dove ti devi anche fare delle violenze, dove devi dire dei no, perché comunque lo devi fare (anche se non lo fai per amore di Dio, lo devi fare per altre ragioni, ma lo devi fare, perché non puoi fare quello che vuoi), e dentro non hai la soddisfazione, perché è saltata la logica dell’immolazione, dell’abnegazione, dell’amor di Dio (perché è saltato, non c’è più), lo fai senza nessun piacere, senza nessuna consolazione interiore, anzi, ti senti punito ad ogni istante dal rimorso.

Ma guardate che sono parole verissime… ecco perché vi ho detto che dovevo tornare indietro, perché io le ho lette, ma poi mi è rimasto qualcosa dentro e ho detto: «No, qui sono stato troppo veloce». Infatti, vedete che sono stato troppo veloce.

“… dalla paura, dalle angosce della coscienza, non è cosa sopportabile!”

Ma come fai a vivere una vita matrimoniale, una vita sacerdotale, ma come fai a vivere una vita religiosa, punito, castigato, tormentato, perseguitato dal rimorso, dal rimorso di una vita fallita, dal rimorso di una vita tiepida, dal rimorso di una vita compromessa, e dalla paura?

Certo, ma chi vive così, come fa a non avere paura?

Per forza deve avere paura!

E poi, punito dalle angosce della coscienza…

Guardate, noi possiamo dire tutto quello che vogliamo, possiamo fare il discorso come ha fatto qualcuno che dice: «No, ma io ho spento quell’interruttore, io dormo tranquillo», ma la coscienza…

Abbiamo dei crimini sulla coscienza pazzeschi, abbiamo il sangue delle persone (perché il sangue non è solamente quando io ti sparo, ma c’è il sangue dell’ingiustizia, della cattiveria, dell’empietà consumata coscientemente, dove ho distrutto la vita degli altri, dove rendo la vita degli altri un Inferno), e poi uno dice: «No, ma io ho spento l’interruttore, dormo benissimo».

Guardate, non è vero, io non ci credo… io non ci credo!

Non è vero, è impossibile, perché, fosse anche ridotta ad essere in agonia, ad essere in coma, la nostra coscienza è fedelissima.

Finché batte quel cuore, finché tu sei vivo, quella coscienza, anche se non ha più la forza di rimproverarti, anche se tu l’hai narcotizzata a tal punto che oramai non riesce più a fare niente, benissimo, però, il fatto che non ti rimproveri più comporta anche un altro fatto, che non ti approva più.

Quella coscienza, è vero, non ti castiga, ma neanche ti premia, non la senti più!

Ma vi rendete conto?

Questo è peggio dell’Inferno… è terribile questa situazione!

Avere dentro di me il vuoto, non sentire più la voce di Dio dentro di me, ma ci rendiamo conto di cosa vuol dire questo?

Altro che “Dormo sonni tranquilli”, no, tu dormi il sonno dei morti, non il sonno tranquillo!

Quello è il sonno dei morti!

Tu sei morto dentro, per questo dormi un sonno tranquillo, perché quella coscienza lì non dice più niente, non può più dire niente!

Ma come non lo dice nel male, non lo dice più neanche nel bene!

Infatti, camminiamo come zombies poi eh…

E infatti, San Pietro Giuliano Eymard scrive: “Non è cosa sopportabile!”

Non è sopportabile, è vero!

Lui dice:

“Bisogna almeno aver la pace con la propria coscienza”.

Se non abbiamo questo (che vuol dire la sua benedizione), se non abbiamo la benedizione della nostra coscienza, noi siamo all’Inferno, la nostra vita è un Inferno!

“Se costa fare il bene, costa molto più non farlo mostrando di farlo; è impossibile menare una vita da santo e rimanere interiormente un demonio”.

Ma certo! Ma come fai? Come fai? Far finta di fare il bene, e in realtà non farlo, è molto più difficile che farlo veramente.

Far finta di pregare quando in realtà tu non stai pregando, perché non hai nessun rapporto con Dio, perché non c’è nessuna relazione, perché quella relazione che c’è è falsa, è una cosa terribile!

Tu, te la puoi raccontare quanto vuoi: «Dio mi accetta come sono», «Dio mi ama per primo», «Dio mi ama comunque», «Dio mi ama come sono», «Dio mi ama per quello che sono», «Dio mi ha già amato nel mio peccato», perché noi diciamo queste cose; sì, sì, va bene, raccontiamoci pure tutto quello che vogliamo, ma la domanda è: «Ma tu, sei in pace con la tua coscienza? La tua coscienza ti approva?»

