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S. Ambrogio – La caduta di una vergine consacrata

Camillo Procaccini - S. Ambrogio ferma Teodosio

Si discute ancora se questo libretto sia o non sia di S. Ambrogio, ma a noi sembra che gli argomenti portati per dimostrare che l’opera è spuria siano cosi tenui da non poterne infirmare seriamente l’autenticità. Tutt’al più possiamo pensare che il discorso fu improvvisato da S. Ambrogio e scritto da altri, uno dei suoi uditori.

Ambrogio era il pastore che vigilava con ogni cura sul gregge affidatogli da Dio, nè poteva rimanere estraneo a quanto concerneva la parte di esso più delicata e preziosa: le vergini. Si sa con quanto amore egli le indirizzasse a Dio, e non ci mancano le prove che attestino con quale sollecitudine vegliasse su di loro e, all’occorrenza, ne sapesse tutelare il buon nome. A tutti è noto il caso della vergine Indicia, indegnamente calunniata, e della quale egli riuscì a far risplendere l’assoluta innocenza.

Ma un giorno un’altra vergine consacrata, appartenente ad una delle migliori famiglie milanesi, e della quale pure ci è conservato il nome, Susanna, venne meno al suo voto e soppresse la creatura nata dalla sua colpa. La cosa si riseppe in città e ne nacque un gravissimo scandalo. Possiamo immaginare il dolore del Vescovo e per la colpa in sé e per le conseguenze che ne potevano derivare. Pensò quindi d’intervenire pubblicamente a difesa del buon nome delle vergini e parlo, parlo così come sentiva in cuore: dolore, sdegno, orrore, pietà animano a vicenda la sua parola, l’infiammano, la rendono piena di forza e d’impeto, bella. Egli, appoggiandosi all’autorità delle Sacre Scritture, bolla a fuoco il peccato di Susanna, le mostra quanto sia enorme, mostruoso, le dice l’orrore dello stato in cui si trova, le ricorda l’eternità del castigo che l’attende, poi, con parola non meno ardente, invita la colpevoleanzi i colpevoli a quel pentimento e quella penitenza che soli possono ottenere il perdono di Dio.

Non sappiamo quando S. Ambrogio tenne questo discorso, ma certo dopo il 377, perché Susanna viveva in monastero, e di monasteri di vergini nel 377 non ce n’era ancora a Milano.

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La caduta di una vergine consacrata

CAPO I

S. Ambrogio rompe il silenzio e invita tutti a dolersi con la santa Chiesa, che piange per il fallo d’una vergine consacrata; quindi, fatta conoscere l’enormità di tale peccato, manifesta il suo dolore per l’accaduto.

I. Perché taci, anima mia, perché sei agitata dai tuoi pensieri? Perché non prorompi in parole e non dai libero sfogo a ciò che ti arde in cuore, così da averne sollievo? Sì, troverai quasi un rimedio al tuo male se, aprendo la bocca, dirai la scelleraggine che tieni chiusa in te. Perché anche la piaga tumida, se viene aperta, si sfoga e la sofferenza resta alleviata.

II. Ascoltatemi, vicini e lontani, voi che avete il santo timore di Dio, godete del gaudio della Chiesa e piangete con essa nei suoi dolori, come sta scritto: Godere con quelli che godono e piangere con quelli che piangono (1). Ripeto, mi rivolgo a voi, che avete la vera carità del Cristo e non godete dell’iniquità, ma piuttosto ne gemete. Ascoltate le mie parole, giudicate se non muovono da giusto dolore, e inorridite con me sopra la malizia del peccato che si è scoperto.

III. Una nobile giovane consacrata al Cristo, savia e istruita, è caduta in un abisso di vergogna, concepì dolore e partorì iniquità (2); perdette se stessa e macchiò la santa Chiesa. Ogni anima cristiana ne venne profondamente ferita, perché le cose sante venner gettate ai cani, e le gemme furon poste innanzi ai porci (3). Infatti uomini furenti fecero scempio del nome di santità, uomini immondi e sozzi calpestarono la preziosa professione verginale.

IV. Per questo l’anima mia è turbata, un dolore insanabile l’opprime, perché un male solo coinvolge molti beni, e la piccola nube di una sola peccatrice ha oscurato quasi tutto lo splendore della Chiesa. Dirò dunque dolorosamente con le parole del Profeta: Ascoltatemi, popoli tutti, e guardate il mio dolore (4): le mie fanciulle e i miei giovani sono stati condotti schiavi. Ed è vera schiavitù questa, per cui le anime, fatte schiave del peccato, son condotte a morte e cadono sotto il dominio di Satana.

CAPO II

Rivolge la parola alla colpevole e le mostra quale ella fosse e quanto felice prima della caduta, e in quale miseria e vergogna sia quindi precipitata.

V. Ch’io parli a te ora, a te, principio e cagione di questi mali, a te, che, doppiamente sciagurata, insieme con la gloria della verginità perdesti anche il nome: giacché non puoi chiamarti più Susanna dal momento che non sei casta (5), non puoi esser detta giglio dato che non lo sei più. Donde comincerò? Che cosa dirò per prima e che cosa per ultima? Dovrò ricordare i beni che hai perduti, o piangere i mali che hai trovati?

