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Le radici spirituali delle malattie psichiche: terza parte

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di venerdì 19 febbraio 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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LE RADICI SPIRITUALI DELLE MALATTIE PSICHICHE – Terza Parte

Eccoci giunti a venerdì 19 febbraio 2021, abbiamo ascoltato la Prima Lettura della Santa Messa di oggi tratta dal cap. 58°, vv 1-9 del profeta Isaia. Questo brano ci dice: stiamo attenti ad una pratica puramente esteriore della nostra vita di fede che non curi l’interiorità, quello che stiamo vedendo con il libro del prof. Larchet su “L’inconscio Spirituale”.

Oggi, prima di continuare la lettura del libro vorrei fare qualche commento alle letture di oggi. La prima lettura che abbiamo ascoltato ci dice l’importanza di rifarci ad una legge morale dettata da Dio, che sia la guida del nostro agire: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo, vestire chi si vede nudo, introdurre i casa i miseri, dividere il pane con l’affamato, non angariare gli operai.

Dato che c’è chi si oppone a questa interpretazione di questo testo, c’è chi dice che non c’è una legge morale, vorrei leggervi un brano breve del testo: “Incontro a Dio. Antologia di scritti spirituali” di Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce.

Scrive:

“Il credente sa che esiste Uno il cui sguardo non è limitato da nessun orizzonte, Uno che tutto abbraccia e tutto compenetra. Chi vive nella certezza di questa fede, sente in coscienza di non potersi più accontentare della propria scienza, pur vasta che sia. Egli deve necessariamente sforzarsi di conoscere ciò che è giusto agli occhi di Dio”.

Capite? Edith Stein ci dice che tu devi cercare in tutti i modi di conoscere ciò che è giusto agli occhi di Dio. Ricordate quando vi parlavo dell’importanza della dottrina, di non dividere la fede dal Credo? Come faccio a sapere che io sto davanti a Dio? Il punto di riferimento sono i Dieci Comandamenti, la nostra dottrina che hanno vissuto Santi e Sante, quello che c’è scritto nel Vangelo, …

Prosegue Edith Stein:

“E’ appunto questo il motivo per cui soltanto un atteggiamento imperniato sulla religiosità è una condotta veramente etica. Certo esiste una ricerca e una tendenza naturale verso il giusto e verso il bene, e in casi particolari si potrà anche trovarlo, ma solo nella ricerca della Volontà Divina si arriverà realmente allo scopo.”

Solo cercando la Volontà di Dio arrivo al giusto e al bene, solo così. Quindi la prima Lettura che abbiamo ascoltato oggi è importante perché ci richiama ad un rapporto fondante con Dio, che si traduce in una vita pratica di rispetto della legge morale.

E poi volevo leggervi un testo, anche questo breve di Padre Pio, che si ricollega a quando Isaia dice: “Grida a squarciagola, non avere riguardo”.

Sentite cosa dice Padre Pio:

“Sai qual è il guaio? I frequentatori delle nostre Chiese, non bisognosi delle lavate di testa, li attrippiamo – cioè li “schiacciamo” – di parole buone e di consigli superflui, e quelli bisognosi di qualche lume li lasciamo senza il minimo necessario per la loro salvezza. Il rigore fraterno vale più di tutte le sdolcinature del mondo messe insieme.”

Lo trovate nel testo di Padre Pellegrino Funicelli: “Il rigore fraterno vale più delle sdolcinature”, del 1976.

Capite? Il rigore fraterno vale più delle sdolcinature. Bisogna fare i rimproveri a chi ne ha bisogno, ci vuole rigore nell’essere fratlli. Che è tutto il contrario di quello che oggi crediamo essere necessario e importante.

Andiamo avanti con il nostro bellissimo testo del prof. Larchet, stiamo trattando il tema del falso timore e della falsa inquietudine. Scrive:

“Mentre la prima forma di timore è conforme alla natura, questa seconda forma, che è cattiva, è contro natura. Sta nel fatto che l’uomo ha stravolto la duplice finalità naturale e normale di quel timore che lo faceva attaccare al suo essere vero e a Dio per farlo diventare timore di perdere il suo essere «decaduto», timore di essere separato dal mondo sensibile, di perdere la vita passionale e il piacere che a questa inerisce (anche se il più delle volte tutto questo ragionamento non è affatto cosciente).”

