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“Comunione spirituale e comunione psichica” da “Vita comune” di D. Bonhoeffer. Parte 52

Comunione spirituale e comunione psichica

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: “Comunione spirituale e comunione psichica” tratta dal testo “Vita comune” di Dietrich Bonhoeffer.
Martedì 7 marzo 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Mt 23, 1-12)

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 7 marzo 2023. Festeggiamo quest’oggi le Sante Perpetua e Felicita martiri. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo ventitreesimo di San Matteo, versetti 1-12.

Proseguiamo nel nostro cammino. Leggiamo il brano del diario della beata Edvige Carboni.

4 maggio 1941. Il 4 maggio 1941 ebbi una grande umiliazione da una signora. Mentre pregavo, mi si presentò la Vergine ausiliatrice col bambino in braccio. Io, inginocchiata davanti, pregavo e piangevo. La mamma celeste mi sorrise e mi diede per un momento il Santo Bambino in braccio. Passai pochi momenti di paradiso.

Ecco è bello vedere come la Vergine Maria, in modi diversi per ciascuno di noi, ci viene incontro, sempre, veramente come una madre molto premurosa, anzi la più premurosa in assoluto, che noi possiamo avere.

Allora, continuiamo la nostra lettura del testo di Bonhoeffer, Vita comune.

Stavamo parlando del portare i pesi gli uni degli altri, vi ricordate? E vi direi proprio di tenerci tutti ben scritto, ben segnato questo versetto della lettera ai Galati che lui ha citato: capitolo 6, versetto 2, “Portate gli uni i pesi degli altri, così adempiere perfettamente la legge del Cristo” (Gal 6,2). Ricordiamocelo sempre, questo è un versetto importantissimo, dobbiamo stamparcelo e tenercelo salvato.

Adesso andiamo a vedere invece questa parte in cui dice:

La cosa — attenti bene — diventa particolarmente difficile, dove forti e deboli nella fede si trovano a vivere nella stessa comunità.

Quindi, questa  cosa di portare i pesi gli uni degli altri diventa particolarmente difficile dove forti e deboli nella fede si trovano a vivere nella stessa comunità.

Il debole non giudichi il forte, il forte non disprezzi il debole. Il debole si guardi dalla presunzione, il forte dall’indifferenza. Nessuno rivendichi il proprio diritto. — attenti adesso — Se il forte è trovato in difetto, il debole si guardi da una gioia vendicativa; se è il debole ad essere in difetto, il forte lo soccorra amichevolmente. L’uno ha bisogno di tanta pazienza quanto l’altro. Adesso cita Qoelet 4,10: «Guai a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi». Di questa sopportazione dell’altro nella sua libertà, la Scrittura parla anche quando ammonisce (Colossesi 3,13) «Sopportatevi a vicenda» — (Efesini 4,2) «con tutta umiltà e dolcezza, con pazienza, sopportatevi gli uni gli altri con amore».

Quindi lui riconosce che diventa difficile, in modo particolare quando ci troviamo in una comunità — eh, praticamente tutte le nostre comunità sono così, perché non è che abbiamo le comunità di deboli e le comunità di forti no? Grazie al cielo sono ben mescolate e quindi non c’è rischio di fare una sorta di setta — tutti forti, tutti deboli — di ghetto… A cosa dobbiamo stare attenti?

Dobbiamo stare attenti al non giudicare, alla presunzione e all’indifferenza. Giudicare, presunzione e indifferenza. Quindi impariamo a guardarci, ad accettarci, ad amarci, ad apprezzarci per quello che siamo, così come siamo.

Guardate, qualcuno, anzi più di qualcuno, dice: “Sa, padre, per me è un po’ scandaloso, scoprire la debolezza, la fragilità, il peccato, del mio sacerdote, del mio parroco, del mio vice parroco, del mio padre spirituale, del mio confessore. Perché io, per riuscire a credere in quello che mi dice, per riuscire a dargli fiducia, per riuscire a dargli credito, devo pensare che non sbaglia mai, che è perfetto, che è bravissimo, che prega tantissimo, che è intelligentissimo, che è devotissimo, che ama tantissimo il Signore, che è esattamente tutto quello che io non sono. Perché se io sapessi che invece lui condivide con me la fatica della fede, la fatica del credere, la fatica dell’amare, la fatica della speranza — a livelli diversi, in modo diverso, perché siamo persone diverse — io direi, vabbè, ma allora che cos’è? Un compagno di cammino. È accanto a me e siede accanto a me nel banco, ma il mio compagno di banco non va in cattedra. Io per dare credito alla professoressa devo sapere che si è laureata, che conosce benissimo la matematica. E anzi, più è brava in matematica e più è impeccabile in matematica, più credito le darò, e via di seguito.

