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Il confessore pt.1 – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.14

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Il confessore pt.1 – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.14
Martedì 14 novembre  2023

Continua la lettura e il commento del “Cammino di perfezione” di S. Teresa di Gesù Cap 4° § 13

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Lc 17, 7-10)

In quel tempo, Gesù disse:
«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, strìngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 14 novembre 2023. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal diciassettesimo capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 7-10.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione. Siamo al capitolo quarto, paragrafo tredicesimo; stiamo leggendo la nota quinta su questo tema dell’affezionarsi al confessore. Scrive:

Ciò che in tal caso dovete fare, è di guardarvi dal pensare ed esaminare se l’amate o no. Se l’amate, amatelo pure. Posto che nutriamo affetto per chi ci fa qualche servizio materiale, perché non ne dovremmo avere per colui che tanto si affatica per il bene dell’anima nostra? Se il confessore è un santo, amante della vita spirituale, e noi lo troviamo pieno di zelo per il bene dell’anima nostra, credo che, amandolo, sia un mezzo per progredire di più. Data la nostra debolezza, quest’affezione ci aiuta mirabilmente a compiere grandi cose in servizio di Dio.

C’è un pericolo se il confessore non ha le qualità che ho detto, e il pericolo sarà tanto più grande quanto più egli saprà di essere amato, specialmente in un monastero come il vostro, ove si osserva stretta clausura. Ma siccome è difficile conoscere se il confessore sia santo o no, bisogna agire con somma prudenza e discrezione. Sarebbe meglio che egli non pensasse neppure di essere benvoluto. Voi non glielo dovete mai dire. Ma qui il demonio ci tormenta in tal modo che, alle volte, non ci permette di tacere. Sembra che non vi sia altro da confessare e che siamo obbligate a manifestare anche questi sentimenti. Mio avviso è che riteniate questa cura per vana ed inutile, e non ne facciate caso. Ricordatevi sempre di ciò che vi dico: quando vedete che l’unico scopo del confessore in tutti i suoi trattenimenti è il profitto dell’anima vostra, quando non scoprite in lui alcuna vanità (e se non siete stolide lo vedrete subito); quando insomma lo riconoscete per un’anima timorata, guardatevi dal lasciarlo, nonostante che il grande amore che sentite per lui vi debba gettare in ogni sorta di tentazioni e di prove. Bisogna che il demonio si stanchi, e allora vi lascerà tranquille. 

Cerchiamo di commentare questo bellissimo testo che troviamo alla nota quinta. Un testo chiaramente di grandissima utilità spirituale e di grandissima profondità. 

Va capito bene. Rendiamoci tutti conto che questo testo va capito molto bene perché, se lo fraintendiamo, veramente si rischia grosso. 

Quindi, per favore, vi chiedo di seguire con molta attenzione tutto ciò che vi dirò, magari ve lo segnate su un foglio, e ricordatevi sempre questo: non bisogna pretendere — e questo è proprio da saggi — di capire tutto e subito. Proprio non bisogna avere in cuore questo pensiero. 

E non bisogna aver paura di non capire qualcosa o che qualcosa rimanga come un po’ “ignoto”, come se uno dicesse: “Ho capito il novanta per cento”. Va bene, non bisogna aver paura che succeda questo, perché le cose non si capiscono sempre tutte subito, ci vuole tempo; è col passare dei giorni — alle volte dei mesi — che una cosa che era incomprensibile poi, improvvisamente, diventa comprensibile. Però non bisogna avere fretta e, soprattutto, bisogna seguire in modo logico i ragionamenti che ci vengono fatti. Non andando velocemente a dire: “Ah, sì, sì, questa cosa…, ho già capito tutto, io”; o subito pensando: “Ah sì, sì, questa cosa si colloca qui”, no, no.

Questa, veramente, come dice Santa Teresa, è una materia molto delicata, molto delicata, e quindi bisogna proprio capirla bene, perché sennò… Poi, per l’amor del cielo, se c’è bisogno, si chiede: mi scrivete e io vi rispondo. Però, ecco, non precipitiamoci subito, adesso appena avrò fatto il commento, a dire: “Ah, no quella cosa non l’ho capita”, via, subito a scrivere perché devo capire.

