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Beata Conchita Cabrera De Armida: Sacerdoti di Cristo, XXVI parte

B. Conchita Cabrera De Armida

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di martedì 17 agosto 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Beata Conchita Cabrera De Armida: Sacerdoti di Cristo, XXVI parte

Eccoci giunti a martedì 17 agosto 2021. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi tratto dal capitolo XIX di San Matteo, versetti 23-30.

“Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome”.

Questo cosa vuol dire?

Vuol dire che per seguire il Signore bisogna essere disposti a lasciare tutti, e questa non è una cosa facile, soprattutto perché qui Gesù cita i nostri affetti più cari. Va riconosciuto che il prezzo è molto alto.

Qualcuno nei giorni scorsi mi diceva: “Padre, può dire qualcosa per coloro che non volevano bere il succo di more ma sono stati costretti a berlo dai loro famigliari più prossimi, marito, moglie, figli?” 

Ecco vedete, non c’è molto da dire. Capisco che alle volte ci siano situazioni molto complesse, di grande sofferenza e difficoltà, però le scelte le facciamo noi. Io non posso imputare ad un altro il fatto che io ho scelto. Posso aver scelto per il quieto vivere, per evitare problemi, tante sono le ragioni, anche plausibili, ma non sufficienti. Una ragione plausibile non per questo è sufficiente e noi lo sappiamo. Non a caso esiste il martirio, perché ad un certo punto della vita di qualcuno di noi capita di essere costretti a dover prendere delle scelte radicali.

Purtroppo noi non siamo più abituati alle scelte radicali. 

C’è un monaco georgiano della Chiesa ortodossa, l’archimandrita San Gabriel Urgebadze, che il 20 dicembre del 2012 il sinodo della Chiesa ortodossa georgiana ha deciso di canonizzare. Un monaco dotato di grandi carismi. È nato nel 1929 ed è morto nel 1995. Pensate che si conserva ancora il suo sangue in un piccolo vaso e questo sangue prelevato poco prima della sua morte non si è coagulato ed è fonte di grandi miracoli. Questo monaco ha lasciato alcuni consigli, che qualcuno chiama profezie, avvisi inerenti ai tempi prossimi che sarebbero accaduti dopo la sua morte. Lui aveva dei grandi carismi tra cui la lettura del cuore, i miracoli, la profezia. È morto nel 1995 e non poteva sapere cosa sarebbe successo nel 2021, ma vediamo se leggendovi alcuni dei suoi consigli, vi verrà in mente quello che è venuto in mente a me, magari no, ma ve le leggo comunque.

Dice così:

Non abbiate paura, ricordate l’importante è non prendere il marchio dell’anticristo sulla mano destra o sulla fronte. 

Vi ho detto che sta parlando degli ultimi tempi, quindi è chiaro che siamo all’interno del linguaggio del libro dell’Apocalisse, un altro testo che noi conosciamo molto poco. 

Non mangiate il pane di un uomo che ha preso il marchio dell’anticristo.

Ora stanno iniziando accadere gli eventi più importanti. Un tale pericolo non c’è stato mai sulla terra, fin dalla creazione del mondo. Questo è l’ultimo… Immaginate una madre di cinque figli, come dovrebbe nutrire i bambini, senza accettare il marchio dell’anticristo? Vedete, quali trappole ha preparato l’anticristo per la gente. In un primo tempo, sarà tutto opzionale. Ma quando l’anticristo regnerà e diventerà il sovrano del mondo, inizierà a costringere tutti ad accettare questo marchio. Coloro che non lo prenderanno, saranno annunciati come traditori. Allora sarà necessario andare nei boschi, andate in 10-15 persone, insieme. Da soli o in due non andate perché non vi salverete… Vi custodirà lo Spirito Santo. Mai perdere la speranza. Dio vi darà la saggezza e illuminerà su che cosa fare.

