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“Venite, ritorniamo al Signore” (Os 6,1)

Venite ritorniamo al Signore

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: “Venite, ritorniamo al Signore” (Os 6,1).
Sabato 18 marzo 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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PRIMA LETTURA (Os 6, 1-6)

«Venite, ritorniamo al Signore:
egli ci ha straziato ed egli ci guarirà.
Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà.
Dopo due giorni ci ridarà la vita
e il terzo ci farà rialzare,
e noi vivremo alla sua presenza.
Affrettiamoci a conoscere il Signore,
la sua venuta è sicura come l’aurora.
Verrà a noi come la pioggia d’autunno,
come la pioggia di primavera che feconda la terra».
Che dovrò fare per te, Èfraim,
che dovrò fare per te, Giuda?
Il vostro amore è come una nube del mattino,
come la rugiada che all’alba svanisce.
Per questo li ho abbattuti per mezzo dei profeti,
li ho uccisi con le parole della mia bocca
e il mio giudizio sorge come la luce:
poiché voglio l’amore e non il sacrificio,
la conoscenza di Dio più degli olocàusti.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 18 marzo 2023.

Ricordiamo quest’oggi San Cirillo di Gerusalemme, vescovo e dottore della Chiesa.

Abbiamo ascoltato la prima lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal libro del profeta Osea, capitolo sesto, versetti 1-6.

Ieri abbiamo finito la lettura del libro di Bonhoeffer Vita comune, che ci ha tenuti impegnati per tanti, tanti giorni, anzi dobbiamo dire per qualche mese. Credo di poter dire che è stata una lettura utile, almeno per me lo è stata molto, un momento di meditazione personale anche molto proficuo, e credo che sia un libro che andrà ripreso. Ognuno di noi poi troverà i tempi e modi per poterlo rileggere e poter magari tenere delle parti del libro un po’ sempre sott’occhio, perché credo che ci siano veramente tanti spunti molto utili, che forse richiedono un impegno di una vita per essere messi in pratica, ma comunque… Ciò che conta, lo vedremo adesso, è crescere nella conoscenza del Signore. E allora da oggi, non so per quanto tempo, non so dirvelo, ci torneremo a concentrare sulla parola di Dio della Messa del giorno.

Quando poi dovessi trovare qualche altro testo particolarmente significativo, che mi sembra giusto sottoporvi, allora magari ricominceremo un ciclo di meditazioni. Allo stesso tempo credo che sia bello, ogni tanto, soprattutto dopo la lettura di Bonhoeffer, lasciarci guidare un pochino da una meditazione concentrata solo e unicamente sulla Parola di Dio.

Anche perché poi siamo in Quaresima, ci stiamo avvicinando sempre di più verso la Settimana Santa, verso il Triduo, quindi può esserci utile.

Ho scelto questa prima lettura e non il Vangelo — molto bello anche il Vangelo di oggi. È un Vangelo conosciuto, quello del fariseo e del pubblicano, però credo anche quello, non abbastanza meditato forse nella nostra vita — ma ho scelto questa prima lettura perché credo che ci siano tanti spunti che possano in qualche modo aiutarci.

Cosa dice il profeta Osea? “Venite, ritorniamo al Signore”. C’è un bisogno, un bisogno profondo che il profeta ci chiama a rivedere: quello di deciderci, di andare. È un movimento, è proprio un cammino e non è — vedete — un movimento solo dell’anima, non è un ritorno solo del cuore, ma di tutta la persona.

Abbiamo bisogno di tornare a Dio, di alzarci e di dirigerci verso Dio. Perché dico di tutta la persona? Perché poi vedete, le scelte che dobbiamo fare sono scelte che comportano anche fisicamente degli spostamenti. Decidere di restare o andare via quando siamo alla presenza di qualcuno che non va bene, comporta il movimento del corpo; decidere di parlare o tacere è un movimento; decidere di mangiare fino a morire o di fare digiuno, o di vivere in equilibrio, è un movimento, un movimento delle gambe, della bocca e delle braccia.

Decidere di entrare in una chiesa al posto che entrare in una gelateria, è un movimento, c’è un bisogno anche fisico. Non accendo la televisione stasera, non mi metto a guardare i video su YouTube prima di andare a letto, è un movimento. Decido di andare a letto in modo puntuale per potermi presto domani mattina alzare e lodare Dio, è un movimento. Anche lo stare fermi è movimento, perché chiedo al mio corpo di stare lì e questo muove tutta la mia persona a stare lì. Movimento non è solo correre, movimento è anche stare. E quindi tutto il movimento della nostra persona — il profeta Osea ci dice — deve andare verso il Signore. Perché Lui è colui che guarisce. È colui che fascia. È colui che ci fa rialzare. È colui che ci dà vita.

