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La redenzione è il più alto atto di carità pt.2 – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.18

Mistica della riparazione

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: La redenzione è il più alto atto di carità pt.2 – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.18
Sabato 24 agosto 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 1, 45-51)

In quel tempo, Filippo trovò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaèle gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 24 agosto 2024. Festeggiamo quest’oggi san Bartolomeo apostolo.

 Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal primo capitolo del Vangelo di san Giovanni, versetti 45-51.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di don Divo Barsotti. 

S. Tommaso d’Aquino dice che è grande cosa la creazione dell’uomo, grande cosa la resurrezione d’un morto, ma più grande ancora è la conversione d’un peccatore, perché l’abisso che separa il peccato dallo stato di grazia è ancora più grande di quello che separa il nulla dall’essere; là infatti è una pura privazione, qua invece un’opposizione radicale.

Se l’atto della riparazione divina è anche l’atto supremo della carità di Gesù, ne deriva che anche noi, che viviamo in lui, tanto più vivremo la carità perfetta quanto più saremo impegnati veramente a vivere il mistero di questa riparazione cristiana. Certo, si può fare anche l’atto più grande con pochissimo amore: un sacerdote può dir Messa ed essere in peccato mortale, uno può recitare al Signore una formula di riparazione e aver la testa chissà dove, o chissà dove il cuore.

Così l’atto di riparazione è di per sé l’atto supremo della carità, ma non sempre lo è per noi, perché a volte non lo viviamo realmente. Nella misura che è vissuto davvero, l’atto di riparazione è anche l’atto supremo dell’amore cristiano. È l’atto che più ci assimila a Cristo, l’atto che più efficacemente opera l’unità nostra con gli altri. Non soltanto opera l’unità più profonda, un’unità che resiste anche di fronte al Signore, ma anche salva più efficacemente, perché toglie la radice del male.

Un malato, se assistito, guarisce; non è però sottratto alla morte. Ma se io tolgo il peccato, se io di fronte al Signore assumo la responsabilità del peccato di un mio fratello, ecco che ottengo dal Signore che questo peccato venga cancellato e distrutto, ed il mio fratello può esser salvo.

Vedete Mosè dinanzi a Dio nella sua preghiera. Dio in qualche modo è costretto a perdonare al popolo d’Israele. «Esci da questo popolo. — gli dice Dio — sciogliti da questo popolo e vieni con me; io ti farò capo di un’altra nazione più grande». E Mosè resiste alla volontà di Dio, combatte con la giustizia di Dio: «No, — egli risponde — o cancelli anche me dal libro della vita o salvi questo popolo. Se tu mi ami devi prendermi con questo popolo, perché sono una cosa sola con lui».

Questa è anche la preghiera di Gesù nel Getsemani, sulla croce. Il Padre non può separarsi dal Figlio, il Padre non può non essere uno col Figlio e il Figlio, ecco, si è fatto solidale con me e dice al Padre: «Se tu mi ami, non puoi non amare anche tutti costoro che sono con me nell’amore, miei fratelli, mia porzione, mia eredità, che sono divenuti il mio popolo, che sono divenuti il mio corpo».

Dice il santo a Dio: «Signore, che io sia la pietra che chiude la porta dell’inferno, sicché nessun peccatore vi cada, ma tutti salgano a Te perdonati». Preghiamo dunque. Ricordiamoci che queste non sono soltanto parole, ma impegno di offerta, di sacrificio, di morte. Che cosa era necessario per la salvezza del mondo? Il lavoro, la preghiera, i miracoli di Gesù? No, ma la sua Morte. Redimere vuol dire pagare.

Assumerci il peso del peccato non vuol dire peccare, vuol dire essere umiliati e spezzati da questo peso, vuol dire sentirci divenuti verme e non uomo, come Gesù.

È la sorte della Chiesa, è il destino del cristiano, perché è stato prima di tutti gli altri il destino del Cristo.

S. Tommaso d’Aquino dice che la creazione dell’uomo è una grande cosa, una grandissima realtà. Pensate: dal nulla, Dio crea un uomo. È veramente una cosa prodigiosa e voi sapete che solo Dio crea, l’uomo non è capace di creare niente, l’uomo può fabbricare, l’uomo può costruire, l’uomo può inventare, ma non può creare. Stiamo attenti quando usiamo questi termini perché, oggi, nel linguaggio informatico, nel linguaggio dei social, c’è questo modo di esprimersi, di dire: “ho creato”. Anche solo parlando di un banale calendario, noi diciamo: creiamo un evento, “ho creato un evento”. Ma noi non creiamo un evento, noi decidiamo un evento, fissiamo un evento, fissiamo una data, non la creiamo. Noi invece usiamo con troppa disinvoltura l’espressione “io ho creato qualcosa”.

