Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: Amore e dolore pt.2 – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.26
Domenica 1 settembre 2024
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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PRIMA LETTURA (Dt 4, 1-2. 6-8)
Mosè parlò al popolo dicendo:
“Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi.
Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo.
Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”.
Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?”.
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a domenica 1 settembre 2024. Abbiamo ascoltato la prima lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal capitolo quarto del Deuteronomio, versetti 1 e seguenti.
Inizia oggi un nuovo mese, il mese di settembre, e vogliamo proprio consacrare a Dio Padre questo nuovo mese, che vedrà l’inizio per tanti ragazzi, per tante famiglie, della scuola, delle scuole primarie, delle scuole medie e delle superiori. Poi, in questo periodo, gli universitari avranno alcuni esami, insomma, un mese di ripresa dopo la pausa estiva. Anche noi vogliamo non tanto ricominciare, ma continuare il nostro cammino di fede, e lo vogliamo fare proprio accompagnati da questo bellissimo testo di don Divo Barsotti.
Siamo arrivati al capitolo “Amore e dolore”, che abbiamo visto ieri. Ieri ho solamente letto alcune righe del capitolo, perché vedete che è molto denso, oggi vediamo l’altra parte. La domanda iniziale del capitolo è: «Perché Dio, se ci ama, permette tanto dolore?» Questa è la domanda che abbiamo affrontato ieri e che rimane un po’ come la stella polare di questo capitolo, e poi, potremmo dire, anche un po’ di questo libro. E la risposta di don Divo è: «Dio ci ama perché permette il dolore. Ci ama e per questo ci chiede di voler soffrire con lui. Ci ama e per questo, non perché ci respinge, ma perché ci unisce strettamente a sé, ci unisce alla Croce». Quindi, nessuno stupore che, proprio perché amati, il Signore permette il dolore; questa è la logica nella quale collocarci.
Andiamo avanti. Ieri abbiamo letto questa parte:
Comunemente si distingue l’amore divino dall’amore umano: un amore divino che è pura agape, dono infinito di sé, da un amore umano che è eros, desiderio, aspirazione infinita; ma la distinzione fra l’eros e l’agape non può soddisfare del tutto, perché non sempre, nel desiderio, l’uomo che ama aspira ad una maggiore pienezza; — non sempre noi desideriamo qualcosa che ci completa — non si desidera sempre quel che ci colma; non necessariamente l’oggetto della nostra brama è qualcosa che ci arricchisce…
Purtroppo, alle volte, noi desideriamo e bramiamo cose che ci sviliscono, che ci impoveriscono, che ci svuotano, non certo che ci colmano e ci arricchiscono. Pensate a tutti i nostri desideri disordinati, che sappiamo benissimo che sono disordinati, ce ne sono di svariate forme e colori, e questi non sono certo desideri che portano una ricchezza.
Prosegue Don Divo:
…e non è neppure vero che il dono di noi stessi debba essere la morte. Non ci sembra debba esservi necessariamente opposizione fra eros e agape: l’amore è insieme eros e agape, perché trascende ogni concezione parziale che ci si potrebbe formare fermandoci solo ad un aspetto di questa vita, che è la vita stessa di Dio e dell’uomo.
Quindi l’amore tiene insieme sia eros sia agape; agape come dono infinito di sé, che è tipico dell’amore divino, ed eros come desiderio e come aspirazione. Allora adesso dice:
Che cosa vuol dire amare? E perché l’amare importa il soffrire?
Vedete, sono domande veramente molto importanti.
Non è che l’amare comporti necessariamente il soffrire; l’amore non tende, di per sé, alla sofferenza, tende all’unione; e così non tende necessariamente alla gioia, ma all’unità. Quel che l’amore vuole è l’unità. L’amore è forza divina che supera tutte le distinzioni e compie ogni unità.
Bella questa definizione, non so se l’avessimo in mente.
«Che cosa vuol dire amare? E perché l’amare importa il soffrire?». Uno si potrebbe chiedere se per amare deve sempre soffrire. Don Divo risponde che no, amare non comporta per forza il soffrire; perché l’amore, di per sé, tende all’unione. L’amore, di per sé, non porta necessariamente né alla gioia né alla sofferenza perché l’amore tende a una cosa sola: all’unità. «Quel che l’amore vuole è l’unità».
