Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: “Comunione spirituale e comunione psichica” tratta dal testo “Vita comune” di Dietrich Bonhoeffer.
Venerdì 24 febbraio 2023
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Mt 9, 14-15)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a venerdì 24 febbraio 2023. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo nono del Vangelo di San Matteo, versetti 14-15.
Continuiamo la nostra lettura e il nostro commento del libro di Bonhoeffer, Vita Comune.
Iniziamo oggi un nuovo capitolo intitolato “Il Servizio”. Ormai vi sarete resi conto di come questo teologo ci abbia fatto fare e ci stia facendo fare un vero percorso spirituale: siamo partiti dalla comunione psichica e dalla comunione spirituale con tutti gli annessi e connessi; poi abbiamo approfondito tutto il tema della preghiera, della giornata vissuta in comune – il grande e bellissimo tema della vita comunitaria; poi ci ha parlato della vita vissuta in solitudine con tutto il tema della preghiera, del rapporto con Dio, dell’Ufficio Divino, del canto, della preghiera di intercessione. Adesso Bonhoeffer ci fa arrivare a questo nuovo tema, quello del servizio, continuando il nostro percorso spirituale con lui. È veramente una grande ricchezza perché le cose che abbiamo letto sono assolutamente vere e attuali. Ora vedrete se quello che vi leggerò non lo sia altrettanto.
«Sorse poi fra di loro una questione: chi di loro fosse il maggiore» (Lc 9,46). Conosciamo chi semina pensieri del genere in seno alla comunione cristiana. Forse però non riflettiamo a sufficienza sul fatto che non può esservi comunione cristiana, senza che immediatamente affiori questo pensiero, come un seme della discordia. Basta che delle persone stiano insieme, per cominciare subito a studiarsi reciprocamente, a giudicarsi, a classificarsi. Già sul nascere comincia così nella comunione cristiana una tremenda lotta all’ultimo sangue, di cui spesso non ci si rende conto, che spesso rimane invisibile. «Sorse poi fra di loro una questione» – basta questo per distruggere una comunione.
Quindi è una necessità vitale che ogni comunità cristiana fin dall’inizio tenga presente e cerchi di estirpare questo pericoloso nemico. Non c’è tempo da perdere; infatti fin dal primo momento dell’incontro con l’altro ciascuno cerca di occupare una posizione strategica da poter mantenere e difendere contro di lui. Ci sono persone forti e persone deboli; se non si è del primo tipo, si reagisce adducendo contro i forti il diritto dei deboli. Ci sono persone più o meno dotate, persone semplici e persone complicate, temperamenti più o meno inclini alla devozionalità, individui socievoli e introversi appartati. Forse colui che è meno dotato non dovrebbe cercare di occupare una posizione ben precisa come chi è più dotato? Lo stesso c’è da chiedersi per chi ha una personalità complicata rispetto a chi è più semplice. Se non ho doti speciali, forse sono particolarmente devoto, e se non ho questa inclinazione, mi compiaccio di non averla. Chi è socievole non potrebbe diventare un punto di riferimento esclusivo, mettendo in cattiva luce chi è riservato, e quest’ultimo a sua volta non potrebbe diventargli nemico irriducibile e alla fine aver la meglio su di lui? Ognuno trova con istintiva sicurezza un punto fermo per difendersi, e non lascerebbe mai ad un altro questa posizione, per cui è disposto a lottare con tutte le sue energie, spinto dall’istinto di… . Può darsi che questo si verifichi sotto forme quanto mai corrette, o addirittura piene di devozione, ma l’importante è che una comunità cristiana si renda conto che si porrà inevitabilmente la questione «chi di loro sia il maggiore». E il combattimento ingaggiato dall’uomo naturale per l’autogiustificazione. Egli si trova giustificato solo nel confronto con l’altro, nel giudicarlo e nel condannano. La ricerca dell’autogiustificazione e il giudicare sono strettamente connessi, così come d’altra pane la giustificazione per grazia e il servire.
