Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: Sacrosanctum Concilium – Capitolo I, § 8: “liturgia terrena e liturgia celeste”
Martedì 8 ottobre 2024
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Lc 10, 38-42)
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a martedì 8 ottobre 2024.
Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal decimo capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 38-42.
Continuiamo la nostra lettura della Sacrosanctum Concilium. Siamo arrivati al numero ottavo.
Liturgia terrena e liturgia celeste
8. Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo…
La prima cosa che ci viene detta è che la liturgia terrena è una partecipazione per anticipazione alla liturgia celeste celebrata nella Gerusalemme celeste. E questo dovrebbe farci riflettere molto! E la prima cosa che ci dovrebbe venire in mente è: allora mettiamo al centro la liturgia della Chiesa.
Dobbiamo mettere al centro la liturgia della Chiesa nella nostra vita cristiana, quindi al primo posto la Santa Messa, facendo il possibile affinché sia quotidiana. Se dobbiamo fare dei sacrifici, cerchiamo di farli; prepariamola bene, viviamola bene; quando usciamo, ringraziamo bene. Poi, la liturgia delle Ore, il Breviario; quindi impariamo a recitarlo. Non c’è bisogno di prendere il Breviario cartaceo, che ha un certo costo, su Internet voi trovate diverse applicazioni, come “La liturgia delle Ore, CEI”, come “iBreviary”, ma ce ne sono tante altre. E lì voi avete, di ogni giorno, l’Ufficio delle letture, le Lodi, l’Ora media, il Vespero, la Compieta. Imparate a recitare questi momenti della giornata, molto importanti. Poi abbiamo il sacramento della confessione. Quindi, vedete, sono tutti momenti liturgici che ci fanno partecipare, per anticipazione, alla liturgia della Gerusalemme celeste.
Oggi a questo proposito, anche sulla scorta di quello che abbiamo appena meditato di don Divo, volevo lasciarvi un acrostico. Che cosa vuol dire la parola acrostico? Che cos’è un acrostico? L’acrostico è una parola che viene dal greco akrόsticon (ἀκρόστιχον) ed è composta da akron (ἄκρον), che vuol dire “estremo”, e sticos (στίχος), che vuol dire “verso”; quindi: “estremo verso”. E sarebbe, praticamente, un componimento poetico, o comunque un’espressione linguistica, dove le lettere, oppure le sillabe, oppure le parole iniziali di ciascun verso, formano un nome o una frase. Adesso vi faccio l’esempio. Voi dovete immaginare queste parole, che adesso io vi dirò, scrivendo le frasi una sotto l’altra. Quindi: scrivete la prima frase e andate a capo; scrivete la seconda frase e andate a capo; scrivete la terza frase e andate a capo e viene fuori l’acrostico. Perché si fa l’acrostico? Perché è facile da ricordare, perché le lettere iniziali dell’acrostico, di solito, formano un’espressione linguistica di senso compiuto.
Quella che vi dico io adesso non è una composizione poetica ma un’espressione linguistica che forma l’acrostico “RASO”. Ho pensato a questo acrostico, perché tante volte si sente parlare — mi vien da dire, ogni giorno, più volte al giorno — di sofferenza, di dolore, di situazioni tremende che viviamo e che spesse volte le persone vivono. Situazioni di male fisico, di male spirituale, insomma, veramente molto molto pesanti. E allora si cerca sempre la parola giusta da dire, il consiglio giusto da dare, non si sa mai cosa dire, cosa fare, si è sempre un po’ imbarazzati. E allora — sapete, a me piace la sintesi — ho pensato questo acrostico “RASO”, ché può essere tenuto a mente — poi, magari, anche consegnato alla persona che soffre — per aiutarci in quello che dobbiamo dire o suggerire. Allora: prima frase da scrivere (la prima lettera è la R):
Ringrazia per tutto per mai scordare.
Quindi, quando soffriamo, impariamo a ringraziare per tutto, così, nella sofferenza, eviteremo di dimenticarci tutti i doni ricevuti da Dio. E quindi capite, se facciamo così noi e insegniamo e aiutiamo gli altri a fare così, è difficile cadere nella disperazione. Seconda frase, andate a capo, nuova riga, e scrivete:
Affida tutto per non dubitare.
Quando stiamo soffrendo, una cosa fondamentale è vivere l’affidamento, proprio il più radicale possibile. Dobbiamo affidare tutto a Dio per non cadere nel dubbio: “Dio interverrà; Dio non interverrà; se le cose vanno avanti così, allora che Dio è; allora vuol dire che non gli interessa di me; ma allora non mi è veramente Padre”. No! “Affida tutto per non dubitare”; se noi affidiamo tutto, non cadremo mai nel dubbio. Terza riga, a capo scrivete:
Soffri tutto per imparare.