Prima cosa — lei dice — non mettiamoci ad esaminare se amiamo o non amiamo il confessore: lo amo, non lo amo, quanto lo amo, lo amo poco, lo amo tanto. Lei dice: non metterti a fare questi ragionamenti; questi ragionamenti non portano da nessuna parte, soprattutto non portano a Dio, non portano pace nella coscienza. Quindi, non cominciamo mai questi processi interiori, queste dinamiche interiori per le quali stiamo lì a dire: allora lo amo; su una scala da uno a dieci, lo amo sette punto due; lo amavo prima di più, adesso di meno; sento di amarlo tanto. Ecco, lasciamo perdere.

Lei dice: se lo amate, amatelo pure; e aggiunge che, se nutriamo affetto per chi ci fa un servizio materiale (vedete, i santi sono logici) non dovremmo provare affetto per chi si affatica tanto per il bene della nostra anima? Noi nutriamo affetto per il vicino di casa che ci viene ad aggiustare il rubinetto; il fruttivendolo che ci porta la frutta in casa quando non stiamo bene; quella persona che viene a trovarti perché sei stata in ospedale ed è venuta a portare la biancheria; quell’altra persona che ti fa la cortesia di portarti in macchina dove hai bisogno… è chiaro che noi proviamo affetto per chi ci aiuta, per chi ci fa del bene, per chi ci serve. Santa Teresa dice: beh, se proviamo affetto per chi si affatica tanto per i nostri bisogni materiali, per il nostro corpo, non dovremmo noi provare affetto per chi fa del bene alla nostra anima, e magari faticando molto di più?

Purtroppo, c’è da riconoscere che ci sono persone molto ingrate, che non provano affetto e riconoscenza praticamente mai. Persone che non sanno essere riconoscenti neanche per le cose materiali, immaginiamoci per quelle spirituali. Persone che non dicono “grazie”; la parola più difficile da pronunciare: “grazie”; solo questo. Ma se uno ti fa una cortesia, se uno ti aiuta, se uno ti offre un aiuto, come fai a non dirgli grazie? E come fai a rimanere freddo, a non sentire il bisogno di una riconoscenza?

Io — ma credo anche voi — ho presente persone che hanno salvato delle vite umane; in particolar modo, in questo momento, ho in mente una persona che ha salvato diverse vite umane mettendo a rischio la sua vita. Ha salvato diverse vite umane quando tutti pensavano solo a sé stessi, quando tutti pensavano solo a salvare sé stessi, quando tutti pensavano solo a non rischiare. Ha salvato delle vite umane rischiando fortissimamente e, anzi, andando incontro a qualcosa di dannoso per sé, e l’ha fatto per il bene degli altri. Ma sono esempi eroici, testimonianze eroiche di carità che lasciano sbalorditi. Poi passa il tempo della prova, e la gente si dimentica. Prima, sul momento, sì, un briciolo di riconoscenza: grazie, grazie, grazie; sì, ma siamo capaci tutti di dire quei grazie che non costano niente. Poi basta che passi un anno e neanche uno ha in testa di mettersi a calendario qualcosa che riguarda quella persona; per dire “grazie”, per dire “ci sono”, per dire “non mi dimentico”, per dire: “io so che tu mi hai salvato la vita, che senza di te, in quel tempo, io ero finito, non c’era speranza per me; che senza di te, in quel tempo, avrei perso tutto, forse la vita stessa”. Ci sono persone che, ripeto, passata la festa: basta. Son capaci solo di avere, persone che son capaci solo di ricevere, che danno per scontato che qualcuno debba dare qualcosa per loro. Ma di conservare una memoria grata, affettuosa, cioè, voler bene… Tu non puoi non voler bene a chi ti salva la vita, a chi ti fa del bene, a chi ha rischiato la sua vita per te, a chi si è esposto facendo del male a sé stesso per te!

