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Dare la vita per i fratelli pt.3 – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.21

Mistica della riparazione

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Dare la vita per i fratelli pt.3 – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.21
Martedì 27 agosto 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Mt 23, 23-26)

In quel tempo, Gesù parlò dicendo:
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 27 agosto 2024. Oggi è santa Monica, madre di sant’Agostino, quindi auguri a tutte coloro che portano questo nome e auguri a tutte le mamme: alle mamme che, magari, vivono momenti di difficoltà con i loro figli, e anche alle mamme che invece hanno dei figli belli e bravi perché rendano grazie a Dio di questo dono.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal ventitreesimo capitolo del Vangelo di san Matteo, versetti 23-26.

Ancora Gesù ritorna su questi scribi e farisei ipocriti, su queste “guide cieche”. Vedete, è sempre così che li chiama: “guide cieche e ipocrite, che filtrano il moscerino e ingoiano il cammello”, incredibile. Stanno lì a guardare la decima solamente sull’aneto e sul cumino e poi ignorano le prescrizioni più gravi della legge! Via giustizia, misericordia e fedeltà. E poi, al loro interno pieni di ogni intemperanza, avidità e quant’altro. Stiamo attenti a questi scribi e farisei.

Allora, andiamo avanti a leggere quello che dice don Divo.

La gloria di Dio non può consistere nello splendore delle opere esterne: — interessante! Invece noi ci concentriamo proprio su quelle — ogni splendore visibile è sempre ambiguo nell’economia presente. Se cerchiamo una gloria per Iddio in opere e avvenimenti esteriori, di fatto obbediamo a una logica insana. La gloria di Dio non può risplendere in una creazione che non è più buona come all’inizio, ma è divenuta schiava del male. Questa creazione proprio nella sua gloria, proprio nella sua bellezza non manifesta necessariamente il Signore; più spesso lo nasconde e lo offende. — Attenzione — La maggior gloria di Dio è la soppressione del male; la maggior gloria di Dio consiste precisamente nella riparazione che l’uomo può offrire e che sola annienta il peccato umano, il male del mondo.

Quindi, la soppressione del male noi l’abbiamo dove? Beh, a me viene in mente subito il confessionale; a me viene in mente subito la penitenza, offrire penitenze di qualunque genere e tipo. Partiamo, ad esempio, dal non mettere lo zucchero nel caffè, un esempio di penitenza, ma non solo, ci sono tante piccole, piccolissime penitenze che possiamo fare che però hanno un grande valore. 

Quindi, soppressione del male: per esempio evitare di compiere il male, scegliere di non seguire la logica del male; evitare di vendicarci, evitare di rispondere alle offese con offese, evitare tutte le cose brutte.

Per questo, non gli architetti che costruiscono le cattedrali, non i grandi geni che compongono le somme teologiche danno a Dio la gloria più grande; anche questa può essere gloria di Dio, ma la massima gloria la offrono a Dio le anime vittime, che nella loro sofferenza, con umiltà ed amore, riparano il peccato del mondo, accettano e godono di essere fatti simili a Cristo, di partecipare alla sua Passione e di pagare per gli altri, per i fratelli. La maggior gloria di Dio è proprio nel segreto, nel mistero di questa umiliazione, di questa sofferenza redentrice, sopportata e accettata con amore per i fratelli. Così la riparazione è veramente l’atto supremo della carità, la manifestazione e l’esercizio della carità più alta, più divinamente efficace. E tutto questo è vero, perché la riparazione è anche l’atto che più ci unisce a Cristo, Colui che ha più amato gli uomini e Dio, Colui che ha portato all’estremo l’esercizio dell’amore nell’atto della sua morte.