Quindi già la creazione dell’uomo è una cosa grande, altrettanto grande è la resurrezione di un morto, questo miracolo che Gesù ha fatto — per esempio la resurrezione di Lazzaro — è un’opera prodigiosa. Però, dice don Divo riportandoci S. Tommaso, più di tutto, addirittura più della creazione stessa dell’uomo dal nulla, è la conversione del peccatore. Quando un peccatore si converte, lì avviene un’opera ancora più grande della creazione, perché l’abisso — e c’è un abisso — che separa il peccato dallo stato di grazia è più grande di quello che separa il nulla dall’essere, perché la separazione che c’è tra il nulla e l’essere, è una separazione di pura privazione: è la privazione dell’essere. Invece ciò che separa il peccato dallo stato di grazia non è una pura privazione, ma una opposizione radicale, capite? Quindi l’abisso tra il peccato e lo stato di grazia è ancora più grande. Ecco perché dobbiamo saperci confessare bene e dobbiamo saperci confessare con frequenza.

E qui mi permetto una precisazione. 

Mi è successo qualche volta, rara per la verità, che qualcuno a un certo punto — c’è sempre una ragione per cui accadono le cose, ma adesso non è il momento di capire la ragione di questi accadimenti — dica: «Quello che dice padre Giorgio Maria, e cioè di imparare a confessarsi di frequente, e la cosa migliore se questa frequenza è settimanale, è un po’ eccessivo, è un po’ rigido — guardate che ogni termine che uso non è a caso, c’è il suo perché — un po’ troppo da “regola da osservare”, un po’ troppo da fondamentalismo».

Ricordate che, nei tempi passati, più volte vi ho raccontato di quando noi bambini e ragazzi andavamo a confessarci ogni sabato pomeriggio. Vi ricordate di quando vi parlai di Monsignor Cazzaniga? Vi ricordate quando vi parlavo dell’estate, con quel caldo, dovevamo confessarci tutti i sabati alle due e mezzo, uscivamo di casa, — febbre, non febbre, stai bene, stai male — tutti andavamo insieme a confessarci; sono cose che vi ho già detto ampiamente. E allora qualcuno magari dice: «Eh, va bene padre, però io non è che ammazzo qualcuno. Poi io ho una coscienza formata, comunque, insomma, ho una vita cristiana. E poi, cos’è che faccio nella mia vita tale per cui io passo una settimana e devo andare a confessare i peccati? Ma perché? Ma che peccati devo andare a dire dopo una settimana? Che cosa faccio? Mi sembra che lei padre sia un po’ esagerato, cioè questa cosa non va bene, anche perché poi questa cosa fa venire i sensi di colpa, questa cosa fa venire le angosce, queste cose fanno venire l’ansia».

Allora, punto primo, come io vi ho sempre detto, quando vi do dei consigli, cerco sempre di portare che cosa? … Adesso io qui sento il coro di tutti i miei acari giganti che ho intorno, che sono sempre qui ad ascoltare le mie piccole catechesi, che ormai in preda a un disturbo ossessivo compulsivo, mi guardano e mi dicono: «Basta! Le fonti, le fonti, le fonti, le fonti, le fonti, le fonti, le fonti, le fonti, le fonti!». Questi acari, poverini, sono esasperati, perché voi sapete che vi dico sempre: «Le fonti, le fonti, le fonti, le fonti, le fonti». Quando dobbiamo dire qualcosa di importante bisogna portare… (sentite il coro)… le fonti!

Ecco, bene, allora io vi ho più volte detto che S. Giovanni Bosco, il santo dei giovani — che più attento di lui ai giovani non so quanti altri ce ne sono stati — grandissimo santo, alla cui scuola si sono formati altri santi, uno su tutti S. Domenico Savio — quindi, capite, non stiamo parlando del primo pizzicagnolo che gira per la strada — lui diceva (testuali parole, andate a leggere i Sogni di Don Bosco, lo trovate lì): «Chi si confessa una volta al mese lasciamolo perdere; chi si confessa ogni quindici giorni è un mediocre; chi si confessa una volta alla settimana è interessato alla via della perfezione della santità». Quindi non me le invento io! Non è padre Giorgio che è eccessivo.

Io, come voi, ho letto e ho studiato da ragazzo questi santi, mi sono formato alla loro scuola, non vi vengo ad annunciare un’idea, una via, una strada che io in modo geniale ho scoperto. Non ho scoperto niente di geniale, non sono una persona geniale, sono un semplice ripetitore. Ci sono uomini geniali, io non lo sono, sono un semplice ripetitore. Ripeto, come un pappagallo, quello che mi sembra essere stato bello, importante e utile nelle letture che ho fatto nella mia vita, questo è quello che dice S. Giovanni Bosco. 

