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Essere nel mondo pt.2 – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.10

Mistica della riparazione

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Essere nel mondo pt.2 – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.10
Venerdì 16 agosto 2024 – Santo Stefano, Re d’Ungheria

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Mt 19, 3-12)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?».
Egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: “Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne”? Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
Gli domandarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?».
Rispose loro: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio».
Gli dissero i suoi discepoli: «Se questa è la situazione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi».
Egli rispose loro: «Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Infatti vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a venerdì 16 agosto 2024. Ricordiamo quest’oggi Santo Stefano, re di Ungheria.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal diciannovesimo capitolo del Vangelo di san Matteo, versetti 3-12.

Credo che dovremmo veramente tenere questo Vangelo tanto, tanto sott’occhio, averlo molto ben chiaro, è parola di Dio, e la parola di Dio va osservata, obbedita, con molta semplicità e tanto amore. Mi sembra che Gesù faccia un discorso molto chiaro. 

Cosa dobbiamo fare? Niente, metterlo in pratica senza strani sofismi, e vivere nella consapevolezza che non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso. 

Non tutti possono capire il Vangelo, non nel senso di capire intellettualmente, ma capire nel senso di un’apertura del cuore; non tutti, solo a coloro a cui è stato concesso. Perché gli altri, invece, cosa faranno? Gli altri lo fraintendono, gli altri cercano di cambiarlo, gli altri cercano di far dire a Gesù cose che non ha detto, gli altri cercano di plasmare il Vangelo sulla mentalità dell’uomo. 

L’ha detto Gesù che non tutti possono capire. Capiscono coloro che hanno compreso la parte spirituale, la parte vera del messaggio evangelico; Bonhoeffer (come abbiamo visto) direbbe: coloro che non vivono una vita psichica, ma spirituale. 

Comunque, questo è il Vangelo. Bisogna prenderne atto. Sarà difficile, sarà dura, sarà alle volte magari poco comprensibile, non lo so. Chiediamo di essere aiutati a comprendere, ma rispettando ciò che Gesù ha detto. Tutti noi dobbiamo rispettare ciò che Gesù ha detto; tutti!

Continuiamo la nostra riflessione sul libro La mistica della riparazione. Ieri abbiamo letto il lungo capitolo dal titolo “Essere nel mondo”, e oggi ovviamente non lo rileggiamo, ma lo commentiamo.

Allora “Essere nel mondo”, lui scrive:

Sentir questo, vivere questo implica tutto un atteggiamento interiore (spirituale), fondamentale.

Primo aspetto che dobbiamo affrontare:

L’anima non vorrà conoscere il male del mondo per curiosità;

Questa è una questione molto importante: “la curiosità”. Poi lui aggiunge:

oppure per affermazione di orgoglio: «Io non sono come gli altri»

perché si può fare anche così: voglio conoscere il male del mondo per poter dire “io non sono come gli altri”. Ci sono questi due aspetti: la curiosità e l’orgoglio. Scrive don Divo:

Quante sono le persone che se leggono il giornale vanno a cercar subito la cronaca nera, i processi!

Ma è vero! Sembra una cosa folle ma ci sono persone che hanno questo gusto, questa curiosità; aprono il giornale e vanno a cercare la cronaca nera, vanno a cercare i processi, vanno a cercare gli omicidi, vanno a cercare le stragi. C’è questa curiosità di conoscere il male. Lui dice:

Questa curiosità malsana non indica affatto da parte di chi legge una partecipazione agli avvenimenti un’assunzione del peso del delitto, della responsabilità del peccato;…

questa curiosità malsana non è niente di tutto questo, ma è una curiosità che si allea all’orgoglio farisaico; si allea nel senso che io vado a vedere e curioso per dire: “Io non sono come gli altri”.

…è una compiacenza di vedere il brutto, il male; …

Guardate è una roba stranissima, questa; c’è una compiacenza di vedere il male, di vedere il brutto, è terribile!

…è gioia maligna di sentirsi innocente per poter dire: «Io non sono come gli altri».

C’è anche questo, una gioia maligna, di dire: “Ecco, hai visto?” Gioisco, ma gioisco malignamente, gioisco nel male “Io non sono come loro; io non sono come voi”, è quella gioia maligna di chi dice: “Eh, vedi, te l’avevo detto io”, come per dire “prendo una distanza”. 