Qui don Divo ci parla delle anime vittime di cui abbiamo già parlato. Abbiamo già parlato anche delle passiflore eucaristiche, se voi vi ricordate; quindi è un tema che noi già abbiamo trattato e sono sicuro conoscete meglio di me. Sono anime che soffrono — ripeto: sofferenze spirituali, sofferenze corporali — con umiltà e amore e offrono questa loro sofferenza per riparare il peccato del mondo. Non sono masochiste, non lo fanno per amore della sofferenza in quanto sofferenza, ma lo fanno per amore di Gesù, cioè — scrive don Divo — «accettano e godono di essere fatti simili a Cristo, di partecipare alla sua Passione e di pagare per gli altri, per i fratelli»; quello che ha fatto Gesù. 

Questa è la sofferenza redentrice; dice don Divo: «la maggior gloria di Dio è proprio nel segreto, nel mistero di questa umiliazione, di questa sofferenza redentrice, sopportata e accettata con amore per i fratelli», capite?

La vostra sofferenza, la nostra sofferenza, può avere un valore redentivo quando è sopportata, è accettata, con amore per i fratelli; perché? Perché ci fa partecipare alla passione di Gesù, ci fa simili a Gesù. Ma capite che cose bellissime? Capite che messaggio di speranza? Quindi veramente la sofferenza, veramente il dolore è uno strumento di redenzione, è proprio un’occasione di redenzione, un mezzo di redenzione; veramente!

Uno dice: “Padre, però lei ci parla sempre di don Divo Barsotti… Vabbè, è una fonte autorevole, per l’amor del cielo, però, voglio dire, c’è qualcosa di più autorevole?”; ma certo! — Io vi dico sempre: le fonti; il Magistero della Chiesa, andiamo a prendere i santi, benissimo — Andate quindi a prendere papa Giovanni Paolo II quando, nel 1984 ha scritto la Salvifici doloris (non so quanti di noi l’abbiano letto). Andate a leggere, non bisogna essere Cicerone per poter tradurre questo titoletto, Salvifici doloris. Questa è una fonte assolutamente autorevole, assolutamente sempre valida, questa è una fonte che è un punto di riferimento per un cattolico; e non l’ha scritta un papa del 1200, l’ha scritta Giovanni Paolo II, che è un papa che ha fatto crescere tantissimi di noi e l’ha scritta nel 1984, quindi — voglio dire — 2024 meno 1984 non sette milioni di anni fa!

Bene, allora, andate a leggere il testo e vedete che don Divo va perfettamente a incunearsi, assolutamente in modo armonico, rispettoso e obbediente con la Salvifici doloris scritta dal papa Giovanni Paolo II, e a noi questa cosa piace tanto, ci da tanta pace, ci dà tanta serenità. Con Don Divo non vi viene proposto il pensiero di un pazzoide devozionale, devozionista, pietista, masochista, di uno fuori di testa, che vede il dolore come una cosa buona. No! 

Aut pati aut mori, dicono i santi carmelitani, “o patire o morire”, lo dicevano nel 1500 e Giovanni Paolo II, nel 1984, ribadisce lo stesso concetto. 

Andate anche a vedere santa Veronica Giuliani, andate a vedere san Camillo de Lellis, andate a vedere Madre Teresa di Calcutta, andate a vedere san Vincenzo de Paoli, voglio dire: tutti i santi! San Francesco d’Assisi, cosa diceva del dolore e della sofferenza? San Francesco ha forse avuto una vita priva di dolore e di sofferenza? Ha fuggito la croce, san Francesco? San Pio da Pietrelcina? Andate a vedere cosa diceva del dolore e della sofferenza; andate a leggere cosa scriveva e cosa diceva san Pio. Ma tutti i santi, guardate, tutti!

Ecco, quindi, ripeto: il dolore, la sofferenza, come strumento, come occasione, come possibilità di redenzione che mi viene offerta; ovviamente nella misura in cui io l’accetto nell’ottica delle anime vittime, non in senso assoluto perché, se io non lo accetto, se io non lo voglio vivere come anima vittima, come anima cristiana, allora niente, non ha questo valore. 

Ed è quello che appunto ci dice don Divo Barsotti, quando scrive che questa massima gloria viene offerta da queste anime vittime che vivono proprio in questa logica, che nella loro sofferenza, con umiltà e amore, riparano il peccato del mondo, accettano e godono di essere fatti simili a Cristo. 