E poi, è molto bello, perché Don Divo dice: «L’amore è forza divina che supera tutte le distinzioni e compie ogni unità»; l’amore (l’amore divino) supera qualunque distinzione e compie l’unità.
Quindi, vedete quanto è sbagliato pensare, dire e cercare quello che adesso vi dico:
“Io capisco, riconosco che quella persona veramente ama la sua vocazione se è gioiosa”.
“Io veramente comprendo, capisco, riconosco che quella famiglia è caratterizzata dall’amore, che quel matrimonio è veramente riuscito, se in quella famiglia regna la gioia”.
Oppure: “Io riconosco che quella persona veramente si sta dando a Dio se soffre”.
Oppure: “Garanzia del fatto che io sia sulla strada giusta, che io stia camminando per la strada giusta, che io stia facendo le cose giuste è: se io soffro”.
Se voi notate, nel nostro modo di pensare, e quindi di parlare, non c’è mai il dire, ad esempio: “Capisco che quella è una vera famiglia, una famiglia cristiana e un’ottima famiglia, non dal fatto che siano gioiosi o tristi (sofferenti), ma dal fatto che siano uniti.”
Questo non lo diciamo, non lo pensiamo, non lo valutiamo, non lo cerchiamo; perché noi potremmo avere una famiglia — o una vocazione, mettiamo Sacerdotale, o laicale, una qualunque vocazione — che non è segnata dalla gioia, ma è segnata dall’unità. Questa famiglia è una famiglia dove io non vedo molta gioia, però vedo una grande unità. In questa famiglia io, ad esempio, vedo magari una grande sofferenza, vedo una grande fatica e vedo una grande unità: questa è la cartina tornasole del fatto che in quella famiglia si amano! Non se si comportano come il clown al circo; non se vanno in giro con un sorriso da ebete stampato sul volto, non è questo!
E invece oggi c’è un po’ questa tendenza: se sei di Gesù, se ami Gesù, se veramente vivi nella grazia di Dio, devi andare sempre in giro con questo sorriso un po’da ebete sulla faccia. “Ah che bello ridere, cantare, ballare, danzare”.
Un momento, ma questa tua vocazione porta l’unità? Questo tuo stile di vita comporta l’unità? Questa tua famiglia esprime unità? Questo vostro stare insieme dice unità? Cosa importa se poi voi ballate, danzate, suonate il clarinetto e l’arpa, oppure se siete in una situazione di dolore, di sofferenza? Ma questo è tangenziale! Oggi potreste essere nella gioia, domani potreste essere nella sofferenza.
Voi conoscete la vita di qualcuno che è tutta gioia o tutto dolore? No! Anche la vita di padre Pio non fu solamente tutto dolore, ci furono dei momenti di gioia.
La vita di Gesù fu solo unicamente dolore? L’Imitazione di Cristo dice che la vita di Cristo fu Croce e martirio, va bene, però bisogna capirlo; fu una vita segnata dalla povertà, segnata dall’essenzialità, segnata dal rifiuto degli uomini, segnata dall’indifferenza degli uomini, della cattiveria e tutte queste cose; però voi potete pensare che Gesù, quando era insieme alla sua mamma, quando era insieme a S. Giuseppe, non abbia vissuto dei momenti di gioia bellissimi? Io penso di sì. In certi momenti, con i suoi discepoli — pensate anche al Monte Tabor, ma non solo, anche in alcuni momenti conviviali in cui stava con loro — Gesù non ha vissuto la gioia? Gesù, insieme ai suoi discepoli, ha solamente sofferto? No! Secondo voi, Gesù non era felice quando andava a Betania? Secondo me sì, era felicissimo. Lo si capisce dal fatto che ci va anche poco prima di andare a morire. E Gesù, quando incontra la Maddalena o Zaccheo, non era felice? O la cananea, o il centurione, che va là a pregare per il suo servo, Gesù non era felice? Secondo me era felicissimo. O quando incontra i bambini che gli vanno incontro, che lo abbracciano, che lo baciano.