Vedete che opere che fa Dio: guarire, fasciare, ridare vita, rialzare. C’è dentro tutto il bisogno dell’uomo. C’è dentro tutta la cura di un padre. Beh, Osea ci rivela proprio il volto di un padre. Quando lui scrive, è molto bello. Il libro di profeta Osea, se non lo avete mai letto, leggetelo, ve lo consiglio.

È proprio l’opera di un padre, le quattro opere di un padre: guarire, fasciare, ridare vita e rialzare. Perché un figlio spesso si ammala. Quando eravamo piccolini, credo che tutti ricordiamo, ci ammalavamo e il nostro papà o la nostra mamma si prendevano cura di noi. Stavano a casa dal lavoro, ci preparavano le spremute, cambiavano il letto quando tiravamo su l’anima, perché da piccoli succede, ci facevano le carezze perché avevamo male alle orecchie, ci facevano dormire con loro perché avevamo la febbre, ci cambiavano la maglietta… vedete? Vedete questa opera di guarigione, di dare le medicine, di riportare anche il corpo al suo equilibrio, importantissimo.

Pensiamo all’opera di fasciare: quante volte siamo caduti! In bicicletta, correndo nei prati, a giocare a calcio, quante volte! E poi cosa faceva la mamma o il papà? Ci guariva. Da bambino io istintivamente, chissà perché non lo so, andavo sempre dal papà a farmi fasciare, a farmi medicare, non andavo dalla mamma, non so come mai mi dava più sicurezza il papà. E andavo da lui a farmi curare le ginocchia sbucciate e questo e quello, insomma.

Ridare vita! Guardate ridare vita cosa vuol dire: vuol dire ridare speranza. La vita è speranza e la speranza è vita. Il nostro Padre celeste ci ridà vita, sempre, perché ci dà speranza. È proprio il Dio della speranza.

Quando siamo davvero davanti a Lui in compagnia sua, noi sentiamo la speranza che viene dal suo sguardo benevolo, che viene dalla sua voglia di vederci migliori, dal desiderio che ha di vederci suoi figli, che ci comportiamo da veri figli; la speranza che Lui ha, e che quindi ci comunica, di vedere che riconosciamo le nostre cadute, corriamo da Lui, un po’ come da bambini, no?

Si cade, ci si sbuccia e si corre dal papà a farsi curare. Non è che mi nascondo e mi faccio marcire la gamba perché son caduto. Ho sbagliato! Sono caduto, mi sono fatto male al ginocchio, sanguinolento, corro da papà e cosa dico? “Papà, sono caduto”. Mai successo che io venissi sgridato perché ero caduto. Perché fa parte dell’esperienza umana, cadere! Sono caduto, ho sbagliato, sono andato a sbattere contro un muro, non ho visto il sasso, sono inciampato. E papà che cosa fa? Tira fuori tutte le sue medicine e ci cura, e ci consola, perché poi siamo spaventati, poi piangiamo, poi vediamo il sangue, poi quella caduta è sempre la caduta eterna: da lì non ci rialzeremo più, “Ecco, allora io adesso in bicicletta non ci vado più, perché…” e quindi ci vuole la speranza di colui che ti dice: “No! Adesso vai in bicicletta”.

Mi ricordo le mie prime cadute. Dicevo: “No, basta la bicicletta non la voglio più, no no, assolutamente non la voglio più, non sono capace”. Era tre giorni che andavo in bicicletta. Queste espressioni dei bambini: “Nella mia vita non andrò più in bicicletta”. E invece il papà è servito per dire: “No no, adesso scendi, prendi la bicicletta e vai, fai attenzione”.