C’è proprio questa unione tra la compiacenza e la gioia maligna; è frequente, questa cosa, si sente anche nei nostri ambienti, questa gioia maligna. Questo gioire, che però non sa di paradiso, ma sa di fariseo: “Io gioisco del fatto che non sono come te; io gioisco del fatto che tu hai sbagliato, che tu sei sbagliato, che tu sei un peccatore, che tu hai fatto il male; io no, io non sono come te”. E dice don Divo:

Certo, non dobbiamo separarci dal mondo. Viviamo nel mondo, siamo nel mondo, come Cristo. Dio ha voluto che noi vivessimo in contatto permanente con la miseria umana attenti! — Quanti tra di noi vivono a contatto con delle anime lontane da Dio!

Quanti! Quanti! Quante mamme, quante spose, quanti papà, quanti mariti, quanti figli con i loro genitori, quante persone che sul posto di lavoro vivono a contatto permanente con anime lontane da Dio! Che martirio! Ogni giorno, ogni giorno, queste persone devono prendere, alzarsi e andare a lavorare in un ambiente che è lontano da Dio. Magari queste mamme, questi papà o questi figli devono svegliarsi in un ambiente, in una famiglia che è lontana da Dio, dove magari sai che il papà, o la mamma o il figlio, è lontano da Dio, magari è il papà che bestemmia o, peggio ancora, la mamma che bestemmia, o il figlio che bestemmia. Vi ho detto “peggio ancora”, prima, perché sentire una donna che bestemmia, non so dirvi il motivo teologico, forse non c’è, però sentirla a me fa più male che sentire un uomo. Forse è una cosa stupida, quella che sto dicendo, uno potrebbe dire: “Vabbè, cosa conta, è sempre una bestemmia”, lo so, ma in una donna, non so dirvi perché, mi dà ancora più fastidio; in una mamma, poi…

Eppure, queste persone tutti i giorni sono lì. Devono magari dormire accanto a una persona lontana da Dio, quindi c’è un contatto permanente. Oppure tu ti svegli al mattino alle sette e sai che devi stare fino alla sera alle cinque in questo posto di lavoro, in mezzo a gente che bestemmia, in mezzo a gente che fa discorsi volgari, impuri, a gente che non crede in Dio, che prende in giro il Signore,…

Quanti sono coloro che vivono in un ambiente dove si sentono come soffocati dal male!

Ci sono queste persone! Quante persone esistono a questo mondo che vivono in ambienti dove a un certo punto dicono: “Io sto soffocando, sto soffocando, non respiro più. Sto soffocando spiritualmente; sto soffocando dal male”. Ci sono persone che vivono questa situazione.

Io torno sempre a quel periodo funesto del succo di more: quanta gente si è sentita soffocare dall’ingiustizia, dalla cattiveria di chi magari condivideva la tua stessa fede. O meglio: diceva di condividere la tua stessa fede, ma non era vero, perché, se condividiamo la stessa fede, non ci può essere un qualcosa che mi separa da te; che io beva il succo di more o che io non lo beva, non ha importanza. Se vivessimo tutti secondo la logica di don Divo Barsotti, quelle cose non sarebbero mai successe. Perché, cosa cambia? Comunque, tutti dobbiamo portare il peccato del mondo; comunque, tutti condividiamo la miseria dell’umanità; comunque, tutti dobbiamo essere con Gesù, partecipi della redenzione, e quindi che cosa conta? Lo bevi, non lo bevi, ne hai bevuto poco, ne hai bevuto tanto, ci hai fatto un bagno intero, ti sei tuffato dentro e te lo sei fatto arrivare fin sopra i capelli, e vabbè! L’altro non lo vuole toccare? E va bene, allora? Siamo figli di Dio? Sì, “Siamo fratelli nella fede”? Sì, e quindi? Eppure, in quel periodo, è saltato tutto; tutto è crollato miseramente. Perché? Perché non era fondato su queste cose che sta dicendo don Divo; semplice! Su questa solidarietà, su questa vera solidarietà, che non è quella di dare il soldino al povero. Quella è un’espressione — mi verrebbe da dire — proprio piccolissima, rispetto a questa solidarietà profonda che dovrebbe esserci.

E quindi si vive soffocati. 