Quando mi dicono queste cose, dico: “Probabilmente toccherà anche a me subire questa condanna a morte da parte di qualcuno, ma credo che non ci sia atto più spietato e più disumano di questo”. Se tu hai bisogno di credere che io sono Superman per pensare che Dio passi attraverso la mia mediazione sacerdotale per raggiungerti, guarda, ti dico subito, cambia persona. Non sono quell’uomo.

Anche questa storia — che è molto presente tra di noi — per cui dobbiamo nasconderci nelle nostre fragilità, nei nostri pasticci, nei nostri peccati, nelle nostre incapacità; dobbiamo sempre avere quest’ansia da prestazione, quest’ansia da perfezione; dobbiamo sempre mostrarci assolutamente belli, sani, forti, intelligenti, capaci, à la page, perfettamente in collegamento con tutte le dimensioni del mondo, perfettamente colti e non so quant’altro. Ma vi rendete conto che è semplicemente irreale?

A parte che è disumano, disumanizzante e conduce alla pazzia, ma poi vi rendete conto che è irreale? Non esiste un uomo così, ma neanche un Santo, anche se fosse Santo, non esiste. Padre Pio si confessava, perché se esistesse un prete come qualcuno ha in testa, non avrebbe più bisogno neanche della misericordia di Dio. Sarebbe una sorta di protesi di Gesù Cristo.

Ma guardate che il Signore, quando ho scelto i suoi Dodici, uno è diventato il traditore per eccellenza, Giuda, gli altri se ne sono andati tutti, a parte Giovanni. E non è che Giovanni lo ha schiodato dalla croce, Giovanni non ha detto: “No, fermi tutti, adesso io muoio col mio Gesù”. No, Gesù è morto da solo, con tutti i suoi undici che non sapeva neanche dove fossero, chi fossero. Ma questo ha impedito a Gesù di dire loro: “Andate, battezzate nel mio nome, rimettete i peccati?” Quando loro, nel momento dell’Ascensione dubitano del Signore, la risposta del Signore non è un rimprovero, ma li invia a predicare il Vangelo.

La debolezza dell’uomo, la fatica del credere, tutto quello che volete metterci insieme, per Gesù è un’occasione, non è un “nonostante”. Non è: “Nonostante la tua fragilità, io faccio questo, io ti do, io sono buono” No, no, no, è un’occasione.

Se Giuda fosse tornato indietro da Gesù, se gli avesse detto: “Gesù, guarda, cioè veramente …”, se invece di andare a cercare quelli che lo avevano usato per dargli 30 denari, se invece di fare questo lui fosse corso in prigione e in qualche modo fosse sgattaiolato dentro lì e fosse arrivato almeno alle sbarre all’interno della cella, dove era rinchiuso Gesù, e avesse detto a Gesù tutto quello che doveva dire… Ma voi vi rendete conto di cosa sarebbe oggi? Giuda sarebbe San Giuda l’Apostolo, ma vi rendete conto cosa sarebbe? Sarebbe il patrono di tutti i traditori pentiti, ma non un patrono generico. Lui, che ha tradito il Sangue di Cristo, il Sangue innocente di Dio, sarebbe diventato la speranza per tutti i traditori, per tutti coloro che, in modi diversi, a livelli diversi, tradiscono. Quasi a dire: “È possibile! Io ce l’ho fatta”.

Perché per Gesù sono tutte occasioni e questa è la grandezza di Gesù. Non è come noi che diciamo: “Guarda, nonostante tu mi abbia tradito, nonostante tu mi abbia mentito, nonostante tu non abbia, che so, studiato, nonostante tu non abbia fatto questo, nonostante questo, io ti do fiducia”. E noi: “Ah, grazie, grazie, grazie, grazie”.

E così, perpetuiamo questo modello fallimentare del: “La tua fragilità, il tuo peccato, è l’occasione per toglierti fiducia, è l’occasione per sgretolare la fiducia, è l’occasione per sgretolare la stima, è l’occasione per venire meno alla nostra relazione d’amicizia”.

