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“Condotta per passare santamente la Quaresima”, del p. Avrillon. Parte 37

“Condotta per passare santamente la Quaresima” - p. Avrillon

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di mercoledì 6 aprile 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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“Condotta per passare santamente la Quaresima”, del p. Avrillon. Parte 37

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a mercoledì 6 aprile 2022.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo VIII di San Giovanni, versetti 31-42.

Andiamo avanti con la nostra meditazione del libro di Padre Avrillon, oggi è “Giorno di gratitudine”.

Mercoledì di Passione – Giorno di gratitudine

“Occupatevi in tutto il giorno a considerare i benefizi che avete ricevuti da Dio, dacché siete al mondo. Pensate ora a quelli che avete in comune cogli altri cristiani, ed ora a quelli che avete in particolare, e mandate spesso dal più profondo del vostro cuore gemiti sulla poca vostra riconoscenza e ingratitudine. Seguite il consiglio dell’Apostolo a Filemone, di unire a tutte le vostre preghiere continui ringraziamenti. Moltiplicate gli atti d’una tenera riconoscenza, ben persuaso che questo è un dovere indispensabile ed il mezzo più sicuro per ottenere nuove grazie dalla immensa liberalità del nostro buon Dio”.

Quindi, tutta questa giornata deve essere dedicata a dire “Grazie” a Dio, per tutti i doni che riceviamo.

Per esempio, in particolare, Don Tomaselli ci ricorda che potremmo dedicare il giorno del lunedì a dire il nostro “Grazie” a Dio per tutti i Suoi doni, i doni che abbiamo in comune con tutti, con tutti i Cristiani, e i doni che abbiamo noi in particolare.

Qualcuno dice: «Eh ma io non ho nessun dono. Io che doni ho? Ma io…». Ecco, questa frase “Io non ho nessun dono, io non conto niente, io sono una misera persona…”, questo modo di procedere, è di fatto una offesa a Dio, perché Dio ha dato doni a tutti.

Ognuno di noi ha un dono unico, irripetibile, insostituibile, il suo dono di Dio.

A tutti Dio ha dato dei talenti, a qualcuno ne avrà dati dieci, a qualcuno otto, a qualcuno quattro, a qualcuno uno, ma a tutti ha dato dei doni.

L’importante non è quanti ne ha dati, ma come noi li sappiamo far fruttare e soprattutto come noi sappiamo essere grati; ma per essere grati dei doni di Dio, bisogna saperli vedere…

Noi perché non vediamo il nostro dono o i nostri doni?

Perché noi guardiamo quelli degli altri.

Noi guardiamo quelli degli altri, noi facciamo i confronti con gli altri, vogliamo avere quello che hanno gli altri, così non vediamo quello che abbiamo noi, e così diventiamo ingrati, come quello della parabola del Vangelo.

Quando preghiamo, impariamo, come prima cosa, a dire “Grazie” a Dio.

Per che cosa?

Ecco, questo è il tuo compito!

Quando facciamo la Comunione, la prima cosa da fare non è dire: «Dammi… Fammi… Dammi… Fammi… Fammi… Dammi…», la cantilena della sanguisuga.

La prima cosa da fare è dire “Grazie per…”, tutti i doni prossimi, cioè quelli ricevuti ieri, e tutti i doni remoti, quelli ricevuti in tutto questo tempo della mia vita.

Questa è la prima cosa da dire a Dio: “Grazie!”

Questo è un modo per ottenere altri doni.

Perché?

Perché, scusate, senza che noi siamo Dio, ma sfido chiunque di voi a fare un secondo dono a chi, al primo, non vi ha neanche detto “Grazie”, perché non si è neanche accorto che glielo avete dato, come dare uno zucchero ad un asino.

Vi ricordate o no, quel fatto che vi raccontai di quando ero bambino?

Mi portavano al parco al sabato mattina, perché pulivano la casa, allora dicevano: «Andiamo al parco e via, così Giorgio non sta in mezzo ai piedi».