VI. Eri vergine nel paradiso del Signore, anzi un fiore della santa Chiesa, eri Sposa del Cristo, eri tempio di Dio, eri abitazione dello Spirito Santo. E quante volte dico «eri» altrettante ne devi gemere, perché non sei più quel che fosti. Tu t’avanzavi nella Chiesa a somiglianza di quella colomba di cui sta scritto: Colomba dalle oli argentate, dall’estremità del dorso rifulgente come oro (6). Splendevi come argento, rifulgevi come oro quando andavi con la coscienza pura. Eri come stella scintillante nelle mani del Signore; nessun vento, nessuna nuvola di guerra ti poteva sgomentare.

VII. E com’è questo così improvviso mutamento di condotta? Com’è questa così repentina trasformazione? Da vergine del Signore sei diventata corruzione di Satana, da sposa del Cristo un’esecranda cortigiana, da tempio di Dio un santuario d’immondezza, da abitazione dello Spirito Santo un tugurio del diavolo. Tu, che ti avanzavi sicura come la colomba, ora ti nascondi nelle tenebre come la nottola. Tu, che splendevi come oro per il pregio della verginità, ora sei divenuta più vile del fango delle piazze, tale da esser calpestata anche dai piedi degli indegni. Tu, che eri come un astro radioso nelle mani del Signore, come precipitando dal cielo, hai perduta la tua luce e ti sei mutata in carbone spento.

CAPO III

Mostra quanto sia infelice perché non può più accostarsi a Dio e neppure agli uomini e ne argomenta la confusione che proverà un giorno al cospetto degli Angeli e dei santi.

VIII. Guai a te, infelice, guai a te che dissipasti tanti beni per il piacere d’un momento! E quale speranza ti rimane presso Cristo, nostro Signore, di cui hai preso le membra e ne hai fatto membra di meretrice? (7). Come ti visiterà ancora lo Spirito Santo che tu ripudiasti, quello Spirito che s’allontana anche soltanto dai sozzi pensieri?

IX. Ma veniamo alle conseguenze umane, sì che da esse si conoscano quelle soprannaturali. Osserva se c’è uomo o donna cristiana che non abbia orrore d’avvicinarti; apri gli occhi se puoi; alza la fronte se osi; fissa lo sguardo sicuro sopra qualcuno dei fedeli. Non è vero che la coscienza del tuo peccato ti pesa come piombo e ti fa chinare la faccia? Non è vero che tenebre, che orrido buio ti annebbian la vista? Non è vero che timore e tremore assalgono la tua anima e le tue membra?

Se dunque tanto coperta di confusione non puoi fissare lo sguardo sopra creature vestite di carne, ed anche esse colpevoli di qualche peccato, che farai al cospetto dei casti Apostoli? Che farai alla presenza d’Elia, di Daniele e della numerosa schiera dei Profeti? Che farai dinanzi a Giovanni? Che in presenza di Maria, di Tecla, di Agnese e dell’immacolato stuolo dei purissimi? Che finalmente farai al cospetto degli Angeli santi? Non verrai forse incenerita come da un fulmine dallo splendore e dal fulgore dei vergini?

CAPO IV

Ribattute le scuse che le sedotte sogliono addurre, tornando a parlare della colpa, commisera la sorte dei genitori e di tutta la famiglia di Susanna, dicendo che sarebbe stato preferibile per essi che fosse morta prima e che non rimane loro altro conforto all’infuori del pensiero d’aver acconsentito, nella sola speranza della ricompensa divina, al suo desiderio di consacrarsi a Dio; ma che essa ha deluso la loro aspettativa.

XI. Ma dirai forse: non ho potuto resistere, poiché la mia carne era fragile. Ti risponderà santa Tecla con le sue innumerevoli compagne: Anche noi fummo vestite della medesima carne, e pure nè la sua fragilità poté farci venir meno al fermo proposito di rimaner vergini, nè la crudeltà dei tiranni coi tormenti poté stornarci da esso. Non può davvero contaminarsi il corpo, se prima non è stata contaminata l’anima. Cadrà nel peccato quell’anima, che s’è macchiata di colpa prima del corpo.

XII. Ma dirai ancora: Non ho acconsentito a tanto misfatto, ma ho patito violenza. Ti risponderà la fortissima Susanna, il cui nome bugiardamente tu porti: io, tutta sola nei boschetti del mio giardino, sorpresa da due vecchioni (8), da due giudici del popolo, non potei esser vinta, perché non lo volli. Come potesti tu in piena città patir violenza da un imbecille di giovane, se non perché lo volesti? Chi udì le tue grida, chi ti sentì dibattere? Ma per tacere di queste cose, certo tu, subita quella violenza, avresti dovuto farne parola, se non ad altri, almeno ai tuoi genitori o alle tue sorelle. Avresti così una qualche scusa alla tua sciagura; e, se tu avessi pubblicamente accusato il nemico del tuo pudore, ti saresti pienamente discolpata.

XIII. Ma forse avesti vergogna che fosse resa pubblica la tua sventura. E perché temesti dove c’era da temere soltanto che col tuo silenzio moltiplicassi il tuo peccato? Sia pure, la vergogna allora t’impedì di parlare. Ma che dirai della seconda, della terza, delle numerose cadute? Basta, basta ormai con la finzione della violenza, basta di addurre la vergogna quando tante volte lasciasti contaminare da quello scellerato le tue membra consacrate al Cristo.

