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”Chi ascolta la mia parola ha la vita eterna” (Gv 5,24)

Dibattito tra Gesù e farisei

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: «”Chi ascolta la mia parola ha la vita eterna” (Gv 5,24)»
Mercoledì 22 marzo 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 5,17-30)

In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.
Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati.
Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.
In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno.
Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna.
Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Eccoci giunti a mercoledì 22 marzo 2023.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo quinto di San Giovanni, versetti 17-30.

Abbiamo ascoltato questo Vangelo che potrebbe sembrarci un po’ difficile. Ma è anche giusto ed è anche vero che la Parola di Dio presenta sempre una sua complessità. Però questo non ci deve spaventare, ma ci deve far venire ancora di più la voglia, il desiderio, di lasciarla parlare, di ascoltarla.

San Giovanni ci spiega molto bene perché i giudei cercavano di uccidere Gesù, per due ragioni.

La prima ragione è che

violava il sabato

Abbiamo visto i casi del cieco nato e dello storpio, le due risposte diverse, il cieco nato che riconosce Gesù come il Signore, si prostra, lo adora, lo ama, lo ringrazia; invece, lo storpio che non può immergersi nella piscina, Gesù lo guarisce e lui lo vende, va a dire: “Si chiama Gesù quello che…”.

Gesù violava il sabato. E cosa faceva di sabato? Faceva i miracoli. Non è che facesse niente per sé stesso.

La seconda ragione è:

chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.

Nasce sempre la solita medesima domanda, che dovrebbe sempre nascere dentro di noi. Quale?

Primo caso: il sabato. Gesù viola il sabato. Perché? Cosa fa di sabato? Fa i miracoli. Ora: chi di noi, volendo fare un miracolo, lo può fare? Nessuno. A meno che, come dice il cieco nato, Dio non lo ascolti. Ma se Dio lo ascolta, vuol dire che quell’uomo lì viene da Dio.

Non era forse questo quello che Gesù voleva dire? Questi miracoli compiuti da Gesù non erano forse un segno per dire: mi manda veramente Dio! Cioè, nel giorno del riposo, io partecipo a questa opera curatrice, risanatrice, ricreatrice del Padre e ve lo mostro, ho questo potere! Nel giorno in cui voi dovreste dedicarvi alle cose di Dio, alla santificazione di questo giorno in nome di Dio, a gloria di Dio e quindi dovreste avere il cuore più disponibile, più attento, più capace di cogliere la realtà divina, io mostro questa mia possibilità. E che è anche un’identità: perché io sono il figlio di Dio.

Niente, non passa, abbiamo già visto.

E poi perché

chiamava Dio suo Padre

Tra l’altro questa espressione

facendosi uguale a Dio

Non è che Gesù si fa uguale a Dio: Gesù è Dio. Notate questa espressione, “chiamava Dio suo padre” e fin qui ci siamo, “facendosi uguale a Dio”, Gesù non si fa mai uguale a Dio: Gesù è Dio. Non è come Adamo ed Eva che, dietro istigazione del serpente antico, vogliono farsi uguali a Dio, perché non sono Dio. Io cerco di farmi uguale “a” quando sono diverso “da”. Faccio un esempio: un chilo di pere io dico che sono uguali ad un chilo di mele, c’è un’equivalenza, sono sempre un chilo, però le mele sono mele, le pere sono pere. Quindi Adamo ed Eva si vogliono fare uguali a Dio, ma Dio è Dio e Adamo ed Eva sono Adamo ed Eva. Ma Gesù non si vuol fare uguale a Dio, perché Gesù è Dio. E Gesù è il figlio di Dio. Vedete, non sono sottigliezze, ma ci sta dentro tutto.

“Chiamava Dio suo padre”, e uno dice: “Va bene, questa cosa per il tempo non era proprio così accettata, così normale, così ovvia”. La domanda si ripresenta: “Ma è vero o non è vero?”.

Come la questione del sabato: “Ma questi miracoli sono veri o non sono veri”? Se sono veri, allora vuol dire che siete voi, Scribi, Farisei, Giudei, che dovete rivedere l’impianto, perché l’evidenza — “contra factum non valet argumentum”, diceva San Tommaso — non la puoi rinnegare, pena cadere nell’ideologia.

Quindi è inutile che stiamo lì a disquisire del nulla o a creare problemi dove non ci sono. I miracoli sono o non sono reali? Sono o non sono permanenti, sì o no? Hanno testimoni del prima e del dopo? Si. Allora sono reali? Si. Sono permanenti? Si. Fine.

A questo punto il problema è in te che guardi Gesù, non in Gesù; perché lì vuol dire che c’è Dio all’opera e questo è un dato di fatto, perché se tu dici: “Adesso voglio fare un miracolo”, non lo puoi fare. E se questo Dio all’opera cozza contro la mia struttura religiosa, psicologica, sociale, culturale, io devo cambiare la struttura, non posso cambiare Dio. Perché la struttura è umana e può cambiare, Dio no, non può cambiare.

Ma loro non lo fanno.