Ci fermiamo: credo che siate d’accordo con me.
Bonhoeffer ci ha messo addosso una bella lampada di luce e adesso lasciamoci indagare da queste riflessioni, a mio giudizio, verissime.
“Conosciamo chi semina pensieri del genere in seno alla comunione cristiana”, cioè pensieri su chi fosse maggiore tra loro. Penso che siamo tutti d’accordo sul fatto che solo l’homo inimicus, il diavolo, è all’origine di tutto questo. È lui questo che “semina”, che “semina di notte” questi pensieri così pericolosi (ricordate la parabola della zizzania?), dice Bonhoeffer, dentro la comunione della vita cristiana. E, allo stesso tempo, lui aggiunge che non ci può essere comunione cristiana senza che immediatamente questo pensiero affiori, che affiori questo seme della discordia. È proprio la parabola del buon grano e della zizzania: dove c’è il grano – andate a vedere un campo di grano – c’è sempre la zizzania. Anche adesso che mettono tutti i diserbanti del mondo, seminano in un certo modo, in un campo di grano voi troverete sempre la zizzania, sempre! Dove c’è il grano, c’è la zizzania. E questo seme di discordia su chi fosse tra loro il maggiore, è un seme di discordia: non dimentichiamolo mai.
Quando nella nostra anima comincia a muoversi questo pensiero – e purtroppo questo pensiero si muove e, tanto meno siamo trasformati in Dio, tanto più si muove – dobbiamo stare molto attenti! “Chi fosse il maggiore” tutti questi ragionamenti su chi sia il più importante, su chi conti di più, su chi abbia più posti, più incarichi!
In che modo inizia ad affiorare questo seme della discordia? Bonhoeffer ci dice che comincia ad affiorare attraverso lo studiarsi reciprocamente, il giudicarsi, il classificarsi. Dovremmo davvero fermarci su ognuna di queste tre parole per diverso tempo perché sono importantissime. Noi che ci diciamo cristiani, figli dell’unico Padre, Dio, fratelli in Gesù, che cosa facciamo quando siamo insieme? Ci studiamo! Ci giudichiamo! Ci classifichiamo! Mettiamo addosso alle persone un’etichetta e basta: quella persona sarà quell’etichetta per sempre. È proprio una condanna a morte! Non è che uno dica: “No, magari quella persona si converte, cambia, migliora”. No, basta: quella persona è stata classificata così e così resterà fino alla fine della sua vita. Quella persona l’ho giudicata così e così sarà per sempre!
Invece di guardarci con uno sguardo grato a Dio per il dono dell’altro che riceviamo, come abbiamo visto nei giorni precedenti, ci guardiamo per studiarci, per giudicarci.
Quando insegnavo, ricordo che si tenevano i consigli di classe, riunioni in cui tutti i professori di una classe si riuniscono ed esprimono una valutazione sugli alunni per poi decidere il voto e, alla fine dell’anno, decidono se promuovere o bocciare. Durano ore, e ore, e ore. La prima volta in cui partecipavo, a un certo punto, mi sono girato verso un collega e ho chiesto: “Scusa un attimo: fare un consiglio di classe significa parlare male degli alunni per un pomeriggio intero? Noi ci troviamo insieme per parlar male degli alunni per cinque o sei ore? C’è da impazzire! Questi alunni sono solamente “male”? E non fanno questo; e non fanno quell’altro; e non studiano…”.
Poi ricordo che hanno detto: “Ah, andando in giro per la città, li ho visti lì con il loro amici…”. Allora sono intervenuto dicendo: “Scusate un attimo: a noi che cosa interessa dove vadano gli alunni dopo la scuola? Noi siamo professori di questo Istituto e siamo chiamati a esprimere un giudizio sul rendimento scolastico e sul comportamento dell’alunno: in pagella escono un voto relativo a ciascuna materia e un voto di condotta! Punto! Non esce altro. Certo, se poi dobbiamo esprimere un giudizio complessivo sulla persona, esprimeremo il giudizio seguendo una griglia di valutazione, ma poi è finita lì! Questa non è la Bottega del Ricciolo d’Oro dove ci ritroviamo a chiacchierare sulla vita degli altri e a sparlare della vita degli altri”.