Mi portavano a dare il pane alle caprette, e all’asino lo zuccherino.

Sapete che c’erano, e penso che ci siano ancora, quegli zuccherini quadrati, o meglio rettangolari, quei pacchi di zucchero a zollette.

Allora, io all’asino portavo lo zuccherino.

Cari miei! Me lo ricordo ancora, le caprette stavano tutte lì, tutte carine a prendere il panino, mentre arriva questo asino ed io, bambino, ero tutto contento di dargli lo zuccherino; mi immaginavo, nella mia mente di bambino, chissà che cosa avrebbe fatto questo asino per ringraziarmi dello zuccherino.

Io allora vado lì e gli do il mio zuccherino… caro mio! Se l’è mangiato senza neanche dire un “bè”: ha mangiato, ha preso ed è andato.

Io ho detto: «Ah sì?! Basta! Da adesso non ti do più lo zuccherino».

E non gli ho più dato lo zuccherino.

Ecco, noi non possiamo essere come l’asino di Padre Giorgio, che si mangia lo zuccherino, prende e se ne va.

Questo è un comportamento assolutamente ingrato, e, se un bambino di sei anni, vedendo una scena del genere, dice in cuor suo: «Basta! Da adesso non ti darò mai più uno zuccherino, perché non puoi essere così ingrato», immaginatevi Dio…

Ricordate i dieci lebbrosi?

Lui disse: «Ma dove sono tutti gli altri? Io ne ho guariti dieci, perché è tornato indietro solamente questo Samaritano? Come mai? Dove sono tutti gli altri?»

Dio è sensibile alla gratitudine.

Certo, perché la gratitudine è la memoria del cuore.

Noi invece: «Prego questo Rosario per ottenere questa cosa… Prego questa Novena per avere questa cosa… Prego quest’altra per avere quest’altra cosa…», la logica, la cantilena della sanguisuga: “Dammi… Fammi… Dammi… Fammi…”

Ma noi cosa vogliamo essere, le sanguisughe di Dio?

Impariamo a dire “Grazie” innanzi tutto a Dio, certo, perché è fondamentale, e poi alle persone che abbiamo accanto.

Quando è stata l’ultima volta che tu hai detto “Grazie” a tua moglie, per tutto quello che fa in quella benedetta casa (pulire, stirare, fare la spesa, cucinare, lavare, scopare, pulire per terra, fare la polvere…)?

Quando è stata l’ultima volta che tu hai detto un “Grazie” solenne, e non: «Ah senti: “Ciao e Grazie eh…”»

No, così ti rivolgi all’asino, non a tua moglie, non a tuo marito!

Quando è stata l’ultima volta che tu hai espresso un “Grazie”, bello, solenne, grato, manifestato da un fiore, manifestato da un biglietto, manifestato da un dolcino, manifestato da una cena insieme, manifestato da qualcosa che rimanga impresso nella mente, nella memoria di chi lo riceve?

Perché si sente dire “Grazie”, noi facciamo anche i doni, ma…

Ad esempio, un dolce che piace tanto a Padre Giorgio (quando morirò farete la litania delle mie golosità, così io brucerò in Purgatorio fino alla fine dei tempi, vabbè…), non vi dico come è fatto (andrete voi a cercarlo se vorrete), si chiama Kranz.

È un dolce austriaco, ma che fanno anche in Italia.

Se io dovessi pensare di fare un dolce per una persona (anche perché è una cosa un po’ particolare), farei un Kranz, un bel Kranz.

Sì, ma io non è che posso andare a prendere questo dolce e dire: «Vabbè, adesso voglio fare un regalo a quella persona, che sicuramente non l’ha mai mangiato in vita sua perché è un po’ particolare, allora vado, le compro un bel Kranz, lo faccio impacchettare, poi prendo questo dolce, vado là, glielo pianto davanti al naso e le dico: “Guarda, ho preso un dolce per te”».