Credo che nella vita di nessuno ci sia stato solo dolore, così come non c’è stata solo gioia: c’è sempre un po’ di entrambi. Magari, per qualcuno, c’è stato un po’ meno dell’uno e un po’ più dell’altra, ma quello che conta non è né l’uno né l’altra.
Quello che conta è: la vita di Gesù fu una vita di unità? Assolutamente sì! “Ut ununm sint” — “Affinché siano una cosa sola”, questo dice Gesù nella sua preghiera Sacerdotale al capitolo diciassettesimo di S. Giovanni, attenzione! E: “Consacrali nella verità affinché siano una cosa sola”. Queste sono le due cose che chiede Gesù: consacrare nella verità i suoi discepoli, e siano una cosa sola. “Gli altri capiranno che voi siete i miei discepoli se sarete uniti”. È l’unità che fa capire agli altri che siete discepoli di Gesù, non andare in giro come gli ebeti, oppure stare lì, tutti flagellati; no! È l’unità!
Quindi, riavvolgiamo il nastro, pensiamo a padre Pio. Padre Pio, che ha sofferto in un modo incredibile, poi ha avuto anche dei momenti di gioia molto belli, non ha avuto solamente sofferenze, con alcuni suoi figli e figlie spirituali. Padre Pio trasudava unità da tutti i pori; le persone che si sono accostate a padre Pio, di fatto, poi, hanno fatto una grande famiglia. I figli spirituali di padre Pio, le persone più vicine a padre Pio, di fatto hanno costituito una grande famiglia messa insieme. Conoscevano il padre e poi si conoscevano tra di loro; certo non tutti, perché erano veramente tanti, però moltissimi sì, e anche tra Sacerdoti è successa questa cosa. Pensate a don Nello che, peraltro, è venuto a mancare poco tempo fa, in questo mese di agosto, pensate a don Attilio Negrisolo, e pensate poi all’amicizia tra don Nello e don Dolindo Ruotolo. Vedete, tutto questo bel giro di Sacerdoti santi, meravigliosi Sacerdoti, checché ne dicano, checché ne facciano. E si formava unità.
Quindi noi dobbiamo verificare, nella nostra vita — non nella vita degli altri — se c’è unità, perché? Perché «l’amore è forza divina che supera tutte le distinzioni e compie ogni unità» Pensate alla Trinità: tre persone, una sola unità; quale? L’unità della natura divina. E questa unità si fonda proprio sull’amore; sono tre persone distinte, “Padre, Figlio e Spirito Santo”, ma un’unica natura, la natura divina; il tutto viene tenuto insieme dall’amore.
L’odio è divisione; “diabàllo — diavolo”, colui che divide, colui che passa attraverso, vedete? È tutto perfettamente logico. Dove c’è divisione — potete avere tutti i sorrisi del mondo, potete avere tutti i penitenti del mondo — c’è il diavolo, non c’è l’amore, c’è l’odio. Sempre così, sempre è stato e sempre sarà. L’amore tende all’unione, né alla sofferenza, né alla gioia, all’unione. Poi ci saranno dei momenti di gioia, poi ci saranno i momenti di sofferenza, ma questi sono secondari. Ciò che conta è l’unione.
Dobbiamo sempre chiederci: la mia vita tende all’unione? La mia vita produce unione? Cerca unione? Il mio essere cristiano, il mio essere papà, il mio essere mamma, il mio essere figlio, il mio essere Sacerdote, il mio essere religioso o religiosa, produce unione? Tende all’unione? Chi mi avvicina respira unione, trova unione o trova divisione, trova cattiveria, trova odio, trova freddezza, cosa trova? Chi mi avvicina cosa trova?
Credo che noi Sacerdoti dovremmo essere proprio i primi testimoni dell’unione, innanzitutto dell’unione con Dio. Quindi, quando una persona incontra un Sacerdote, dovrebbe incontrare la creatura che, sulla terra, è maggiormente unita a Dio. Perché, quando amministra i sacramenti è un altro Cristo: è Gesù che consacra, è Gesù che battezza, è Gesù che confessa — attraverso il Sacerdote — è Gesù che assolve. Quindi, chi si accosta a qualunque Sacerdote, dovrebbe appunto avere questa sensazione, questa percezione di unione.
