Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: La solidarietà negativa – Pedagogia del dolore innocente, beato don Carlo Gnocchi pt. 3
Giovedì 13 giugno 2024 – Sant’Antonio di Padova, Sacerdote e Dottore della Chiesa
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Mt 5, 20-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a giovedì 13 giugno 2024.
Oggi festeggiamo Sant’Antonio di Padova, sacerdote e dottore della Chiesa.
Oggi è anche la festa del Cuore Eucaristico di Gesù che io vi invito proprio a festeggiare. Ho già fatto tantissime meditazioni su questo tema — vi invito a cercarle sul sito — e non dimentichiamo che il Cuore Eucaristico di Gesù è proprio l’Eucarestia.
Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal quinto capitolo del Vangelo di san Matteo, versetti 20-26.
Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro del beato don Carlo Gnocchi. Leggiamo:
Con quanta drammatica evidenza s’imponeva al mio spirito questa verità durante la guerra, di fronte al corpo straziato ed esangue dei miei alpini!
Quante volte mi sono domandato in qual modo e in che misura entrassero questi poveretti nelle feroci diatribe che avevano diviso il mondo ed avevano messo gli uomini accanitamente gli uni contro gli altri.
Vedete quello che dicevamo ieri: questi qui erano proprio poveretti, poveri alpini, che erano entrati, loro malgrado, a far parte di queste diatribe. Loro sicuramente stavano benissimo a casa loro, con la loro famiglia, il loro lavoro, eppure si sono ritrovati a combattere una guerra.
Sentite:
Poveri montanari, tirati su nelle baite a forza di pan duro e di Rosari, strappati alle loro montagne ed ai loro pascoli, intruppati, condotti di fronte ad altri uomini, semplici e ignari come loro, con l’ordine di uccidere per non essere uccisi; che cosa sapevano essi della guerra e delle sue ragioni, questi «umili che lavorano e non sanno», in nome dei quali il Papa Pio XI aveva scongiurato i Governanti a voler riflettere, prima di far ricorso alla ragione irragionevole delle armi?
Eppure pagavano anch’essi e forse essi più degli altri in confronto a quelli che «sapevano», o credevano di sapere, le cause di tutto quello che stava tragicamente avvenendo.
Esattamente quello che vi ho detto ieri e, credetemi, non l’avevo letto prima. Questo libro lo sto leggendo con voi, insieme a voi, proprio pagina dopo pagina. Anche perché, purtroppo, in questo periodo non ho molto tempo, quindi è già una grazia che riesco a fare le meditazioni.
Don Gnocchi scrive:
montanari, tirati su nelle baite a forza di pan duro e di Rosari, strappati alle loro montagne ed ai loro pascoli
e io aggiungo: alle loro famiglie, ai loro amici. Ma voi pensate!
Sapete, ogni tanto mi fermo, ci penso e dico: ma pensa a questi soldati che vengono portati via dalle loro famiglie e queste non sanno neanche se li vedranno più. Li vedi partire, ma non sai se tornano! Guardate che c’è da impazzire! C’è da impazzire! E quando ti arriva la notizia che questa persona è morta, e magari neanche avrai il suo corpo da onorare, da seppellire, da sapere che è in quel cimitero. Magari è fatto a brandelli chissà dove, saltato per aria, lasciato marcire chissà in mezzo a quale fossa comune, disperso in chissà quale posto. Ma voi vi rendete conto (no, non ci rendiamo conto) di che buco si forma nel cuore delle persone che hanno voluto bene a quest’uomo che non c’è più? I pensieri, poi… Come sarà morto? Avrà sofferto? Qualcuno gli sarà stato vicino? Avrà agonizzato? Sarà morto disperato? Sarà morto da solo? Quanto tempo avrà impiegato? Guardate, io, solo a pensarci, mi sento male veramente, sono sincero, mi sento male.
condotti di fronte ad altri uomini, semplici e ignari come loro
Il nemico che ho davanti mi è nemico perché me l’hanno detto! Perché lo devo uccidere? Lo devo uccidere per non essere ucciso, ma non c’è un’altra ragione. Quell’uomo, che non ho mai visto in vita mia, che male mi ha fatto? Non so neanche chi è. Almeno lo conoscessi e mi fosse antipatico… certo non si arriva all’omicidio per questo però, ammesso e non concesso, una ragione, pompata e gasata quanto vuoi, te la puoi dare; ma quello non lo conosci, non sai neanche chi è, magari è anche più giovane di te, magari è un ragazzino. Ma cosa fai, spari in testa a un ragazzino, perché sennò ti uccide lui? Ma vi rendete conto?