Altrimenti, scusa un momento, sei come l’asino… ma non puoi aggiungere una ragione, un senso a questo gesto?

Non puoi dire: «Guarda, ho preso questo dolce per te, perché voglio dirti “Grazie” per…»?

Ma cosa ci vuole?

Ci vuole un cuore grato.

Oppure: «Guarda, ho fatto questa tisana, bella, calda, buona, gustosa per te, per dirti “Grazie” perché mi vuoi bene, perché mi aiuti, perché sei prezioso per me, perché…»

Invece no: «Ho fatto il “tiramisù” (che a me non piace assolutamente), oppure ho fatto quest’altra cosa, tieni, te la do, buon appetito!»

Ma cosa ci vuole ad aggiungerci un “Grazie”?

Ci vuole l’abitudine ad essere persone grate, persone che sanno rendersi conto dei doni ricevuti.

Che tristezza… che tristezza vivere in mezzo a gente che non sa dire “Grazie”, ma non con la bocca, perché con la bocca più o meno (forse meno che più, comunque) si dice: «Ah grazie per quella cosa, grazie».

Sì… come lo zucchero all’asino, uguale.

Dobbiamo stare attenti su questa cosa, eh…

È veramente squallida la nostra situazione se siamo persone ingrate, che non sappiamo dire “Grazie” e non sappiamo manifestare il nostro “Grazie”. Perché un “grazie” ha bisogno di concretezza. Si deve vedere che tu hai pensato quel “Grazie”, perché quel “Grazie” ha bisogno di esprimersi, ha bisogno di dirsi, ha bisogno di raccontarsi, ha bisogno di testimoniarsi in un qualcosa di concreto.

Se no, siamo degli ingrati.

Meditazione sulla gratitudine, tratta dal Vangelo.

“Gesù disse ai giudei: ho fatto in presenza vostra molte buone opere per la potestà di mio Padre: perché volete voi dunque lapidarmi? In questa guisa i giudei pagano i continui benefizi di Gesù. Egli li instruisce, li illumina, promette loro la vita eterna, se vogliono ascoltar la sua parola; e questi ingrati prendono sassi per lapidarlo. Questa ingratitudine fa veramente orrore. Ma esaminate la vostra condotta a riguardo di Dio, forse vi troverete rei della stessa ingratitudine. Come avete sinora riconosciuti i benefizi di Dio? Come lo avete ringraziato di avervi tratto dal niente, di avervi riscattato dall’inferno coll’effusione del suo sangue, di avervi fatto nascere nel seno del cristianesimo, ove avete diritto di pretendere al cielo, e a tutt’i mezzi per assicurarvi un’eterna felicità? Come avete mostrato a lui gratitudine per tante grazie di riconciliazione datevi nel sacramento della penitenza, di quelle di nutrimento per mezzo del cibo di vita eterna nell’eucaristia, finalmente delle grazie di protezione contro una gran piena di pericoli, da’quali questo Dio di bontà vi ha preservato? Diciamo di più: non avete voi mai spinta più lungi la vostra ingratitudine servendovi de’benefizi di Dio contro lo stesso Dio? (ecco i sassi!) Pagato del suo denaro, dice un Padre, non avete combattuto sotto le insegne del demonio, facendo consistere tutta la vostra gratitudine negli oltraggi che avete fatti a questo medesimo Dio? Anima sconoscente, riconosci la tua ingratitudine e fa di rimediarvi”.

Capite?

Questi Lo ripagano con i sassi…

Questo non va bene!

E i sassi non sono solamente quelli fisici, sono anche le parole eh… quante parole brutte diciamo alle persone che ci fanno del bene…

Quanti pensieri brutti… non ha importanza che non diventino parole, sono pensieri. Quanti pensieri brutti, che noi pensiamo contro chi ci fa del bene… Quanti pensieri cattivi, proprio cattivi…

Perché per noi il bene è dovuto, è ovvio, è scontato.