Come vi dico sempre: bisogna fare rete, bisogna essere uniti. Poi ognuno con le sue fatiche, ognuno con le sue cadute, ognuno con le sue gioie, ognuno con i suoi entusiasmi, ognuno con i momenti un po’ più di stanchezza, per l’amor del cielo, ma questo non è un problema, questo non è un criterio di discernimento. Il criterio di discernimento è: c’è unione. Così, la stessa cosa in una famiglia.
Quindi l’unione con Dio nel Sacerdote è fondamentale, e poi l’unione con la Chiesa, l’unione con il popolo di Dio. Quindi voi capite che il Sacerdote non è mai colui che afferma e porta avanti le proprie idee, ma afferma e porta avanti ciò che la Chiesa da sempre insegna. Questo dovrebbe essere il Sacerdote, sennò è altro.
Se io sono un giovane o una giovane, magari minorenne, molto, molto giovane, un ragazzino, un bambino — vi ricordate i bambini eucaristici — facciamo un esempio: mi metto in processione per ricevere l’Eucarestia, è arrivato il mio turno, mi metto in ginocchio; posso farlo? Sì. È la Chiesa che mi autorizza a farlo? Sì, certo, è la Chiesa che mi autorizza a farlo: la Chiesa madre e maestra; qui non c’entrano niente i preti. È la Chiesa, madre e maestra, che mi autorizza a farlo, e la Chiesa, madre e maestra, mi riconosce il diritto di farlo e riconosce il dovere da parte del ministro, del Sacerdote, di amministrarmi l’Eucarestia secondo quello che la Chiesa ha stabilito. E come già vi ho detto, la Chiesa ha stabilito — nel documento della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti del 2004, la Redemptionis Sacramentum, andate a leggere i numeri 90, 91, 92, 93 — che il fedele può ricevere l’Eucarestia: in piedi, in mano, in bocca, oppure in ginocchio. C’è questa possibilità di ricevere la Comunione in questo modo.
Quindi: io sono contrario alla Comunione in mano? Va bene, è lecito che io sia contrario. Viene un fedele che mi chiede la Comunione in mano, cosa fai? Gliela dai; perché la Chiesa ha stabilito che tu, ministro, dia la Comunione al fedele che la chiede in mano, va bene.
Arriva il fedele che chiede la Comunione in ginocchio e in bocca. Io sono contrario alla Comunione in ginocchio e in bocca. Cosa fai? Gliela dai, perché tu non puoi decidere diversamente da quello che ha deciso la Chiesa, altrimenti non affermi più l’unità — è il discorso di prima — stai dividendo, stai seminando la zizzania della divisione, stai introducendo non più la logica dell’amore, ma quella dell’odio; perché l’odio ha tante forme… E, quindi, non lo puoi fare, è un abuso. E infatti la Redemptionis Sacramentum, dice che questo è un abuso grave — andate a leggere i numeri 173-174 — e non c’è stato più nessun altro documento che ha corretto o ha cambiato questo documento. Quindi questo documento è valido, è legge. Leggetelo tutto, non è molto lungo, ma è molto bello e dice tantissime cose che, probabilmente, neanche sappiamo.
Se io, per una ragione o per l’altra, la nego, compio un abuso grave; figuratevi che la Redemptionis Sacramentum dice che addirittura è un abuso da denunciare al vescovo. Pensate un po’ quanto è grave questa cosa. Perché? Perché è un atto arbitrario. Siccome la Chiesa si è espressa lasciando libertà al fedele di ricevere la Comunione in un modo o nell’altro, tu, Sacerdote, devi essere la prima forma di obbedienza, che dice: va bene, io posso avere la mia idea e la dico anche, e la giustificherò, spiegherò perché la penso in un modo piuttosto che nell’altro, ma poi, a conti fatti, devo obbedire io per primo. Se non lo faccio, commetto un abuso. (Non lo dico io p. Giorgio Maria, è scritto nel documento!). E il documento della Congregazione è del 2004, viene un po’ dopo il Concilio Vaticano II… Sapete, magari qualcuno ha qualche problema di matematica, può succedere, perché la matematica è una materia abbastanza complessa. Poi, voglio dire, non è che sono tutti Einstein, dotati di particolare intelletto, insomma, ci sono anche persone, poverine, che fanno un po’ fatica, hanno un po’ di problemini a fare i conti. Anche se tu gli dai il pallottoliere per contare, con i colori diversi per le decine, le centinaia, però, alle volte, ci può essere un po’ di confusione, e allora può succedere che uno dica: “Quand’è che è finito il Concilio Vaticano II?”, perché magari uno non sa neanche quand’è che è finito, e magari uno pensa che è ancora in atto, può succedere anche questo. Il Concilio Vaticano II è finito, ed è finito qualche anno prima del 2004…
Perché dico questo? Perché qualcuno dice: “Ah no, non è vero che tu puoi chiedere la Comunione in bocca, perché il Concilio Vaticano II ha abolito tutte queste cose, e bisogna accettare che adesso non esistono, che adesso è tutto diverso, non è più come prima!”