E poi ho aggiunto: “Questi alunni di cui stiamo parlando, hanno solo difetti? E questo non va bene; e quell’altro non va bene; e questo è sbagliato; e quell’altro è sbagliato… Ma santa pazienza! Non è possibile che abbiano solo difetti: ci saranno anche dei pregi!” — “Eh, sì…” — “Allora facciamo così: comincia parlare dei pregi di questi alunni, della fatica che fanno, delle situazioni familiari che vivono, dell’impegno che mettono nello studio, della dedizione che devono avere, di quanto noi siamo pesanti! Giudichiamo loro e mettiamo in evidenza i loro difetti: e noi? Noi siamo perfetti? Quanto siamo “pesanti”? Quante volte spieghiamo male, siamo impreparati nelle lezioni; quante volte entriamo in classe nervosi, li abbiamo trattati male e quante volte abbiamo chiesto scusa? Ah, ma di questo non parliamo, perché noi siamo perfetti come Dio!”
Voi chiederete perché io vi racconti questo fatto: lo raccontò perché quello che vi racconto adesso, poi lo potete applicare su ogni situazione di comunità. Ascoltate questa cosa che, credo, sia importante.
Poi ho detto: “Noi siamo qui a parlare di ciascun alunno a porte chiuse e stiamo facendo un processo — perché, nel momento in cui io continuo a parlare male di una persona, io sto facendo un processo — ma persino il criminale più criminale del mondo, quando viene preso, accusato dei crimini più efferati e sottoposto a processo, è presente e ha diritto di difendersi. Ha il diritto sacrosanto, sancito dalla legge, di ascoltare tutte le accuse, di sapere chi le muove — non possono essere accuse varie, vane e soprattutto vaghe — o, se ci sono ragioni di sicurezza, vedere che c’è comunque qualcuno che sta parlando di lui anche se con il volto coperto, con la voce camuffata. Deve sapere che c’è qualcuno che sta parlando di lui, che sta dicendo il male di lui, lo deve poter sentire. Poi ha la possibilità di difendersi; alla fine sarà condannato, avrà l’ergastolo, tutto quello che volete, ma non si può negare a una persona la possibilità di rispondere, di “dire la sua”. Poi il giudice deciderà, ma l’imputato deve avere la possibilità di parlare! Qui, invece, no! Se l’alunno fosse qui presente, noi diremmo tutte queste cose? Io credo di no, perché quando si parla male di qualcuno c’è sempre dietro un po’ di vigliaccheria, e non solo un po’… un po’ tanta! Ed è comodo trovarci noi professori a parlare tutti male degli alunni. Stiamo attenti a non diventare il circolo dei vigliacchi: non è che, siccome l’accusato è assente, allora noi spariamo a zero con la mitragliatrice senza guardare in faccia nessuno? Se la persona fosse presente, vorrei vedere quanti di noi avrebbero il coraggio di dire quello che stanno dicendo e sostenere lo sguardo di quella persona! E poi, soprattutto, accettare il contraddittorio: tu dici questo, mentre Tizio dice altro e allora c’è il confronto. Voglio vedere quanti di noi siano in grado di fare questo. Troppo comodo nascondersi in una sala e sparare a zero contro le persone, senza che queste siano presenti. Troppo comodo, troppo facile, troppo da vigliacchi! Vogliamo parlare male? Benissimo: facciamolo con le persone presenti o, quantomeno, riferiamo alle persone che io ho detto questa cosa. Invece che cosa facciamo? Davanti alle persone facciamo tutti i carini, i dolcini, i tenerini e quant’altro, poi, quando siamo tra di noi, si salvi chi può, cioè nessuno!”.