Non accettano né godono di soffrire perché gli piace soffrire, non sono masochisti; accettano e godono di essere fatti simili a Cristo, che vuol dire: partecipare alla sua Passione, sacrificarsi per gli altri, usare e vivere la Croce come momento supremo, come rivelazione suprema del proprio amore per il Padre. Capite? E lo scrive lui qui: «La maggior gloria di Dio è proprio nel segreto, nel mistero di questa umiliazione, di questa sofferenza redentrice»; la sofferenza come occasione di redenzione, sofferenza redentrice, sopportata e accettata con amore per gli altri. Se tu la vivi, la sopporti, la accetti con amore, in questo modo la riparazione — cioè, tutto quello che abbiamo detto fino adesso — è veramente l’atto supremo della carità.

Certo, chi è ateo (perché non è che sono tutti credenti) può dire che il dolore e la sofferenza non sono uno strumento di redenzione. Certo, un ateo è giusto che lo dica, è perfettamente giusto e coerente con i suoi principi; è ateo, non crede in Dio, quindi, se non crede in Dio, e soprattutto non crede in Gesù Cristo e in tutta la storia salvifica di Gesù, e quindi non crede nella sua Passione e morte e Risurrezione — perché di questo stiamo parlando — può dire, anzi deve dire, è giusto che dica, che la sofferenza e il dolore non sono uno strumento di redenzione. Beh, ci sta, è ateo, non ci crede, e cosa potrebbe dire di diverso? Dice questo! Ma non certamente Giovanni Paolo II, nel 1984, con Salvifici doloris! 

Accetto smentite, perché uno può leggerla e dire: “Ma no, ma padre Giorgio, ma guardi che lei ha frainteso e ha confuso lucciole per lanterne; Giovanni Paolo II ha detto invece che il dolore, la sofferenza, non sono assolutamente un’occasione di redenzione, una possibilità di redenzione, uno strumento di redenzione, anzi, tutto il contrario”. 

Se Giovanni Paolo II ha detto questo, e se anche san Giovanni della Croce, santa Teresa di Gesù, santa Teresina (con tutto quello che hanno sofferto), santa Veronica Giuliani e S. Pio da Pietrelcina hanno scritto esattamente il contrario, non aut pati aut mori, allora sono pronto a dire che ho sbagliato. 

Ma io, nella mia versione della Salvifici doloris, leggo esattamente quello che dice don Divo Barsotti, e quindi lo porto avanti, e quindi è giusto, e quindi è cattolico; questo è un pensiero cristiano-cattolico. Mi stupirei del contrario perché duemila anni di storia andrebbero in fumo, se dicessi una cosa diversa; invece don Divo, che non manda in fumo duemila anni di storia della Chiesa e di vita cristiana, e non manda in fumo la parola di Dio, non manda in fumo il Vangelo, non manda in fumo le Scritture, dice esattamente questo.

E questo è un messaggio di grande speranza, perché se tu dicessi, a coloro che vivono, appunto, momenti di sofferenza e di dolore: “Ma la tua sofferenza è assolutamente inutile”… Perché noi potremmo arrivare a dire una cosa del genere alle persone; qualcuno potrebbe arrivare a una follia del genere. A parte che io non so con quale coraggio si possa andare a dire a una persona: “Tu soffri per niente”, con quale coraggio uno possa andare a dire a una persona: “La tua sofferenza è inutile” —; “Come la mia sofferenza è inutile? Ma come la mia sofferenza è inutile? Ma i santi non hanno mai detto questa cosa; la Salvifici doloris non dice che la mia sofferenza è inutile! Papa Giovanni Paolo II ha sbagliato?”.

La tua sofferenza è utilissima, è importantissima, nella misura in cui la accetti, nella misura in cui godi di essere fatto simile a Gesù e di partecipare alla sua Passione e di sacrificarti per gli altri, per i fratelli. Questa sofferenza è una sofferenza redentrice, perché sopportata, perché accettata, perché amata per i fratelli, per dare gloria a Dio. Queste sono le anime vittime. 