Nella mia vita ho fatto un incidente grave da quando ho la patente. Grave nel senso che non mi sono fatto niente, ma ha causato un danno forte alla macchina. Un camion non ha rispettato uno stop, io arrivavo dritto su una strada e mi è venuto sulla destra. Mi ha proprio sbattuto là in qualche modo; per grazia di Dio non mi sono fatto niente. Però mi ricordo che lo spavento è stato terribile, perché poi era il mattino presto, non me l’aspettavo, è stato un colpo potentissimo. Dallo spavento, ero lì tutto che tremavo. E poi ero giovanissimo. E mi ricordo la prima cosa che mi disse mio padre fu proprio questa. Una volta sistemate le pratiche amministrative — non gli ho detto niente, ma lui mi ha visto negli occhi, ha capito tutto — la prima cosa che ha fatto è questa: mi ha dato le chiavi della sua macchina, proprio mentre eravamo ancora lì. Mi ha detto: “Adesso guida tu per tornare a casa”. Io l’ho guardato e ho detto: “Cosa? Ma ho appena fatto un incidente che a momenti muoio!”. E lui mi ha detto: “Giorgio, se non inizi immediatamente a guidare adesso, non guiderai mai più. O ricominci adesso a guidare o tu non guiderai più, te lo assicuro”. Vi immaginate? Io avevo un terrore addosso, sarò andato a dieci all’ora, lui non ha fatto una piega, perché va bene così. Però non ho smesso di guidare.

Vedete come ridà vita il Padre celeste? Immaginate se queste cose fa il padre terreno, cosa fa Dio? Coi nostri peccati, con le nostre cadute, ma qualunque peccato avessimo fatto! E poi ci fa rialzare. Ci fa rialzare ci rimette in piedi, ci ridà dignità, che bello, no?

Il nostro Padre del cielo ci ridà dignità, cioè ci dice: “Sta in piedi, non devi stare in ginocchio davanti a nessuno, non devi stare prostrato nel fango, non è il tuo luogo, non è il tuo modo, non devi andare in giro tutto zoppo, piegato, tutto malconcio, brutto, sporco, no! Devi avere la postura del figlio di Dio”.

 E tutto questo perché? Questo guarire, questo fasciare, questo ridare vita, questo rialzare, perché? Qual è lo scopo? Che uno dice: “Beh, in tutto questo c’è già uno scopo, quello che abbiamo visto”. Ma qual è lo scopo ultimo, proprio — diremmo in un linguaggio tecnico — il telos verso cui tutte queste opere di Dio Padre ci spingono a guardare, ci vogliono portare? Ce lo dice Osea, “vivremo alla sua presenza”.

Tutto questo è per permetterci di vivere oggi qui su questa terra, domani nella vita eterna, alla Sua presenza. Ma che cosa c’è di più bello, di più desiderabile, di più esaltante, di più stupendo per un figlio che vivere alla presenza di un padre, di suo padre! Sapendo che quel padre ti aspetta, sapendo che quel padre ti ama, sapendo che quel padre ti stima, sapendo che quel padre c’è sempre.

Se vi ricordate il cartone animato del Re Leone, c’è una bellissima scena di quando il leoncino Simba — se non ricordo male — viene condotto da Scar, dalle sue trame, nel regno delle iene, lì dove c’è il cimitero degli elefanti e dove le iene lo aspettavano per ucciderlo. Il leoncino viene salvato e allora c’è un bellissimo colloquio tra lui e suo padre. Andate a rivedere quel colloquio, molto bello, molto serio, molto grave. Ma guardate come finisce. Non vi dico come finisce, perché non voglio togliervi la sorpresa. Non finisce come noi ce lo aspetteremmo. Quello è un padre! Ma perché anche Simba è un vero figlio! Capite? Cioè si può essere padri così, quando hai un figlio così.

Perché se tu hai invece un figlio — per ipotesi— che è come Scar, non puoi essere padre nello stesso modo. È un rapporto bidirezionale: non è che uno è padre e lo è così, al di là di tutto e di tutti, no. Dipende anche da come io vivo da figlio, questo è chiaro. Il vivere da figlio che aveva San Francesco d’Assisi non è il mio; quindi, Dio Padre con Francesco d’Assisi era Padre in un modo diverso da come lo è con me, perché la mia risposta a Dio, purtroppo, non è quella di San Francesco d’Assisi, capite?

E poi, a questo punto, questo vivere alla Sua presenza, diciamo così che comporta… una strada. Perché adesso noi abbiamo visto che dobbiamo ritornare al Signore, e abbiamo visto le quattro opere che fa Dio con noi per il telos “la presenza”.

Adesso uno dice: “Sì, ma questo tornare al Signore, come avviene?”

Affrettiamoci a conoscere il Signore perché — dice Osea — la conoscenza di Dio è voluta da Dio “più degli olocausti”, che è il sacrificio sommo per eccellenza.

E qui vedete si apre un grosso problema. Perché noi, non so quanto ci dedichiamo alla conoscenza di Dio, che vuol dire innanzitutto la meditazione e la lettura della parola di Dio; che vuol dire la lettura e la meditazione della vita dei santi; che vuol dire la frequentazione del Tabernacolo, dell’Eucarestia. Avviene così la conoscenza di Dio.

