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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 48

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 48
Domenica 24 settembre 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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PRIMA LETTURA (Is 55, 6-9)

Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie ovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a domenica 24 settembre 2023. Abbiamo ascoltato la Prima Lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal capitolo cinquantacinquesimo del libro del profeta Isaia, versetti 6-9. 

Continuiamo la nostra lettura del libro di Bonhoeffer, Sequela. Oggi, come abbiamo annunciato ieri, iniziamo un nuovo paragrafo, “Il fratello”.

È molto bello questo modo di procedere di Bonhoeffer, lui parte sempre da questo testo della Scrittura e poi lo commenta, e fa tutte le correzioni che deve fare, fa tutti gli insegnamenti che deve fare… Dovremmo fare sempre anche noi così: partire dalla Scrittura, e da lì lasciarci guidare per crescere nella fede. Matteo 5, 21- 26: 

«Voi avete udito che fu detto agli antichi: «Non uccidere, e chiunque avrà ucciso sarà condannato in giudizio». Ma io vi dico: chiunque va in collera con il suo fratello sarà condannato in giudizio, e chi avrà detto al suo fratello ‘racha’ sarà condannato nel tribunale. E chi avrà detto ‘pazzo’ sarà condannato al fuoco dell’inferno. Se dunque tu stai sacrificando la tua offerta all’altare, e ivi ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia la tua offerta lì davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello; poi torna e sacrifica la tua offerta. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario, mentre sei ancora in cammino con lui, perché egli non ti consegni poi al giudice e il giudice non ti consegni alla guardia e tu non sia messo in prigione. In verità ti dico: non ne uscirai, finché non avrai pagato l’ultimo centesimo» 

E adesso inizia il commento di Bonhoeffer: 

«Ma io vi dico»: Gesù riassume tutto quanto ha detto sulla legge. È ovvio, dopo quanto abbiamo visto, che non è possibile interpretare qui Gesù in senso rivoluzionario, né pensare ad una contrapposizione di pareri alla maniera dei rabbini. Gesù, in continuità con quanto detto in precedenza, esprime invece la propria unità con la legge del patto mosaico, e proprio in questa reale unità con la legge di Dio egli chiarisce che è lui, il Figlio di Dio, il Signore e datore della legge. Solo chi coglie la legge come parola di Cristo può adempierla. Al fraintendimento peccaminoso, in cui incorrevano i farisei, non doveva essere lasciato più alcuno spazio. Solo nel riconoscimento di Cristo come Signore, come colui che adempie la legge, c’è la vera conoscenza della legge. Cristo ha posto la sua mano sulla legge, e la rivendica. In questo modo fa ciò che la legge in verità vuole. Ma in questa unità con la legge egli si rende nemica la falsa interpretazione della legge. Nel rendere onore alla legge, si consegna ai falsi zelatori della legge.

Allora, vediamo un po’ di spiegare queste parole. Non possiamo intendere Gesù come un rivoluzionario, perché non è venuto a rivoluzionare in nulla se non in un aspetto, come vi ho detto nei giorni scorsi: la sua rivoluzione è stata quella dell’adempimento, dell’osservanza della legge. Questa è la rivoluzione. Noi per rivoluzione intendiamo sempre qualcosa che va a rovesciare una situazione, una realtà, uno stato di diritto, quello che volete… Ma forse è più rivoluzionario rimettere in gioco ciò che già c’è, e far vedere qual è il modo giusto di intenderlo: credo che questa sia la vera rivoluzione. E quindi Lui esprime la sua unità con la legge. E in questo modo chiarisce che Lui, in quanto Figlio di Dio, è il Signore e il datore della legge.