XIV. Inorridisce, inorridisce l’animo mio, la mia mente vacilla sul punto di trattare un simile misfatto. Credo che il medico stesso, quantunque d’animo forte, quando deve aprire una ferita profonda, deve provare un certo orrore. Capisci ora, sciagurata, che non puoi più addurre alcuna scusa? Cominci a capire quanto danno all’anima e al corpo ti abbia recato la tua nefanda passione?

XV. Non s’aspettava da te tale disonore tuo padre che credeva d’avere in te una gloria singolare. Nè da te s’attendeva questo dolore, queste lacrime tua madre, che nella tua professione verginale si consolava delle angosce sofferte nel darti alla luce. Non s’aspettavano da te tale vergogna le sorelle e i fratelli tuoi, i quali tutti vennero gravemente feriti dal tuo delitto, quasi come da una unica spada.

XVI. Se la morte t’avesse loro rapita, t’avrebbero pianta per un po’ di tempo per l’affetto che ti portavano, ma avrebbero esultato grandemente, perché avrebbero mandato innanzi una vergine, un’ostia viva al Signore, propiziatrice per iloro peccati. Ma ora ti piangono morta e non morta; ti piangono viva e non viva: morta alla gloria della verginità, viva al disonore dell’infamia.

XVII. Tuo padre è adirato con se stesso per averti data la vita, maledice tua madre il suo grembo, da cui disgraziatamente venisti alla luce. Non trovano limite all’immenso dolore che li opprime, nè sembrano provare conforto se non nel pensiero che nè l’uno t’indusse, nè l’altra ti costrinse alla professione verginale, che tu spontaneamente e volontariamente abbracciasti. Lo so bene che quando tuo padre ti poneva sott’occhio molte difficoltà e ti faceva presente che ardua è la via della verginità, non solo tu tenacemente resistesti, ma dicesti d’aver avuto tremende rivelazioni.

XVIII. Dunque, sciagurata, renditi conto che quanto più essi speravano di venir ricompensati per non aver posto ostacolo al tuo volere, tanto più pesa su di te il giudizio di Dio, per non aver mantenuto la promessa che facesti di tua spontanea volontà. Con quali spire t’avvolse quel perfido serpente? Quali veleni ti propinò quegli che ingannò Eva, che ti percosse di tanta cecità, che ti fece dimenticare a tal punto l’anima tua?

CAPO V

Ricorda alla disgraziata in quale giorno, con quale rito, tra quale folla di gente avvenne la sua consacrazione, aggiungendo che avrebbe dovuto versare il suo sangue piuttosto che venir meno alla fede data; e rafforza questo suo dire col paragone delle nozze terrene. Quindi scioglie un’obiezione presa dalle epistole di S. Paolo.

XIX. Non ricordasti il giorno della Resurrezione del Signore, in cui ti offristi per essere velata davanti all’altare? Tu avanzavi in quella cosi grande, cosi solenne adunanza della Chiesa del Signore fra i lumi splendenti dei neofiti, fra le candide stole dei catecumeni, come la fidanzata del Re. Non ricordasti l’allocuzione che ti fu fatta in quel giorno: Osserva, figlia, guarda, vergine, dimentica il tuo popolo e la casa del padre tuo; e il Re amerà la tua bellezza, perché Egli è il Signore Dio tuo? (9). Ricorda dunque quanta folla intervenne alle nozze col tuo Sposo e Signore. Avresti dovuto serbare la fede promessa alla presenza di tanti testimoni, avresti dovuto pensare sempre a chi avevi promessa la verginità. Avrebbe dovuto esserti più facile dare il sangue e la vita, che perdere la verginità.

XX. In quel giorno della tua consacrazione, dette tali parole e pronunziati molti elogi sopra la tua castità, tu fosti coperta del sacro velo: e allora tutto il popolo, sottoscrivendo al tuo contratto di nozze, non con l’inchiostro, ma col cuore, gridò unanime: Così sia! Non posso trattenere le lacrime ricordando queste cose; mi sento martellar il cuore considerando questi fatti. Perché se qualunque donna che ha sposato un mortale, celebrato il rito dinanzi a dieci testimoni e consumate le nozze, non può commettere infedeltà senza correre grave pericolo; che cosa sarà quando si vien meno alle nozze spirituali contratte alla presenza d’innumerevoli testimoni, al cospetto degli Angeli e della milizia celeste? Non so se possa immaginarsi una pena o una morte degna di tanta scelleratezza.

XXI. Qualcuno dirà: È meglio sposarsi che ardere (10). Queste parole riguardano una che non sia consacrata al Signore, che non abbia ricevuto il velo benedetto. Perché colei che s’è promessa a Cristo e ha ricevuto il santo velo, è già sposata, è già unita ad uno sposo immortale. E se vuole contrarre nozze terrene, commette adulterio, diviene ancella di morte. Se dunque la cosa sta cosi, che cosa si dirà di colei che occultamente e furtivamente si lascia contaminare e finge d’esser quella che non è? Vergine all’abito, non vergine di fatto: doppiamente adultera, nell’apparenza e nella realtà.