Adesso mi viene in mente un altro esempio di un dottore, che mi raccontava che il suo papà medico, durante il tempo di guerra, curava i soldati feriti; e mi raccontava questa cosa: che il suo papà, per poterli operare e mettere a posto le ossa — non so se fosse un ortopedico o che cosa fosse — e salvargli magari le gambe, le braccia, li doveva operare usando la macchina delle radiografie. Voi sapete che in sala operatoria, quando si fanno interventi di ortopedia, non si opera alla cieca; non in tutti gli interventi ma in alcuni, quelli complessi, è necessario verificare che tutto sia in ordine. Certo, tu vedi sotto gli occhi, ma poi nel complesso com’è? È veramente in ordine? Allora, lungo l’operazione fanno delle radiografie per dire: okay, siamo arrivati fin qui; va bene? Scattiamo una radiografia. La vedono, okay, sì, va bene, proseguono. Poi dopo un po’: radiografia… e quindi, magari, in un intervento ne fanno — non so — cinque o sei. Alla fine di tutto, un’altra radiografia, per dire: okay, io ho finito, adesso devo verificare che veramente io abbia finito e, quindi, radiografia. E uno dice: sì, okay, per quello che vedo, va bene. Questo medico — non mi ricordo esattamente perché, forse non c’erano le schermature — doveva operare restando con le mani sotto la macchina delle radiografie. Insomma, per farla breve, dopo tot tempo, tutti quei raggi gli hanno rovinato le mani, gliele hanno tutte deformate, e quindi poi dopo lui non ha più potuto operare. Quante vite ha salvato? Lui ha perso le sue mani, che per un chirurgo vuol dire perdere tutto. Capite? È un sacrificio di vita incredibile; non si può non provare affetto e riconoscenza! 

Mi devo segnare anche il giorno del primo vagito di quel dottore, non solo il giorno del compleanno, non solo il giorno dell’onomastico, non solo il giorno dell’anniversario del suo matrimonio. Il giorno del suo primo vagito, il giorno del suo primo dentino, il giorno che per la prima volta ha detto mamma! Capite? Mi devo segnare tutto e, ogni volta, essere presente e dire: io ci sono, eh; io ci sono, perché, se non fosse stato per te, io sarei morto non sarei più qui. La mia vita sarebbe stata distrutta. Io ci sono, eh! Guarda che non mi dimentico; fino alla fine della mia vita, io mi ricorderò di te. Ci sono con un regalo, ci sono con un biglietto, ci sono facendoti celebrare delle messe, io ci sono. 

Ci son persone che invece proprio vanno oltre: ricevono, prendono e se ne vanno, e ti lasciano lì come i nove lebbrosi. Gesù dice: “Dove sono gli altri nove? Non ne ho curati dieci? E perché è tornato solamente uno? E gli altri?” Gesù è sensibilissimo alla riconoscenza; stiamo attenti che gli ingrati sono la razza peggiore delle persone. L’ingrato è proprio una roba terribile.

Quindi da questo esempio — perché sicuramente plasticamente a voi risulta molto chiaro da comprendere — adesso passiamo all’aspetto spirituale. Quel dottore mi ha salvato la vita fisica; quel sacerdote, con le sue parole, con le sue celebrazioni, con la sua disponibilità alla confessione, il suo volermi bene, con il suo amore per la vita spirituale, con il suo zelo per il bene delle anime, mi ha cambiato la vita, mi ha strappato dall’inferno, mi ha strappato dall’ignoranza, mi ha strappato dai dubbi, dalle paure, dai timori. Quel sacerdote mi ha ridato la gioia di vivere, mi ha rimesso in piedi come un essere umano, io che strisciavo per terra peggio di un cane. Quel sacerdote mi ha insegnato a non bere più nelle pozzanghere, ma a bere alle fonti dell’acqua viva. Mi ha insegnato a camminare, ad essere un uomo dignitoso, mi ha insegnato cosa vuol dire essere figlio di Dio, mi ha insegnato cosa vuol dire vivere in grazia di Dio, mi ha insegnato cosa vuol dire amare Dio, mi ha insegnato a vivere nel timor di Dio, quel sacerdote mi ha liberato dalla schiavitù. Sapete per uno schiavo cosa vuol dire essere liberato dalla schiavitù e tornare libero? No, nessuno di noi lo sa. Lui mi ha liberato dalla schiavitù del demonio, dalla schiavitù del peccato, mi ha liberato da peccati da cui non riuscivo a liberarmi e che ormai mi avevano ingoiato. Mi ha ridato la bellezza di pregare il Santo Rosario, di pregare la liturgia delle ore, la bellezza della meditazione, la bellezza di conoscere Dio, la bellezza! Il tempo che mi ha dedicato… al freddo, al gelo, al caldo, alla pioggia, stava bene, stava male: c’era sempre.