Quello che fa mia madre, quello che fa mio padre per me, è ovvio, è scontato, quindi io, somaro (perché sono un somaro), per dare tre esami ci impiego due anni, capito?

Intano quelli si spaccano la schiena per andare a lavorare tutti i giorni per pagare l’università a me, somaro.

Io direi: «Bene. Allora, questi sono gli esami, questo è il tempo, sono cinque anni. Io ti do cinque anni. Quando vai fuori da questi cinque anni, vai a pagarteli tu. Vai a lavorare e ti paghi i tuoi esami, perché qui nessuno è servo di nessuno».

Certo che, se al mattino ti svegli alle 10.00 perché devi dormire, poi ti metti a studiare, a mezzogiorno si mangia, poi devi dormire e ti svegli alle 16.00, poi studi fino alle 18.00, non puoi superare tutti gli esami in cinque anni, è ovvio, no?

Certo, ma questo è solo un esempio.

La sperperazione del denaro… Conosco dei genitori che danno una quantità di soldi incredibile ai loro figli, una quantità incredibile… e devono pagare il cavallo, e devono pagare la moto, e devono pagare la macchina, e devono pagare il golf, e devono pagare…

Ma è scritto nel Vangelo? Questa roba è scritta nel Vangelo?

Dove è scritta questa legge?

«No perché sa… poverino…»

Poverino?! Come “poverino”?! “Poverino” che cosa? E poi quell’altro manco dice “Grazie”… Manco la gratitudine… per cui gli regalano la moto e la sfascia dopo tre giorni.

Perché ci sono quelli che non sono neanche capaci di custodire le cose.

Tu gli regali una cosa, e in capo a tre giorni è già rotta, scheggiata, rovinata, piegata, sfregiata, segnata. Non sono capaci di custodire un fico di un bel niente! Perché? Perché non sono mai stati capaci di avere una mente, una vita grata, per cui questo dono è unico, non ce n’è un altro, c’è questo.

Gli regali una penna? Cade per terra.

Gli regali una matita? Cade per terra.

Gli regali gli occhiali? Li spaccano.

La macchina? La graffiano.

Il portafoglio? Lo rovinano.

Il libro? Gli rovinano le pagine.

Non sono capaci di avere custodia di niente.

Perché? Perché non sono grati, non sono capaci di avere gratitudine.

Questa qui veramente, quando l’ho sentita, ho detto: «Ma fino a dove può arrivare la “grezzosità” di un uomo?»

Dunque, ad un figlio, i genitori regalano lo spazzolino elettrico, ma bello eh, un bello spazzolino elettrico di valore, da più di 200 euro, insomma uno spazzolino elettrico proprio bello, non da quattro soldi, con tutte le applicazioni.

Un giorno, il padre viene e mi dice: «Padre, sa cosa ho visto?»

Io dico: «Mi dica».

(Avete presente come è fatto uno spazzolino elettrico? Si mette la testina sopra ad un manico, con un pistoncino che gira.)

Lui mi dice: «Ho visto mio figlio che ha preso il manico dello spazzolino e con il pistoncino che esce, dove tu dovresti mettere la testina, ha aperto la scatola del tonno».

Io dico: «Ma la bestialità fino a dove può arrivare?»

Tu vai ad aprire la scatola del tonno con il manico dello spazzolino, che è costato più di 200 euro… altro che l’asino di Padre Giorgio!

Ecco, questo mi dice: «Padre, ma si rende conto? Dov’è che ho sbagliato?»

Io dico: «No, non è che lei ha sbagliato, è che quello, poverino, non c’è di testa…»

Dopo noi diciamo che vogliamo avere un cammino di fede. Un cammino di fede?! Ma prima devi avere un cammino di umanità!

Se tu sei talmente sfasato, da usare un manico dello spazzolino da 200 euro per aprire la scatola del tonno, al posto di lavarti i denti, beh allora, se tanto mi dà tanto…

Dopo diciamo: «Voglio avere il cammino di fede». Ma per piacere!