Per i cristiani il più grande tormento sarà il fatto che loro stessi andranno nei boschi, e i loro famigliari accetteranno il marchio dell’anticristo”.

Ripeto, è un linguaggio allusivo, figurato, che fa riferimento al testo dell’Apocalisse, ma a me fa venire in mente qualcosa di molto concreto e la cosa interessante non è dire cos’è il marchio, ma è questo tema del bosco e il fatto che non ci andremo tutti insieme: nel bosco andrai tu, ma i tuoi famigliari accetteranno il marchio. 

Io nella mia vita non ho mai fatto questi discorsi. Mi seguite da diversi anni e non mi avete mai sentito parlare di queste cose, però, quelle telefonate che ho ricevuto e il testo di questo santo di cui non ho mai sentito parlare, ma che mi è capitato tra le mani così “per caso”, mi hanno fatto un po’ pensare.

Quindi bisogna essere pronti e il Vangelo di oggi ci sta a pennello e anche quello che dice San Gabriele ci sta a pennello.

Non possiamo dire: “Siccome io ho ricevuto le pressioni, siccome tutti hanno…, siccome…, allora anch’io ho fatto quel passo”. Speriamo che non sia il marchio e mi auguro che io, leggendo quelle parole, abbia pensato alla cosa sbagliata e speriamo che quelle persone che mi hanno di chiesto di parlarne, che sono state costrette, facciano riferimento a qualcosa che non è il marchio, perché se fosse il marchio da lì non si torna più indietro. Il marchio è il marchio e non te lo toglie più nessuno.

Quando negli anni passati, sentendo le omelie e le meditazioni nelle quali vi facevo certi discorsi sulla radicalità, qualcuno mi diceva che ero esagerato, eccessivo, rigido, duro, ecco, io sono andato avanti so stesso per la mia strada perché capivo e capisco che arriva un momento nel quale non è vincente il metodo: “Ma sì, va bene, così fan tutti”.

Alcuni mi dicono: “Padre, mi fa venire l’angoscia”. Ma sono io a far venire l’angoscia o la mancanza di radicalità o la tua coscienza?

Se quello che scrive San Giovanni Maria Vianney sul giudizio particolare mi fa venire l’angoscia, il problema non è San Giovanni Maria Vianney, ma il problema è che la mia coscienza, sentendo quelle parole, mi punta due indici sulla fronte e mi dice: “tu sei quest’uomo, tu hai fatto queste cose”. Fino ad ora la tua coscienza spessa non le ha viste, attraverso San Giovanni Maria Vianney ti vengono svelate. Ma non è San Giovanni Maria Vianney che mi fa venir l’angoscia, non è il libro dell’Apocalisse che fa venir l’angoscia, dipende io in che stato sono. Dire “mi viene l’angoscia” è un modo di procedere molto immaturo, molto infantile, molto primitivo, molto sentimentale, poco di spessore.

A leggere queste parole di San Gabriele a me non viene l’angoscia, mi viene da riflettere.

“Non mangiate il pane di un uomo che ha preso il marchio dell’anticristo”. Capite? Noi invece, subito, perché non facciamo i distinguo.

Io penso che abbiamo tanto bisogno di prendere le cose sul serio, perché può darsi che non sia questo quello a cui penso e lo voglio sperare con tutto il cuore, perché altrimenti sarebbe un grosso problema. Comunque potrà essere che qualcuno di noi sarà ancora vivo quando arriverà questo giorno? Può darsi. Se non è questo, magari arriverà più avanti.

Noi siamo posti tutti i giorni a dover scegliere tra Dio e ciò che è contro Dio e non possono essere le contingenze, non può essere il dissenso del papà, della mamma, dei figli, della moglie, del marito, degli amici, che quindi mi convincono a….

Capisco che è una cosa brutta e chi la vive, vive una persecuzione terribile, però stiamo parlando della vita eterna, non è un dettaglio.