E invece Gesù dice: “No, un momento. Non è “nonostante”, ma è “grazie”. Questa io la vedo come un’occasione. Se tu ci stai io ci sto, a far che cosa? A trasformare tutto questo male, tutta questa fragilità, in un motivo di forza. Io scommetto su di te che, grazie a questa esperienza terribile, tu adesso farai qualcosa di grande. Io ci credo!”. Così dice Gesù: “Prima di questo evento catastrofico, tu avevi da parte mia fiducia 10, adesso che tu hai fatto questo male e che sei venuto da me, ti do la fiducia 100. Ti do più fiducia perché adesso hai bisogno di più fiducia di prima”.

Capite com’è diverso? Ecco perché non c’è, non ci deve essere il giudizio, la presunzione, l’indifferenza. È tutta un’altra prospettiva.

Invece noi cosa facciamo? Cadiamo nell’adulterio, cadiamo nel tradimento della moglie o del marito o dell’amico, e che cosa facciamo? Noi ci nascondiamo e continuiamo a ricadere. Interessante, questo, no? Io mi nascondo, vado a confessarmi — forse, magari, vado a confessarmi — e poi continuo a cadere dentro. Certo, perché, capite, la dinamica è quella sbagliata. Solo che noi la perpetuiamo così, questa dinamica, andiamo avanti così. E così facciamo con le altre persone. Quando la mattina usciamo di casa, tutti noi, prima andiamo allo specchio e ci dipingiamo la faccia come i clown, come i pagliacci. Noi siamo tanti pagliacci che escono per la strada. Noi non siamo quel volto lì, sempre sorridente, sempre aitante, sempre capace.

“Come va?” Notate questa domanda, voi oggi fatela a qualcuno. Chiedete a chiunque volete: “Ciao, come va?” — “Bene, benissimo, tutto bene!” — Poi fa niente se il farmaco più usato sono gli ipnotici per dormire e gli antidepressivi; fa niente se ci sono gli psichiatri e gli psicologi che non sanno più dove andarsi a inventare le agende per prendere gli appuntamenti di gente che tenta il suicidio, che cade in depressione, che cade in isteria. Fa niente, no? Però tutto bene, tutti vanno bene, tutti stanno benissimo, tutto benissimo, tutto gestito benissimo, tutto perfetto e meravigliosamente bene, tutto va bene… “No, ma ti ho visto piangere…” — “IO??? No, era un moscerino che mi è entrato nell’occhio” — “A gennaio?? In effetti, sì a gennaio ci sono molti moscerini in giro” — “No, ma sai quei survivor che ci sono dell’estate”. Mamma mia, abbiamo dei moscerini transgenici, che durano da luglio fino a gennaio, hanno un ciclo di vita incredibile, no? Probabilmente non esiste ancora nel bios dell’ecosistema, non c’è ancora, ma noi abbiamo creato questi moscerini che a gennaio sono ancora lì che girano per venire in un occhio a noi. Siamo ridicoli, capite? Siamo ridicoli, siamo talmente pagliacci che siamo ridicoli, come i pagliacci. Peccato che nessuno vede il nostro volto. Oltre quel cerone chi c’è?

 “Ah, allora domani mattina prendo e vado incontro al mondo per quello che sono!” — No, non farlo, perché è come prendere e decidere di buttarsi in un mare in tempesta, vicino alle rocce, è sicuro che muori. “Ah, io però sono stato vero!” — No, sei stato stupido, non sei stato vero. Perché questo processo di verità è circolare, non è un vettore, è circolare. Certo, da parte mia ci deve essere disponibilità ad essere vero sì, ma devo anche incontrare una realtà che è pronta ad accogliere questa verità, capite?

Quindi, certo, sarebbe bello che io potessi dire a chi ho tradito: “Guarda, io ti ho tradito”. Ma solo se dall’altra parte ci fosse una persona capace di vedere nella fragilità, nella debolezza, nella caduta dell’altro, l’occasione, non il giudizio, non la condanna, non lo sgretolamento della fiducia. Eh, capite? Ecco perché vi dico che non fa per me chi dice: “Ah, io ho bisogno di vedere il prete che sotto la maglia col colletto ha la “S” di Superman, che si apre il colletto e dice: Io sono Superman. Adesso volo e mi uccide solo la kryptonite”. — E comunque Superman ha un punto debole, interessante questo simbolo, no? Anche il grande Superman ha un punto debole, che è la kryptonite, e quando tu gliela metti addosso, quello ha finito di essere Superman. Anche lui ha il punto debole.