Scusate, ma mi vengono in mente scene di vita quotidiana. Proprio in questo consiglio di classe, in particolare, si affrontarono due casi che ora mi tornano in mente (ricordo ancora i nomi). Il primo alunno fu definito “terribile, condotta indecente, disobbediente, non studia, è maleducato, si comporta mele, è un lazzarone”, la somma del male possibile, senza un pregio, manco fosse Lucifero!
Poco dopo nell’elenco, arriva il secondo alunno che era esattamente il contrario: un ragazzino meraviglioso, un angelo. Io gli volevo un bene dell’anima; sembrava di vedere un angelo: composto, educato, studiosissimo, veniva a scuola con il suo quaderno (eravamo alle Superiori) con le sue matite e penne colorate e, mentre il professore parlava, lui sottolineava, sottolineava con il rosso, con l’azzurro. Un rigore, un ordine, uno studio, tutti i quaderni plastificati, tenuti bene, sembrava di vedere un angelo seduto!
Dentro di me — anche perché avevo un debole per lui, come per altri, volevo bene a tutti, ma alcuni ti rubano un po’ il cuore — ho detto: “Su questo, Giorgio, tranquillo, qui non c’è da difendere nessuno” e ho deposto l’alabarda spaziale perché lì si andava tranquilli! Non ho fatto in tempo a dirmi questa frase che salta su la professoressa della tal materia e dice: “Ah, questo qui è proprio un frustrato depresso!”. Non ci ho visto più! Ricordo che avevo tolto gli occhiali e li avevo posati sul tavolo perché pensavo di poter essere tranquillo e di potermi riposare un attimo: quando ho sentito questa frase, mi sono sentito il sangue negli occhi e lì ho perso ogni ritegno, perché non era possibile: quella era cattiveria!
“Se sono attivi, iper-attivi, agitati, allora sono cattivi, maleducati, cafoni, disobbedienti e meritano il sette in condotta; se sono studiosi, se hanno tutti dieci e si comportano bene, allora sono depressi e frustrati? Ma dove siamo qui, in psichiatria? Noi siamo in psichiatria: qui siamo impazziti”.
“Eh, ma lei, professore, dice così perché questo alunno è il suo “cocco”!”
“Se io difendo un alunno, è il mio cocco e non va bene; se tu l’attacchi, allora che cos’è? Questo va bene? Questa è logica, si chiama logica: se io lo difendo, è il mio “cocco”; se tu lo attacchi, lo denigri, lo accusi e lo diffami, questo, invece, va bene! Difenderlo non va bene perché è il mio “cocco”; attaccarlo e diffamarlo, invece, va bene! La logica quel è? Scusate, io non vedo la logica! È un problema di logica: qui non c’è logica!”
“Ecco, adesso lei si mette a fare il sofista!”
“No, no: io sto facendo un ragionamento di logica, quindi lei mi spieghi dov’è la logica, perché, se la logica non c’è, allora stiamo con la bocca chiusa! Qui non c’è logica!”.
Prendete questi esempi che vi ho fatto, trasportateli nella vostra vita al di fuori della scuola, sulla vita in parrocchia, in famiglia, in convento ovunque: sono le stesse, identiche dinamiche. Perché vi faccio questi esempi? Perché vi potrei fare lo stesso discorso in astratto ma non sarebbe altrettanto efficace.
Qui vi apro un’altra parentesi personale.