Persone che, ancora oggi, non sono uscite da quell’incubo, da quel trauma; persone che hanno perso il lavoro. Ci sono cose che se uno non le ha vissute non ci crede…, ma anche se le ha vissute, fa fatica a credere di averle veramente vissute, perché sembrano talmente un film degli alieni, sembra talmente una cosa da fantascienza, che uno dice: no, ma io non l’ho vissuta! C’è una sorta di rimozione; per poter andare avanti a vivere, uno deve rimuovere. Sono accadute cose terribili; ingiustizie gravissime. “Soffocati dal male; vivere in ambienti dove ci si sente soffocati dal male”, verissimo! L’abbiamo vissuto col succo di more, ma lo stiamo vivendo ancora adesso, per altre ragioni, questo soffocamento.

Scrive don Divo:

E quanti sono coloro che, pur essendo preservati da Dio dal vivere in contatto immediato col male, non potrebbero però non vederlo: se non l’hanno in casa, lo incontrano per via nella città.

Tu non puoi andare in giro come un cieco, con le garze sugli occhi. Bisogna andare in giro, è così, quindi c’è questo contatto permanente; tu dici: vabbè, io non ce l’ho in casa, non ce l’ho sul lavoro; bene, meglio così; però, in giro per il tuo paese, per la tua città, devi pure andare. Magari dici, per esempio: voglio accendere la televisione e guardarmi le Olimpiadi; vediamo le Olimpiadi di quest’anno a Parigi come sono. Ecco, accendo la televisione, mi guardo le olimpiadi… eh, capite, è così.

Scrive don Divo:

La bruttura, la corruzione, il male che dilaga da ogni parte dobbiamo sentirlo vicino, dobbiamo sperimentarne l’orrore…

Vedete, è molto realistico, non è che di fronte al male uno dice: no, va bene comunque; oppure uno lo vuol sentir lontano. 

Ci sono molti di noi che fanno gli struzzi, che dicono: “No, no, no, io quelle cose lì non le voglio leggere; no, no, no, io quelle cose lì non le voglio sapere; no, no, no, no, no, non mi racconti queste cose, non le voglio vedere, non le voglio sapere, non voglio essere informato, non voglio leggere niente, perché quelle cose lì, guardi, mi danno fastidio, mi disgustano talmente tanto che non voglio sapere niente”.

Sbagliato! Da una parte non ci deve essere la curiosità e la gioia che lui chiamava “maligna” ma, dall’altra, non posso vivere come lo struzzo, che nasconde la testa sotto la sabbia e tiene fuori tutto il corpo, così il leone lo mangia. “Io non voglio vedere il leone, metto la testa sotto la sabbia”; sì, ma il leone vede te e ti sbrana. Ma che ragionamento è? Ci vuole sempre equilibrio: va bene non voler essere curioso e non avere questa gioia maligna, non avere l’orgoglio farisaico — ed è un discorso —  d’altro canto, però, vivi in questo mondo e le cose le devi sapere! 

Noi lo sentiamo vicino, sperimentiamo questo orrore, ma:

non per ritrarcene offesi, affermando la nostra innocenza; 

attenti, è importante! Non devi sentire vicino il male, sperimentare l’orrore di questo male, per sentirti offeso. Lo scopo non è dire: “Ecco, io mi sento offeso, da questo male, da questo orrore”; oppure affermare la mia innocenza attraverso questo male, questo orrore, dicendo: “Io non sono come loro”.

dobbiamo invece…

guardate che, quelle che scrive adesso, sono parole che non sentirete credo mai più — non perché le dico io, perché le dice don Divo — queste cose non si sentono oggi da nessuna parte:

dobbiamo invece discendere in quell’abisso, in quel male, non per affondare noi stessi nel male, non per divenire responsabili delle stesse brutture, ma perché ce ne vogliamo addossare tutta la colpa, il castigo, facendoci veramente fratelli agli ultimi pezzenti, sentendoci veramente una sola cosa, — mamma mia, che parole! Quest’uomo per me era un mistico — una sola anima, un solo cuore — sentite che cosa scrive adesso! Ma chi ci dice oggi queste cose? — con gli ultimi abbrutiti dal vizio.

Ma vi rendete conto? Non sta dicendo: “sentirci una sola cosa, una sola anima, un solo cuore, con Dio, con i santi”, no! Ci dice che dobbiamo discendere, affondare noi stessi nel male, non per divenire responsabili delle stesse brutture, cioè non per farle, ma perché vogliamo addossarci la colpa, tutta la colpa, tutto il castigo, facendoci fratelli agli ultimi pezzenti, sentendoci veramente una sola cosa, una sola anima, un solo cuore con gli ultimi abbrutiti dal vizio.