Dal giusto timore di perdere il mio attaccamento a Dio e quindi la necessaria conservazione anche della mia vita, in quanto dono di Dio, si passa al timore di perdere il mio essere decaduto, al timore di essere separato dal mondo sensibile, da quello che vediamo, dalla vita passionale, dal piacere.

“Invece di temere ciò che minaccia il suo essere spirituale, l’uomo si dà a temere tutto ciò che minaccia e mette a rischio la sua esistenza sensibile e i godimenti che da essa trae. La passione del timore rivela una relazione patologica dell’uomo con Dio.”

Noi non temiamo il peccato tanto quanto temiamo la morte fisica, tanto quanto temiamo la malattia. Se ho mal di denti corro subito dal dentista. Se ho fatto un peccato grave… vediamo.

“Temendo di perdere qualche bene di questo mondo e qualche piacere sensibile, invece di temere di perdere Dio e perdere se stesso, – perché perdere Dio vuol dire perdere se stessi – l’uomo si sottrae a Dio, fonte della sua vita, principio e fine del suo essere, senso della sua esistenza, e fissa invece il centro delle sue preoccupazioni sulla realtà sensibile, che diventa per lui l’Assoluto.”

Questa è la patologia: invece di aver paura di perdere me stesso e Dio, cosa faccio? Cambio questa paura e la faccio diventare paura di perdere questo mondo e il piacere sensibile ad esso collegato. E invece di tornare, riavvicinarmi a Dio, mi sottraggo a Dio, e fisso il mio centro di preoccupazione e di attenzione sul mondo, sulla realtà sensibile che diventa il tutto.

“Nel timore-passione, Dio non viene soltanto dimenticato come principio e fine dell’essere e della vita, come senso e centro dell’esistenza; viene anche negato, trascurato, rifiutato sotto l’aspetto della sua attività provvidenziale e della benevola protezione che esercita verso ogni essere.”

Il timore-passione è quello patologico, che probabilmente noi non riconosciamo perchè non so quanti di noi conoscono l’altro timore, quello sano. Dicevo: in questo timore-passione non solo dimentico Dio, ma lo nego.

Pensiamo alla Provvidenza. La Provvidenza… noi diciamo che non c’è, non esiste, che è un concetto antiquato, del Manzoni, delle favole, è un mito, è una cosa medievale e preconciliare, è una categoria con la quale un tempo, quando non capivano niente, chiamavano quello che non conoscevano. Ma adesso che ci siamo noi, che sappiamo tutto e capiamo tutto. La Provvidenza, oggi, è un po’ come l’idea di Babbo Natale: è carina, è simpatica ma in fin dei conti tutti sappiamo che non esiste.

Noi diciamo che samo noi che provvediamo a noi stessi. Diciamo che è “la storia”. Ma io non ho mai visto la storia andare in giro con due gambe e due braccia. “La storia ci parla”, “siamo in rapporto con la storia”. Ma la storia non è una dea. E’ come quando parliamo della comunità, della famiglia… ma la comunità e la famiglia sono le persone che la costituiscono. Non esiste un ente “comunità” o un ente “famiglia” sganciato dalle persone che le compongono. Le persone che costituiscono la famiglia SONO la famiglia. La famiglia, la comunità non sono realtà sovraumane, qualcosa a cui far riferimento. In realtà siamo noi.

Dio, come padre, provvede a noi. Non è la storia. E’ Dio che provvede a noi dentro al nostro vivere quotidiano.

Oppure c’è chi dice: “le cose capitano per caso”. Ma il caso non esiste! La fortuna non esiste. Sono parole ma non esistono. Niente accade per caso. “Per caso”, “per fortuna” sono parole entrate nel linguaggio perché sono entrate nel pensiero.

E’ vero che rifiutiamo Dio sotto l’aspetto della sua attività provvidenziale e della benevola protezione che esercita verso ogni essere.

Dio ci va bene per quel poco di tempo che gli dedichiamo, quello delle nostre preghierine, poi deve stare bene chiuso in chiesa, ben nascosto e poi basta, la vita di tutti i giorni me la devo sbrigare io. “Pregare perchè Dio mi aiuti a superare un esame? Ma che stupidaggine è? Tu studia, e basta.”

Perché dobbiamo dire a un ragazzo di non pregare perché Dio lo aiuti per un’interrogazione o un esame? Non ho bisogno di mio Padre che illumini la mia mente, che educhi la lingua e il mio linguaggio, che mi insegni a comprendere ciò che mi viene chiesto? Che mi insegni ad articolare i miei pensieri?

