Scroll Top

Solennità di Ognisanti

Ognisanti

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di lunedì 1 novembre 2021 – Solennità di Ognisanti

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

Scarica il testo della meditazione

Solennità di Ognisanti

Eccoci giunti a sabato 1 novembre 2021. Celebriamo quest’oggi la solennità di tutti i Santi.

Abbiamo ascoltato la seconda lettura della Santa Messa di oggi tratta dalla Prima Lettera di San Giovanni Apostolo capitolo III, versetti 01-03. 

La prima cosa che mi viene in mente da dirvi è questa. Non di rado oggi si chiede: “Come mai il Sacramento della Confessione ha subito una così profonda crisi?”. Nel senso che non è più molto frequentato o magari non tanto come negli anni passati, di sicuro non tanto come quando ero giovane io, per esempio, quando ero ragazzo io. Già vi ho detto tante volte quanto fosse imprescindibile la famosa Confessione del sabato pomeriggio. Non esisteva sabato pomeriggio senza la Confessione: estate, inverno, primavera, autunno, in vacanza, a Natale, il sabato pomeriggio era il giorno delle Confessioni. Febbre o non febbre ci si andava a confessare.

Perché adesso non è più, forse, tanto così? 

Forse perché ci manca la speranza in Lui. 

Dice San Giovanni:

“Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui…”

Cosa fa?

 “Purifica se stesso, come egli è puro.”

La ragione dell’andarmi a confessare di frequente, la ragione del tenermi lontano dal peccato non è la paura dell’inferno, di un castigo, no, ma non è neanche un dovere morale che mi spinge a non fare il male, non è neanche una consuetudine sociale, mi verrebbe da dire neanche tanto il rispetto della legge — che sono tutte cose certamente importanti — ma la ragione prima, la ragione più profonda è la speranza, la speranza di essere simili a Lui perché lo vedremo come Egli è.

“Purifica se stesso, come egli è puro.”

Ecco la ragione, non è certo il “tu devi”. È inutile insistere quando qualcuno non ha dentro questa speranza, è inutile insistere: “Devi andare a confessarti, devi andare a Messa…”. Se non c’è questa speranza in Lui, in Gesù, di essere simili a Lui, di vederlo come Egli è, non ci sarà neanche il desiderio di confessarsi. La festa di tutti i Santi di oggi ci richiama proprio a questo, e quindi “nessuno stupore se il mondo non ci conosce”  — dice San Giovanni — “perché non ha conosciuto Lui”. 

“Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.”

Non c’è da essere molto stupiti.

Proseguiamo con la lettura e meditazione del testo Lectio Divina del Santo Padre Benedetto XVI, del 10 marzo 2011, all’incontro con i parroci della diocesi di Roma, che ci sta facendo riflettere su alcune questioni molto interessanti.

“In secondo luogo: “costituiti come custodi, per essere pastori”. La parola che qui, nella traduzione italiana, suona “custodi” è in greco “episkopos”. San Paolo parla ai presbiteri, ma qui li chiama “episkopoi”. Possiamo dire che, nell’evoluzione della realtà della Chiesa, i due ministeri non erano ancora chiaramente divisi e distinti, sono ancora evidentemente l’unico sacerdozio di Cristo ed essi, i presbiteri, sono anche “episkopoi”. La parola “presbitero” viene soprattutto dalla tradizione ebraica, dove vigeva il sistema degli “anziani”, dei “presbiteri”, mentre la parola “episkopos” è stata creata – o trovata – nell’ambito della Chiesa dai pagani, e viene dal linguaggio dell’amministrazione romana. “Episkopoi” sono quelli che sorvegliano, che hanno una responsabilità amministrativa nel sorvegliare l’andamento delle cose. I cristiani hanno scelto questa parola nell’ambito pagano-cristiano per esprimere l’ufficio del presbitero, del sacerdote, ma naturalmente ciò ha cambiato subito il significato della parola. La parola “episkopoi” è stata subito identificata con la parola “pastori”. Cioè, sorvegliare è “pascolare”, fare il lavoro del pastore: in realtà ciò è diventato subito “poimainein”, “pascolare” la Chiesa di Dio; è pensato nel senso di questa responsabilità per gli altri, di questo amore per il gregge di Dio.

Un Pastore che non ama il suo gregge, il gregge di Dio innanzitutto, e quindi quello che Dio gli ha affidato, non è un pastore. Non esiste un pastore che non ama il suo gregge. Il pastore vive per il suo gregge,  è sempre in mezzo al suo gregge, lo custodisce, lo cura, lo conta, lo protegge, lo difende, lo alimenta.