Quando voi avete sentito parlare di quanto è successo alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi, e quando voi ne avete parlato, ne avete parlato così? Con questo spirito? Chiedo! Secondo me no, ma non è colpa vostra — io non mi divido da voi, perché siamo tutti sulla stessa barca, da questo punto di vista — non è colpa nostra, assolutamente! Perché non siamo stati educati a questa scuola di verità e di santità, a questa vera teologia. 

Don Divo prosegue:

Gli altri possono dividersi da noi come si sono divisi da Cristo, ma Cristo non si è diviso da alcuno. Proprio l’atto supremo della sua morte fu l’atto con cui egli compì l’unità con gli stessi suoi carnefici: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». I crocifissori gli potevan dare la morte: Egli si offriva e si faceva garante per loro, ottenendone il perdono e la vita. Così deve fare il cristiano.

Avete capito? Così! E non mi sembra che qualcuno si sia comportato così con quanto è accaduto alle Olimpiadi di Parigi; non mi sembra che qualcuno ci abbia spiegato, ci abbia insegnato, a sentire vicino la bruttura, la corruzione e il male, a sperimentarne l’orrore, non per sentirci offesi, non per affermare la nostra innocenza.

E infatti adesso vi faccio un esempio di quanto Don Divo stia facendo una riflessione che è assolutamente tipicamente cristiano-cattolica. Vi faccio un esempio, perché le cose devono essere calate nel concreto, come voi direte. 

Intorno al 28 o 29 di luglio — adesso non so dirvi di preciso, comunque poi verificherete — l’Università islamica di al-Azhar, al Cairo, uno dei più prestigiosi istituti islamici del mondo, ha pubblicato una lettera di condanna della Francia per la cerimonia di apertura delle Olimpiadi, considerandola un insulto a Gesù Cristo e al cristianesimo. I musulmani!… L’Università islamica!… 

La Repubblica islamica dell’Iran, sempre in quei giorni, ha convocato l’ambasciatore francese per la rappresentazione offensiva di Gesù Cristo durante la cerimonia di apertura delle Olimpiadi. 

I musulmani hanno fatto questo, e va bene! È sicuramente un atto importantissimo, un atto bellissimo, niente da dire, ci mancherebbe, hanno fatto quello che era giusto fare e credo che abbia sorpreso tutti, perché nessuno si aspettava che l’Università islamica del Cairo, piuttosto che la Repubblica islamica dell’Iran, facessero un passo del genere in difesa di Gesù e del cristianesimo.

Ma don Divo dice un’altra cosa, don Divo ci sta insegnando un’altra cosa. 

Vi faccio un altro esempio, perché così capite. Il 29 di luglio il comitato olimpico (delle Olimpiadi di Parigi) ha vietato a un surfista brasiliano di usare le sue tavole da surf, perché su di esse è dipinta un’immagine di Gesù. La reazione è stata di sdegno perché la riflessione è: la volgare parodia dell’Ultima Cena, sì; il surfista che ha dipinto sulla tavola Gesù, no. Quindi: sdegno.

Don Divo ci sta dicendo un’altra cosa. 

Attenzione: non sta dicendo che questo non è male; io vorrei che proprio capissimo bene il messaggio di don Divo, perché mi rendo conto che è talmente nuovo nella sua perennità, che io sono sicuro che a tanti di noi stona nelle orecchie, facciamo fatica a capirlo. Ma guardate che è la strada giusta, questa è la via cristiana. Ci ha condotto, in queste trenta pagine, ad arrivare fin qui. Dobbiamo capirle bene, queste cose, è fondamentale.

Don Divo non sta dicendo che queste cose sono un bene, che questo non è un male e che quindi dobbiamo anche noi partecipare a questo male, assolutamente no! Don Divo stigmatizza il male, lo riconosce molto bene, riconosce l’orrore, riconosce il dilagare del male, riconosce la bruttura e la corruzione, però dice che non sei chiamato a sperimentarlo, a sentirlo vicino, per sentirti offeso, non è questo a cui ti chiama Gesù. Il Signore non ti chiama a questo, e soprattutto non per affermare la tua innocenza, peraltro, perché, sotto sotto, c’è questo. Noi, invece, dobbiamo discendere in questo abisso di male — dice don Divo — non per affondare, non per divenire responsabili delle stesse brutture, no, ma per addossarcene tutta la colpa. “Eh, ma io non l’ho fatto!”; Sei sicuro? Ne sei sicuro? Sei sicuro di non avere responsabilità? Forse non è una responsabilità diretta, ma sei sicuro di essere innocente?