Allora, primo: il 2004 viene dopo la chiusura del Concilio Vaticano II, e quindi è un po’ difficile che un documento di una Congregazione vada a smentire ciò che “avrebbe detto” un Concilio. Mi sembra un po’ strano… già questo dovrebbe farci arricciare il naso.
Per toglierci ogni dubbio, però, andiamo a vedere il Concilio! Perché magari se la sono persa anche quelli della Congregazione, c’è un po’ di nebbia collettiva e c’è solamente qualcuno che è super intelligente, e uno dice: ringraziamo il Signore che qualcuno ha visto per tutti! Quindi: mettiamo in dubbio anche la Congregazione, magari lì tutti si sono un po’ persi, sapete poi a Roma magari fa caldo. E allora uno dice: aspetta che mi vado a vedere il Concilio. Ecco, magari i documenti del Concilio sono un po’ più lunghi del documento della Redemptionis Sacramentum. Uno potrebbe guardare solo il Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia, ma leggiamo tutto, non ci fa male. Uno legge tutto e dice: “Ma dov’è che è scritto?”. Volete la sorpresa? Da nessuna parte! Provare per credere: da nessuna parte. In nessun testo il Concilio parla della Comunione in ginocchio, da nessuna parte! Non è trattata proprio, la questione.
Allora uno dice: ma tu perché dici queste cose? Perché vai a dire che il Concilio ha spazzato via tutto? Ma non è vero! Non è vero! I casi sono tre: o non hai studiato — e allora ci si domanda come hai fatto a diventare Sacerdote — o hai studiato malissimo, oppure sei in cattiva fede. Perché — capite — delle tre, una! Non è che ci siano altre possibilità! Visto che proprio non ne parla, perché tu vai a dire una cosa falsa? È falso.
“No, ma l’hanno detto i documenti post Concilio”: ma non è vero! Neppure questo è vero — a parte che tutto ciò che è avvenuto dopo, è dopo, poiché è post, e post è dopo. Quello che conta è il Concilio, e il Concilio non ne parla.
Anzi, nella Sacrosanctum Concilium c’è scritto, per esempio di mantenere l’uso della lingua latina, almeno nelle parti più importanti, nell’ordinario, per esempio: il Gloria, il Credo. Questa è una cosa che non si fa più perché non si rispetta il Concilio. Il Concilio dice di usare le lingue volgari (l’italiano, l’inglese, il francese, …) però mantenere un po’ il latino.
E si parla anche dell’uso del gregoriano. Voi avete presente molti posti dove la domenica si dice il Gloria in latino, o il Credo in latino? Avete in mente molti posti dove nella Messa della domenica si canta in gregoriano? Questo il Concilio lo dice! Questo è scritto nella Sacrosanctum Concilium, nero su bianco.
Allora mi domando: perché si cita il Concilio, mentendo, dicendo che il Concilio ha vietato, ha soppresso la comunione in ginocchio e in bocca — falso, perché non ne parla neanche — e non si obbedisce invece a ciò che il Concilio ha scritto, nero su bianco, dicendo: si mantenga l’uso della lingua latina nelle parti dell’ordinario. In quelle parti che recitano tutti, come il Gloria e il Credo, o il Padre nostro. Addirittura pensate che sul Messale di adesso, quello che il Sacerdote usa per dire la Messa, quando si arriva al Padre nostro, c’è scritta la preghiera del Padre nostro e poi, in rosso, le rubriche dicono: oppure lo si faccia in canto; e lo mette in latino. Interessante! Cioè, o lo si dice in italiano così come è scritto, oppure lo si canti in latino. Ma voi, quando è stata l’ultima volta che avete cantato in latino il Padre nostro?