“Chiama Dio suo Padre”; di nuovo, stessa questione, stesso problema. È vero o non è vero? Allora dovremmo dire: cerchiamo le tracce di questa figliolanza. E Gesù le dà! È tutta la spiegazione che dà successivamente — della quale loro ovviamente non capiscono niente. Gesù da queste spiegazioni, dà queste tracce, le fa vedere. E lo dice anche: “Se le opere che compio, le compio col dito di Dio, vuol dire che è venuto il Regno di Dio”. No, per loro no!

Vedete, questo spirito omicida? Perché di questo si tratta, lo vogliono uccidere, lo vogliono far fuori. Questo spirito ovviamente non viene da Dio. Loro fanno tutto quello che fanno illudendosi di farlo in nome di Dio, ma non hanno prove, non hanno affatto i segni. Hanno una sola evidenza: Gesù fa i miracoli, loro cercano un omicidio; Gesù dona la vita, loro vogliono dare la morte.

Capite che c’è una bella differenza? Se è sbagliato, ammesso e non concesso, violare il sabato, è forse giusto ammazzare invece una persona? Il quinto comandamento non vale più? Non so.

E poi, non è che sotto ci sta altro? Per esempio l’invidia?

Sapete, Gesù tra le altre cose faceva numeri, non come loro; Gesù, era molto cercato e apprezzato dalla gente; perché parlava come uno che ha autorità, non come gli Scribi e i Farisei, dice l’evangelista, che chiacchierano molto, ma sono parole al vento, perché la loro vita dice tutto il contrario.

Quindi se Gesù è figlio di Dio e Dio è suo padre, lui deve dire che non è vero? Ma scusate. Perché la mia struttura mentale, interiore, psicologica, religiosa, non riesce a tenere questa cosa, io devo rinnegare la mia identità? Non è un problema di Gesù e Gesù, infatti, non fa un passo indietro. Gesù morirà per questa cosa. Gesù non accetta di vivere una vita rinnegando la sua identità, la sua verità. Non si può. Ci sono persone che lo sanno fare anche abbastanza bene, ma non sono discepoli di Gesù.

C’è un’evidenza nella vita. Adesso voi state ascoltando queste mie parole, chissà chi siete, chissà dove siete, chissà cosa state facendo. E tutti noi siamo convinti di essere persone brave, equilibrate, oneste, sante o poveri peccatori, ognuno ha il suo stile. Vi chiedo: fermatevi un secondo. Guardatevi intorno, proprio fisicamente, guardate gli oggetti, le cose che avete attorno in questo momento. Quanto ordine c’è accanto a voi? Quanto disordine c’è accanto a voi? Uno dice: “Questo cosa vuol dire?” — “Vuol dire tanto”. Il disordine, il disordine proprio fisico, è chiaro segno di una — almeno, diciamo — non-pace interiore, almeno questo, di una instabilità. Così come anche è vero che un eccessivo ordine, un ordine compulsivo, anche quello è un chiaro segno di una instabilità, verissimo, tutti e due. La mancanza di equilibrio, quindi la mancanza di quell’ordine sano, vitale, che permette di condurre una vita dignitosa, dice qualcosa, è un’evidenza.

Poniamo che entro nella mia casa, entro nella mia camera e vedo un porcile: roba buttata per terra, abiti sporchi ammucchiati, una roba schifosa, dove non c’è neanche il posto per poter pulire, perché capite che per poter pulire per terra il “per terra” deve essere libero, perché se è pieno di tutte le cose dell’universo mondo, come faccio a pulire? Quindi il disordine è anche segno di sporcizia, perché chiaramente, se io vedo che nella mia casa, nella mia camera, ovunque sono, al mio lavoro, la mia scrivania, è tutto sbattuto per terra e tutto lì buttato per terra e non può essere mosso, uno dice: “Ma tu quand’è che lo pulisci, questo posto? Mai!”.

Se sotto il mio letto c’è un allevamento di trichechi — che riesco a vedere solo le zanne bianche, perché per il resto è buio e per pulire dovrei chiamare l’AMSA, con i bidoni, neanche con la scopa, ci vogliono i bidoni — allora c’è un problema. È un’evidenza.

E voi pensate che noi la riconosciamo? No, noi continuiamo a vivere in mezzo al porcile, scansiamo il porcile, ma di fatto ci continuiamo a vivere dentro, perché?

È questa la domanda che si pone una mente normale. Dice: “Ma perché vivi così? Perché ti va bene vivere in questo luogo così disumano, così brutto, così sporco, così disordinato, così… anche vergognoso?”. Perché c’è da avere vergogna, no? Se gli si rompe il lavandino del bagno non può chiamare l’idraulico subito, perché prima deve pulire il bagno. Perché è talmente sporco che se arriva l’idraulico dice: “Scusi, non posso entrare”. Perché dice: “Sa, io ho fatto l’antitetanica, però mi manca l’anti-tifo, mi manca quella della febbre gialla, mi manca quella della leptospirosi. Come si fa? Io non posso, va bene aspettare la prima disinfestazione, poi si entra”. Quindi, mettersi a pulire. E non va bene.