Ma chi di noi non ha in mente un sacerdote che ha avuto un ruolo fondamentale nella sua vita? Che c’era sempre, tu sapevi che c’era sempre, di giorno, di notte: un sacerdote che era lì. Che, nonostante tutto, sapevi che ti avrebbe sempre ricevuto e accolto. Col quale potevi — o puoi, ancora meglio — aprire il tuo cuore, senza timore di essere giudicato, per quello che sei, così come sei. Che ti sgrida, perché no, anche! Che ti sgrida, che ti rimprovera, ma non con cattiveria, ma per il tuo bene, per farti essere un uomo migliore, per avere fiducia in te stesso, per credere in te stesso.

Santa Teresa dice: se il confessore è “così” … — perché adesso vi ho parafrasato quello che lei ha scritto — che vuol dire: se è un santo… (Perché il santo non è quello perfettino, non è quello moralmente ineccepibile, quello che noi vediamo con l’aureola sulla testa, quello che noi vediamo senza difetti, senza macchia; questo è Gesù Cristo, noi stiamo parlando di uomini, il santo non è questo). Il santo è, lo dice Santa Teresa:

amante della vita spirituale… pieno di zelo per il bene dell’anima nostra…

e aggiunge:

credo che, amandolo, sia un mezzo per progredire di più… quest’affezione ci aiuta mirabilmente a compiere grandi cose in servizio di Dio.

E anche qua… nella mia breve vita e nei miei brevi anni di sacerdozio ho visto veramente delle cose bellissime, ma anche molto tristi. Ho visto sacerdoti ammalati, anziani, abbandonati dopo aver dato una vita intera per le anime. Non c’è più nessuno… “Eh, non serve più, non posso più succhiare niente da quel fiore, basta!”. Abbandonati… Ho in mente sacerdoti abbandonati negli ospizi. 

Mi ricordo ancora di quando in un ricovero andai a trovare uno che non conoscevo nel reparto dei sacerdoti. Sono entrato ma non lo conoscevo, facevo visita. Ho detto “Buongiorno! Mi chiamo così, così, sono un sacerdote”. Non vi dico, non vi dico! Si è messo a piangere, si è tirato su — per quello che poteva — da quel letto: “Padre! Grazie, grazie!”; guardate, io sono rimasto sconvolto. Mi ha preso le mani, me le ha baciate, me le ha strette: “Mi racconti di lei, mi parli. Oh, ma che grazia che è venuto a trovarmi, ma non doveva disturbarsi. Ma padre, quando verrà ancora? Padre…” Guardate, è stata una cosa che mi ha frantumato il cuore. Siamo stati insieme non so dirvi quanto. Una cosa… guardate, da una parte una solitudine, un abbandono di quest’uomo, lì, in un letto, in questa camera, senza colore, senza profumo, senza “casa”; e, dall’altra lui che era lì che sembrava che non aspettasse altro, sembrava che avessi dato dell’acqua a uno che stava morendo di sete. E io, uscendo da quella camera, dicevo, tra le tante cose: ma dove sono tutti quelli che quest’uomo ha servito? Dove sono tutte le persone che ha assolto, che ha istruito nelle celesti cose, nelle vie di Dio? Dove sono tutte le persone che andavano da lui a confessarsi, dato che quest’uomo stava giornate intere in confessionale? Dove sono quelli che ricevevano l’Eucaristia dalle sue mani? Ma dove sono? E i figli di queste persone… “Padre, vengo qui a tenerle compagnia, a portarle un fiore, un dolce, un cioccolato, a tenerle la mano, dirle due parole, perché lei è stato di grande aiuto al mio papà, alla mia mamma; mi hanno parlato di lei e io conservo il ricordo di lei. Sul letto di morte, mio papà, la mia mamma, mi hanno raccomandato di starle vicino; mi hanno fatto promettere di volerle bene per tutto il bene che lei ha fatto alla nostra famiglia”; dove sono? Dove sono queste frasi? Dove sono queste parole? Dove sono queste promesse di riconoscimento e di riconoscenza? Dove sono? Dove sono queste persone?