Vedete che la prima lettera di questa nuova frase è la S. Don Divo ci ha insegnato non solo ad essere disponibili, ma a cercare la sofferenza, e la sofferenza — abbiamo visto sempre con don Divo — è una grandissima scuola, grandissima scuola di conoscenza. La croce ci insegna, ci mostra la via per conoscere Dio. È la strada indicata da Gesù: “Chi vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Quindi imparare, o meglio, essere disponibili a soffrire tutto per imparare. E infatti vediamo i santi e abbiamo visto i bambini eucaristici che, disponibili a soffrire tutto, hanno imparato tutto. Terza frase, a capo:
Offri tutto per riparare.
Quindi, tutta la tua sofferenza impara ad offrirla come atto di riparazione. E anche qui don Divo c’è stato da maestro, ma anche la Vergine Maria, ad esempio nel messaggio a Fatima.
Quindi ecco l’acrostico “RASO”: le lettere iniziali delle quattro frasi, scritte tutte una di seguito all’altra. E viene fuori:
Ringrazia per tutto per mai scordare.
Affida tutto per non dubitare.
Soffri tutto per imparare.
Offri tutto per riparare.
Ecco, io spero che questo acrostico vi possa in qualche modo essere di aiuto, quando soffrirete nella vostra vita.
Andiamo avanti con il testo del Concilio:
… insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al Signore l’inno di gloria; — e infatti la liturgia delle ore, il breviario, nelle varie ore inizia sempre con un inno di lode molto bello — ricordando con venerazione i santi, speriamo di aver parte con essi; aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria.
Bellissimo; un testo bellissimo.
A questo proposito vorrei darvi un’indicazione. Ve la leggo:
Il 4 febbraio, 1861, don Bosco andò a predicare gli Esercizi Spirituali nel Seminario di Bergamo. Predicando, fra l’altro disse: «In una certa occasione potei domandare a Maria Santissima — quindi una cosa seria, eh! — la grazia di avere presso di me in Paradiso migliaia e migliaia di anime e la Madonna me ne fece promessa. Se anche voi desiderate appartenere a tal numero, io ne sono lieto, a patto che ogni giorno, — attenti — per tutta la vostra vita, recitiate un’Ave Maria, possibilmente nel tempo che ascolterete la S. Messa, anzi nel momento della Consacrazione». — sono sicuro che non avete mai sentito questa cosa — La proposta fu accolta con gioia, perché già si conosceva la santità di don Bosco e le relazioni che aveva col soprannaturale.
Un certo Stefano Scaini, allora chierico nel Seminario di Bergamo e poi sacerdote Gesuita, non tralasciò l’Ave Maria suggerita da don Bosco, convinto che la stessa Madonna avesse suggerita la cosa al suo Servo. Lo Scaini il 3 gennaio 1882, — quindi più di vent’anni dopo — andò a trovare don Bosco a Torino e così gli disse:
– Se mi permette, vorrei domandarle schiarimento sopra una cosa, che mi sta molto a cuore. Ricorda quando lei venne a predicare gli Esercizi nel Seminario di Bergamo?
– Si!
– Ricorda di averci parlato d’una grazia domandata alla Madonna, cioè dell’Ave Maria da recitare durante la Consacrazione?
– Ricordo bene!
– Io quell’Ave Maria l’ho sempre recitata e la reciterò sempre!
Allora don Bosco rispose con grande sicurezza:
– Continui a recitare quell’Ave Maria e ci troveremo assieme in Paradiso!
Allora, mio consiglio spassionato: impariamo a recitare tutti questa Ave Maria. Quando? Beh, dato che parla di consacrazione, allora il mio consiglio è di recitarla appena è stato consacrato il calice; quindi: viene consacrato il pane, poi viene consacrato il vino, appena è stato consacrato il vino, vi raccogliete e recitate l’Ave Maria. Molto semplice. Mi sembra una pratica molto bella. Un consiglio che arriva direttamente da don Bosco, quindi assolutamente affidabile, il quale l’ha ricevuto direttamente dalla Vergine Maria. Quindi, ecco, credo che nessuno possa accusare la Vergine Maria di non essere una brava “liturgista”, no? Quindi, se la Vergine ha dato questo consiglio, possiamo fidarci. Io della Vergine Maria mi fido, e credo che nessuno possa pensare che la Vergine Maria non conosca il valore teologico della Santa Messa. Penso che la Vergine Maria lo conosca. E non credo che la Vergine Maria possa mai dare a qualcuno un consiglio, un’indicazione o una promessa che non sia secondo la Santissima Trinità, presumo. Quindi possiamo stare tutti tranquilli e fare con la massima serenità questa bellissima pratica, che dura pochissimi secondi: è un Ave Maria, però… che promessa è legata a questa Ave Maria!
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.