Uccidere per non essere uccisi
Io, semplice e ignaro, mi trovo di fronte a uno, semplice e ignaro, che, come me, è stato strappato ai suoi affetti. Io, ammazzando quell’uomo, ammazzo probabilmente un marito, ammazzo probabilmente un padre, ammazzo sicuramente un amico, ammazzo sicuramente un figlio. Mettiamo che sia sposato con figli; io vado a togliere la persona amata a quella moglie, a quei figli, al suo papà, alla sua mamma, ai suoi amici. No, no, no, no.
che cosa sapevano essi della guerra
Ma cosa volete che sapessero? Sapevano solo che venivano intruppati, basta! Venivano precettati, intruppati, presi, portati via, perché dovevano andare a combattere.
questi «umili che lavorano e non sanno»
“per i quali un papa, Pio XI, aveva scongiurato i governanti di non fare quei passi”.
E questi innocenti — perché questi uomini erano innocenti; non sono innocenti solamente i bambini — hanno pagato il prezzo deciso da altri; è questo il punto! Altri hanno deciso che doveva esserci la guerra (per fini, poi… vabbè). E questi decisori dove erano? Al fronte, dentro le trincee? No, ma figuriamoci, questi altri erano nei palazzi, protetti, sani e salvi, al caldo, all’asciutto, a mangiare, a bere, a dormire, capite? Funziona così: chi comanda, chi muove le pedine, se ne sta là bello, al caldo, asciutto, protetto, a bere, a mangiare, a dormire in un letto caldo, mentre questi poveri uomini innocenti erano in mezzo ai cadaveri, al fango, alla pioggia, al gelo, alla fame. Perché? Per chi? Per che cosa? Per combattere una guerra che non era la loro guerra, che non gli apparteneva.
Il ragionamento giusto dovrebbe essere un altro. Io voglio fare la guerra? Metto fuori un foglio con scritto: “Tutti coloro che vogliono fare la guerra con me, scrivano il loro nome”. Se avessero fatto così, se avessero detto: “Arruoliamo secondo libertà, chi vuole viene, si va ad arruolare, e va in guerra”, non penso che sarebbero riusciti a fare la guerra. Non avrebbero potuto muoversi neanche di un centimetro!
Secondo voi, il montanaro che stava non so dove, in quale baita, avrebbe preso e mollato tutto? Ma neanche sapeva che cosa era successo, non c’erano internet e il cellulare! Ma cosa volete che ne sapesse quel pover’uomo che viveva in mezzo alle capre e alle mucche senza nemmeno la luce elettrica?
Da queste parole di don Carlo Gnocchi, dobbiamo imparare una cosa: non facciamo ricadere la nostra responsabilità sugli altri; non tiriamo dentro, nelle nostre questioni, le altre persone, le persone innocenti. Ognuno combatta la guerra sua, se vuole combattere una guerra, ma non tiri dentro le persone che non sanno.
Noi facciamo queste cose, facciamo le guerre anche tra le famiglie, di generazione in generazione, per cui quella famiglia, di generazione in generazione, non deve parlare con quell’altra famiglia; perché? Non si sa! Perché il trisavolo, quel giorno, uscendo di casa, si è sentito rivolgere male una parola, se l’è presa e, di generazione in generazione, si è tramandato che quella famiglia è il male assoluto. I protagonisti della vicenda sono morti, sono venuti i figli, poi sono venuti i nipoti, i nipoti dei nipoti, che nemmeno sanno il nome del loro trisavolo; ma fa niente, l’odio si trasmette con il latte materno.
Quindi, stiamo ben attenti. Mi permetto di dire una cosa: ma se di fronte a una situazione del genere, uno dicesse: “In coscienza, io non voglio, io non voglio ammazzare”; e dice no, e fugge, e si nasconde?
C’è un bellissimo film che si intitola “La vita nascosta”, ambientato nell’epoca del nazismo che tratta di un uomo che viene chiamato alle armi, ma si rifiuta e viene imprigionato. Ha vinto anche dei premi, è un film molto bello.
Quindi, se uno dicesse “no”, prende, scappa e si nasconde, non vuole; sbaglia? Non lo so, domando. So che viene definito “un disertore”, secondo la legge militare, sì, sì, va bene; ma se uno dice: “Io non me la sento di andare ad ammazzare una persona perché qualcun altro mi dice di farlo; io non me la sento di andare ad ammazzare un altro uomo, perché non mi ha fatto niente di male, non è una legittima difesa, non mi ha fatto niente. Ucciderlo perché, sennò, vengo ucciso io; ma che ragione è, questa? Andare in guerra e non so neanche perché ci vado. Non me la sento!” Non lo so, ecco, sono domande che io metto lì.