Con questo Vangelo ho voluto parlarvi di San Gabriele, monaco ortodosso perché mi è sembrato che in quello che scrive potrebbe esserci un’indicazione importante per i nostri tempi. Poi, ovviamente, chiunque è libero di non credere, di dire “Ma questi sono deliri, follie”. Può darsi. Spero che non lo sia. 

Mi auguro di non trovarci davanti alla storia di Noè. Anche lui lo prendevano per pazzo perché costruiva l’arca. Speriamo che siano fraintendimenti, sciocchezze, perché, se fossimo al tempo di Noè, non è che se uno sta costruendo un’arca sull’asciutto allora è pazzo. Perché quando è iniziato a piovere, poi tutti volevano entrare nell’arca, ma ormai l’arca era chiusa.

San Gabriele viene un po’ chiamato il folle di Cristo, pensate che è stato perseguitato dal regime comunista, spedito al manicomio e in carcere. Gliene hanno fatte passare di tutti i colori, perché lui ha fatto le profezie sul comunismo, sulla Russia, non è che fosse una cosa leggera, ma come Santa Giovanna d’Arco non poteva negare quello che vedeva o quello che sentiva.

  

Andiamo avanti con la lettura del libro “Sacerdoti di Cristo” della Beata Conchita Cabrera de Armida. 

Siamo sul tema dell’invidia.

“Queste invidie reciproche, fra coloro che si dicono miei, hanno delle conseguenze incalcolabili e arrecano danni molte volte irreparabili, che mi offendono gravemente! Questo vizio è molto sottile in coloro che si dedicano al mio servizio, e la mia Chiesa ne risente le conseguenze: i Vescovi soffrono per questi dissensi, i fedeli ne restano scandalizzati e Io ne sono offeso. 

Che importa se alcuni sacerdoti hanno più talento, godono di maggiori simpatie e brillano più di altri? Per Me la vera grandezza, non consiste in ciò che brilla, in ciò che passa, in ciò che si vede, in ciò che è umano, ma in ciò che si nasconde nel segreto di un cuore puro, umile e pieno d’amore. Io non vengo ripagato dai successi clamorosi e la mia maggior gloria non consiste nel commuovere le folle, ma nella santità e perfezione interiore delle anime.”

Tutto un altro piano, un altro livello. Noi stiamo a guardare i numeri, Gesù guarda il cuore. Noi stiamo a guardar i frutti, Gesù guarda come tu metti i semi e chi ha i frutti dipende da Lui.

Noi abbiamo un modo di valutare terribilmente mondano, Gesù è tutto divino. A Gesù non interessa quanto brilli, quanto sei bravo o quanto sei potente, quanto sai parlare bene o quanto sai predicare bene. A Gesù non interessa. A Gesù interessa quanto tu sei unito a Lui, nel segreto che non vede nessuno.

“Nella santità e perfezione interiore delle anime”. Cioè quanto tu collabori con lo Spirito Santo per santificare le persone.

“Io sono padrone di distribuire i miei talenti a chi Mi piace, ma trovo la mia consolazione nel sacerdote puro, umile, nel sacerdote che ha un cuore di apostolo, che non cerca la propria gloria negli applausi, ma la mia gloria con i suoi sacrifici nascosti, con la sua abnegazione silenziosa, con la sua carità verso gli altri sacerdoti, che si reputa da meno di loro, li rispetta, li loda e li ama con cuore sincero. 

Il danno che proviene da quanto ho detto è grave, ferisce la mia Chiesa e il mio Cuore; è qualcosa di molto doloroso che mi rattrista, e che desidero ardentemente sia eliminato.”

Il Sacerdote deve avere un cuore così.

“Quante mormorazioni, quanta malevolenza, quanti odi, perfino scandali, lagnanze e ingiustizie per l’invidia fra i miei! Quanta gelosia, quanti litigi e accuse manifeste, e quante amarezze, superbia e odi, covati nell’intimo, provoca questo vizio che addirittura può diventare passione che offusca! 