Quindi, dice Bonhoeffer, solo chi coglie la legge come Parola di Cristo può adempierla. Vedete, se io colgo la legge come parola di Gesù, perché lui l’ha portata a compimento, allora la posso compiere anch’io. Ritorna questa espressione di Bonhoeffer, il “fraintendimento peccaminoso”. Il fraintendimento dei farisei non era un fraintendimento innocente. Non è come colui che dice: “Oh mamma, scusami, ho capito male! Avevo capito che ci vedevamo al supermercato, invece sono andato dal tabaccaio! Scusami, ho frainteso”. Non è questo fraintendimento, perché qui non c’è nessuna responsabilità: capita a tutti di confondere lucciole per lanterne, semplicemente perché magari uno è distratto, perché magari in quel momento non ha ascoltato bene, perché si è dimenticato, eccetera. Qui invece c’è un fraintendimento grave ed è peccaminoso, c’è di mezzo la responsabilità, c’è di mezzo la libertà. E questo perché? Perché loro non hanno voluto riconoscere Gesù quale figlio di Dio, Signore e datore della legge: questo è il peccato. Da qui nasce il fraintendimento: nasce proprio da questo stato di peccato, cioè da questo stato di rifiuto, di opposizione netta al progetto di Dio. E Gesù, dice Bonhoeffer, non vuole lasciare nessuno spazio. 

Neanche noi dobbiamo farlo: i discepoli di Gesù non lasciano spazio al fraintendimento peccaminoso. E quindi cosa fanno? Riconoscono Gesù come Signore, come “il Signore” — proprio il Kyrios, l’unico Signore, non ci sono altri, è Lui — come colui che adempie la legge, e quindi, grazie a questo riconoscimento, ci può essere una vera conoscenza della legge.

Comprende veramente i dieci comandamenti e tutto quanto è detto da Gesù nel Vangelo e tutta la storia della salvezza, solo colui che riconosce Gesù come il Signore, come colui che adempie la legge. Solo in questo caso c’è la vera conoscenza della legge. Altrimenti — sapete — la legge ad alcuni dà fastidio. E allora cominceremo a dire che i dieci comandamenti, non lo so, sono superati, che non valgono più… ognuno ne inventerà qualcuna. Perché? Perché non riconosce che Gesù è il Signore, semplice. E quindi avviene un fraintendimento peccaminoso. Perché? Perché è un peccato, è un peccato non riconoscere Gesù come il Signore, come colui che adempie la legge, non che la rinnega, non che la stravolge, no, come colui che l’adempie, la porta a compimento.

Questa sua unità con la legge che cosa fa? Si rende nemica la falsa interpretazione della legge. Paradossalmente — perché siamo a un paradosso — nel rendere onore alla legge lui si consegna ai falsi zelatori della legge. E questo capita anche ai suoi discepoli. È capitato a lui e capiterà sempre anche ai suoi veri discepoli: i santi e i martiri. Quindi, nella misura in cui noi avremo una vera conoscenza della legge, per le ragioni dette sopra, e quindi vivremo di questa unità, che si è realizzata in Gesù, ci renderemo nemici della falsa interpretazione della legge, quindi dei due fraintendimenti di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi. Perché a quei due fraintendimenti peccaminosi non va lasciato alcuno spazio. Non si può dire: “Sì, vabbè fa niente”, no, perché sono due fraintendimenti gravi. Non bisogna lasciargli aria, assolutamente! Vanno contraddetti, vanno combattuti, vanno chiariti, in tutti i modi vanno risolti. Ma questo rendere onore alla legge, questa unità con la legge, crea inimicizia con chi invece la interpreta in modo falso; quindi nessuno stupore, assolutamente nessuno stupore per le persecuzioni. 

Se vogliamo essere discepoli di Gesù, se il Signore ce lo chiederà, se ci farà questo dono del martirio (come dicono i santi), che può essere rosso — vale a dire col versamento di sangue — o invece un martirio “bianco”, che dura una vita, dobbiamo tutti essere pronti, sempre, in ogni istante della nostra vita a dare testimonianza, a essere testimoni dell’unità con la legge e dell’onore alla legge, proprio in nome di Gesù, proprio perché così ha fatto Gesù.