Era qualche anno che ero già sacerdote ed ebbi un incontro per x ragioni con l’Arcivescovo di Milano di allora (anche qui non faccio nomi per rispetto della privacy). Verso la fine dell’incontro l’Arcivescovo mi disse: “Senti, Padre Giorgio, ma tu, com’è che predichi?”. Io sono rimasto spiazzato da questa domanda e ho risposto: “Boh, com’è che predico? Leggo il Vangelo e lo commento” e lui mi disse: “Ricordati quello che ti dico adesso: non confondere mai il pulpito con la cattedra!”. E io ho chiesto: “Scusi, Eminenza, che cosa vuol dire?”. E lui rispose: “Vuol dire questo: quando ti siedi in cattedra, fai lezione; quando sei sul pulpito, devi trasmettere la Parola di Dio alla gente. Ricordati che, se riesci, è molto importante fare esempi di vita concreta. Sai perché? Perché, di tutto quello che tu dirai nell’omelia, molte cose si perderanno, la gente non può ricordare tutto, ma se tu in un’omelia metti dentro uno o due fatti di vita concreta, della tua esperienza, di quello che hai vissuto, vita concreta che “sa di vita”, alla gente rimarranno sicuramente impressi. Dopo un anno i fedeli si saranno sicuramente dimenticati di quello che hai detto, ma quell’esempio di vita concreta che tu hai portato nell’omelia, sarà molto difficile che se lo dimentichino!”.
Ho risposto: “Guardi, Eminenza, non ci ho mai pensato, anche perché fare un esempio personale, di vita vissuta potrebbe risultare stucchevole”. “No, no, no! Non c’è niente di stucchevole: tu prova e vedrai come quello che ti sto dicendo sarà vero!”
Da quella volta ho cercato di usare questo metodo: non sempre, non sempre ci riesco, ma spesso lo uso e anche a me fa bene perché aiuta anche me a riportare alla mente certe situazioni. Dirle a voi diventa una riflessione anche per me, perché non le vivo più in questo momento. Ora non sto più insegnando, non sono professore come allora, però riportarle alla mente mi aiuta a riflettere su queste cose.
Ve lo dico perché, magari, vi chiedete come mai ogni tanto Padre Giorgio vi racconti i suoi fatti personali. Lo faccio perché credo che aiuti e che possa essere un modo per “sbriciolare”, per semplificare, per rendere più fruibili e più “digeribili” certi concetti che, a volte sono un po’ densi, un po’ difficili da assimilare.
Detto questo, probabilmente avevo aperto una parentesi ma non ricordo. Beh, chiudiamo tutte le parentesi adesso e, se ne ho aperta una prima, mi spiace, me ne sono dimenticato. Le cose da dire sono sempre tante e si perde il filo e poi si invecchia, quindi abbiate pazienza!
Vi dicevo: prendete quello che vi ho raccontato della mia esperienza a scuola e trasportatelo nella vostra vita; imparate a essere sempre “seminatori di concordia”, non di discordia; impariamo a seminare speranza, non disperazione; impariamo a mettere in buona luce le persone. Noi non dobbiamo “parlare bene” delle persone, noi dobbiamo parlare “vero” delle persone; un parlare che sia vero, reale e non esiste nessuno che sia solo male, non esiste! C’è sempre tanto bene nelle persone, tanto bene! E soprattutto, non giudichiamo nessuno senza prima averlo incontrato, mai! Non basiamoci su quello che gli altri dicono!
Il mio maestro di Noviziato, dopo sei mesi che eravamo in Convento ci disse: “Quando siete arrivati, mi è stata consegnata una relazione su di voi. È ancora lì chiusa nella busta, non l’ho aperta!”.
“Ma, Padre, come mai?”
“Perché mi avrebbe condizionato. L’aprirò verso la fine del Noviziato per vedere in che cosa sono d’accordo oppure no, ma voglio farmi io un’ idea su di voi, vivendo con voi”.