CAPO VI

Prosegue ricordando le ragioni che avrebbero dovuto trattenere Susanna dal peccato, e stupisce che, avendo essa già sofferto di cattiva fama tre anni prima, sia stata così stolta da spezzare ogni argine disprezzando amici, nemici e Dio stesso.

XXII. Ma eccomi nuovamente a te, che potesti dimenticare tanti beni e divenisti ricetto di tanti mali. E come in quell’atto vergognoso non ti veniva in mente il tuo abito di vergine, e come t’avanzavi nella chiesa fra le schiere delle vergini? La luce delle sante veglie non brillava agli occhi tuoi? Non ti risonava all’orecchio il canto degli inni sacri? Non ti echeggiava nell’animo la forte parola delle sacre lezioni, donde sopra tutti grida a te l’Apostolo: Fuggite la fornicazione, perché ogni altro peccato che l’uomo commette è fuori del corpo, ma chi fornica pecca contro il proprio corpo? (11). E dicendo contro il proprio corpo dimostra che pecca contro il Cristo; infatti soggiunge: Non sapete voi che le vostre membra sono tempio dello Spirito Santo, che vi è stato dato da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Poiché siete stati comprati a caro prezzo: glorificate e portate Dio nel vostro corpo (12). E ancora: Come si conviene ai santi, non si senta neppur nominare fra voi fornicazione o impurità o avarizia (13). E, lasciata ogni lusinga, l’Apostolo inculca questa massima: Sappiate che nessun fornicatore o impudico o avaro sarà erede nel regno di Cristo e di Dio (14).

XXIII. Queste parole cosi grandi e cosi terribili non ti tornavano in mente, allorché eri invitata a quell’atto nefando ? Ma una smemoratezza mortale ti precipitava in un profondissimo abisso, ti ci trascinava prigioniera la tua esecranda passione.

XXIV. Non avresti dovuto ricordare quel luogo separato dove stavi in chiesa, e dove religiose e nobili matrone, più sante e più degne di te, facevano a gara per entrare a domandarti il bacio di pace? Non avresti dovuto rammentare quei precetti che la stessa parete scritta t’inculcava?

Vi è differenza tra la sposa e la vergine. Colei che non è maritata si dà pensiero delle cose del Signore, così da essere santa nel corpo e nello spirito (15). E tu facesti tutto l’opposto pensando e operando in modo da non essere santa nè nel corpo, nè nello spirito: nel corpo, perché lo contaminasti, nello spirito, perché ti fingesti vergine.

XXV. Che cosa orribile I La fama di solito segue il peccato, ma il tuo ne venne preceduto. Poiché tre anni fa, essendosi udito un certo sussurro, un certo mormorio sul tuo conto, tu protestasti di essere innocente, e chiedesti pubblicamente in chiesa il castigo dei tuoi detrattori. In quali angosce fui allora! E quanto dovette penare tuo padre nel ricercare ciascuno, nell’inquisire su ciascuno, per riuscir a scoprire l’autore della calunnia I Perché era penoso per noi e intollerabile per tutti i buoni, che si dicesse e si credesse cosa vergognosa di una vergine di Dio.

XXVI. Neppur questo ti sgomentò, nè l’avesti presente per impedirti di diventare ragione di gioia ai tuoi nemici e non renderti ostili quelli che si adoperavano per il tuo buon nome. Fosti molto audace, molto temeraria, al punto da sprezzare i rimorsi e, fingendoti vergine, crederti di poter ingannare perfino Dio. Ma Colui che disse: Nulla vi è di nascosto che non sarà rivelato (16); e, voi operaste occultamente, io agirò in palese (17), Colui che non mente, svelò in pubblico il misfatto occulto e mise a nudo al cospetto di questo sole l’opera delle vostre tenebre.

XXVII. Continuando a parlare, mi si affacciano alla mente cose sempre più strazianti, e benché desideri moderarmi, pure non riesco a contenermi. Tu dimenticasti il tuo voto, dimenticasti i parenti, dimenticasti la Chiesa tutta, dimenticasti la gloria della verginità, dimenticasti il decoro della dignità, dimenticasti la promessa del regno dei cieli, dimenticasti il giudizio tremendo: ti desti in braccio alla corruzione e hai prodotto frutti d’infamia: ti toccherà in fine una morte orribile e l’eterna rovina.

CAPO VII

Afferma d’aver apprestato a Susanna ogni cura del suo ministero pastorale, ma che essa, invece di trame profitto, si rese rea di gravissimo scandalo, colpa che il Vangelo insegna con quale severissima pena venga punita.

XXVIII. Non hai certamente da lagnarti di negligenza da parte mia, perché non ho mai negato nè a te, nè ad altri nulla che rientrasse nel mio ufficio di pastore. Dimentica della casa paterna, come sta scritto (18), passasti al monastero delle vergini. Qui fra tante compagne non solo potevi startene sicura, se l’avessi voluto, ma ancora tutelare le altre. Invano però ti furon dati questi ed altri aiuti.

XXIX. Inutilmente innalzai un inno alla verginità, col quale tu avresti potuto egualmente celebrare la gloria e l’osservanza della tua professione. Seminai lungo la via, seminai tra le spine, seminai sopra le pietre (19); poiché o gli uccelli, cioè i diavoli portaron via dal tuo cuore le mie parole, o i tuoi cattivi pensieri le soffocarono, o l’eccessivo ardore della tua passione le inaridì. Ahimè! Dove credevo fabbricare oro, argento e pietre preziose (20), mi trovo ad aver fatto legna, fieno, paglia ed altro materiale da ardere! Dirò dunque col Profeta: Ahimè, ch’io sono divenuto come colui che raccoglie paglia nelle messi! (21).