La legge a cui Gesù in primo luogo rimanda i suoi seguaci vieta loro di uccidere e affida loro il fratello. La vita del fratello è posta da Dio e nelle mani di Dio, solo Dio ha potere sulla vita e sulla morte. L’omicida non può avere spazio nella comunità di Dio. Egli incorre nello stesso giudizio che esercita. Che il fratello così posto sotto la protezione del comandamento divino non sia solo il fratello nella comunità, risulta inequivocabilmente dal fatto che il seguace di Gesù nel suo agire non può lasciarsi determinare da chi sia l’altro, ma solo da colui che segue nell’ubbidienza. Al seguace di Gesù è vietato l’omicidio, pena il giudizio divino. La vita del fratello per il seguace di Gesù è posta come limite da non infrangere. 

Ecco, diciamo due parole qui: la legge a cui Gesù rimanda vieta in primo luogo di uccidere, e affida loro il fratello. Questo perché la vita del fratello è posta nelle mani di Dio, e solo lui ha potere di vita e di morte. Non ci si può lasciare determinare da chi sia l’altro, ma semplicemente seguiamo l’obbedienza: si ubbidisce alla legge, a quanto il Signore ci comanda. E questo è un limite che non si può assolutamente infrangere. 

Andiamo avanti: 

Ma una tale infrazione avviene già nell’ira e più che mai in una cattiva parola che può sfuggirci di bocca (racha)…

“Racha”, che tradotto vuol dire “vuoto”. Credo che nessuno di noi abbia mai detto “vuoto” a qualcuno, e, se l’avessimo fatto, non ci verrebbe neanche il pensiero che sia un insulto, che sia una mancanza di rispetto, e invece lo è: “racha: vuoto”. 

…infine nell’offesa deliberata recata all’altro (pazzo). Ogni manifestazione d’ira si rivolge contro la vita dell’altro, non gli riconosce la vita, punta alla sua distruzione. E non c’è distinzione fra la cosiddetta ira giusta e quella ingiusta. Il discepolo non può aver nulla a che fare con l’ira, perché con essa egli fa violenza a Dio e al fratello. La parola sfuggitaci repentinamente di bocca, per noi irrilevante, dimostra che non portiamo rispetto all’altro, che ci mettiamo al di sopra di lui e consideriamo dunque la nostra vita più della sua. Questa parola è un colpo inferto al fratello, un colpo al cuore. Suo intento è di colpire, ferire, distruggere. L’offesa deliberata priva il fratello dell’onore anche in pubblico, vuol renderlo spregevole anche agli occhi di altri, tende, odiandolo, ad annientare la sua esistenza interiore ed esteriore. Io eseguo su di lui una sentenza. È un omicidio, e l’omicida incorre nel giudizio.

Allora, adesso inizia ad affrontare il tema dell’ira, e dice che ogni manifestazione dell’ira è contro la vita dell’altro, che non gli riconosce la vita e punta alla sua distruzione e che non c’è distinzione fra la cosiddetta ira giusta e quella ingiusta. 

Ecco, noi su questo dobbiamo dire una parola, su questo noi dobbiamo fare una precisazione, una precisazione importante. San Giovanni Crisostomo dice così: 

Soltanto colui che si arrabbia senza motivo è colpevole; chi si adira per un motivo giusto non incorre in nessuna colpa. Poiché, se mancasse la collera, non progredirebbe la conoscenza di Dio, i giudizi non avrebbero consistenza ed i crimini non sarebbero repressi. — è la sua omelia undicesima per la Natività — Ed ancor più: chi non si incollerisce quando lo esige la ragione, commette un peccato grave, poiché la pazienza non regolata dalla ragione propaga i vizi, favorisce le negligenze e porta al male, non soltanto i cattivi ma, soprattutto, i buoni.