È vero, non c’è bisogno di essere degli intelligentoni per sapere che Dio mi ama come sono, certo, ma Dio non ama il tuo peccato.

È questo il punto che non diciamo mai!

Dio ama il peccatore, ma non il suo peccato, e lo ama in funzione del fatto che poi ritorni a Lui.

L’amore di Dio è sempre un amore che ti chiama a una conversione, a un ritorno, è sempre un amore che attende.

Che cosa?

Amor con amor si paga”.

L’amore di Dio non è mai un amore sterile, un amore cristallizzato, è sempre dinamico, l’amore è dinamico per antonomasia, per essenza. Non esiste un amore placido, un amore immobile, non c’è!

L’amore, di necessità, ti cambia.

Ma guardate due amanti! Guardate quanto l’amore li trasforma!

Se questo vale per degli uomini, non vale per Dio?

Quindi, non raccontiamoci scuse.

Che il Signore ti ama come sei, per quello che sei, è verissimo, verissimo, ma dentro la prospettiva della Virtù Teologale della Speranza, cioè ti attende, perché tu sia il compimento del progetto che Lui ha su di te, che è la santità, che è l’amicizia con Lui.

Volevo farvi un esempio adesso, per concludere veramente questo capitolo, agganciandomi al tema della povertà, perché noi siamo dentro a questo tema della povertà.

Volevo farvi un esempio e volevo ritornare sulla questione del cibo.

Sapete che San Pietro Giuliano Eymard, come un po’ tutti i Santi, ha toccato, toccherà e tocca molto questo tema del nutrirsi.

Vi ho detto che dovrò fare un ciclo di catechesi sul peccato della gola, le farò eh, abbiate pazienza, le farò, ma non si può fare tutto insieme. Le farò, ho in mente di farle, quindi vi assicuro che le farò; non so dirvi quando, ma le farò, perché è un tema molto importante, avete ragione.

Qualcuno di voi mi ha scritto e mi ha detto: «Padre, lei non ha mai fatto un ciclo di catechesi sul peccato della gola, ma è un tema troppo importante per non essere trattato».

È vero. Avete ragione, è vero. Riconosco che questa è una mia mancanza, avrei dovuto trattarlo già da tempo questo vizio capitale; non l’ho mai fatto, non l’ho mai fatto veramente. Lo faccio con i Santi, va bene, però non ho mai dedicato dei cicli di catechesi interi sul tema della gola. Lo farò, lo farò perché devo rimediare a questa mancanza.

Adesso vorrei fare un altro piccolo affondo, sempre su questo tema, a proposito della logica.

Tenete in mente quella logica che abbiamo letto prima, è una delle logiche fantastiche da portare avanti, che è quella appunto della abnegazione, dell’essere qui perché voglio immolarmi.

Voglio andare a riprendere esattamente la sua espressione… dunque… abbiate pazienza un attimo, ma in questo momento non la trovo… eccola qua, l’ho ritrovata: “Io vengo per immolarmi ogni giorno per amor di Dio mediante l’abnegazione”.

Ecco, questo principio, questa logica (l’abbiamo chiamata logica, o principio come dice lui, ma è uguale, è la stessa cosa) dovete tenerla sotto gli occhi.

Allora, prendiamo il caso del mangiare, del cibo.

Voi notate questo: oggi va molto di moda, ma anche per necessità, soprattutto per necessità, il tema delle diete.

Purtroppo, il peso è una cosa importante, per cui, se uno comincia ad andare troppo oltre, diventa un problema per tutta la salute, e allora entra in gioco la dieta, che è fondamentale, altrimenti…

Benissimo. Tenete sempre fermo il principio che vi ho detto.

Allora, se non ci sono altri problemi di disfunzioni ormonali o quant’altro, prendiamo il caso classico, quello basic: io sono eccedente di peso perché eccedo nel mangiare, mangio male e mangio troppo, troppo di qualcosa o troppo di tutto, per cui il mio peso comincia a lievitare e quindi sto male.

Allora vado, mi faccio fare un piano alimentare, un piano dietetico, e cominciate proprio a vedere che iniziano a comparire i numeri.

Mentre prima andavo ad occhio, incominciano a comparire i numeri, per cui ci sono, per ipotesi, 80 grammi di pasta, ci sono 120 grammi di carne, poi ci sono 60 grammi di pane, poi ci sono 150 grammi di frutta, e via di seguito; vengono elencate tutte le dosi e quindi si comincia a dover misurare tutto.