Questa cosa per me è stata molto importante. Sapete, i sacerdoti sentono tante cose e, innanzitutto, quando qualcuno mi si avvicina e comincia a parlarmi male di altri, io già chiudo le orecchie da una parte, chiudo l’orecchio di destra – il sentire parlare male di una persona non mi interessa – e comincio a pensare alla persona che ho davanti e dico: “Bene, questa persona, accusando l’altra, sta parlando di sé, è probabile che questo male ce lo abbia dentro lui, non l’altro! Per quale motivo uno dovrebbe avere il gusto di venirmi a parlare male di un altro?” Che gusto c’è nel parlar male delle persone? Se tu hai gusto nel parlar male di qualcuno, c’è un problema spirituale dentro di te: se non psicologico, sicuramente spirituale! Mai fidarsi di chi parla male degli altri, anche perché, come dicono i santi, chi parla male degli altri con te, con gli altri parla male di te: questo è sicuro, è una legge sicura al mille per cento. State lontani dai mormoratori e dai calunniatori, perché quelle persone, appena vi girate, parlano male di voi con gli altri e il giudizio feroce che esprimono contro gli altri, state tranquilli che lo esprimono anche contro di voi. È sicuro al cento per cento. Santa Teresa diceva che la mormorazione è la peste dei conventi. Bisogna stare lontano da chi parla male delle persone. E il fatto che io sia un superiore, un professore, un non so che cosa, non mi autorizza a parlar male di te: eh no, caro!
San Tommaso diceva che, se io devo correggere qualcuno, innanzi tutto devo parlare con la persona in oggetto, non con gli altri: il primo passo è parlare con la persona in oggetto, subito! Se questo non funziona, a quel punto potrai parlarne con qualcuno per trovare la soluzione per questa persona; se ancora non funziona, allora ne parlerai con la comunità. Ma c’è uno step by step. Invece, noi facciamo il contrario: prima ne parliamo con tutti e poi, forse, ne parliamo con la persona in oggetto. No!
È bello che uno vada a fare un consiglio di classe dicendo prima agli alunni quello che pensa: perché no? “Guardate, io andrò al consiglio e dirò questo, questo e questo, perché questo è quello che penso di voi”. E così si ascolta quello che loro hanno da dire.
All’interno di una famiglia è importante dire le cose che non vanno: non bisogna parlarsi alle spalle! All’interno di una comunità è importante dire quello che non funziona, nessuno è perfetto! Qui non c’è Dio che cammina, quindi diciamoci le nostre cose, parliamoci con semplicità. Che cosa abbiamo da perdere? Niente! Abbiamo solo da guadagnarci e poi si cresce insieme, senza bisogno di fare — come dice Bonhoeffer — una lotta tremenda all’ultimo sangue di cui spesso non ci si rende conto e che spesso rimane invisibile. Una lotta all’ultimo sangue, guardate che è così!
Una volta, dopo che una persona ne aveva dette di tutti i colori su di un altro, mi sono avvicinato, ho tirato fuori un fazzoletto e gliel’ho dato.
“Perché mi dai un fazzoletto?”.
Sapete che cosa gli ho risposto? “Perché hai la bocca sporca di sangue, asciugati!”
“Ho la bocca sporca di sangue? Perché, mi sono tagliato?”
“No, no, non è il tuo sangue: è quello di quella persona. Lo hai dilaniato, lo hai sbranato con la tua lingua! Non gli hai lasciato attaccato neanche un osso, peggio di una iena, peggio di un avvoltoio”.
Non si fa così con le persone! Non è giusto!
Quando mi dicono: “Padre, lei è troppo severo! È troppo duro!”. Io rispondo: “Se questo vuol dire che chiamo le cose con il loro nome davanti a te, ringrazio Dio. Se vuol dire questo, ringrazio Dio! Preferiresti che io lo facessi alle spalle e davanti a te fossi tutto “sugar and sugar“?”
No, questa non è la strada. Secondo me, meglio essere precisi, alle volte anche un po’ duri – può essere necessario – ma davanti, non alle spalle della persona, davanti al suo volto, assumendosi la responsabilità di quello che bisogna dire, non alle spalle!
Sul tema della mormorazione siamo già tornati nei tempi passati; ricordate il famoso sermone di san Giovanni Maria Vianney sulla mormorazione? Lo trovate su Internet: andate a leggerlo. Quando lo leggete, vi vengono i sudori ghiacciati lungo la schiena! Le parole che scrive contro i mormoratori sono ferocissime! E non ci sono scusanti: nessuno, nessuno può ritenersi auto giustificato — come scrive Bonhoeffer — quando mormora, lo vedremo domani. Non c’è una ragione sola che giustifichi e assolva il mormoratore, mai! Non esiste! Tu stai mormorando quando dici anche la verità, ma in negativo, su una persona, alle spalle di quella persona, nascostamente da quella persona!