XXX. E ancora se avessi fatto del danno soltanto a te, sarebbe stato doloroso, ma forse tollerabile. Ora invece quante anime hai ferite col tuo peccato, quante anime per causa tua si pentono d’aver fatto professione religiosa! Quante lingue, anche di cristiani, si sono macchiate di colpa, bestemmiando le vie del Signore! La Gentilità ha aperto contro di noi la sua bocca, e la Sinagoga per il tuo misfatto ha esultato contro la Santa Chiesa.

XXXI. Se chi ha scandalizzato uno solo dei suoi simili (22) dovrebbe venir gettato in mare con una macina al collo, che cosa dirai di te, per il cui peccato ogni anima è rimasta ferita e fra le genti è stato bestemmiato il nome del Signore? Non è forse vero che quante volte si dice: O vergini, altrettante aumenta il cumulo delle tue iniquità? Ecco, tu giaci ferita, tu giaci prostrata.

CAPO VIII

Quale difficoltà presenta e come deve usarsi il rimedio che vorrebbe applicare: si persuada a rifugiarsi in una penitenza non qualunque, ma adeguata (e qui se ne dànno i contrassegni interni ed esterni). Certamente grazie ad essa otterrà d’essere liberata dalle pene eterne, se tuttavia sarà tanto più severa verso di sé quanto meno oso confessare il suo peccato. E a questo Ambrogio la esorta anche ricordandole quanto sarà terribile il futuro giudizio.

XXXII. Vorrei venirti in aiuto, ma non posso, perché, come dice Isaia: Tutto il capo è malato e tutto il cuore è afflitto. Dalla pianta dei piedi fino alla testa, non v’è rimedio che valga (23). Il tuo male ha reso inefficace ogni rimedio umano. Ma benché tanto i buoni quanto i cattivi, giustamente indignati, ti giudichino meritevole di ogni desolazione, di ogni supplizio, degna di venire condannata a morte o anche arsa sul rogo; io tuttavia che so come ai malvagi sian riserbate pene ancora più gravi, e come supplizi senza fine, non temporali ma eterni, sian preparati per le anime scellerate, voglio che tu sottostia ad altri tormenti, che non perdano, ma salvino l’anima tua.

XXXIII. Dunque ti darò un consiglio conforme alla parola divina, perché si deve tentare unicamente quel rimedio che il Signore offre ai colpevoli per bocca d’Ezechiele dicendo: lo non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva (24). E dopo questo dice ancora il Signore: Ho detto: convertiti a me. Non v’è più balsamo in Galaad? Non v’è alcun medico? Perché dunque non torna la salute alla figlia del mio popolo? (25). Certamente queste parole accennano a penitenza, queste parole di Dio chiamano i peccatori a penitenza: infatti la penitenza è necessaria ai peccatori come i medicamenti lo sono ai feriti.

XXXIV. Se non che quale e quanta credi debba essere questa penitenza? Tale da controbilanciare o superare decisamente il male commesso. Guarda dunque se il tuo sia un semplice peccato d’adulterio o non piuttosto un duplice misfatto per quel delitto che si dice sia stato commesso in segreto; e secondo che ti sentirai la coscienza aggravata sottoponiti ad una penitenza che sia adeguata alla tua colpa. E la penitenza non deve essere di parole, ma di opere. Tu la farai ponendoti dinanzi agli occhi da quanta gloria tu sia precipitata, da qual libro di vita il tuo nome sia stato cancellato e considerandoti già vicina a quelle tenebre esteriori dove sono in eterno lacrime e stridore di denti. Quando sarai giunta a credere con ferma fede che chi ha prevaricato non può sfuggire alle pene eterne, al fuoco infernale e che, dopo il battesimo, non v’è altro rimedio che la penitenza, allora sopporterai di buon animo qualsiasi afflizione, qualsiasi fatica, pur di venir liberata dall’eterno castigo.

xxxv. Meditando dunque fra te e riandando queste cose, sii tu stessa giudice severa del tuo fallo. Prima di tutto devi spogliarti d’ogni pensiero di mondo e considerandoti morta, come sei in realtà, pensare al modo di poter rivivere. Quindi devi indossare un abito di lutto e punire come si conviene il tuo spirito e le tue membra ad una ad una. Sian recise quelle trecce, che per vanità furono occasione di lussuria. Versino lacrime quegli occhi che non seppero guardare con semplicità un uomo. Impallidisca quel volto che altra volta impudicamente arrossi. Venga infine macerato con digiuni e con penitenze, si cosparga di cenere, si vesta di cilicio quel corpo che mal si compiacque della sua bellezza. Il cuore poi divenga come cera che si scioglie, nel tormento del digiuno, nel ripensare come sia stato sovvertito da Satana. Abbia la sua pena anche lo spirito, il quale, mentre aveva il dominio dei sensi, cedette al loro stimolo.