Leggete questa bellissima preghiera a San Tommaso D’Aquino da recitare prima dello studio:

“O Creatore ineffabile, Tu che sei fonte vera e supremo princi­pio di luce e sapienza, degnati di infondere nel mio intelletto un raggio della tua luce. Dammi profondità di penetrazione, esattezza d’interpretazione, facilità di apprendere, capacità di ritenere. Tu, che rendi eloquente la lingua dei fanciulli, istruiscimi e infondi sulle mie labbra la grazia e la forza della tua parola. Prepara l’inizio del mio studio, d’origine la continuazione, completare il termine. Concedimi di amare ardentemente, di investigare prudentemente, di conoscere veracemente ciò che a te piace e di adempierlo perfettamente a lode e gloria del tuo nome. Amen. S. Tommaso d’Aquino, prega per noi.”

Ma perchè devo dire che non è bella?

È importante pregare Dio Padre anche prima di un esame, prima di un lavoro che richiede applicazione di mente. Non è vero che “basta studiare e poi tutto viene da se”.

”Questo timore rivela la falsa idea che l’uomo si fa di essere abbandonato a sé solo, di non potere o non dover contare che sulle sole proprie forze, di essere privo dell’aiuto di Dio. L’insegnamento del Cristo stesso denuncia questa falsa idea, quando all’uomo ricorda che Dio si prende di continuo cura di lui (cfr. Matteo 10,29-31; Luca 12,6-7). Il timore è insomma anche il segno d’una mancanza di fede nella Provvidenza divina (cfr. Marco 4,36-40). Ma questa forma di timore esprime anche una mancanza di fede nei beni spirituali. Perché, se l’uomo fosse attaccato a essi, soltanto essi temerebbe di perdere. In effetti, sono i soli beni che per l’uomo hanno un valore assoluto e un’importanza vitale. L’uomo che si affida a Dio, diventando partecipe della risurrezione del Cristo e della vita divina, non deve più temere nessun danno per la sua anima o il suo corpo, non deve più temere neanche la morte, che uccide provvisoriamente il corpo ma non può far niente di più (Matteo 10,28; Luca 12,4). Chi s’unisce a Dio trova in Lui la totalità dei beni e non teme quando viene spogliato di qualche bene sensibile. Temere non è soltanto non aver fede nei beni spirituali, i soli reali, è anche, a un tempo, accordare una fede vana ai beni sensibili, d’illusoria realtà (cfr. Matteo 6,19; Luca 12,33): più presto o più tardi, a motivo della loro provvisorietà o per la propria morte, questi l’uomo li perde, e con essi anche il piacere legato al loro possesso, un piacere che è peraltro ben poca cosa rispetto al godimento dei beni del Regno. È perché l’uomo decaduto s’inganna sulla vera realtà degli oggetti e dei piaceri sensibili cui si attacca che può farsi prendere dal timore, se ne conoscesse invece la natura vera, la loro perdita lo lascerebbe indifferente.”

Ci fermiamo qui. Vi auguro di cuore di sviluppare sempre di più il santo Timore di Dio, non dimenticate quello che abbiamo detto all’inizio di Santa Teresa della Croce e di Padre Padre Pio, e che il santo Timore di Dio ci faccia comprendere che nella nostra vita una sola cosa dobbiamo temere: Perdere Dio, allontanarci da Lui con il peccato.

E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

Venerdì dopo le Ceneri

PRIMA LETTURA (Is 58,1-9)
È forse questo il digiuno che bramo?

Così dice il Signore:
«Grida a squarciagola, non avere riguardo;
alza la voce come il corno,
dichiara al mio popolo i suoi delitti,
alla casa di Giacobbe i suoi peccati.
Mi cercano ogni giorno,
bramano di conoscere le mie vie,
come un popolo che pratichi la giustizia
e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio;
mi chiedono giudizi giusti,
bramano la vicinanza di Dio:
“Perché digiunare, se tu non lo vedi,
mortificarci, se tu non lo sai?”.
Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari,
angariate tutti i vostri operai.
Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi
e colpendo con pugni iniqui.
Non digiunate più come fate oggi,
così da fare udire in alto il vostro chiasso.
È forse come questo il digiuno che bramo,
il giorno in cui l’uomo si mortifica?
Piegare come un giunco il proprio capo,
usare sacco e cenere per letto,
forse questo vorresti chiamare digiuno
e giorno gradito al Signore?
Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene inique,
togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli oppressi
e spezzare ogni giogo?
Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”».

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