“Per addossare tutta la colpa e il castigo facendoti veramente fratello agli ultimi pezzenti, sentendoci una cosa sola, un’anima sola, un cuore solo con gli ultimi abbrutiti dal vizio”.

Voi mi direte, forse: “Padre, no, non ci riesco, questo è troppo. Non posso sentirmi una cosa sola, un’anima sola, un cuore solo, con queste persone”. Vogliamo seguire l’esempio di Gesù? Gesù non si è diviso da alcuno; questo è il nostro modello. Dal Crocifisso dobbiamo imparare: “Gesù, proprio nell’atto supremo della sua morte terribile, compì l’unità con i suoi carnefici”, che siamo anche noi, con i nostri peccati; ci ha uniti a sé con questa frase:

«Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno»

In questi giorni, quante volte avete sentito dire da qualcuno per quanto è successo e succede ad esempio alle olimpiadi, ma non solo: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno»? Per questo don Divo dice: così deve fare il cristiano; “Mentre i crocifissori gli davano la morte — gli insulti, gli sputi, gli schiaffi, le frustate — Lui si offriva per loro, e otteneva “per tutti noi” — è sbagliato dire “per loro” — il perdono e la vita.

Se Gesù avesse detto: “Io non sono come voi; voi state uccidendo me innocente”, noi, oggi, non avremo il perdono, noi non saremmo liberi dal peccato originale, il Sangue di Gesù non ci avrebbe redenti. Capite? Il modello è Gesù. 

Questo ci dice quanto siamo lontani da Dio, quanto siamo lontani dal Vangelo. Se queste parole ci hanno frastornati, è perché il Vangelo ancora non lo viviamo, altrimenti dovremmo sentirne un fascino immediato, e dovremmo aver passato qualche tempo — non so quanto, ognuno di noi lo sa — davanti al crocifisso a dire: “Signore pietà, Cristo pietà, Signore pietà, per quello che è successo, per quello che sta succedendo”. Dovremmo aver fatto questo, dovremmo esserci seduti alla tavola dei peccatori; guardarci intorno, guardarci vicini a questi fratelli così lontani, a queste sorelle così lontane; dire: “Signore, non avrei mai pensato, nella mia vita, di dovermi sedere a questa mensa, così triste, così povera, così ruvida, così spoglia, così sporca, così puzzolente; e adesso vedermi tra le mani questo pane, così duro, così secco, così acido, così ammuffito, e dover mangiare questo pane dell’incredulità”. Non c’è pane più disgustoso del pane nero dell’incredulità; io me lo immagino così; santa Teresina non l’ha detto, ma io lo immagino così, il pane dell’incredulità: me lo immagino come un pane nero. Il pane nero ha un sapore terribile, chi ha fatto la guerra se lo ricorderà. Piuttosto che mangiare il pane nero, è meglio fare digiuno totale.

Noi, invece, vogliamo mangiare questo pane, noi dobbiamo mangiare questo pane, perché ci dobbiamo sedere accanto a questi fratelli e a queste sorelle, e dire: “La loro colpa, il loro peccato, il loro castigo, è il mio peccato, la mia colpa, il mio castigo. Sono qui, davanti a te, Signore, a dirti che io sono con loro peccatore davanti a te”. 

Vedete che don Divo dice:

…facendoci veramente fratelli agli ultimi pezzenti, sentendoci veramente una sola cosa, una sola anima, un solo cuore con gli ultimi abbrutiti dal vizio.

Guardate che sono parole che tolgono il fiato!

Guardate, è comprensibile, sapete, la reazione di chi, invece, prende la distanza, di chi si divide, di chi dice “io non sono come loro”, di chi condanna, di chi reagisce in un altro modo; ma se tutto questo sta per chi non è credente — o per i messaggi, ad esempio, di queste due realtà islamiche che abbiamo ascoltato — don Divo dice, invece: per te che sei cristiano, dev’essere un altro il modo di rispondere; non questo. Uno dice: concretamente come si realizza?