Abbiamo esempi anche in altri santi. Ad esempio San Nicola da Bari, che partecipò al Concilio di Nicea, a un certo punto non ce la fa più a continuare ad ascoltare le elucubrazioni deliranti dell’eretico Ario: davanti a tutti si alza in piedi, gli dà un pugno e lo stende a terra. San Nicola da Bari, capite, era un uomo sanguigno, un uomo dal temperamento forte. E voi direte: “Eh, mamma mia! San Nicola da Bari che si alza e dà un pugno davanti a tutti durante un Concilio, è un po’ eccessivo! Non so, potevi dirgli una parolina, potevi cercare di discutere…” no, questo si alza, gli tira un gancio e lo stende. Lui fa questo gesto davanti all’imperatore Costantino e davanti a tutti gli altri vescovi presenti nell’Aula. Quindi cosa succede? Immaginatevi… succede che scandalizzati da questa azione violenta e terribile, peccaminosa di San Nicola contro la povera vittima innocente, incompresa di Ario, immediatamente che cosa fanno? Prendono il vescovo Nicola e lo spogliano del suo ufficio episcopale, gli confiscano i due simboli del suo rango di vescovo cristiano, ovvero la sua copia personale del libro dei vangeli e il pallio: lo prendono e lo rinchiudono in prigione.

Pensate che roba! Noi probabilmente avremmo fatto lo stesso, avremmo detto: “Mamma, che violenza! Altro che santità, questo qui è un uomo violento, violentissimo, ha fatto una cosa terribile!” 

Quella stessa notte appaiono in prigione al vescovo Nicola, Gesù e la Beata Vergine Maria. «Perché sei qui?» chiese Gesù a San Nicola. La risposta di San Nicola: «Perché ti amo, mio Signore, mio Dio».

San Nicola non dice: “Perché ho tirato un pugno in faccia ad Ario e l’ho steso a terra” — il che voleva dire che era anche bravo, era anche forte, un buon pugile — non dice questo. Non risente minimamente della lettura moralistica dell’imperatore Costantino e di tutti gli altri vescovi. Lui non era in prigione per uno scatto d’ira, come tutti pensavano, non era in prigione per un atto di violenza, non era in prigione per una mancanza di rispetto verso Ario, assolutamente! Lui era in prigione: «Perché ti amo, mio Signore, mio Dio». Vedete la certezza di coscienza? Vedete la santità? «Perché ti amo, mio Signore, mio Dio». Nessuno di noi avrebbe immaginato questa risposta. Quando io vi ho letto: “Perché sei qui?” — chiede il Signore — tutti avete pensato a tutto, tranne che: “Perché ti amo, mio Signore, mio Dio”. 

Cristo allora diede in regalo a Nicola la copia dei santi Vangeli che portava con sé e subito dopo la Vergine Santa rivestì Nicola con il palio episcopale, segnalando così che era stato restituito alla sua dignità di vescovo.

Quindi, quando al mattino andarono e videro San Nicola in carcere, vestito solennemente da vescovo, l’imperatore Costantino ordinò immediatamente la sua liberazione e lo ristabilì come vescovo del Concilio.

San Tommaso d’Aquino dice la stessa cosa:

Nell’ira è possibile riscontrare il peccato: cioè, quando uno si adira di più o di meno di quel che esige la retta ragione. Se invece uno si adira conforme alla retta ragione, allora l’ira è lodevole

Summa theologiae, IIª-IIae, q. 158 a. 1 co. 

Poi abbiamo anche San Gregorio che dice: 

Se uno desidera che si faccia vendetta secondo l’ordine della ragione, allora l’ira è lodevole e viene detta zelo. Se invece uno desidera che si faccia vendetta in qualsiasi modo contro l’ordine della ragione, l’ira è peccaminosa. 

San Tommaso dice: 

Non sempre chi si arrabbia, ha torto; il vile non va mai in collera. Anzi il non adirarsi quando si deve, merita rimprovero e castigo.