Con tutto il rispetto: noi dedichiamo i pomeriggi, le giornate, per andare al canile a trovare i cani. Io voglio un grande bene alle bestie, ho avuto un cane per diciassette anni, quindi guardate: so cosa vuol dire averlo e so cosa vuol dire quando muore, dico solo questo. Un grande bene, sono anche loro dei grandi doni di Dio. Ma un cane è pur sempre un cane; stupendo, meraviglioso, tutto quello che volete, ma un cane resta un cane. Un uomo è un uomo; è un sacerdote, è un ministro del Dio altissimo, è un consacrato, un unto. Ma possibile che si abbia più cura di un cane che di un ministro di Dio? Adesso mi fermo solo a questo, perché potrei estendere su tutto e dire “di tuo padre”, “di tua madre”, “del tuo bambino”, ma potrei parlare di tanti aspetti; adesso stiamo parlando dei sacerdoti e mi fermo su questo, ma non escludo altri. 

Perché, quando tu devi andare in vacanza, chiami l’hotel Riviera e dici: “Buongiorno, senta dovrei vorrei prenotare una camera per due settimane volevo sapere se accettate i cani, perché, se non li accettate, io non posso venire, perché ho un cane” (uno se va bene) — “Sì/no” — “Ah, okay, benissimo, allora porto anche il mio cane”. Scusa, ma perché non vai a prendere anche quel sacerdote che sta solo nell’ospizio e dici: “Guardi, padre, facciamo così, adesso, per due settimane viene in vacanza con me. Beh, è il minimo che posso fare! Portarla un po’ in montagna, un po’ al mare, al lago, in collina. Adesso, per due settimane, la tolgo da questo… (non dico altro) e andiamo via, andiamo a vedere le farfalle, i fiori, i profumi”.

Invece no! E si lasciano lì, a morire da soli, in quel senso di abbandono che distrugge tutto. 

Però, quando avevi bisogno, lui c’era; quando stavi male, lui c’era, non ti ha mai detto di no! Anzi, magari ti è venuto a cercare proprio laddove tu stavi più male, magari è l’unico che si è ricordato di te quando eri in ospedale, mentre stavi male, e ti ha portato anche l’Eucarestia; magari si è messo lì anche a curarti fisicamente, a fasciarti le piaghe.

Conosco un sacerdote che andava nelle case di alcune persone alcolizzate e, senza che nessuno sapesse, vedesse, chiudeva le porte e si metteva là, li spogliava nudi e li puliva tutti, mentre questi erano ubriachi marci. Li puliva con le sue mani, li lavava, li asciugava, portava via tutti i vestiti sporchi, bagnati, perché poi, sapete, ci si fa la pipì addosso, eh! Bisogna dirle queste cose, senza paura, ed è una grazia se si fa solamente la pipì. Quindi doveva cambiare tutto, tirare via tutto, cambiare il letto; vomito da tutte le parti… pulire tutto e tirare su tutto, e poi rivestirlo, perché non c’era nessuno che lo faceva, perché la dignità dell’essere umano… E questo, quando si svegliava e si riprendeva e si trovava il letto pulito, cambiato, sistemato e lui vestito come un essere umano, chi era stato? Lo sa Domineddio. Chi ha fatto tutto questo? Lo sa Domineddio. Non dovremmo forse avere un senso di riconoscenza infinita? Di amore infinito?

Conosco delle belle situazioni di famiglie che, invece di farli finire dentro lì, li hanno presi loro. Bello! Ho in mente un sacerdote di novanta e rotti anni, veramente un santo, e una famiglia ha detto: “No, no — una famiglia, tra l’altro numerosa, con tanti figli — questo sacerdote lo prendo io, venga a casa mia”. Gli han fatto la sua cameretta, le sue cosine — perché ovviamente un sacerdote ha le sue esigenze, diverse dagli altri, di preghiera, di silenzio, di raccoglimento e quant’altro — gli han fatto la sua casetta, un po’ come la stanza di Eliseo della Sacra Scrittura, e lui è lì con la famiglia, e gli fan godere la bellezza dell’essere casa, dell’essere famiglia, dell’essere Natale. 