Quante volte vi ho detto — ed è quello che sto facendo ad esempio a Radio Mater il quarto venerdì di ogni mese — quante volte vi ho detto: “Prendete il catechismo della Chiesa cattolica e studiatelo”. La nostra vita di fede non può essere preghiere da recitare e basta. Ci deve essere uno spazio, piccolo o grande che sia, di studio. Perché sennò come facciamo a conoscere le cose di Dio?

San Girolamo scrive: “Ignoranza delle Scritture, ignoranza di Cristo” e questo vale più di tutto, più di tutti gli olocausti. Perché la conoscenza di Dio porta all’amore di Dio.

Voglio l’amore, non il sacrificio”. Che se ne fa il Signore dei nostri digiuni, dei nostri sacrifici, se non c’è l’amore? La conoscenza di Dio come strada maestra da percorrere per tornare al Signore e amarlo. Sarà possibile amarlo nella misura in cui lo conosciamo e più lo conosciamo, più lo ameremo e più lo ameremo e più lo vorremmo conoscere.

Questa è la dinamica dell’amore tra un uomo e una donna, tra due amici. Funziona così e perché non deve funzionare così anche con Dio? Stiamo attenti, perché dobbiamo valutare la qualità del nostro amore, oggi. “Il vostro amore è come la nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce”. Stiamo attenti al nostro amore incostante, al nostro amore che si dimentica, che non è amore. L’amore incostante è come dire “la neve calda”. O è neve, o è calda. Quindi o è amore o è incostante, se è incostante non è amore, l’amore non può essere incostante.

Quindi capite che il mio amore deve essere in crescendo — potremmo dire — ma certo non è incostante. Non è che al mattino vado a Messa, recito le mie preghiere, poi chiudo il capitolo, vado, ed è come se Dio non esistesse. E conduco una vita non degna. Non ammazzo nessuno, ma metto Dio nel cassetto, come quando tolgo gli occhiali che mi servono per leggere. Li tolgo e li metto via, non mi porto gli occhiali che mi servono per leggere ovunque in mano, come se fossero un ostensorio. Quando mi servono apro il cassetto e tiro fuori gli occhiali. Ma gli occhiali non sono Dio! Io non penso ai miei occhiali da vista tutto il giorno, mattina e sera, notte compresa. Li ho lì, quando li tiro fuori li pulisco prima di metterli e poi leggo e vi faccio l’omelia, ma poi, quando ho finito l’omelia, tolgo gli occhiali, li metto via.

E allora dobbiamo chiedere alla Vergine Maria la grazia di un amore costante in crescendo. Ma l’amore costante in crescendo avviene attraverso la conoscenza. Non si scappa da qua. Più conosco, più amo, perché più mi nutro, più do motivi seri per rispondere a questo amore, più mi accorgo di cose delle quali prima non mi sarei mai accorto, come Bonhoeffer, come tutto quello che abbiamo fatto fin qui.

E poi, in conclusione, si sente questo grido di dolore del Padre: “Che dovrò fare per te, Èfraim, che dovrò fare per te, Giuda?”. C’è questo Padre che dice: “Ma cos’è che mi manca ancora, perché non ti comporti come figlio, perché non mi corrispondi all’amore che io ti do? Che cosa devo fare ancora per te”?

I papà e le mamme che ascoltano queste mie parole sanno per esperienza quanto è difficile essere genitori: non c’è arte più difficile, è un’arte. Fare la mamma è un’arte, fare il papà è un’arte, fare ed essere, è un’arte.

Nessuno nasce papà, nessuno nasce mamma, si impara e si diventa. E ci sono delle volte che uno si siede e dice: “Ma cos’è che devo fare ancora che non ho fatto? Ma dov’è che ho sbagliato? Ma perché questo non capisce? Perché questa — magari ci sono anche ragazze, con tutti i rischi annessi e connessi — mi torna la domenica mattina alle 5 del mattino, mi apre la porta, la prima cosa che mi fa mi vomita addosso, perché ubriaca marcia, magari anche strafatta”.