Ma è scritto! È scritto nero su bianco! E nella Sacrosanctum Concilium, che fu la prima ad essere scritta tra tutti i documenti conciliari, non c’è scritto niente della Comunione. Però c’è scritto del latino. È interessante che questi che dicono che il Concilio ha abolito la Comunione in ginocchio poi, però, sono gli stessi che non obbediscono al Concilio, perché non mettono il latino all’interno delle Messe; non tutta la Messa in latino, ma in quelle due, tre parti che vi ho detto: il Gloria, il Credo, il Pater, per esempio. Non vi dico cose segrete, misteriche; andate a prendere la Sacrosanctum Concilium e ve la leggete, non è lunga. E vedrete che quello che vi ho detto è vero. E poi perché questi stessi non cantano in Gregoriano? Lì c’è scritto che va mantenuto, e vi dice anche perché.
Vedete, facendo così si opera la divisione; facendo questo, una cosa è sicura: non c’è l’unità, innanzitutto con la Chiesa, e poi con il popolo di Dio. Non si insegna l’unità, ma la divisione. Ma la divisione viene da Dio o viene da qualcun altro?
Quanto ha ragione don Divo! Che responsabilità grava sui noi Sacerdoti! E nei miei anni di vita Sacerdotale, con grandissima sofferenza, ho dovuto ricevere la testimonianza di tanti ragazzi minorenni che, con una fierezza veramente da piccoli leoni — la fierezza proprio da giovani martiri, da testimoni — venivano a raccontarmi, in tutta la loro fierezza e sofferenza, di essersi visti negata la Comunione per la semplice ragione che la chiedevano in ginocchio e in bocca. Attenti: negata l’Eucarestia davanti a tutta l’assemblea! Che è una cosa che un Sacerdote può fare solo nell’estremo, gravissimo caso, che si trovi davanti un peccatore pubblico, un peccatore ostinato, pubblicamente riconosciuto da tutti; solo in quel caso, e poi: ammesso e non concesso, perché tu non puoi sapere se quello, cinque minuti prima, si è andato a confessare, quindi capite, è una roba rarissima. Il Sacerdote non può negare l’Eucarestia a nessuno che sia battezzato, a meno che, appunto, non sia colpito da qualche pena particolare canonica che è pubblica, sennò non si può fare.
Immaginatevi cosa vuol dire negare la Comunione a un bambino… Io non so, davvero, non so con che cuore si possa fare una cosa del genere. E poi, non vorrei mai essere nei panni di quel confratello quando si troverà davanti a Dio. Cosa dice Gesù? “Chi scandalizzerà uno di questi miei piccoli, è meglio per lui che…”. Negare l’Eucaristia, davanti a tutti, a un bambino che, con un candore angelico, si inginocchia davanti a te — che dovrebbe farti sciogliere il cuore per la tenerezza, la commozione, la devozione, tanto da volergli dare un bacio — e ti chiede la Comunione in bocca; e tu gli dici: no, alzati! Non so, mi viene da pensare che persino l’inferno si sia ammutolito per un istante, come a dire: “No, questo è troppo anche per noi, si sta esagerando”. Scusatemi, forse l’ho detta grossa, ma è così che la sento. Per me, i cieli si sono fermati. Una cosa che ti fa dire: aspetta, cosa è successo lì? E poi, per finire, succede anche che, al termine della celebrazione, il Sacerdote riprenda e umili pubblicamente il bambino davanti a tutti per quel gesto. Terrificante!