 “E non dimentichiamo che, nell’antico Oriente, “pastore” era il titolo dei re: essi sono i pastori del gregge, che è il popolo.

In seguito, il re-Cristo trasforma interiormente – essendo il vero re – questo concetto. È il Pastore che si fa agnello, il pastore che si fa uccidere per gli altri, per difenderli contro il lupo; il pastore il cui primo significato è amare questo gregge e così dare vita, nutrire, proteggere. Forse questi sono i due concetti centrali per questo ufficio del “pastore”: nutrire facendo conoscere la Parola di Dio, non solo con le parole, ma testimoniandola per volontà di Dio; e proteggere con la preghiera, con tutto l’impegno della propria vita.”

Questo è il pastore, quindi nutrire facendo conoscere la Parola di Dio. Innanzitutto farsi uccidere in sacrificio, amare il gregge ed essere pronti a “dare la vita per”, quindi proteggerlo. Come? Nutrendolo con la Parola di Dio — dice il Papa — testimoniandola con la vita e con la Parola. Poi, proteggere con la preghiera e con l’impegno della propria vita. Questi sono i compiti dei Pastori. 

“Pastori, l’altro significato che hanno percepito i Padri nella parola cristiana “episkopoi” è: uno che sorveglia non come un burocrate, ma come uno che vede dal punto di vista di Dio, cammina verso l’altezza di Dio e nella luce di Dio vede questa piccola comunità della Chiesa. Questo è importante anche per un pastore della Chiesa, per un sacerdote, un “episkopos”: che veda dal punto di vista di Dio, cerchi di vedere dall’alto, nel criterio di Dio e non secondo le proprie preferenze, ma come giudica Dio. Vedere da questa altezza di Dio e così amare con Dio e per Dio.”

Ritorna quello che aveva già detto il Papa: guardare dal punto di vista di Dio, guardare dall’alto, nel criterio di Dio, non secondo le mie preferenze, non secondo i miei gusti, ma come giudica Dio.

“Vedere da questa altezza di Dio e così amare con Dio e per Dio.

Essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio” (v. 28). Qui troviamo una parola centrale sulla Chiesa. La Chiesa non è un’organizzazione che man mano si è formata; la Chiesa è nata nella Croce. Il Figlio ha acquistato la Chiesa nella Croce e non solo la Chiesa di quel momento, ma la Chiesa di tutti i tempi. Ha acquistato con il suo sangue questa porzione del popolo, del mondo, per Dio. E questo mi sembra che debba farci pensare. Cristo, Dio ha creato la Chiesa, la nuova Eva, con il suo sangue. Così ci ama e ci ha amati, e questo è vero in ogni momento. E questo ci deve anche far capire come la Chiesa è un dono; essere felici che siamo chiamati ad essere Chiesa di Dio; avere gioia di appartenere alla Chiesa. Certo, ci sono anche sempre aspetti negativi, difficili, ma in fondo deve rimanere questo: è un dono bellissimo che posso vivere nella Chiesa di Dio, nella Chiesa che il Signore si è acquistata con il suo sangue. Essere chiamati a conoscere realmente il volto di Dio, conoscere la sua volontà, conoscere la sua Grazia, conoscere questo amore supremo, questa Grazia che ci guida e ci tiene per mano. Felicità di essere Chiesa, gioia di essere Chiesa. Mi sembra che dobbiamo re-imparare questo. La paura del trionfalismo ci ha fatto forse un po’ dimenticare che è bello essere nella Chiesa, e che questo non è trionfalismo, ma è umiltà, essere grati per il dono del Signore.”

Non è trionfalismo essere innamorati della propria sposa, non è trionfalismo essere grati al Signore per la propria sposa, non è trionfalismo gridare al mondo la propria gioia di avere una bella famiglia, di avere dei bei figli, di avere dei bei rapporti in casa, non è trionfalismo, è umiltà, questa è l’umiltà, perché l’umiltà è verità.

Chiediamo quest’oggi al Signore, per intercessione di tutti i Santi, la grazia grande, bella di essere insieme ai Santi, dei grandi innamorati della Santa Chiesa, e dei veri Pastori, per chi ha questo compito.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen. 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. 

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

SECONDA LETTURA (1 Gv 3, 1-3)

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

Post Correlati