E mentre pulisce il vomito — perché questa non sa neanche dov’è, ci cade dentro e ci dorme sopra, pure, a questo vomito, se qualcuno non la tira insieme — uno si ferma e dice: “Ma dov’è che ho sbagliato? Ma com’è possibile che io adesso sia qui alle 5 del mattino a raccogliere il vomito di mia figlia, che c’è dentro non so neanche che cosa, quando potremmo essere una famiglia serena, con lei a letto a riposare come tutti e a svegliarci. E ieri sera avremmo potuto stare insieme a mangiarci una buona pizza, fatta dalla mamma, come solo le mamme sanno fare le pizze, e a guardarci un film insieme, a fare una passeggiata, poi uscire un attimo a mangiare un gelato da 5 euro e poi tornare a casa gioiosi e andare a letto e svegliarci serenamente, riposare nella pace di questa casa? No! E invece sono qua a raccogliere il vomito di questa qui, che è mia figlia. Che cosa dovrò fare per te ancora? Che cosa devo fare per te?”.

Si sente questo grido di dolore dei genitori. Genitori che trovano i figli con l’ago in vena, genitori di figli che non studiano, non studiano! Un esame in un anno, che uno dice: “Io sono disperato, non è che io ho un pozzo petrolifero da cui tiro su tutti i miei dollaroni!” — L’università  costa: il cibo, i libri, la retta, i viaggi, la benzina. E questo perché non studia? Non si sa. Che cosa dovrò fare per te?

Vedete, il padre, in un certo senso, persino Dio Padre, — sembra quasi un’assurdità — persino Lui ci dice: “Mi sono messo in discussione” tra virgolette, è chiaro che Dio non si mette in discussione ma si ferma e dice: “Ma cos’è che devo fare ancora?”

Ecco, dentro a queste situazioni di sofferenza, pensiamo che Dio Padre è accanto a questi genitori; che non è giusto dire: “È sempre colpa del padre e della madre se hanno un figlio o una figlia che è scapestrata e che fa le scelte sbagliate”. No! Può esserlo, certo, ma non è una legge.

Ci sono famiglie bellissime, genitori meravigliosi che per i figli hanno dato la vita e che hanno davanti a loro dei disgraziati, perché hanno scelto di esserlo, c’è una scelta.

Guardate, scusate se lo dico con veemenza, ma è una roba che mi soffoca proprio la voce in gola, proprio mi strozza, mi fa venire da piangere solo a pensarci, una roba guardate… quando in confessionale sentivo queste cose, dicevo dentro di me: “No, no, ma questo non è possibile che esista, non può esistere!”: Un figlio che va a rubare i soldi nel portafoglio del proprio papà o della propria mamma. Io penso che dopo aver fatto questo, uno dice: “Vabbè, io apro e ho l’abisso, cioè apro la porta di casa e cado nell’abisso”.

“Ho rubato la collana d’oro di mia madre” — “Hai rubato la collana d’oro di tua madre?!?!” — “Ho rubato gli orecchini di perle (di mia madre)” — No, ma non è finita! E che cos’è che manca ancora? “Erano il regalo della sua mamma a lei”.

No, dico: “Vabbè guarda, io mi alzo e vado a casa, vabbè cioè scusate, ma c’è un limite umano anche per un sacerdote”. No, io penso che, non lo so, forse sono io, non sarò adatto al ministero, non lo so, ma boh… dentro mi è venuta una roba che ho detto: “No, ho bisogno di un attimo, perché non ce la faccio”. C’è anche una parte umana quando mi siedo in confessionale e davanti a questo dico: “No, …no!”.

Io ero lì che pensavo, dicevo a Gesù: “Questo qua lo devo assolvere, ma ho il sangue dentro che mi bolle. Cosa gli dico? Adesso vai a comprare gli orecchini?” — Ma quali orecchini potranno mai riparare un danno del genere? Cosa dico: “Adesso, vai a prenderli da quello là, dove li hai dati a quello, lo vai ad ammazzare di botte per farteli ridare?”. Possiamo riparare una roba del genere?

Che poi arrivano delle risposte che, guardate, sono peggio delle azioni malvagie: quindi mentre ero lì che impazzivo a cercare di capire — e si è accorto che io sono sprofondato nell’abisso, si è accorto di quello che ha fatto, vedendomi probabilmente si è accorto che in me si è spento qualcosa — mi dice: “No, ma Padre, io però ho una soluzione”. Io non avevo più neanche il fiato di rispondere. Quindi ho alzato gli occhi, l’ho guardato, e mi dice: “Vado da mia madre e le racconto tutto”.