Noi arriviamo addirittura, dice Padre Avrillon, a usare i doni di Dio per offendere Dio. Ecco le pietre, i sassi!

Qui si apre il mondo, no?

Tutti i doni che Dio ci ha dato: l’intelligenza, la parola, la salute… contro Dio, per offendere Dio!

Ci sono persone che pagherebbero oro per avere la salute.

Ci sono bambini, ragazzi, che fanno la dialisi, perché hanno i reni rovinati, bruciati, e hanno una vita crocifissa.

E io, cosa li uso a fare i miei reni?

Io li uso per fare i peccati, li uso per andare a fare tutto quello che voglio, li uso per bere fino a morire, li uso per drogarmi… ma va bene…

Andate a vedere la cura che dovremmo avere delle nostre ghiandole surrenali…

Noi non pensiamo mai alle ghiandole surrenali… ecco, andate a vedere, se no poi mi dicono: «Lei non è un dottore, Padre! Lei non deve dire quello che non riguarda la sua laurea, la sua specializzazione».

Benissimo, infatti non ve lo dico, vi dico andatevelo a studiare, andatevelo a leggere, chiedete ad un dottore: «A cosa servono le ghiandole surrenali? Perché sono così importanti?»

Sono importantissime, questo ve lo dico anche se non sono un dottore, perché un po’ di biologia l’ho studiata anche io.

Perché sono importanti?

A cosa servono?

Noi non abbiamo mai pensato alle nostre ghiandole surrenali, a quest’opera meravigliosa che ha fatto Dio con il nostro corpo, alla cura che dobbiamo avere per questo corpo, perché è un dono di Dio, perché ci serve per servire Dio, perché ci serve per onorare Dio.

E poi pensiamo al Sacramento della Confessione, al Sacramento dell’Eucarestia… e noi non ci andiamo e diciamo: «A me cosa interessa? Ma sì, io vado una volta all’anno».

Guarda, puoi anche non andare, non è che fai un piacere a Dio se tu ti vai a confessare, è il contrario.

“Non crediate che Dio sia insensibile, poiché se ne lamenta pel Profeta, quando dice: Gli hanno reso male per bene, e odio per amore. Giusto lamento, o mio Dio! Ahimè! Quante volte mi son servito de’ vostri doni contro di voi! (esempio: VIM) Voi mi avete data una memoria per imprimervi la vostra legge, e sovvenirmi della vostra bontà, ed essa s’è riempita di cose profane e perniciose alla mia salute”.

Visto?

Ecco… vado a bere, vado a mangiare fino a sfondarmi, mi drogo, fumo di tutto di più…

E dicono: «No, in realtà fa bene…»

Sì, certo, certo…

“Mi avete donato un’intelligenza per conoscervi, ed essa si è immersa in pensieri pericolosi”.

Contro la carità, contro la castità, contro l’umiltà…

“Un cuore che vi poteva amare, ed egli ha amate le creature”.

Più del creatore.

Gli occhi, la lingua, per cosa dovremmo usarli?

E invece…

Capite?

“Considera che la tua ingratitudine ti mette al disotto delle bestie…”

L’ingrato è peggio di una bestia!

“…perché il bue conosce quello a cui appartiene, dice il Signore, e l’asino la stalla del suo padrone…”

Ma non lo zuccherino che gli davo io.

“…ma il mio popolo non m’ha conosciuto; ingrato, è stato senza intelletto”.

Capite?

Invece la mia cagnolina era estremamente grata, molto grata quando le davo i chicchi di uva da mangiare. La mia cagnolina mangiava la frutta.

Voi direte: «Che cane aveva, Padre?»

Era speciale la mia cagnolina: mangiava l’uva, mangiava il mandarino, mangiava l’anguria, il melone, il finocchio, il carciofo… era un cane un po’ sui generis. Mangiava anche la carne, però le piacevano molto il peperone, il cetriolo, l’arancia, era un cane un po’ particolare.