È un’evidenza, come al tempo di Gesù. Solo che noi non la riconosciamo. Se facciamo così con il luogo nel quale viviamo, immaginatevi con la nostra anima. Se accettiamo di vivere nel porcile fisicamente, perché non dovremmo accettare di viverlo anche interiormente?

Quando una persona sta bene con sé stessa e con Dio, le viene proprio il gusto della bellezza, dello star bene anche con gli altri.

Già ve lo dissi: uno dei segni, dei sintomi, della malattia psichiatrica, della malattia mentale, è proprio questo: il vivere in un luogo in disordine, disumano. Che non vuol dire che tutti quelli che sono disordinati sono malati psichiatrici, attenzione a non assolutizzare e a vivere a senso unico quello che dico. Ma uno dei segni è anche questo. È una delle domande che fanno i medici ai parenti. Ti chiedono: “Com’è l’ambiente in cui vive? È ordinato, è pulito? Lui è una persona pulita? Lei è una persona pulita? Si cambia? Ha cura di sé?” Sono delle evidenze, sono segnali, non sono un tutto, non è un assoluto. Sono segnali, che però vanno guardati.

Ora, se queste evidenze non mi parlano, cosa vuol dire? Vuol dire che non mi istruiscono, c’è un problema, esattamente come al tempo di Gesù. E quindi Gesù dice: “Il Figlio da sé stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre — vedete il rapporto? — quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati”.

Sì, anche qui c’è meraviglia e meraviglia. C’è la meraviglia della Samaritana, e c’è la meraviglia degli Scribi e i Farisei che è una meraviglia che porta Gesù in croce. Uno dice: “Da cosa dipende?” — “Dipende dal cuore, dipende dallo sguardo di chi guarda”.

E vedete qui il rapporto stretto, stringente, che c’è tra Gesù e il Padre. Quale obbedienza totale… C’è un’appartenenza profondissima, che noi non so neanche, non solo se la vediamo, ma se la desideriamo. “Quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo”. Che uno dice: “Ma perché non lo fai a modo tuo?” — “Perché il modo del Padre è il modo perfetto”.

La mia singolarità, la mia identità, è data dal Padre, dall’appartenenza a Dio Padre. È un’unione profondissima. “Chi ascolta le mie parole, crede a quello che mi ha mandato, alla vita eterna”. Chi ascolta e chi crede.

E anche qui potremmo chiederci: “Quanto sappiamo ascoltare e quanto sappiamo credere a Dio? Quanto la nostra preghiera ci mette in discussione? Quanto mettiamo in discussione la nostra presunzione di essere noi nel giusto e gli altri in errore? Quanto ci lasciamo raggiungere dalla parola di Dio, che di fatto ci chiama a una conversione radicale?”. Questa conversione quanto si realizza? E quando si realizza? O forse noi non abbiamo veramente bisogno di conversione, perché non si capisce bene questa conversione in che cosa si deve manifestare.

Guardate, la vita è veramente, veloce, fugace, i giorni passano con una velocità… gli anni passano con una velocità incredibile. Dobbiamo stare attenti a non sperperare i nostri giorni. Non possiamo — almeno io non posso — non avere sempre in mente — perché mi ha sempre molto colpito, la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone. A me colpisce molto quella parola. Perché poi è finita. Poi è per sempre. Qui su questa terra, quanti anni abbiamo ancora davanti? Anni… noi diciamo anni, ma magari sono ore o giorni. E poi? E poi è per sempre.

Alle volte sembra che ci comportiamo come se non avessimo bisogno di ascoltare questa parola e credere in Gesù, come se non avessimo bisogno di questa vita eterna, non avessimo bisogno di udire la Sua voce, del Figlio di Dio, e di vivere. Come se tutto fosse nelle nostre mani, come se noi fossimo i detentori della vita e della morte, del bene e del male, del potere. Invece vedete come le nostre vite sono appese a un filo.

Ecco, allora quest’oggi chiediamo al Signore la grazia, nel giorno in cui si ricorda San Giuseppe — perché mercoledì sapete che è giorno dedicato a San Giuseppe — di avere, come San Giuseppe, questa grande custodia: della Sacra Famiglia, di Maria Vergine e di Gesù bambino, di Gesù giovane, di Gesù ragazzo, di Gesù che cresce. Custodire Gesù in noi, custodire il nostro ascolto di Gesù, il nostro amore per Gesù. E soprattutto essere sempre pronti ogni giorno a metterci in discussione, a verificare quello che pensiamo, quello che portiamo dentro, a non giudicare nessuno, a non sentirci capaci di esprimere giudizi e sentenze sugli altri, ma veramente incontriamo gli altri come un dono.

Perché Gesù veramente si nasconde dietro quel volto o quei volti che forse noi non sceglieremmo mai, eppure è in quella estraneità — discepoli di Emmaus — in quell’essere straniero, che Gesù si fa presente e poi si manifesta, e si rivela.

Signore, insegnaci — come è stato per San Giuseppe — questa disponibilità totale, a fare sempre e solo la tua volontà.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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