Quindi dobbiamo dire che S. Giovanni Bosco è eccessivo, fa nascere gli scrupoli, fa venire l’ansia? No! 

Uno potrebbe dire che S. Giovanni Bosco, però, non è che era proprio un “santo, santo, santo”; vabbè, ma S. Carlo Borromeo? Voglio dire, tutti sappiamo com’era — anche lui grandissimo santo — si confessava una volta al giorno, mangiava cinque lupini in un giorno e non dormiva mai. È morto a 40 e rotti anni per le penitenze. Adesso vi faccio una domanda: ma S. Carlo Borromeo compiva un omicidio al giorno, per doversi confessare ogni giorno? Quattro vescovi, dopo la sua morte, non riuscivano a fare in un giorno la metà del lavoro che faceva lui, viveva una vita di penitenza, che peccati faceva, secondo la nostra logica mondana e bigotta? (Perché noi siamo dei bigotti, noi non siamo cristiani). Che peccati faceva, tali da doversi confessare ogni giorno? Era un esagerato? Era anche lui un fondamentalista? 

S. Giovanni Bosco confessava i suoi ragazzi tutte le settimane. Ma ditemi un po’: a vivere insieme a S. Giovanni Bosco, ma voi che peccati potete fare?  Prima, quando dicevo che non è un gande santo, scherzavo; dicevo che non è un grande santo per fare l’eco a questi bigottoni che ci sono in giro. Io ritengo che S. Giovanni Bosco sia un grandissimo santo. Bene, e che peccati faceva quest’uomo? Se diceva ai suoi ragazzi di confessarsi una volta alla settimana, anche lui si confessava almeno una volta alla settimana. Quindi lui e i suoi ragazzi che peccati facevano? Capite quanto siamo bigotti? Quanto la nostra coscienza è paragonabile alla pelle di un coccodrillo? Anzi, alla pelle di un ippopotamo, che quella del coccodrillo è anche pregiata.

Noi non riusciamo a vedere i peccati che facciamo in una settimana, una roba pazzesca. Ci sentiamo una coscienza talmente a posto che per noi, confessarsi una volta alla settimana è una roba impossibile.

 Per cui, io porto queste fonti, queste sono le mie fonti. Chi consiglia di confessarsi una volta al mese, una volta ogni due, quali fonti porta, a parte la fonte del criceto? Sapete qual è la fonte del criceto? È una fonte diffusissima, che ha grandissimo successo, molto più della fonte delle aquile. 

La fonte delle aquile sono i santi, sono i padri della Chiesa, sono i martiri, sono i dottori della Chiesa, sono il magistero della Chiesa, sono la tradizione millenaria della Chiesa, sono la Sacra Scrittura. 

Le fonti del criceto, invece, sono le fonti del cervello mio, del nostro piccolo mediocre cervello, che è paragonabile a un criceto. Credo che nessuno di noi possa pensare di sé stesso di essere un’aquila, perché altrimenti si squalificherebbe da solo immediatamente. Quindi la fonte del criceto — cioè, del mio piccolo neurone che, poverino, si disperde nei meandri del liquido cerebrale e dice: aiuto, aiuto, aiuto, sono solo, non mi trovo, mi cerco e non mi trovo — diciamo che non è proprio una fonte attendibile, che ha attraversato duemila anni di storia, capite? Non è la fonte che ha formato scuole intere di santi; è la fonte del criceto! Ma non posso fondare una predicazione, un insegnamento, sulla fonte del mio cervello, delle mie piccole idee, che, morto me, morte loro.

Ecco, allora, se qualcuno vuole criticare questa mia posizione, ben venga, liberissimo di farlo, io sarò felicissimo, io son sempre felice di essere corretto, ma dalle fonti. Dovete portare le fonti.

Devo dirvi la verità, io, fino ad oggi, non ho ricevuto smentite, a parte le smentite delle “pance” che ci sono in giro: “io mi sento”; “a me mi piace questa cosa”, che già solo a dirla “a me mi”, senti la ridondanza viscerale di chi la dice; o appunto, la mia analisi psico socioanalitica che faccio. Allora, al di là di queste effervescenze narcisistiche, devo dirvi, non ho ricevuto smentite. Non mi sono arrivate fonti alternative. Non è che qualcuno mi ha detto: “Ah no, quello che lei dice (ad esempio) sulla Comunione spirituale è falso”. 

C’è stato un periodo in cui ho fatto delle catechesi importanti, sulla Comunione spirituale, e non mi sono arrivate smentite. 

Anche quello che io affermo sul riposo della domenica, sul terzo comandamento, sì, ho ricevuto qualche critica, vero, ma non le fonti; critiche fondate sul: “io penso, io credo, io sostengo, secondo me”. Ho fatto un PDF sul riposo della domenica che non ha niente del “secondo me”. Ho riportato le fonti della Scrittura, ho riportato le fonti dei santi, ho riportato le fonti del magistero, solo fonti. 