Che bello se ci fossero tante anime vittime! Sono loro che tengono in piedi questo bel mondo, sono loro che permettono ai sacerdoti di predicare la parola di Dio, sono loro che permettono ai martiri di morire martiri, sono loro che permettono alle mamme di essere brave mamme cristiane, cattoliche. Sono loro, sono le anime vittime, perché sono quelle più vicine a Gesù, sono quelle che di più portano Gesù nella loro carne, nella loro anima, nella loro persona, nel segreto. E sono quelle che amano di più, c’è poco da fare: «l’atto supremo della carità, la manifestazione e l’esercizio della carità più alta, più divinamente efficace», questo è quello che veramente conta, altro che inutile!

Il diavolo, certo, mi verrà a dire: “Ah, ma Giorgio, la tua sofferenza è inutile, tu stai soffrendo inutilmente”, ma questo è il diavolo che me lo dice; il diavolo fa il suo mestiere, ma Gesù… Avete mai visto, in un testo di mistica — ditemi se sì, dove, perché lo voglio leggere anch’io — andate a prendere santa Margherita Maria Alacoque, andate a prendere santa Faustina (in “Diario della Divina Misericordia”) andate a prendere santa Veronica Giuliani, andate a prendere padre Pio, andate a prendere chi volete, il santo più sconosciuto che volete, il mistico più sconosciuto che volete, andate a prendere san Charbel, andate a prendere san Serafino (il padre Pio dell’oriente), e ditemi se loro da qualche parte — mi basta una riga e faccio un passo indietro — dicono che la sofferenza è inutile. San Pio da Pietrelcina che scrive: “la sofferenza è inutile”, punto. Benissimo, voi lo trovate e io vi do ragione.

Non c’è, non lo troverete mai. Nessuno lo potrà mai trovare. Andate a prendere la Salvifici doloris di Giovanni Paolo II — Magistero ordinario della Chiesa — andate a vedere se, in quel testo, il Papa dice che la sofferenza è inutile.

Il diavolo, ve lo ripeto, solo il diavolo può dire che la sofferenza è inutile, nessun altro. Perché uno che è credente non potrà mai dire una cosa del genere; perché guarda il Crocifisso, guarda Gesù in croce, e dice: “Ecco il valore della sofferenza. Guardando Lui, capisco il valore della mia sofferenza”. Oppure, come vi ho detto prima, un ateo, che dice: “La sofferenza è inutile; sono ateo, non credo in Dio, e quindi la sofferenza è inutile”, giusto. Ma noi, che siamo credenti, non potremo mai dire questa cosa; attenzione al Vangelo di oggi; ricordate sempre il Vangelo di oggi e il Vangelo di ieri, perché cade proprio a fagiolo: guide cieche, ipocriti”; attenzione a non finire noi a essere giudicati così da Dio, stiamo attenti. E — scrive don Divo — «tutto questo è vero, perché la riparazione è anche l’atto che più ci unisce a Cristo, Colui che ha più amato gli uomini e Dio».

Ma, vedete, in tutto questo ragionamento, non c’è un punto illogico, non c’è un punto di contraddizione, non c’è un punto fuori contesto, tutto ritorna perfettamente. Tu leggi il Vangelo e dici: “Sì, è chiaro, è tutto perfetto, don Divo conosceva il Vangelo”; certo che don Divo conosceva il Vangelo, era un finissimo teologo, bravissimo, scrive delle cose bellissime. E proprio lui dice: «Colui che ha più amato gli uomini e Dio, Colui che ha portato all’estremo l’esercizio dell’amore nell’atto della sua morte».

Quindi, noi siamo accanto a una persona che sta morendo, o che sta soffrendo, e cosa gli diciamo? “Ah, sì, vabbè, la tua sofferenza è inutile, puoi crepare da solo, tanto la tua sofferenza è inutile. Cerca di morire in fretta, perché così liberi il posto”. Ma vi rendete conto? Oppure: “La tua sofferenza è inutile; beh, ti aiuto io, così almeno, no, tanto è inutile…”. Noi siamo lì, accanto a una persona che soffre… Io penso a madre Teresa di Calcutta: davanti a madre Teresa di Calcutta nessuno poteva dire che la sofferenza può essere inutile, o che non dobbiamo essere anime vittime; no! 