A Natale, quel sacerdote, messo in quell’ospizio, era da solo… Mentre noi siamo lì a mangiare e a divertirci e a festeggiare, lui è là da solo, in quel letto di ospedale, attenzione! Allora, questa famiglia che ho in mente, appunto lo tiene lì; ha festeggiato il compleanno, gli hanno fatto la torta, tutti stretti attorno a lui. 

E lo dice Santa Teresa, c’è scritto qui. 

Allora poi lei dice:

C’è un pericolo se il confessore non ha le qualità che ho detto, e il pericolo sarà tanto più grande quanto più egli saprà di essere amato…

Se non ha le qualità che abbiamo detto, cade tutto quello che abbiamo detto fin qui, perché tutto quello che abbiamo detto fin qui sta in piedi se è santo. Ripeto: “santo” non vuol dire che è perfetto ma che è amante della vita spirituale, pieno di zelo per il bene dell’anima nostra, ecc. Se è così, è santo, questa è la santità. Ma se non è così, allora cade tutto l’impianto.

Lei dice: però è anche vero che è difficile riconoscere se è santo o no, non è proprio così immediato. O lo conosci bene, lo frequenti da tempo, e hai potuto mettere insieme un po’ di elementi che ti fanno dire: “Sono sicuro, questo è così”, altrimenti, nel dubbio (magari l’hai appena conosciuto), somma prudenza e discrezione. E lei dice: “sarebbe meglio se egli non sapesse di essere benvoluto; voi non diteglielo mai”. Non state lì a dire: “Ah, ti amo, quanto ti amo, ti voglio bene, quanto ti voglio bene…” non dite queste cose, non diteglielo, perché, anche se santo, comunque è sempre un uomo e quindi, sapete, insomma, non andiamo a stuzzicare la sua vanità, il suo autocompiacimento, lascialo lì, senza che lui sappia, ecco: voi non dovete mai dirglielo.

E poi lei dice: però, su questo, il demonio ci tormenta perché fa di tutto affinché noi manifestiamo i nostri sentimenti. Lei dice però che questa cura è vana e inutile: non dovete farlo, non serve. 

Lo amate? Questo lo dico io: non diteglielo, non serve star lì a dire chissà quali manifestazioni d’amore. Lo ami? È un santo? Ci tieni? Dimostralo! Dimostralo con i fatti e, innanzitutto, con la vita santa anche tu: innanzitutto facendo quello che ti viene detto e imitando la sua santità, comincia da qui. E poi tutti quei piccoli servizi, quelle piccole cose, che la carità ti suggerirà. 

La carità che, sapete, è una sorgente zampillante: ogni giorno ti fa venire in mente qualcosa di nuovo. È bellissima, la carità! La carità non va mai spenta; e, quindi tu ti sveglierai al mattino — o magari una sera andrai nel letto — e dirai: oh, mamma, mi è venuta questa idea geniale, domani faccio questa cosa; prendo questa cosa. 

Mi sono ricordato che ha bisogno di questa cosa: so che oggi è venerdì ed è il giorno in cui deve portare la macchina dal meccanico. Ecco, gliela porto io, così lo lascio a casa. 

Oppure: oggi è sabato ed è il giorno in cui va a fare la spesa; ecco, allora, già che vado io per fare la mia spesa, prendo e dico: «Guardi, devo andare a fare la spesa, ha bisogno? Vado io». 

Oppure, faccio una bella teglia di lasagne — siamo in cinque in casa e io la calcolo per sei, perché c’è anche lui — taglio un pezzettino, lo metto in un bel “tupperware”, glielo porto e dico: “Guardi, padre (o don tal dei tali), lei che ha tanti impegni, se la congeli; quella sera che torna a casa, stanco, morto, distrutto e che non ha la forza, il tempo e la voglia neanche di mettere su l’acqua, perché al solo pensiero le vien male, lei prende la mia lasagna, la mette dentro nel forno a microonde, cinque minuti la tira fuori e si mangia una bella lasagna, buonissima, bollente, stupenda, e lei è a posto”. 