Ricordate (1 Sam 2) quando il pontefice Eli non seppe reprimere con la necessaria fermezza i due figli, i quali rubavano le offerte date a Dio dal popolo, rendendosi così, per debolezza, complice delle loro colpe; e per questo fu abbandonato dal Signore che gli tolse la dignità di capo spirituale di Israele?

Capite? Questo è sempre San Tommaso. Per cui bisogna distinguere perché non si può concludere così velocemente, come fa Bonhoeffer, che l’ira comunque è sempre sbagliata. Dipende. Noi abbiamo i santi, abbiamo i dottori della Chiesa che ci dicono: “Non è sempre peccato”. Anzi, può essere un peccato grave NON usare la Santa ira quando la ragione lo esige. Cioè, il discriminante è la ragione. 

San Nicola ha tirato quel pugno ad Ario perché la sua ragione lo esigeva, perché quell’eretico stava diffondendo tutte le sue eresie e di fatto poi le ha diffuse: è stato terribile l’arianesimo. Se non siamo ariani è proprio grazie a San Nicola e a Sant’Atanasio, che ci hanno fatto questo grandissimo regalo della consustanzialità (stessa sostanza) di Gesù con il Padre. Mentre Ario assolutamente era contrario a questo. Guardate che l’arianesimo è stata l’eresia più tremenda all’interno della Chiesa. E sia San Nicola, sia Sant’Atanasio e altri, ma loro due soprattutto, hanno fatto un lavoro eccelso per questo! San Nicola è finito in prigione, Sant’Atanasio, oltre a essere finito più volte in esilio, aver subito delle persecuzioni terribili, è stato addirittura scomunicato da Papa Liberio. Una pagina veramente indecorosa della storia della Chiesa: Papa Liberio cede alle pressioni dell’imperatore, che lo aveva privato della sua autorità e dei suoi poteri perché difendeva Atanasio (allora erano tutti contro Atanasio). Papa Liberio a un certo punto non ce la fa più e scomunica Atanasio per riavere il suo potere, per riavere i suoi privilegi. Poi Atanasio verrà riabilitato, certamente, ma Atanasio, oltre a tutto quello che ha subito — le persecuzioni, l’esilio, gliene hanno fatte di ogni genere e tipo — viene addirittura scomunicato. Questa è storia, quindi c’è poco da dubitare: è storia, è successo esattamente così. Ma questi santi non hanno fatto un passo indietro. 

“Nicola, perché sei qui?” Potremmo fare la stessa domanda pensando a Sant’Atanasio. Immaginiamoci Gesù che appare a Sant’Atanasio e dice: “Atanasio, perché sei scomunicato? Perché ti hanno scomunicato?” Risposta perfetta che sta sulla bocca di Atanasio: “Perché ti amo, mio Signore, mio Dio, e allora sono stato scomunicato. Per difendere la verità, per difendere te. Incredibile, ma vero: mi hanno scomunicato”. Capite che non c’è pena peggiore, la più terribile! Questa pena doveva colpire Ario, e invece colpisce un santo, Sant’Atanasio. Poi anche Ario farà una fine terribile, ma intanto questa pena colpisce Atanasio.

“Perché ti amo”. Vedete la ragione? La ragione che sta all’origine di tutto: “Poiché ti amo, mio Signore e mio Dio. Per questo sono qui in prigione”: Nicola. “Per questo sono qui scomunicato”: Atanasio. Sapete, Atanasio poteva anche dire: “Vabbè, ma io potrei anche morire dopodomani” — non è che l’hanno riabilitato il giorno dopo — “Cosa ne sarà di me? Signore, la mia vita è nelle tue mani. La mia anima è nelle tue mani. Tu sai perché mi hanno scomunicato: mi hanno scomunicato perché ti amo: fai tu”. 