XXXVI. Tale sia la tua vita, tali le tue opere di penitenza, e se sarai perseverante potrai sperare, se non la gloria, almeno certamente la remissione della pena, perché dice il Signore: Convertitevi a me, ed io mi volgerò a voi: convertitevi a me con tutto il vostro cuore, nel digiuno, nel pianto e nei sospiri; squarciate i vostri cuori e non le vostre vesti; perché Egli e pietoso e misericordioso (26). Così si convertì il grande Davide, e fu giustificato. Così la peccatrice città di Ninive sfuggi allo sterminio che le sovrastava. Dunque, se il peccatore non si risparmia, sarà risparmiato da Dio, e, se nel breve corso della sua vita si infliggerà pene che pareggino le interminabili pene dell’inferno, si libererà dall’eterna condanna.

XXXVII. Una ferita grave deve esser curata a fondo e a lungo; una scelleratezza enorme deve lavarsi con una soddisfazione straordinaria. Poiché non v’è dubbio che quando il peccatore confessa spontaneamente la propria colpa e ne fa penitenza, il suo delitto diventa meno grave; ma quando nasconde la propria colpa, contro la sua volontà vien smascherato e suo malgrado messo in piazza, e il suo peccato divien più grave. Ora questo appunto non puoi negare che sia avvenuto a te. E perciò più vivo deve essere il tuo dolore, perché più abbominevole fu il tuo peccato.

XXXVIII. Se i peccatori potessero immaginare quale giudizio il Signore farà del mondo, il cuore degli uomini non si lascerebbe dissipare dalle vanità del secolo, non si aggraverebbe di infedeltà; essi patirebbero più che volentieri qualunque sia pur grave tormento nella vita presente, anche se fosse più lunga, a patto di sfuggire alle pene del fuoco eterno. E tu, che già hai affrontato la penitenza, persisti, infelice: tienti stretta fortemente ad essa, come il naufrago a una tavola, sperando di esser liberata per essa dall’abisso delle tue colpe. E rimani stretta alla penitenza fino alla fine della vita, e bada a non presumere di poter essere perdonata dal mondo: chi volesse prometterti questo t’inganna. Poiché avendo tu peccato direttamente contro il Signore, da lui solo dovrai attendere il perdono nel giorno del giudizio.

CAPO IX

Riprende aspramente il seduttore di Susanna e lo atterrisce con l’esempio di Baldassarre. Poi lo ammonisce di non contentarsi del dolore dell’animo, ma di fare adeguata penitenza; finalmente perché non si lusinghi pensando alla moltitudine dei peccatori, ricordandogli l’incendio di Sodoma e di altre città, lo esorta a spezzare i legami di Satana.

XXXIX. Che dirò poi di te, figlio del serpente, ministro del diavolo, profanatore del tempio del Signore, che in una sola scelleratezza perpetrasti due misfatti, adulterio e sacrilegio? Sacrilegio, perché con pazza audacia profanasti un vaso offerto al Cristo, consacrato al Signore. Baldassarre, quel re di Persia che ebbe la baldanza di bere con i suoi amici e con le sue donne nei vasi sacri che erano stati rubati da suo padre al tempio di Gerusalemme, nella notte stessa fu atterrato dalla mano d’un Angelo e punito con una morte spietata (27). Cosa credi che avverrà di te, sedotto insieme e seduttore, che dimentico delle tue promesse (28), sprezzando il giudizio divino, empiamente contaminasti, sacrilegamente profanasti una creatura dotata di ragione consacrata al Signore, santificata dallo Spirito Santo? Senza dubbio sarebbe stato meglio che tu non fossi mai nato, piuttosto che nascere per diventare figlio dell’inferno.

XL. E benché la tua coscienza medesima ti sospinga qua e là in precipizio – l’empio infatti fugge senza che nessuno l’insegua -, benché orribili fantasmi della tua colpa ti atterriscano non soltanto nella veglia, ma anche nel sonno, tuttavia perché il pastore nulla neghi alla pecorella malata o in fin di vita, ti do un consiglio. Chiuditi volontariamente nel carcere della penitenza, stringi il tuo corpo nelle catene, tormenta con gemiti e digiuni l’anima tua; domanda aiuto ai santi, mettiti ai piedi degli eletti, onde per la durezza del tuo cuore tu non abbia ad accumulare contro di te l’ira per il giorno dell’ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio (29), il quale ricompenserà ognuno secondo le opere sue, e tu non sia annoverato fra quelli sui quali piange l’Apostolo, che prima peccarono, e non fecero penitenza dell’impurità, della fornicazione e delle dissolutezze commesse (30).

XLI. Nè ti lusinghi il gran numero dei peccatori simili a te, e non dire: non sono io solo ad aver commesso un tale peccato, ho molti compagni; ma pensa che anche una folla di compagni non rende la colpa immune da pena. Infatti a Sodoma e Gomorra e in tutte le cinque città vi erano senza dubbio abitanti innumerevoli, e tutti, come si erano dati alla lussuria, così furono arsi dalla pioggia di fuoco (31). Solo Lot scampò a quelle fiamme inesorabili, perché si era serbato mondo da quelle turpitudini (32).

XLII. Scaccia dunque almeno ora dal tuo cuore, sciagurato, queste lusinghe diaboliche, e col cordoglio e col pianto incessante, finché la tua anima peccatrice sta nell’immondo tuo corpo, cerca di risanarti per il giorno della morte, tenendo sempre presente quelle parole dell’Apostolo: Poiché noi tutti bisogna si comparisca davanti al tribunale del Cristo, acciocché ognuno risponda di come s’è servito del suo corpo, sia in bene, sia in male (33).