Ora: io accetto le critiche, le leggo e rispondo alle critiche quando portano le fonti, ma non quelle del criceto. Se uno mi porta le fonti del criceto, io le guardo, rido e vado oltre. Sento il grande poeta che mi dice: “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”. E qui risostengo la stessa cosa, la ripeto, perché per ora non sono stato smentito. Sì, va bene, le solite critiche del criceto però, tolte quelle, io non ho ricevuto smentite fondate sulle fonti. 

Quindi, lo ripeto: confessione frequente. Se la mia coscienza, dopo sette giorni, non mi dice qualcosa — provate voi a cambiarvi una maglietta intima dopo sette giorni, magari ad agosto, magari dopo una passeggiata in montagna e poi me lo spiegate. Questa maglietta voi la togliete, cammina da sola, urla ed entra in lavatrice, e vi estromettono dalla vita sociale, e il perché lo capite da soli — se dopo sette giorni la tua coscienza ti dice: ma vabbè, per me va tutto bene, ecco, allora io vi rispondo: c’è un problema; questa coscienza ha un po’ di problemi. Ha bisogno di essere un po’ raffinata, di stare davanti alla luce del Signore, perché la Sacra Scrittura dice che il giusto pecca sette volte al giorno. Capite? Lo dice la Sacra Scrittura, non lo dico io. Le fonti! Non quelle del criceto, le fonti. Basta che la Scrittura dica che il giusto pecca sette volte al giorno, sette per sette fa quarantanove, almeno dopo sette giorni dovremmo avere quarantanove peccati, minimo. Io non lo so se noi, quando ci andiamo a confessare, diciamo quarantanove peccati! Uno dice: “Vabbè, ma padre, arrotondi!”; okay, quaranta. Noi diciamo quaranta peccati, quando ci andiamo a confessare? Io non credo. Forse ne diremo quattro o cinque, ma non quarantanove. E allora sbaglia la Scrittura. “No, vabbè, ma quello lì è un linguaggio simbolico”, ecco, sì, sette è il numero della perfezione, quindi, vedete un po’ voi!

Allora, è importante per noi sacerdoti renderci disponibili al sacramento della confessione, anche quando non ne abbiamo voglia. Innanzitutto, dovremmo essere noi preti i primi a confessarci, come diceva S. Giovanni Bosco. Noi i primi a essere i frequentatori di questo Sacramento, noi coloro che esaltano la misericordia di Dio andandoci a confessare per primi. E quindi, poi, ad amministrare il perdono di Dio, perché in questo modo noi partecipiamo a questa “super creazione” — passatemi il termine. Certo che la liberazione dal peccato la compie il Sangue di Cristo e il ristabilimento nello stato di grazia lo fa il Sangue di Cristo, ma noi sacerdoti siamo in quel momento i ministri di questa super nuova meravigliosa creazione.

Don Divo prosegue: l’importante è che siamo coscienti di quello che facciamo e che diciamo — ma lo diceva anche santa Teresa di Gesù — perché, dice don Divo, io posso anche dire la Messa se sono in stato di peccato mortale — sarebbe una cosa da non fare mai — posso recitare il Rosario o qualunque preghiera e avere la testa chissà dove, il cuore chissà dove, vabbè, e allora, che riparazione abbiamo fatto? Nessuna.

Quindi, lui dice: è necessario per la salvezza e la morte di Gesù, la passione e morte di Gesù e la sua resurrezione, questo vuol dire riparare. Quindi prosegue: per noi vuol dire essere umiliati e spezzati da questo peso, il peso del peccato. 

È chiaro che, quando il sacerdote sta in confessionale, confessa tre, quattro, cinque ore, è chiaro che è lì a portare il peso del peccato, perché è lì per il peccato delle persone. 

E quando mi vado a confessare, già ve l’ho detto, ve lo ripeto, il tempo che passo fuori dal confessionale deve essere un tempo dedicato alla preghiera, al silenzio, al segnarmi i miei peccati, al meditare la parola di Dio, a recitare il Rosario; non il tempo delle chiacchiere, come se stessimo dalla parrucchiera o alle partite di calcio. No! Fuori dal confessionale non si parla di niente, si sta in silenzio, si prega, si invoca lo Spirito Santo su di noi e sul Confessore, si prega per i nostri fratelli che si stanno andando a confessare e che si sono confessati, ci si prepara il cuore, eccetera eccetera eccetera, ma di certo non ci si mette a parlare con l’amica del Cotton club. Il confessionale non è il luogo della ricreazione. Il confessionale è il luogo della ri-creazione, ma intesa in questo senso: del creare nuovamente, non del metterci lì a tarallucci e vino! 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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