In quei giorni mi hanno mandato dei video dove si vedeva il popolo francese che era sceso in piazza sotto la Torre Eiffel, c’era un cartello con scritto “Gesù, ti amo” e le persone erano lì che cantavano, danzavano. C’era chi scattava le foto, c’era chi suonava la chitarra e questi che danzavano e cantavano canzoni al Signore Gesù. 

Credetemi, non vi dico queste cose perché ho intenzione di criticarli o di sentirmi migliore di loro, assolutamente, perché, se non avessi queste pagine di don Divo, sarei più di loro, sicuramente; e, per certi versi, in alcuni momenti della mia vita, sono stato più di loro, perché queste cose non le sapevo, non le ho mai lette, le sto leggendo adesso con voi. E non mi basterà una vita per ringraziare quella persona che mi ha consigliato di leggere questo testo che non conoscevo. Però, leggendo queste parole, pensando a quel video, a quei video che mi hanno mandato, mi son detto: forse più allineate con il pensiero “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” sono altre immagini che mi vengono in mente adesso, mi sembra che fossero sul tema dell’aborto, o qualcosa di simile, in Polonia. Ho in mente delle immagini di questi uomini, soprattutto uomini polacchi, in ginocchio, con il Rosario in mano, vicini, uniti, che pregavano. Ecco, questa a me sembra più rappresentativa di questo pensiero, di questa prospettiva di don Divo. Non c’è niente di cui cantare, ballare, danzare e gioire, no. Quando uno è un cuore solo, un’anima sola, una cosa sola, con gli ultimi abbrutiti dal vizio, quando uno si addossa tutta la colpa e il castigo dei fratelli ultimi pezzenti, non canta, non balla e non danza, no no no. Cade in ginocchio e prega, cade in ginocchio e supplica, cade in ginocchio e intercede, dentro a un rigorosissimo silenzio, un silenzio fatto di dolore, un silenzio fatto di speranza, un silenzio fatto di supplica a Dio. 

Credo che sia questo ciò che don Divo ci vuol far capire. Don Divo dice: così deve fare il cristiano.

E allora capite, se io sono in ginocchio, col mio Rosario in mano, mi esce dal cuore l’espressione: “Padre perdona loro, Padre, perdona loro, Padre perdonali, non sanno quello che fanno”. Eppure, loro li vedevano i chiodi che mettevano nelle mani di Gesù! Ma “non sanno quello che fanno”, non si rendono veramente conto che stanno crocifiggendo il Figlio di Dio. Sono come dice don Divo: abbrutiti dal vizio. Perché è così; il vizio ti abbrutisce, qualunque tipo di vizio — sono sette i vizi capitali, non è uno solo — qualunque tipo di vizio abbrutisce l’uomo, e quando l’uomo è abbrutito, è abbrutito; perde il lume della ragione, perde la logica, perde l’energia spirituale interiore, perde tutto, è abbruttito, paralizzato, mortificato dal vizio.

E in questo momento mi dico: se fosse viva Madre Teresa di Calcutta, e fosse stata lì, cosa avrebbe fatto? Non lo so, guardate, bisognerebbe averla qui davanti; magari sto dicendo una stupidaggine, perdonatemi, magari è proprio una stupidaggine, io non ho conosciuto veramente Madre Teresa, perché l’ho vista una volta sola nella mia vita. Non lo so perché vi dico questo, ma è una fantasia: io mi immagino che, se Madre Teresa fosse stata viva, se fosse riuscita ad arrivare lì, io immagino che sarebbe andata — lei piccolina com’era — lì davanti e poi si sarebbe avvicinata a quelle persone. Guardate, davanti a Madre Teresa, si cadeva in ginocchio, tutti cadevano in ginocchio, c’è poco da fare, e se non cadevi in ginocchio, ti paralizzavi, ti sentivi come messo davanti ad una “TAC spirituale”. Io me la immagino così, Madre Teresa, e quindi m’immagino così Gesù, perché sento in modo molto forte queste parole di don Divo: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Sono situazioni terribili, situazioni pesanti, situazioni molto brutte. Però, un cristiano come le deve affrontare? A mio giudizio, come dice don Divo:

una sola anima, un solo cuore con gli ultimi abbrutiti dal vizio

e, lo ripeto

non per affondare noi stessi nel male, non per divenire responsabili delle stesse brutture, ma perché ce ne vogliamo addossare tutta la colpa, il castigo, facendoci veramente fratelli agli ultimi pezzenti…

Ci fermiamo qui, perché non posso andare avanti, andremo avanti domani con l’altra parte.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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