CAPO X

Alla fine, rivolgendosi nuovamente alla vergine caduta, le suggerisce alcune ardenti invocazioni e varie espressioni di cordoglio tratte qua e là dalle Sacre Scritture.

XLIII. Chi ti consolerà, vergine figliuola di Sion? Poiché il tuo cordoglio è grande come il mare. Effondi come acqua il tuo cuore nel cospetto del Signore; leva a lui le mani (34) a rimedio dei tuoi peccati. Fa’ tuo questo lamento. Per prima cosa non lasciare passar giorno senza recitare il salmo cinquantesimo, che fu composto in una circostanza simile, e recitalo con lacrime e gemiti fino al versetto: O Dio, tu non disprezzi un cuore contrito e umiliato (35).

XLIV. Inoltre effondi al cospetto di Dio, dolendoti nel cuore, anche questo lamento: Chi darà acqua al mio capo e una fonte di lacrime ai miei occhi (36), acciò io pianga sopra le ferite dell’anima mia? Le mie feste si son mutate in lutto e i canti in lamento (37). Si è allontanato da me il canto degli inni, la letizia dei salmi, e vi è sottentrato lo stridore dei denti e il pianto. Ammutolii e mi umiliai e tacqui e mi astenni anche dal dire cose buone e il mio dolore rincrudì. S’infiamma il mio cuore dentro di me, e nella meditazione un fuoco s’è acceso (38). Timore e tremore mi hanno assalito e le tenebre mi hanno avvolto (39). L’abisso mi ha circondato, e in fine ha sommerso il mio capo tra le spaccature dei monti (40).

XLV. Ahimè che divenni come Sodoma e arsi come Gomorra! chi avrà compassione delle mie ceneri? Sono più rea di Sodoma, perché essa peccò ignorando la legge, ma io peccai contro il Signore dopo aver ricevuta la grazia sua. Se un uomo pecca contro un uomo, si troverà un mediatore (41): ma io peccai contro il Signore; dove troverò chi interceda per me? Ho concepito il dolore e ho generato il peccato (42); ho scavato una fossa, I’ho resa profonda ed io stessa son caduta nella fossa che avevo fatta. Perciò il mio dolore ricade sulla mia testa e il mio peccato ripiomba sul capo mio. La mia impurità mi sta dinanzi: non ricordai i novissimi e caddi miseramente.

XLVI. Non c’è chi mi consoli. Oh quanto è amaro il frutto della lussuria! È più amaro del fiele, fa più male della spada. Come sono caduta in tanta desolazione? D’un tratto venni meno, perii per il mio peccato come al risvegliarmi da un sonno (43); perciò venne distrutta l’immagine mia nella città del Signore: il nome mio fu cancellato dal libro della vita; sono come il gufo nella sua dimora, come il passero solitario sopra il tetto (44); non c’è chi mi consoli. Mi volgo a destra e vedo che non c’è chi mi riconosca. Ogni scampo è perduto per me: non v’è chi abbia pensiero dell’anima mia (45). Sono ridotta come un vaso infranto, poiché ho udito i vituperi di molti che mi stanno intorno (46). Triste quel giorno in cui l’infelice mia madre mi generò e questa luce crudele m’accolse (47). Meglio era che non fossi nata, piuttosto che diventare la favola della gente. Il mio peccato ridonda a confusione di tutti i servi del Signore, anche di quelli che lo adorano debitamente .

XLVII. Piangete sopra di me, monti e colli; piangete su di me, fonti e fiumi, perché io san figlia del pianto. Piangete su di me, belve abitatrici delle selve, rettili che strisciate sul suolo, uccelli dell’aria, ed ogni essere vivente. Voi felici, uccelli e fiere, che non avete a temere l’inferno, nè dopo morte avete a render conto delle vostre azioni! Per noi invece ci sono le pene atroci dell’inferno, perché dotati di ragione abbiamo peccato, e perciò non v’è pace per i peccatori.

XLVIII. II mio peccato, la mia iniquità non sono come le offese che si fanno ad uomini, perché son sacrilegio. Avendo promesso di serbar vergine il mio corpo e professata pubblicamente la verginità, ho mentito al Signore, e perciò non oso più invocare l’Altissimo, perché la bocca dei delinquenti è chiusa. Cantò il mio peccato il Profeta dicendo: Quelli che s’allontanano dal Signore periranno (48) Egli allontana da sé ogni uomo che viola la castità. E anche: La mia lingua s’è attaccata alle fauci: alla polvere della morte son ridotto! (49).