Ho fatto un salto sulla sedia che ancora un po’, guardate, mi incendiavo come il carro infuocato di Elia. Ho detto: “Cosa”? — “Eh, padre, e bisogna dire la verità, essere onesti” —  “Non solo sei un ladro, in più sei anche un egoista schifoso. Oltre a essere ladro, sei anche un egoista. Tu così l’ammazzi del tutto. Guarda fai prima, vai a casa prendi un coltello, glielo pianti nel cuore e hai fatto prima. Abbiamo risolto il problema alla radice. Almeno lì muore e finisce tutto. Tu vorresti andare da tua madre, che ti ha messo al mondo, che ti ha allevato, che ti ha dato il sangue, l’anima e la vita, guardarla negli occhi e dirle: “Mamma, io per andarmi a comprare la droga, io per andare fuori con gli amici, ti ho rubato gli orecchini che sono un dono di tua madre e mi sono fatto i soldi con quelli”. Io fossi tua madre, morirei lì, direi “Ma questo è mio figlio?”. Ma perché? Ma scusami, non me li potevi chiedere, questi soldi? Ma non potevi semplicemente dire: “Mamma ho bisogno di soldi, o parlarne, ma perché mi devi rubare gli orecchini della mia mamma, che è morta, che sono l’unica cosa che mi ha lasciato?” –

Ho detto: “Guarda, quando li cercherà, è meglio che tua madre pensi di averli persi. Tu vuoi andare a dirle la verità — come la chiami tu — tu vuoi andare a dire la verità, non per amore di tua madre, ma per amore di te stesso, che si chiama egoismo, perché siccome tu ti vuoi scaricare la coscienza, siccome tu vuoi ripulirti la coscienza, allora che cosa fai: prendi tutto il marcio che ti porti dentro e glielo sbatti addosso all’altra persona. Poi non ha importanza se l’altra persona riesce o non riesce a portare quel marcio. Tu ti sei sistemato la coscienza!”

Guardate che siamo veramente schifosi. È la stessa cosa con tanti altri peccati. “Ah, io vado e glielo dico” – “Sì, certo, così lo uccidi del tutto. Bella soluzione. No!”

Io gli ho risposto: “No, caro. Non funziona così, tu non dici niente a nessuno e il peso di questa cosa te lo porti fino nella tomba. Sarà la memoria del tuo peccato, che il Signore perdonerà, ma questa memoria rimarrà scritta dentro di te. Perché? Non per castigo, ma perché tu non abbia mai più a rifare un’azione empia così. E magari — perché sapete c’è la legge del contrappasso — e magari quando tuo figlio ti ruberà il crocifisso d’oro che porti al collo, dono del tuo battesimo, per andarsi a drogare, tu starai zitto, perché l’hai fatto anche tu. E avrai memoria di questo e magari avrai il sentore vago di poter immaginare il dolore che causa un’azione del genere”.

E come concludiamo quindi questa meditazione? Non possiamo concluderla così, perché concluderla così, vuol dire concluderla con la disperazione. Ma Dio non è disperazione, Dio è speranza, sempre. E allora vi lascio con queste belle parole, che io ogni tanto le risento e anche queste mi commuovono, perché sono proprio belle.

Sapete, quando da piccolino magari ero un po’ avvilito, piangevo, mi ricordo di un gesto che facevano i miei genitori, ma anche mia nonna e mio nonno, un gesto tipico che loro facevano, di una delicatezza…, guardate, bellissimo. Io piangevo — poi sapete ai bambini vengono giù dei goccioloni, che uno quando li guarda gli si strazia il cuore e pensa: “Ma cosa gli hanno fatto?”, poi magari niente, però il bambino quando piange ha proprio i lacrimoni e si prostra tutto, si umilia tutto — allora mi ricordo che, senza dirmi una parola, loro venivano, mi mettevano la mano, adesso non posso farvi vedere perché non c’è il video, ma immaginatevi, mi mettevano la mano semiaperta sotto il mento, mi alzavano la testa, alzavano il mento verso l’alto. Questo gesto aveva un valore simbolico che so solo io e chi l’ha provato: dalla disperazione, dalla prostrazione, dall’umiliazione ti rialzo, ti rialzo lo sguardo dalla terra al cielo. Loro rialzavano il mento dal basso, dal petto verso l’alto, riportandolo all’altezza naturale e poi, con un sorriso, asciugavano le lacrime e, non di rado, davano un bacio.

Ecco, con questo gesto, che sarà simbolicamente sintetizzato dalle parole di Dio che adesso vi leggo, questo gesto sentitevelo sempre presente da parte di Dio Padre.

La sua venuta è sicura come l’aurora. Verrà a noi come la pioggia d’autunno, come la pioggia di primavera che feconda la terra”.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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