È un problema. Noi non vediamo il cuore degli altri, ma capite  che è un problema se porto nel mio cuore questi mostri. Invidia e gelosia vanno sempre insieme e si nutrono sempre di sangue. Quanti litigi, accuse, amarezze, superbie, odi, lagnanze e ingiustizie covate innanzitutto nel cuore, quanto pensar male. Io ho visto e sentito persone pensar male di gente ammalata, di gente sofferente. 

Se voi notate, quando succede un fatto, per esempio quando una persona ha un tumore, o sta male anche solo per un banale mal di denti, la maggioranza della gente cosa fa? Mossa dall’evento, chiama, saluta, si informa. Prima fanno le domande  — perché siamo curiosi, vogliamo sapere tutto — poi spariscono. Una volta saziata la curiosità ammantata di carità, spariscono tutti. Ma non ti viene in mente che posso aver bisogno di questo o di quello, di una telefonata, di voler sentire una persona vicina, di bere un caffè insieme, di mangiare un gelato insieme, così intanto mi distraggo dal mio problema? Invece niente, tutti spariscono. Siccome la belva che porto dentro di me ha ricevuto ciò che voleva, basta. Cosa mi interessa di sapere come stai, di farmi prossimo, di aiutarti? Non mi interessa.

Quante lagnanze, quante ingiustizie, amarezza, superbia e odio covate nell’intimo e si può arrivare a pensare male di qualcuno che sta male: “Lo fa per mettersi in mostra, lo fa per apparire, lo fa per essere servito, curato, vezzeggiato, per mettersi al centro”. Sarà anche tutto vero, ma starà anche male, no? Può darsi che stia male veramente. Ma cosa deve fare una persona che sta male? Andare in cantina, nel sottotetto? Se una persona che ha un tumore dice “sto male, ho un dolore pazzesco”, è un lagnoso, piagnone, vuole mettersi al centro dell’attenzione. Se invece quella persona cerca in tutti i modi di non far pesare niente a nessuno e quindi se ne sta un po’ tranquilla, dice che va tutto bene, anche se poverina ha dentro chissà quali dolori, la lettura chissà qual’é? “Vedi, vuole fare la santina, vuole mettersi in mostra per far vedere che è migliore degli altri però intanto bisogna…”. Io personalmente ritengo queste cose un po’ patologiche perché davanti ad una persona che sta male, arrivare a fare questi pensieri, secondo me è qualcosa di patologico. Non è semplicemente una tentazione, il diavolo o chissà cos’altro. Per me c’è qualcosa di patologico, perché non si può umanamente assistere al dolore di qualunque entità esso sia e dire “lo fa per mettersi in mostra”. 

Se un bambino continua a piangere e dice che gli fa male un orecchio non possiamo dirgli “smettila di fare lo stupido, non rompere perché tanto non è niente”. Tu cosa ne sai? E se per questa tua leggerezza perde l’udito, perché in realtà è un’otite perforante? Cosa fai? Poi non si torna più indietro. 

È la solita questione di quelli che non si fermano alle precedenze e ammazzano la gente, di quello che mentre va in macchina guarda il cellulare. Dopo che ha investito la signora anziana, che ha investito il bambino in bicicletta, dopo dice: “ah scusa mi dispiace, non ti ho visto, non volevo…”. Io intanto ho una gamba rotta, un trauma cranico, la cervicale mezza partita, un polso distrutto, il bacino fratturato e delle tue scuse cosa me ne faccio adesso? Tu mi hai rovinato la vita e da qui in avanti mi aspettano sei mesi di inferno e due anni di riabilitazione perché tu hai sbagliato. Non è che se noi diciamo “scusa ho sbagliato” risolviamo tutto, perché un conto è se succede con una ciambella che viene fuori con il buco sbagliato, un conto se investo una persona e le spacco le gambe perché non ho voluto fermarmi a rispettare un segno di precedenza.