XLIX. Ciò nondimeno griderò al Signore mentre sono ancora in tempo, mentre lo posso ancora: perché nella morte non c’è ricordo e nell’inferno nessuno ti loda: Signore, non mi riprendere nel tuo furore e non mi castigare nel tuo sdegno. Perché le tue saette si san confitte in me; e non ha parte intatta la mia carne per il tuo furore; nessun benessere le mie ossa per i miei peccati. Perché le mie iniquità sorpassano il mio capo, e come grave peso mi schiacciano. Puzzo e marcia dànno le mie piaghe a causa della mia follia. Sono accasciata per le mie miserie e vado curva oltremo.do; mando ruggiti per i fremiti del mio cuore. Il mio cuore è agitato, le forze mi abbandonano, il lume degli occhi anch’esso mi vien meno (50). Oh Signore, mi hai scacciata, mi hai disfatta, mi hai fatto provare dure cose, m’hai dato a bere vino d’amarezza (51); sono stata allontanata dai tuoi occhi, non mi rialzerò per recarmi al tuo tempio santo; ed io ch’ero santa sono nella desolazione.

L. Che ci guadagni nella mia morte, se io discendo nella tomba? (52). Farai tu prodigi per i morti o i medici li resusciteranno? (53). Tu hai detto, tu hai promesso: Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva (54). A Te mi rivolgo, mio Dio, perché tu solo puoi rinnovare ogni cosa e richiamare le anime dagli abissi. Tu sciogli i prigionieri, Tu, Signore, sollevi i caduti, illumini i ciechi, resusciti i morti.

LI. Errai come pecora smarrita (55); cerca la tua serva perché il lupo crudele non la divori. Molti dicono dell’anima mia: Non ha più scampo in Dio! (56). Ma il tuo consiglio è con me. Quanto vivrà ancora la tua serva? Quando la giudicherai? (57). Ma non giudicare la tua serva (58). L’anima mia venne meno per la brama della tua salvezza (59): gli occhi miei si struggono in lacrime; è dispersa sopra la terra la mia gloria. Quando volgendo il tuo sguardo rinnoverai l’anima mia? (60). Per il mio peccato mi hai castigata e hai fatto consumare come ragno l’anima mia (61). Ricordati, Signore, che sono polvere; vedi la mia miseria e la mia pena, e perdonami tutti i miei peccati (62). Lasciami stare acciò io mi rassereni prima d’andarmene per non essere più (63), poiché nell’inferno non risuonerà la tua lode.

LII. Tu puoi, Signore, tu puoi sciogliere il mio cilicio e cingermi d’allegrezza (64), puoi rompere le catene che mi tengono strettamente avvinta (65), Tu che non disprezzasti Raab peccatrice (66). Togli da me, Signore, la tua indignazione, perché ho peccato gravemente contro di Te, fino a perdonarmi e ricondurmi nella luce. O Dio di virtù, dammi un pentimento efficace e perseveranza nel riconoscere la mia colpa, affinché Satana non m’indurisca il cuore. Desidero ardentemente questo dono, questa grazia del tuo fonte, o Signore, per lodarti in eterno, o Tu che vivi e regni nella Santissima Trinità per i secoli dei secoli. Cosi sia.

NOTE

(1) Rm 12, 15

(2) Sal 7, 15·

(3) Mt 7, 6.

(4) Lam 1, 12.

(5) “Susanna” è parola ebraica che significa “giglio”.

(6) Sal 67, 14

(7) 1Cor 6, 15·

(8) Dn 13, 20 e segg.

(9) Sal 44, 11-12.

(10) 1Cor, 7, 9.

(11) 1Cor, 6, 18.

(12) Ibid, 6, 20-21.

(13) Ef 5, 3.

(14) Ef 5,5·

(15) 1Cor 7, 34.

(16) Mt 10, 26.

(17) Lc 12, 3.

(18) Sal 44, 11.

(19) Lc 8, 5 e segg.

(20) 1Cor 3, 12.

(21) Mi 7, 1.

(22) Vedi Mt 18, 6.

(23) Is 1, 5-6.

(24) Ez 23, 11.

(25) Ger 8, 22.

(26) Gl 2, 12-13.

(27) Dn 5, 30.

(28) Probabilmente vuole alludere alle promesse fatte nel Battesimo.

(29) Rm 2, 5-6.

(30) 2Cor 12, 21.

(31) Gen 19, 25.

(32) Ibid. 19, 29.

(33) 2Cor 5, 10.

(34) Lam 2, 13-19.

(35) Sal 50, 19.

(36) Ger 9, 1.

(37) Am 8, 10.

(38) Sal 38, 3-4·

(39) Ibid. 54, 6.

(40) Gn 2, 6.

(41) 1Re 2, 25.

(42) Sal 7, 15 e segg.

(43) Ibid. 72, 19-20. “Come il sogno di coloro che si svegliano, Signore, Tu riduci al nulla nella tua città l’immagine loro”, dice la Volgata.

(44) Ibid. 101, 7.

(45) Ibid. 141, 5.

(46) Sal, 30, 13-14.

(47) Gb 3, 3·

(48) Sal 72, 27.

(49) Ibid. 21, 16.

(50) Sal 37, 1-11

(51) Ibid.59, 3-5.

(52) Ibid. 29, 10.

(53) Ibid. 87, 2.

(54) Ez 33, 2.

(55) Sal 118, 176.

(56) Ibid. 3, 3.

(57) Ibid. 118, 2. La citazione è accomodata.

(58) Ibid. 142, 2.

(59) Ibid. 118, 81.

(60) Sal 34, 17·

(61) Ibid. 38, 12.

(62) Ibid. 24, 18.

(63) Ibid. 38, 14·

(64) Ibid, 24, 12.

(65) Ibid. 115, 16.

(66) Gs 6, 17.

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