“Ah, ma io sono il suo superiore, il suo professore!”. Non ha nessuna importanza! Nessuno può fare questo, perché è un comportamento da vigliacchi. Quando poi te lo trovi davanti, queste cose gliele dici? No, non gliele dici! Anzi, stai bene attento a non dirgliele, perché hai paura.
E questa persona quando potrà dirti la sua versione? Mai! Mai! Morirà senza mai aver avuto la possibilità di dire una parola, di farti capire anche la sua versione.
Vi dico questo sulla mia esperienza in carcere e concludo. Questa cosa, in carcere, è terribile: il mormoratore in carcere ha vita breve, veramente vita breve. Si guardano bene dal parlare male degli altri! Magari fanno a pugni e se le danno di santa ragione, ma davanti! Se tu lo fai alle spalle, questo comportamento loro lo chiamano il comportamento “degli infami”. Quando uno mormora alle spalle di un altro, loro dicono: “Questa è un’infamata!”. In carcere, dire a qualcuno: “Quello è un infame”, è peggio di dirgli che quello è un assassino. Se passa per essere un infame, un detenuto ha finito di vivere! È il peccato più imperdonabile che ci sia in carcere.
Le cose vanno dette davanti!
Mi sono soffermato molto su queste quattro righe e qualcuno mi dirà: “Padre, un po’ troppo!”. Può darsi che io mi sia soffermato troppo, lo riconosco, e mi scuso se ho rubato troppo tempo, soffermandomi eccessivamente su questa questione. Mi scuso, mi dispiace, non è mia intenzione rubare il tempo a nessuno, ma credetelo, ho visto troppa sofferenza per queste cose: in cinquant’anni di vita ho visto troppo dolore, troppa ingiustizia, troppe situazioni brutte a causa di tutto questo, troppa discordia seminata veramente ingiustamente.
Allora voglio concludere la meditazione di oggi dicendo a me e a voi: “Mia raccomando, mi raccomando, per amore di Dio: stiamo lontani dal peccato infame della mormorazione e della diffamazione. Non c’è mai una ragione che ci auto giustifica e che ci auto assolve: è un peccato odiosissimo. È la peste dei conventi, diceva Santa Teresa. Gesù usa parole terribili contro la mormorazione parlando a Santa Faustina Kowalska. Pensate quello che ha sofferto san Pio da Pietrelcina, quel santo sacerdote, a causa della calunnia. Non vado oltre…
Diventiamo sempre testimoni di speranza, sempre testimoni di bellezza, di futuro, di bontà e, se dobbiamo correggere, facciamolo con la persona: preghiamo prima lo Spirito Santo perché illumini me e l’altra persona, andiamo direttamente da lei e con le parole più dolci, più belle, più vere andiamo a dire con molta carità quello che pensiamo. In modo breve, senza fare i professori, i profeti, in modo breve, pulito, molto umile, molto delicato, andiamo a dire il nostro pensiero e basta!
E poi ringraziamo di averci ascoltato – dobbiamo sempre ringraziare quelli che correggiamo – magari ringraziamo di aver accettato la nostra correzione (un grande atto di umiltà) e veniamo via con molto rispetto e molta delicatezza. Credo che questo sia il modo che fa piacere a Gesù, che estirpa il seme della discordia, che non ci fa lottare all’ultimo sangue, che non ci fa avere la bocca sporca del sangue dell’altro, ma che ci fa camminare in mezzo ai nostri fratelli come angeli di Dio.
Ricordo che stasera ci sarà la Catechesi sui Dieci Comandamenti su Radio Mater alle ore 21:10. Chi desidera può collegarsi su Radio a Mater dalle 21:10 alle 22:30. Sarà la seconda Catechesi e avrete anche la possibilità di telefonare, di intervenire e fare domande. A presto!
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.