Ho fatto il pesciolino al sale, tiro via un pezzo, lo metto lì: “Padre, guardi, venerdì lei che non sa cosa mangiare, tiri fuori…”. 

Oppure ho le galline e le galline cosa fanno? Non solo “coccodè”, fanno le uova, ecco: “Padre, guardi, le ho portato dodici uova, le ho portato sei uova”; “Padre, guardi, ho l’orticello, è venuto su il carciofo, gliel’ho portato, così quando vuole…” “Padre, sono andato a comprare il formaggio, ho preso un pezzo in più di grana per lei” e avanti. 

Questo è amare, non quelle cose mielose: “oh, quanto ti amo”, “oh, che amore”, “oh, senza di te…”, “oh, di qui…”, “oh, di là…”. Sapete, tutte queste acclamazioni… oppure queste e-mail, messaggi… — veramente Santa Teresa ha ragione — vani e inutili, io aggiungo: anche dannosi. Non fanno bene a nessuno, non servono a niente, sono proprio stupidaggini. “Opere”, Santa Teresa dice in altre parti, in altri punti: “opere, non parole, opere”. Ami? Dimostralo. Ami? Opere, fai opere, non parole, non messaggini, non WhatsApp, non stupidaggini: opere. 

Poi S. Teresa aggiunge:

Ricordatevi sempre di ciò che vi dico: quando vedete che l’unico scopo del confessore in tutti i suoi trattenimenti è il profitto dell’anima vostra — vedete che lo ripete? — quando non scoprite in lui alcuna vanità (e se non siete stolide lo vedrete subito);

Lei qua dice “se non siete stolide”, ma si può tradurre: se non siete stordite, lo vedete subito. Perché o sei stordita e hai le fette di salame sugli occhi, e allora vabbè, cioè, vai dal salumaio a fartele togliere…

Ecco, quindi: se lo scopo suo è il tuo profitto dell’anima, se in lui non c’è vanità — e questo lo si capisce subito, se una persona è vanitosa lo capisci subito — quando è un’anima timorata — e anche qui, dico, o sei stordito o lo vedi immediatamente, perché lo vedi subito quando un sacerdote è un uomo pieno del timor di Dio, ma come fai a non vederlo? Cioè, è evidente, si vede subito — prosegue Santa Teresa:

guardatevi dal lasciarlo, nonostante che il grande amore che sentite per lui vi debba gettare in ogni sorta di tentazioni e di prove. Bisogna che il demonio si stanchi, e allora vi lascerà tranquille.

Quindi lei dice: anche se dentro sentite questo grande amore — che magari, sapete, in una monaca può essere motivo un po’ di turbamento, no? Ma non solo in una monaca, per chiunque; magari anche in un uomo, un ragazzo, un uomo anche adulto, chiunque, ma chiunque prova amore, no? Può essere motivo di turbamento dire: “Mamma mia, sento dentro un amore così grande verso questo confessore, questo sacerdote, provo dentro questo…” — ecco, lei dice: non spaventatevi. 

Noi non dobbiamo aver paura dei sentimenti belli, santa pazienza! Non è che ci sono solamente i sentimenti brutti; di quelli brutti dobbiamo aver paura, non dei sentimenti belli: se amo, amo! 

Vedete quanta umanità c’è in Santa Teresa, è bellissimo! Lei dice: tu non devi aver paura di amare. È un sacerdote? E vabbè, allora? Amalo, amalo nel modo più bello possibile. Non dirgli niente, non star lì a scrivere, a dire, fare, brigare, non dire niente; dimostralo con opere gentili, con opere di carità, con servizi di carità. E lei dice che, nonostante ogni sorta di tentazione e ogni sorta di prove che ti viene addosso, guardati dal lasciarlo e, vedrai, che il demonio si stancherà e vi lascerà in pace.

Noi dovremmo dire al demonio: “Guarda, brutta bestia sanguinaria, non mi interessa niente; tutti i pensieri più brutti che mi fai venire nella testa e tutte le tentazioni che mi fai venire e tutte le angosce che mi fai venire, non mi interessano. Io sento questo grande amore, questo grande affetto, in virtù della santità di questo sacerdote. Starò attento, come dice lei: “somma prudenza, somma discrezione”, sommo rispetto, mai oltrepassare la soglia della riverenza. Quindi va bene la confidenza, ma sempre un passo indietro, sempre grande prudenza, sempre silenzio: “voi non glielo dovete dire mai”. 