Benissimo.

Poi, c’è questa postilla che dice: “Verdura a volontà”, l’importante è che tu ci metta dentro solo due cucchiaini di olio e un po’ di limone, poi non devi eccedere nel sale se no ti viene l’ipertensione, comunque di verdura quanta ne vuoi, cruda o cotta; l’importante è che sia cotta al vapore, che non abbia condimenti, ma a volontà, a piacimento.

Non devi esagerare, perché se no diventi un erbivoro e, anche in quel caso, se è troppo, è troppo, fa male, ma comunque a piacimento e senza misura; non c’è una quantità prescritta, non ti scrivono “di insalata ne puoi mangiare cento grammi”. Magari non tutte le diete sono così, però, spesse volte, per la verdura si dice di andare a occhio, quanta ne vuoi.

Allora, voi notate, cosa succede?

Io ho il mio piatto con dentro un caprino, un caprino proprio letteralmente… sapete quanto è grande un caprino?

Ok. Ho il mio piatto con dentro un caprino: quello è il secondo; poi ho la mia dose di pane, che non sarà mai una ciabatta o un pane pugliese, sarà sempre, non so, 50/60 grammi di pane, che misurato vedete quanto è, oppure il corrispettivo di pasta o di riso, che sarà anche quello quattro cucchiaiate; e poi tu vedi comparire sul tavolo una terrina.

Fino a quel momento tu puoi mangiare dentro nella ciotolina del gatto, perché tanto, più o meno, lo spazio che occupa il cibo è quello, cioè fino a quel momento va bene anche la ciotolina che dai a “Palla di neve”; da lì in avanti…

E uno dice: «Ma che sproporzione… cosa ci metti qui dentro?», perché tu vedi proprio una vasca, una terrina, e chiedi: «Ma cosa ci metti qui dentro, visto che sei lì che mangi come…?»

«No, ma qui ci metto dentro la verdura».

Lo scopo qual è? Lo scopo, di fatto, è quello di riempirmi lo stomaco; cioè, siccome un caprino e 50 grammi di pane diciamo che non mi fanno sentire un senso di sazietà pazzesco (perché il caprino, mentre lo apro, me lo sono già mangiato, i 50 grammi di pane in due bocconi non ci sono più, e io dopo tre minuti mi guardo intorno e dico: «E adesso? Quando incominciamo a mangiare?» «No, no hai già finito. Quello è il tuo pasto»), allora, arriva la terrina.

Quindi mi faccio questa terrina di insalata; metteteci pure i due cucchiaini di olio e quello che volete, però è pur sempre una terrina di insalata, per cui diciamo che mi sfogo lì, mi riempio lì.

Quindi, quando mi alzo, dico: «Ah, mamma mia, come mi sento gonfio, come mi sento pieno»; e subito arriva la vocina che ti dice: «No, tranquillo, tra un’ora non c’è più niente, è andato tutto».

 «Ah beh allora…», ma almeno il Rubicone del problema della sazietà e della fame l’ho superato, giusto?

Ora io vi chiedo, ma che cosa è cambiato nella logica?

Da prima di questo piano, a dopo, che cosa è cambiato?

Le dosi, ma la logica no.

Io potrò anche perdere trecento chili, ma la logica non è cambiata.

E qual è la logica che sta qui sotto?

È come quando vi dicevo che nelle diete c’è la giornata di libertà, il “liberi tutti”, e allora lì avanti… o il pasto di libertà “liberi tutti”, e allora lì mi mangio un fettone di gorgonzola, vabbè…

La logica che sta dietro, che cosa mi dice?

Mi dice una cosa sola, mi dice che il cibo io lo uso per consolarmi, il cibo lo uso per compensarmi: questo è il problema.

È un’illusione, un’illusione che va bene, per l’amor del Cielo, perché tu ti perdi i tuoi trecento chili che erano troppi e sei a posto, almeno il cuore pompa giusto, però, a livello di logica, anche se sei diventato un figurino da foto, non è cambiato niente, la logica è sempre quella.

Lì sotto ci sta una logica di piacere, cioè tu lì trovi il tuo piacere, trovi la tua compensazione, trovi la tua consolazione, trovi il tuo gusto, quindi la logica non è cambiata.

Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, non ci sta in questa cosa qua.

È questo il problema!