Perché poi, vedete, mi viene in mente anche questo, si aggiunge anche un’altra cosa: quando noi soffriamo, spesse volte arriviamo a un certo punto e diciamo: “Non ce la faccio più, è insopportabile”. Anch’io, nella mia vita, l’ho provato, ma soprattutto da un punto di vista fisico. C’è stato un momento preciso della mia vita dove, a causa di un’operazione, ho sofferto tantissimo e ho detto: “No, questo è veramente un dolore insopportabile, è un dolore proprio pazzesco, non ce la faccio, non ce la faccio, non ce la faccio”. Ma capite, è vero che il dolore alle volte può essere fortissimo, ma andate a vedere i bambini eucaristici che abbiamo letto pochi giorni fa, tutta l’esperienza di questi bambini. Ma guardate questi bambini che sofferenze hanno vissuto, andate a rileggere la loro storia, andate a leggere cosa aveva detto Carlo Acutis e tutti i bambini eucaristici che sono morti in mezzo a sofferenze terribili. Eppure: come hanno vissuto la sofferenza…

La sofferenza è insopportabile se è senza speranza, è insopportabile se è senza motivazione, è insopportabile se è senza sostegno. Ma pensate ai martiri, che sono stati sbranati vivi dalle belve, o scorticati vivi, o squartati vivi, o spellati vivi. A san Bartolomeo, cosa hanno fatto? A san Sebastiano, cosa hanno fatto? A san Giovanni, che l’hanno messo nell’olio bollente! A Gesù, cosa hanno fatto?

Insopportabile, certo, ma perché? Perché queste persone, questi nostri fratelli e sorelle nella fede, non hanno accanto nessuno, spesse volte, o hanno accanto le persone sbagliate, che non sanno mostrare il valore incredibile, utilissimo, della sofferenza redentrice, non gli sanno proporre la via delle anime vittime, la via dell’unione a Cristo, la via dell’accettazione di questa sofferenza per partecipare alla sua Passione, per riparare al male del mondo. Non hanno nessuno che gli parla di queste cose. E allora è chiaro che uno dice: “Non ce la faccio più, è insopportabile, è inutile, non ha senso, che senso ha la mia vita con questa sofferenza?”. Certo, non ha senso dentro la logica mondana; la logica mondana, è una logica senza Dio, una logica atea. Ma, in una logica cristiana, credente, ci sono fior fior di esempi, di santi, di martiri, di bambini eucaristici, che ci testimoniano, invece, come la sofferenza è una grande occasione. Ricordate quando Gesù diceva a quei bambini: “Devi soffrire ancora un po’, ho bisogno della tua sofferenza per salvare le anime”; ma l’abbiamo letto in questi giorni, pochi giorni fa, non vi sto dicendo nulla di strano, nulla di nuovo, è quello che ha sempre insegnato la Chiesa, è quello che hanno sempre insegnato i santi, è quello che c’è scritto nella Parola di Dio, è scritto lì.

Va bene, domani andremo avanti con questo capitolo, perché, vedete, lo stiamo facendo pian pianino, perché è molto denso. E domani vedremo qual è uno dei problemi più gravi della vita spirituale; domani inizierà proprio così, sempre questo capitolo. 

Però, mi raccomando: innanzitutto impariamo noi, quando abbiamo un po’ di sofferenza, a saperla vivere come anime vittime, non andare a sbandierarla a destra e a manca, no: anime che si offrono. E quando abbiamo accanto qualcuno che soffre tanto, stiamogli vicino, impariamo a insegnare, a mostrare alle persone, la logica, la bellezza delle anime vittime: “a essere simili al Cristo sofferente, alla sua Passione, al valore di questa sofferenza redentrice, se sopportata e accettata con umiltà, con amore e offerta come sacrificio, come atto supremo di carità”.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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