“Profittate dei lamenti di questo Dio benefico e sì poco riconosciuto; essi v’impegnino a detestare l’ingratitudine come la vostra più crudele nemica…”

L’ingratitudine va proprio detestata.

“…perch’essa chiude il canale delle grazie di Dio per due ragioni…”

Quindi, quando noi non riceviamo le grazie, cominciamo a chiederci se forse non siamo degli ingrati.

“…una è presa dalla sua giustizia, perché le sue grazie non essendo riconosciute, e non ritornando verso lui, è giusto ch’egli le ritiri;”

Quindi, un motivo per cui Dio ritira le grazie è perché siamo ingrati.

Per giustizia le ritira.

“L’altra dalla sua misericordia, perché se egli moltiplicasse le sue grazie a un ingrato, moltiplicherebbe le sue ingratitudini e per conseguenza i suoi castighi”.

Perché noi meritiamo i castighi, quando siamo ingrati.

“Dopo aver biasimata l’ingratitudine de’giudei, si giustifica per convincerli. Ma essi allora si divisero in due partiti: gli uni lo volevano mettere in prigione, spingendo la loro ingratitudine sino al furore; gli altri lo seguirono di là dal Giordano, lo ascoltarono, credettero in lui e riconobbero i suoi benefizi. Detestate l’ingratitudine dei primi, e mettetevi nel numero degli ultimi. Riconoscete le grazie di Gesù, pubblicate le sue benignità, e replicate spesso i vostri ringraziamenti, perché la gratitudine accresce la bontà del benefattore, e dispone l’anima a ricevere maggiori grazie”.

Capite?

Dobbiamo essere pubblici nel dire il nostro “Grazie” al Signore.

“Guardatevi di far consistere la vostra riconoscenza in sole parole;”

Vedete quello che vi dicevo prima del Kranz?

“Bisogna ch’ella venga dal cuore che n’è il principio, e che vi corrispondano le opere”.

Quindi non basta che tu dica “Grazie”, no: fatti, opere!

“Rendetegli grazie non solo dei favori sensibili che ricevete, ma ancora delle tribolazioni, e riguardatele con uno spirito di fede. Siccome egli vi ama, non vi affligge che per vostro bene, e queste afflizioni essendo effetti del suo amore, voi gliene dovete per conseguenza dei rendimenti di grazie”.

Perché anche le sofferenze vengono dall’amore di Dio.

“Imitate in questo quell’eroe di pazienza e di riconoscenza dell’antica legge, il quale in mezzo alle afflizioni più sensibili, diceva con profondo rispetto: Dio me l’ha dato, Dio me l’ha tolto, sia benedetto il suo santo nome”.

Giobbe.

“La gratitudine, dice S. Girolamo, nutrisce e accresce in essi la carità, che è l’anima della religione. Voi siete sano, dice questo santo Dottore, ringraziate il Signore; voi siete ammalato, rendete grazie al Signore; siete calunniato, perseguitato, disprezzato, oltraggiato, rendete grazie al Signore, perché tutto contribuisce alla salute degli eletti e degli amici di Dio. I cristiani del tempo di S. Agostino nell’incontrarsi si salutavano, dicendo Grazie a Dio”.

Pensate che bello!

Lo sapevate?

Al tempo di Sant’Agostino, i Cristiani si incontravano dicendo “Grazie a Dio”, “Deo gratias”.

Il saluto che si davano era “Deo gratias”.

Anche perché è una grazia potersi incontrare.

È una grazia poter andare a mangiare un gelato insieme, no?

È una grazia poter fare una passeggiata insieme, mangiare al bordo di un bel laghetto, poter mangiare con le paperelle una buona merenda.

È una grazia bere una tisana calda insieme: « Deo gratias

Infatti, si fa un Segno di Croce prima di mangiare e quando si è finito di mangiare.

“Molte sante società seguitano ancora quest’uso lodevole, di cui fa l’elogio questo santo Dottore”.