Questo è un abuso gravissimo perché, anche se fosse venuto un assassino in chiesa, anche se fosse venuta una persona alla quale per fondate ragioni il Sacerdote non ha dato la Comunione, non si può poi umiliare davanti a tutti! Ma chi siamo noi per fare una cosa del genere? Ma chi siamo noi per poter compiere un atto, un abuso, così grave, un’umiliazione così grave nei confronti di un bambino, davanti a tutti, dicendo: non gli ho dato la Comunione perché l’ha chiesta in ginocchio in bocca. Ma siamo impazziti! Certo, è facile prendersela con un bambino.
Volevo proprio vedere cosa avrebbe fatto se, al posto di quel bambino, ci fosse stato il Presidente della Repubblica a inginocchiarsi e a chiedere la Comunione! Volevo vedere se non gliel’avrebbe data e se poi gli avrebbe fatto la reprimenda davanti a tutti. Volevo vedere!
E se avesse saputo che quel bambino era il nipote del Segretario di Stato Vaticano? Se fossero venute delle pie donne a dirgli: ‘Oh padre, sa chi c’è in chiesa?’ — ‘No, chi c’è?’ — ‘C’è il nipote del Cardinal Tal dei Tali, del Segretario di Stato Vaticano, è venuto qui con la sua famiglia alla Messa!’ — ‘Davvero?’ — ‘Sì, sì, c’è qui il nipote’. Immaginate la scena: il nipote del cardinale, Segretario di Stato Vaticano, arriva con i genitori, si mette in processione per fare la Comunione e si inginocchia per riceverla in bocca. E lui gli dice: no, alzati! E poi, finita la Messa, gli fa pure una reprimenda pubblica.
Voglio vedere se quel Sacerdote avrebbe avuto lo stesso medesimo coraggio. Sapete cosa vi dico? Neanche per sogno! Sapete perché? Perché il giorno dopo partiva per il Burundi: volo diretto, proprio diretto, senza neanche fare le valigie, la mattina dopo era già sull’aereo, aveva già l’aereo prenotato, sicuro! O in Burundi a fare il catechismo agli elefanti, oppure partiva per andare a fare un bel dottorato nell’Antartide, sulle foche… le foche monache! Voglio dire, il dottorato sulle foche è fondamentale, anche le foche monache hanno da dire qualcosa; quindi si fa un bel dottorato sulle foche monache! Dove? Al Polo Nord. Così va lì a fare un po’ di esperienza pastorale con le foche monache. Vedete come passano velocemente i bollori.
E non temo smentita, non temo nessuna smentita perché so come siamo fatti, è così, tranquillo. Certo che se, al posto del nipote del segretario di Stato Vaticano, del Cardinale XY, arriva a chiedermi la Comunione il figlio del falegname del paese, del contadino, o del muratore, ah beh, allora… Poi noi siamo quelli che parliamo di uguaglianza e dei diritti di tutti. Vi ricordate cosa dice S. Giacomo? Andate a leggere la lettera di S. Giacomo apostolo, quando parla di quello con l’anello al dito che entra nell’Assemblea; andate a leggere.
Ecco, mi è venuta in mente questa cosa, perché, sapete, in ventitré anni di sacerdozio, insomma, ogni tanto bisogna un po’ “strizzare l’uva e far scendere un po’ di vino”; ventitré anni di sacerdozio permettono, ogni tanto, di fare qualche piccolo bilancio, e di fare due conti, anche per rendere giustizia a questi poveri fanciulli, questi poveri bambini. Poveri, perché sono stati vittime di ingiustizie e di abusi gravi, perché questo è un abuso grave, ma non poveri nel senso cristiano del termine; loro hanno messo un tesoro nel cielo perché, ovviamente, hanno avuto la possibilità di dare una testimonianza incredibile. Perché, guardate, in questi ragazzi io non ho mai visto né rancore, né risentimento, niente, semplicemente un grandissimo amore per Gesù.
Anche agli adulti succedono queste cose; capita che vengano umiliati, insultati, e che gli dicano di tutto, come: ‘Sei superbo’. Ma davvero, io mi chiedo: come fai a dire che una persona è superba? Da cosa lo capisci, le leggi il cuore? Sei forse Dio? Siamo Dio, che leggiamo nel cuore degli uomini? Come puoi dire a qualcuno che è superbo? Uno che si mette in ginocchio a chiedere la Comunione in bocca è superbo; non so quale strana equivalenza psicologica abbiano fatto.