E allora mi fermo qui. Riprendiamo questo tema della santa ira. Riascoltate, rileggete se volete quello che vi ho letto di San Giovanni Crisostomo, di San Nicola, di San Tommaso, di San Gregorio Magno, e spero davvero che vi possa aiutare a comprendere bene come stanno le cose. Stiamo attenti! 

Certo, la collera, l’ira che viene dalla passione, che viene da tutte le cose brutte, quella è peccato sempre, certamente, ma quando è la ragione che lo esige, quando c’è un motivo assolutamente giusto e doveroso… pensate a Nicola e pensate anche ad Atanasio. Addirittura, questa scomunica — mi stavo dimenticando di dirvelo — questa scomunica ad Atanasio viene data perché Atanasio si rifiuta di andare a Roma dal Papa Liberio, perché comprende che lì c’è un inganno, capisce che quella convocazione è ingiusta. Il Papa Liberio, infatti, manda i suoi legati e dice: “ditegli che io lo convoco a Roma: se non viene, lo scomunico”. Loro vanno, gli dicono di andare e lui dice: “No, io non vengo”, e lui lo scomunica. Avete capito? Uno dice: “Ma Sant’Atanasio ha disobbedito”. Eh sì, certo, la ragione gli ha fatto dire: “No, questa obbedienza, anche se viene da Papa Liberio, non è secondo Dio. Quindi non posso obbedire, non posso andare, non devo andare”. E gli dicono: “Guarda che verrai scomunicato: il Papa ha detto che se tu non vieni, verrai scomunicato” — “Benissimo, fiat”. E così accade, viene scomunicato. 

Magari un giorno, adesso è tardi, vi leggerò le parole proprio di Papa Liberio contro Atanasio, sono terribili. Ma Atanasio non retrocede, perché avrebbe commesso un peccato grave, andando contro ciò che la ragione, — o nel caso di San Nicola, ciò che la santa ira — esigeva. E dobbiamo stare attenti perché, quando io metto in atto la pazienza “sragionata”, senza ragioni, cosa faccio? Propago i vizi, favorisco le negligenze e porto al male, non soltanto i cattivi, ma anche i buoni, soprattutto i buoni, dice San Giovanni Crisostomo.

Sarà esattamente San Tommaso d’Aquino a dire questa cosa: “il vile non va mai in collera”, il vile, il codardo, il vigliacco. 

Ecco, io spero di avervi chiarito bene questa questione; finisco velocemente, Bonhoeffer dice:  

La parola sfuggitaci repentinamente di bocca, per noi irrilevante, dimostra che non portiamo rispetto all’altro.

Certo, perché l’ira mossa dalla ragione non produce parole che sfuggono. Sant’Atanasio non diceva parole che sfuggono, San Nicola neppure. Erano parole ben pensate: non venivano dalla passione, venivano dall’amore, un’altra cosa. Mentre quando l’ira è mossa dalla passione, allora appunto sfuggono le parole di bocca, non portiamo rispetto all’altro:  

ci mettiamo al di sopra di lui e consideriamo dunque la nostra vita più della sua. Questa parola — di fatto, è vero — è un colpo inferto al fratello, un colpo al cuore. 

La parola, l’ira che esce non dalla ragione, ma dalla passione, cosa vuole fare? Vuole colpire, vuole ferire, vuole distruggere. E quando è pubblica — vedete, questo non si applica a Nicola con Ario, ma neanche ad Atanasio con Papa Liberio — l’offesa, quando è pubblica verso il fratello, lo priva dell’onore, lo rende spregevole, tende ad annientare la sua esistenza interiore ed esteriore. 

Tutte cose che succedono, purtroppo, ma quando abbiamo a che fare con l’ira che viene dalla passione, perché tutto questo non era assolutamente nelle intenzioni, né nell’azione, di San Nicola e di Sant’Atanasio, i quali invece tutto quello che hanno detto e tutto quello che hanno fatto, lo hanno fatto perché?

“Perché ti amo, mio Signore, mio Dio”. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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