Adesso sentiamo la preghiera:

“Che renderò io a voi, o Signore, esclamava il Profeta, per tutt’i benefizi che ho ricevuti dalla vostra liberalità? Ma piuttosto che farò io, o Signore, per riparare a tutte le passate ingratitudini? Ahimè! Esse sono innumerevoli: i vostri doni, le vostre grazie e le vostre misericordie son cadute sopra una terra ingrata; la mia memoria le ha dimenticate (purtroppo), il mio spirito non vi si è applicato, e il mio cuore non le ha sentite”.

Come l’asino, che manda giù lo zuccherino e se ne va.

“Questo, sensibile all’eccesso sugli oggetti capaci a sedurlo, inclinato ai piaceri pericolosi, non ha conosciuto quanto dovea esservi obbligato. Qual gratitudine, o Signore, vi ho io dimostrata per tante grazie che fatte mi avete? Ahimè! La memoria di queste si scriveva sulla sabbia, che il vento della leggerezza dissipa al primo soffio, mentre quella dell’ingiurie s’incideva sul bronzo. Che vi ho reso, o divin creatore, per avermi tratto dal niente, e per aver impressa la vostra immagine nell’anima mia?”

Noi ci ricordiamo tutti i più piccoli sgarbi, tutte le ingratitudini, tutte le cose brutte che ci fanno le persone, però quelle belle non ce le ricordiamo!

«Mio padre mi ha detto… Mio padre mi ha fatto…»

Sì, va bene, ma tutto il resto?

«Tu, dieci anni fa, quel giorno…»

Ok, e tutto quello che ho fatto insieme a quella cosa lì, che ho sbagliato?

Tu sei perfetto?

No?

E allora?

“Qual ricompensa vi ho dato, o adorabile Salvatore, per avermi liberato dal peccato, dalla morte e dall’inferno coll’effusione del vostro sangue?”

Quando mia nonna mi faceva qualche particolare leccornia o mi comprava un dolcino, o un cabaret di pasticcini, mi ricordo che, quando me li metteva davanti (da bambino, appena li vedi… addosso! E quello che ti piace di più lo prendi), mi diceva: «Adesso, prima di prendere il tuo, scegli quello per la mamma».

E io sceglievo quello per la mia mamma.

«Adesso devi scegliere quello per il tuo papà».

E mettevamo da parte quello per il papà.

«Adesso scegli quello per il nonno».

E io sceglievo quello per il nonno.

«Adesso scegli quello per me».

E io sceglievo il pasticcino per lei.

Quando io stavo per avventarmi come un giaguaro sul mio pasticcino, lei mi diceva: «No, adesso io scelgo quello per te».

Qui ci sta dentro il mondo dell’educazione… era come dire: «Lo scelgo io il tuo bene, perché ti conosco e ti amo. Tu il bene non lo prendi, ma lo ricevi».

Le grazie di Dio non si rapiscono e non si pretendono, ma si ricevono.

«Eh… ma io volevo…»

«Prendi questo».

Noi invece: «Pancia mia fatti capanna fino a morire! Macché pensare a Tizio, a Caio e a Sempronio, ma per favore! Penso a me stesso, mi mangio tutto quello che voglio, e il resto può anche morire».

“Qual contraccambio mi sono sforzato di rendervi, o Dio glorificatore, per avermi aperto il cielo, e per avermi dato tutti gli aiuti che poteano procurarmi questo regno eterno! Ah potessi, o Signore, moltiplicare i miei ringraziamenti, che eguagliassero nel numero i respiri del mio cuore, per riparare alle mie ingratitudini! Nondimeno pieno di questa confidenza che voi m’inspirate, non cesserò di chiedervi sempre nuove grazie per aver il contento di vivere in una continua gratitudine dei vostri benefizi”.

Bene. Domani, giovedì, vedremo (bellissimo, bellissimo!) il “Giorno d’amor di Dio”.

 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

VANGELO (Gv 8, 31-42)

In quel tempo, Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro».
Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro».
Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato».

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