Sarò rigido? Può darsi.

Ma che Dio vi scampi a che vi capiti una cosa del genere.

Perché se per caso, anziché spaccargli le gambe, l’ammazzate, al di là di quello che sarà il procedimento giudiziario, voi avrete sulla coscienza per sempre di aver ammazzato un uomo. Ma vi rendete conto di cosa vuol dire? Ma chi torna più indietro? Anche se non finisci in galera, tu hai ammazzato una persona.

— Ma non ho fatto apposta.

— Ma tu l’hai ammazzato comunque.

— Ma io non volevo

— Si, ma quella persona è morta.

Se tu non avessi guardato il cellulare, se avessi rispettato il segnale di precedenza, fossi stato più accorto, se avessi tenuto due mani sul volante, se fossi entrato nella rotonda nel modo giusto, se avessi rispettato lo stop, se avessi fatto mille cose…

Quando ero ragazzo avevo un amico di sedici anni che, uscito di casa con la moto o la bici, adesso non ricordo, è morto per un incidente dovuto ad uno stop non rispettato. Lui andava per la sua strada e l’autista di un furgone, pensando che non sarebbe arrivato nessuno, vista l’ora del mattino, è uscito dallo stop e si sono scontrati. Nel giro di settantadue ore al mio amico avevano espiantato gli organi ed era morto.

Adesso questo mio amico è sotto terra e quell’altro è in giro.

“Ma sai era buio, non avevo i riflessi pronti e quindi…”

Quindi cosa?

Io raramente sento confessare questi peccati, ma sono del parere che queste cose vadano confessate come peccati gravi, nella potenza sono peccati contro il 5° comandamento: una guida non ordinata, non rispettosa delle regole, non prudente, anche se non causa nulla, in potenza dice che sei stato un assassino. Tu potevi ammazzare una persona. Nel momento in cui in auto prendo il cellulare e lo guardo, i miei due occhi si staccano dalla concentrazione e in un secondo posso investire una persona. Non conta che non ci sia nessun poliziotto che ti vede e che ti da la multa o che ti ritira la patente, tu lì, a mio giudizio, hai fatto un peccato mortale contro la carità perché ti sei esposto ad ammazzare qualcuno o a causare un danno irreparabile.

Immaginate un padre di famiglia che lavora solo lui, che subisce un incidente del genere e deve rimanere cinque mesi bloccato. Ma che ne sarà della sua famiglia?  Abita magari al quarto piano senza ascensore, ma come faranno? Come farà a fare la fisioterapia due volte al giorno? Chi lo porta su e giù?

E notate, non è che gli investitori si assumono la responsabilità di dire: “Adesso ti aiuto io, ti porto io, adesso ti do io il mio stipendio…” No, è tutto rimandato all’assicurazione. Questi magari ti fanno una telefonata e poi fine, ti saluto Paperino, tanto a loro cosa interessa? “Io sono sano e vado avanti e tu fai la tua vita”. No, non funziona così.

Un mio amico Sacerdote mi ha detto: “Sai, padre Giorgio, forse ho fatto un peccato contro la carità, ma io l’ho fatto”.

Allora ho chiesto: “Ma cosa hai fatto?”

“Una persona non ha rispettato lo stop e, nonostante i due cartelli di precedenza, è andato dritto e mi ha tagliato la strada. Grazie al cielo ero in macchina. Questa persona si è poi fermata e le sono saltato addosso come una furia, gli ho detto: «Ma è impazzito? Si rende conto di quello che ha fatto?». Questo si è perfino spaventato della mia reazione. Ma avrebbe dovuto fermarsi, perché se ci fossero stati i carabinieri avrebbe preso la multa, ma siccome non c’era nessuno ha fatto la furbata.”

Capite che in casi come questo non ci sono scuse. Ma hai fatto l’esame della patente? Hai letto il libro per prepararti all’esame? Lì c’è scritto che, allo stop, ti devi fermare per legge. Non c’è da discutere. Tu ti devi fermare. 