Attenzione, eh! Perché ci vogliono tutte queste attenzioni: è un sacerdote, quindi attenzione. Guardate la mia nonna cosa diceva: il sacerdote è come il carbone, se è acceso, brucia, se è spento, sporca. Quindi, maneggiare con cautela.

Quindi, prudenza, certo, ma, fatto questo — prese tutte le cautele che Santa Teresa ci ha scritto e ci ha insegnato e ci sta insegnando — poi amalo e non lasciarlo. Non lasciarlo perché senti dei sentimenti di affetto, di amore, verso questa persona. Perché l’amore è un dono dello Spirito Santo, la capacità di amare ce l’ha data il Signore. Non dobbiamo aver paura di amare! Volesse Dio che tutti i sacerdoti del mondo fossero santi e amati. Ma è bellissimo! Non bisogna aver paura di amare. Certo, bisogna amare nel modo giusto, bisogna amare con rispetto, bisogna amare stando al proprio posto, bisogna amare rispettando la persona che ho davanti. Certo, non potrò manifestare questo amore esattamente come faccio con il mio fidanzato, come faccio con la mia fidanzata; va bene, certo, ci sono modalità e modalità, verissimo! Proprio per lo status di quest’uomo. 

Quindi, ricordatevi, non glielo dovete mai dire. “Neppure sapesse di essere benvoluto”, neanche quello deve sapere, neanche di essere benvoluto. Lo capirà lui — perché tu non glielo dici mai, tu non gli devi dire mai queste cose — ma dal tuo atteggiamento, dalla tua cortesia, dal tuo servire, dalla tua gentilezza, dalla tua stima, dal tuo ascoltarlo, dal, dal, dal…. Eh, lui lo capirà! Capirà di essere benvoluto, capirà di essere amato, però non viene mai detto, perché così — vedete — si mette della distanza e il demonio si stanca. 

Quindi: “Bestia sanguinaria, i pensieri brutti, tutte le cose brutte, tienitele tu, dentro la tua testa brutta, in mezzo alle tue corna, sono tue, non sono mie. Quindi, io non le voglio e non sono mie, non vengono da me. Io non lo lascio, non lo lascio proprio perché è santo, proprio perché ama la mia anima, vuole il mio profitto, ha lo zelo per le anime, basta. Questo basta”. 

Pensate a Cleonice Morcaldi, pensate ad alcune delle più affezionate figlie spirituali di Padre Pio, ad alcuni dei più affezionati figli spirituali di Padre Pio, maschi; ne ha avuti che lo hanno amato in un modo incredibile, lo hanno amato e lo hanno difeso oltre misura, veramente facendo delle cose incredibili. E Padre Pio — se voi leggete le lettere di Padre Pio a questi figli, a queste figlie spirituali — guardate che usa delle parole fortissime. Fu proprio a causa di questo rapporto così intenso, così forte, tra Padre Pio e le figlie spirituali e i figli spirituali che ci furono un po’ di problemi di rallentamento nella causa di beatificazione. Certo! Perché? Perché noi che siamo un po’ pasticcioni e che vediamo il male dove non c’è, non siamo abituati a sentire certe espressioni, perché, appena le sentiamo, noi subito le decliniamo come qualcosa di sessualmente connotato. Ma neanche per sogno! Neanche per sogno! Padre Pio scrive delle cose veramente bellissime a questi figli, a queste figlie spirituali. Ma questo era un amore totalmente puro. E lui si prendeva cura dell’anima e del corpo.

Mi fermo. Però, almeno abbiamo finito la nota quinta; capite che era una cosa molto delicata, ha ragione Santa Teresa, è una materia molto delicata, che va trattata bene. Spero di essermi spiegato bene. Se qualcosa non è chiaro, intanto lo rileggete, ci pensate, e poi, nel caso, mi chiedete. Scusatemi la lungaggine, ma non potevo ancora non concludere e non spiegare tutto secondo quello che la mia testa mi diceva. Ripeto, spero di essere riuscito, se non son riuscito, abbiate pazienza…

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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