Quando, da ragazzo, maturai la mia scelta di fare l’obiettore di coscienza, beh, non vi dico che cosa si scatenò attorno a questa scelta. Ma io dicevo: “Non è questione di essere un pacifista, è che io non voglio che qualcuno mi venga a dire: “Ammazza quella persona”. Perché io non la uccido, punto! Siccome c’è la possibilità di fare l’obiettore di coscienza, faccio l’obiettore di coscienza. E poi gradisco usare questo anno — se proprio lo devo dare — mettendolo al servizio, magari, dei più poveri, dei più bisognosi, piuttosto che andare a fare altre cose. La legge lo consente e quindi ho fatto la mia scelta”.
E sono ben fiero di averla fatta, tornassi indietro la rifarei, fierissimo di averla fatta.
Peraltro, fu proprio grazie a questa scelta che io conobbi l’Ordine nel quale poi sono entrato. Capite, è andata così: io sono entrato nell’Ordine presso il quale ho fatto l’obiettore di coscienza. Nemmeno sapevo esistessero i Carmelitani. Siccome i Carmelitani a Milano avevano — e hanno tuttora — una mensa per i poveri, io sono andato a finire lì. E, da lì, ho conosciuto che… e quindi poi…
Ecco, di conseguenza, credo proprio che sia opportuno riflettere sulle nostre scelte.
Andiamo avanti un pochino:
Gli è che tutto si tiene, tutto è corale nella vita, «tutto il mare cresce per una pietra che vi si getti» (Pascal) e, nel corpo sociale, se c’è una circolazione «arteriosa» della verità e del bene, di cui tutti gli uomini inconsciamente e spesso immeritatamente beneficiano, c’è anche una circolazione «venosa» dell’errore e del male, alla quale nessuno, per innocente che sia, può pretendere di sottrarsi.
Certo, purtroppo è vero, perché ci si può sottrarre fino a un certo punto, ma poi è chiaro che non sempre ti puoi sottrarre; alle volte sì, alle volte no.
Si, perché la maggior parte degli uomini è disposta facilmente a credere nella comunanza del bene, accetta ben volentieri la solidarietà «positiva» con tutta l’umanità, quando si tratta di dividere le conquiste e i vantaggi della scienza, del progresso, della civiltà, della fraternità, e quando anche un bimbo gode di tutti questi valori, frutto di innumerevoli sacrifici altrui, non si domanda in forza di quale diritto egli ne debba beneficiare; ma al contrario si ribella alla solidarietà «negativa» che coinvolge tutti gli uomini nei fenomeni sociali di crisi, di decadenza, di sventura e di cattiveria collettiva e, quando un innocente è chiamato a parteciparvi, se ne scandalizza e grida all’ingiustizia.
Come se anche il bimbo non fosse parte dell’umanità e si potesse fargli una storia ed un destino a parte, diverso da quello del suo tempo e dell’umanità, a cui egli appartiene e che egli pure compone.
Purtroppo, è così; c’è questa solidarietà negativa, questa partecipazione a questa crisi, a questa decadenza, a questa sventura, a questa cattiveria collettiva.
Beh, diciamo che queste cose non accadono solo in tempo di guerra… Poi, c’è guerra e guerra, poi ci sono altre cose che magari non sono una guerra e che ci fanno sperimentare questa cattiveria collettiva; per cui, se non fai come fanno tutti, poi vieni marchiato a fuoco, vieni additato come quello che non sei e paghi un prezzo da innocente. Perché poi, magari, hai anche ragione, in quel dubbio che tu porti avanti: “Ma siamo proprio sicuri che questa cosa funzioni? Ma siamo proprio sicuri che questa cosa vada bene? Ma siamo proprio sicuri che questa cosa sia giusta?”. Ma guai a mettere in dubbio il dogma del “Così fan tutti”. “Perché tu devi essere diverso? Bisogna tutti obbedire a …”. Ma uno dice: “Ho capito, bisogna obbedire “a”, ma, io ho un’intelligenza, ho una testa, perché devo obbedire?” Obbedisco se una cosa è sensata, se ha una ratio, se porta alla verità; non perché qualcuno ha deciso che tutti devono fare così; chi l’ha detto? Dove è scritta, questa legge? “Ah, se tu non lo fai, noi ti esiliamo, noi ti estromettiamo”; ma questa è una violenza! Questa è una violenza verso gli innocenti.
Ed è vero che poi si sviluppa una cattiveria collettiva, perché la storia ce lo ha insegnato: uomini che denunciano altri uomini perché sono diversi; uomini che mandano a morire altri uomini (in tanti modi si mandano a morire) perché non fanno come ho fatto io, quello che ho scelto io.
E questo non è, forse, un dolore innocente?
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.