Quando ascolto queste cose da un ragazzo o una ragazza, mi si ferma il cuore, rimango senza parole, incapace di dire qualsiasi cosa. Mi verrebbe da scavare un buco e sprofondare per il confratello che ha fatto una cosa del genere, perché davvero… Credo che non ci sia nessuna giustificazione valida, nessuna ragione, perché semplicemente non esiste. Non c’è una ragione teologica, liturgica o ecclesiale, niente del genere. ‘No, perché devi fare come fanno tutti’; ma non è scritto da nessuna parte. Anche questa è una storia falsa. Non esiste nessun documento della Chiesa che dica che tutti devono fare come tutti. Certo, ci sono momenti nella Messa in cui ci si alza tutti, ci si siede tutti, ci si inginocchia tutti, e va bene, ma la Comunione è libera: Redemptionis Sacramentum, documento della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti del 2004; questa è la fonte
La loro fonte qual è? Non c’è! È solo nella loro testa, ma quella non è una fonte, perché documenti non ce ne sono. È la stessa cosa quando ti dicono: “Ah, non si fa più la genuflessione davanti al Tabernacolo” — “Perché?” — “Perché lo dico io”. I miei carcerati mi avrebbero guardato e detto: “E tu chi sei? Ma guarda questo qui, chi si crede di essere? Ma tu chi sei? Cosa vuoi dalla nostra vita?” — “Lo dico io” — “E allora? Ma mica sei il Papa.”
Le cose devono avere una sensatezza, una ragionevolezza e una fondatezza teologica, non la mia testa, non il mio capriccio, non la mia mancanza di fede, non perché io non credo; no. C’è la Chiesa, che è maestra e madre.
“Io ho deciso che da oggi non si fa più la genuflessione davanti al Tabernacolo”; e vabbè, problemi tuoi, tu non farla; io la faccio.
Ma nessuno può permettersi una roba del genere! Bisogna portare le fonti! “L’ha detto il Vaticano II”; no, vi prego, non dite queste cose, perché facciamo una figura da ignoranti. Quando vi dicono: “L’ha detto il Vaticano II”, voi chiedete sempre: “Ah sì, bene, mi dice dove? Sa, sono un povero ignorante, non lo so, mi dica dove. Mi dica il documento, la pagina e il numero, quello che è, me lo dica, me lo faccia vedere. Perché io lo voglio vedere”. E non c’è! “No, ma l’hanno detto post Concilio” — “Bene, a parte che è post e quindi non è Concilio, comunque mi dica il documento. Io ho il documento: Redemptionis Sacramentum numero 90, 91, 92, 93. Io ho questo, lei mi dica il suo, mi porti il suo”.
Scusatemi la lunghezza, ma oggi, con questo testo di don Divo Barsotti, ci voleva questo intervento. Preghiamo… Bisogna pregare, è quello che dico a questi bambini. Io ho sempre in mente Cristiada, questo santo bellissimo, Joselito, che è morto martire, gridando “Viva Cristo re”; bellissimo, alla san Tarcisio. A questi ragazzi dico: imparate da questi bambini, da questi ragazzi, da questi eroi; da sant’Isidoro, che è morto martire dello scapolare. Questo beato africano è morto martire per non aver voluto togliere lo scapolare del Carmelo. Non ha voluto togliere lo scapolare del Carmelo, ed è morto così, pensate.
Ecco, lo dico proprio ai ragazzi, perché so che ci sono tanti ragazzi che ascoltano queste meditazioni: qui ci sono i vostri modelli, questi sono i vostri modelli, i vostri modelli sono loro. Se noi Sacerdoti ogni tanto perdiamo “il ben dell’intelletto” — diceva la mia nonna — perché capita anche a noi, sapete cosa dovete fare: una bella preghiera, pregate per noi. Pregate il Signore, pregate la Vergine Maria, perché ci convertiamo, perché recuperiamo la santità, perché recuperiamo il timor di Dio e perché recuperiamo l’obbedienza alla Chiesa. La Chiesa ha detto questo e noi obbediamo alla Chiesa, tutti! Che ci piaccia o non ci piaccia, tutti siamo chiamati ad obbedire, punto.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.