Il gusto non è cambiato, per cui poi tu vedi che, quando, chi vive dentro a questa illusione, può sforare, quando poi sfora, sfora eh… Quando poi compensa veramente, compensa veramente; quando poi finalmente ha il giorno di libertà, si salvi chi può!

Succede perché la logica è quella: io con Gesù e davanti a Gesù non ho ancora trovato la mia consolazione, la mia compensazione, il mio gusto, il mio piacere, cioè non provo lo stesso gusto mangiandomi una fettona di Saint-Honoré tanto quanto io ne provo meditando Luca 1,27… non è la stessa cosa!

Non la provo stando davanti a Gesù Eucarestia, non è la stessa cosa!

Voi direte: «Eh beh, non vorrà mica paragonare Gesù Eucarestia con la Saint-Honoré!»

Ecco, è qui che voglio arrivare, era proprio qui che dovevo arrivare, questo è il problema!

Nel momento in cui noi riteniamo imparagonabile la fetta della Saint-Honoré con Gesù Eucarestia, perché la fetta di Saint-Honoré mi prende di più che Gesù Eucarestia, ecco che salta il principio di cui sopra, quello che ci siamo detti all’inizio.

Non so se sono stato chiaro.

Io vengo per immolarmi ogni giorno per amor di Dio mediante l’abnegazione”.

Qui non c’è abnegazione, non c’è spirito di immolazione, non lo faccio per amore di Dio… e questo è un problema.

Se ciò che mi compensa, che mi consola, (attenti eh) è un muscolo riempito, che è lo stomaco… eh riflettiamo, almeno riflettiamo.

Se ciò che mi fa stare bene è sentire una sacca piena, domandiamoci dov’è il nostro cuore.

Faccio un esempio: a me piace tantissimo la focaccia con le cipolle e ho davanti a me una teglia di focaccia con le cipolle. Io lo so che non posso mangiarla tutta, perché muoio, nel senso che il mio stomaco, la mia sacca, non può contenere una teglia di focaccia con le cipolle, è impossibile, quindi io ne mangerò un po’.

Ora, io domando: «Che io ne mangi una listarella o che io ne mangi mezza teglia, la differenza qual è?»

Io so che non posso mangiarla tutta e che non posso mangiare la focaccia con le cipolle h24, perché esplodo, muoio, mi viene la nausea, vomito, il mio corpo dice: «No, tu quella teglia non la puoi mangiare tutta, perché è un eccesso talmente pazzesco che tu puoi morire, io ti faccio vomitare, non è possibile, c’è un limite».

Ok? Tra una listarella, che sarebbe il giusto per il mio corpo, e dieci listarelle, che ci stanno nel mio stomaco, cos’è che cambia? Sempre focaccia con le cipolle è, no? Il gusto è quello.

Quanta ne ho bisogno io? Una listarella va bene, il mio corpo mi dice: «Sì, sì, una listarella ci sta, tranquillo. Ti fa anche bene, è buona; va bene, è fatta bene, ti fa bene, non c’è problema».

E la differenza tra una e dieci, allora? È il senso di sazietà, è la gola.

Questa è la differenza, è che, quando io ne ho mangiate dieci e non posso mangiarne undici, quando io sono arrivato a dieci e dico: «Sono pieno», la sacca è piena, basta.

Anche se guardandola dico: «Mmmm, che buona, ne mangerei altre dieci», la mia sacca mi dice: «No, non lo puoi fare, ma non è che non lo puoi più fare per amore di Dio, non lo puoi più fare perché lo decido io. Io, sacca, ti dico di no; qui non c’entra l’amor di Dio, è proprio la capienza, c’è uno spazio che è stato riempito, fine. Tu non ne puoi più prendere».

Quelle dieci che ho preso, al posto di una, poi hanno un carico di responsabilità, perché poi vanno a finire dove?

Vanno a finire nel grasso… capite?

Capite che non è più per nutrirmi.

Ora, io domando, ma lo scopo qual è?

Lo scopo del mio mangiare, è nutrirmi o consolarmi?

E può il cibo consolarmi?

Può il cibo compensarmi?

Che potenza ha il cibo sul mio cuore?

Il mio cuore non è fatto per contenere cibo, il mio cuore è fatto per altro. Il mio cuore è fatto per Dio, che è tutto spirito; non c’entra niente il cibo.

Allora voi capite che, se noi entrassimo in questa logica, la bilancia dei pesini 50/60/70 grammi non serve più, perché io non mi avvicino più al cibo per compensarmi.