Se c’è scritto che il limite è 130 all’ora, tu non vai a 131.

Se c’è scritto che per girare a destra devi mettere la freccia, tu la metti, perché a quello che viene dietro puoi fargli fare un volo di trenta metri. E quello può perdere un piede, una gamba, può spaccarsi la testa. Se non sei in grado di… lasci giù la patente e stai a casa tua.

Perché poi non vieni in confessionale a piangere dicendo: “Io ho causato un danno ad una persona perché sono stato…” No! Quantomeno non venire da me. Perché dopo tu ti dovrai assumere in pieno l’onere di quell’ammalato, al di là dell’assicurazione, è una questione morale! Tu devi andare a fare i turni in ospedale, tu devi curarlo, tu devi andare a sistemarlo, tu devi andare a mantenerlo, tu devi preoccuparti di tutto quello che dovrebbe fare. Lui non può farlo a casa tua, devi diventare il suo sostituto. Tu hai arrecato un danno fisico gravissimo. Tu la domenica puoi uscire e lui è a casa con la gamba tirata immobile perché tu l’hai conciato così.

Noi di queste cose ne facciamo tante.

Noi ci esponiamo…

C’è il semaforo giallino e io vado. No! Ti devi preparare a fermarti.

Le strisce pedonali non sono un optional. Se non ti fermi, all’esame di guida vieni bocciato.

Un altro esempio: hai bevuto? Non guidi. “Come faccio a tornare a casa?” Dormi in macchina! Meglio dormire in macchina che dormire con un cadavere sulla coscienza.

Ma noi abbiamo fretta… per andare dove?

Tagliare le strade, fare le gare per essere un posto avanti nella fila. Ma per andare dove? Per arrivare cinque minuti prima?

Mi dimentico di controllare i freni e muoiono delle persone. Ma ci rendiamo conto? Quella gente non torna più. Quegli affetti non vengono più ridati alle persone. Sono persi per sempre. Per cosa? Per soldi, per fretta, per superficialità, per incompetenza, superficialità, per che cosa?

Mi ricordo una ragazza che un giorno mi disse che lei non metteva il casco in bicicletta perché le si scompigliano i capelli. Non vi dico come l’ho guardata e neanche cosa le ho detto dopo.

Ecco io mi chiedo se noi ci rendiamo conto… e poi andiamo a fare la Comunione tutti i giorni.

Quindi trasformarsi in Gesù vuol dire fare tante cose.

Guidare è fare una penitenza. Guidare bene è un’ascesi.

Io faccio 5 digiuni al giorno, dico 5 rosari al giorno e poi vado al volante e sono un assassino e mi comporto come un apache che va a cavallo.

Ma come stanno queste cose insieme? Se anche non hai fatto incidenti non vuol dire che non li farai mai. Dopo, si scusano perché non hanno visto. Ma come? Tu non l’hai visto perché guardavi da un’altra parte. Perché? Perché avevi in mente un altro progetto. Ecco perché non l’hai visto. 

Devo arrivare a quell’appuntamento alle 18.00. Bene, mi faccio i comodi miei e parto all’ultimo momento, tanto poi tiro un po’. No! Parti alle 17.00, perché rispettare i segnali della strada vuol dire che non posso andare oltre una certa misura, quindi ci vuole il suo tempo. C’è bisogno di tempo.

Tanto non avremo un tempo infinito, perché tutti moriremo.

Riesco a fare quattro cose anziché otto? Pazienza, oggi sono riuscito a farne quattro. Meglio farne quattro senza avere sulla coscienza nessuno che farne otto e avere il sangue di Abele che grida Dio contro di me. 

Stiamo attenti a come ci comportiamo!

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. 

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

 

 

VANGELO (Mt 19, 23-30)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chi può essere salvato?». Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».
Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi».

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