Voi, al posto del cibo, ci potete mettere anche il sesso eh…

Togliete il cibo e mettete il sesso, togliete il cibo e mettete la droga, togliete il cibo e mettete l’alcol, togliete il cibo e mettete il gioco, togliete il cibo e mettete qualsiasi altra cosa, è la stessa cosa.

Se noi ci avvicinassimo alla realtà e ne facessimo uso per quello per cui la realtà è stata fatta (in questo caso il cibo per nutrirci), noi ci guarderemmo, prima di mangiare, al di là della fame, e diremmo: «Cosa mi serve oggi? Mi serve, per esempio, un po’ di riso, un po’ di pasta, (quanta?) un pochino, non me ne serve tanta, un pochino; mi serve un pezzettino di carne o di pesce, (quanto?) un pochino, non serve tanto; e un pochino di verdura, (quanto, una bella vasca?) non una vasca, no, un pochino».

Se ci fosse lì un dietologo, ti guarderebbe e ti direbbe: «Mamma, che bravo! Ha preso, di tutto, un pochino».

E se ti dicono: «Guarda, c’è una Saint-Honoré con sopra dieci piani di panna».

  • «Grazie, un pochino».
  • «Te ne do una bella fetta».
  • «No, no, un pochino. Ne prendo un assaggio».

E il corpo inizia a cantare una ola che non è più finita, ti ringrazia e ti dice: «Grazie, grazie che mi hai rispettato. Grazie che stai ascoltando ciò di cui ho bisogno, grazie».

Lo stomaco ti dice: «Grazie che non mi stai sfondando con un cibo, che ci impiego come il pitone due giorni per digerirlo, grazie. Grazie che io tra due ore, tre ore, sarò vuoto, avrò assimilato tutto perfettamente e poi mi riposerò (pensate al vostro stomaco anche come un muscolo, che ha bisogno di riposare, come riposate voi). Grazie… grazie, perché adesso tutto andrà al suo posto e tu starai bene e sarai nutrito».

E noi diremo: «Sì, perché la mia consolazione, perché il mio gusto, non è qua, il mio gusto è nelle stelle. Io mi nutro guardando le stelle, perché mi richiamano all’eternità, mi richiamano alla mia Patria, mi richiamano a ciò per cui sono stato fatto, che è Dio. Quello è il mio gusto!»

Forse stanotte andrò a letto dicendo: «Beh, avrei potuto mangiare molto di più, sì avrei potuto, ma non ho voluto, perché non serviva, non serve; ma quello che invece mi serve è andare a letto in amicizia con il mio Dio, andare a letto con il Suo sorriso, andare a letto avendo vissuto bene con Lui».

Forse adesso cominceremo a capire meglio perché i Santi erano così tanto digiunatori (forse da questo lo capiamo) e perché lui scrive queste cose sul digiuno e sulla povertà, anche nel cibo.

Forse adesso cominciamo a capire qualcosa di più.

Io spero che con questa riflessione siamo riusciti ad intuire la bellezza dell’usare le cose per il loro fine, senza eccedere in nessuna cosa, in nessuna, neanche nelle altre che vi ho citato prima.

Il giusto, il necessario, quello che mi serve, non quello che la mia gola mi vuol far prendere per farmi del male, per farmi star male, perché poi sto male; quando sono troppo grosso, sto male. Il mio cuore sta male, tutto il mio corpo sta male, io sto male.

Quindi, non per star male, ma per servire il Signore.

Dobbiamo arrivare a dire: «Ho preso il nutrimento necessario per servire il Signore, non mi serve altro, sto bene così».

Questo lo auguro innanzitutto a me, poi a voi.

Concludo: che differenza c’è tra andare a comprarmi un gelato da un chilo e mangiare un gelato da due palline? La differenza che c’è la dice la gola… la gola.

Il mio corpo mi dice: «Oh due palline di gelato, buonissimo! Bello! Prendilo! Ti fa bene».

Se è un chilo, mi dice: «No, questo non riesco a reggerlo, non è quello di cui tu hai bisogno; due palline invece vanno bene, sì, ti fanno anche bene».

Mia nonna, che non ha fatto studi di medicina, mi diceva sempre (non me lo dimenticherò mai): «Giorgio, quando ti alzi da tavola, devi sempre alzarti con un po’ di fame. Non alzarti mai sazio».

Me lo ha sempre detto… la saggezza dei nostri vecchi.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

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