Quindi noi che cosa dovremmo cercare in un uomo, prete, papà, mamma, figlio, sposo? Noi che cos’è che dobbiamo cercare? Ma io credo che noi dobbiamo cercare la sua immagine, il suo essere figlio di Dio, nella sua assoluta libertà. Noi possiamo godere uno dell’altro quando sappiamo che l’altro può essere libero davanti alla nostra presenza.

Guardate, io ho in mente delle situazioni di vita dove mi rendo conto che quella persona, stando insieme a qualcun altro non è libera. Ed è veramente brutto, sapete, è brutto. Ma d’altro canto uno deve anche farsi un esame di coscienza e chiedersi: quella persona non riesce a essere libera con me, ma non è che magari sono anche io che non riesco proprio a cogliere quali dovrebbero essere le dinamiche per metterla a suo agio e farla sentire libera? È possibile, è possibile. Non è sempre e solo responsabilità dell’altro. Sono anch’io che magari con quel genere di persona, con quella persona, non riesco proprio a cogliere le dinamiche necessarie da attuare. Non è questione di cattiveria o di bontà. È proprio che non riesco a capire quali corde dovrei suonare per fargli o farle capire che è libera, che è una persona libera, che può essere sé stessa, che non c’è bisogno di nascondersi, di mascherarsi, di diventare un pagliaccio, di essere quello che io voglio che sia, perché se non è questa persona “ideale” io non la incontro, non c’è un incontro.

C’è un teatro, no? C’è una scenetta come tutti i pagliacci fanno al circo, ma non c’è un incontro. Ma noi purtroppo preferiamo questo, preferiamo questa pantomima terrificante. A noi sta bene incontrarci nella menzogna, perché non ci mette in discussione, perché non ci scompiglia i nostri piani, non ci fa vedere la realtà per quella che è, non ci fa vedere la persona per quella che è, ma ce la mostra dentro a questa melassa da cui è coperta, per cui va bene così, ci va bene così.

Poi quella persona a un certo punto non ce la farà più, alcuni non ce la faranno più, e poi esplodono. Certo, si esplode in tanti modi, eh…, in tanti modi si esplode. E quello lì era così un bravo ragazzo, era così tranquillo, così bravo. Eh, si è buttato giù dal balcone, ma come mai? Eh, come mai?

E può essere un sacerdote, a fare questo. Io ho conosciuto un sacerdote che si è suicidato. Purtroppo più di uno, ma uno in particolare, e io l’avevo visto poco tempo prima. Quando l’ho saputo, ho detto: “Ma non è possibile. Ma lui?” — “Eh sì, proprio lui” — “Ma… ci siamo visti due settimane fa…”. Me lo ricordavo benissimo, eravamo ad un incontro, tranquillissimo, ha fatto il suo intervento, era… normalissimo. Pensa! Pensa dietro a quella maschera, quale dramma si stava consumando. Talmente grave — che, capite, portare un sacerdote a suicidarsi… — talmente grave da condurlo a un certo punto al suicidio, e nessuno si è accorto di niente. Nessuno è riuscito e ha potuto, perché tutte e due sono, nessuno è riuscito, nessuno ha potuto oltrepassare la maschera. Solo che in questo caso è una vita spezzata. Perché era giovane. È una vita spezzata. Nessuno ha colto, nessuno ha creato le condizioni per… E forse anche lui non è riuscito a trovare il modo di togliersi il trucco. Non avrà trovato l’ambiente, non avrà trovato la persona giusta con cui farlo.

Capite queste parole di Bonhoeffer quanto sono importanti? Quanto è veramente difficile questo momento? E quanto importante questo portare i pesi gli uni degli altri. Portare i pesi non è fare la pizzata insieme, non è andare a fare la gita, non è vivere insieme. Non è questo, ma è quello che dice lui in questo testo. Che però non si vive o si vive male o si vive con una fatica incredibile. E neanche si sanno queste cose, neanche ci si mette a rifletterle.

Quindi, “quando il forte è trovato in difetto, il debole non deve guardarlo con gioia vendicativa. E il forte, se vede il debole in difetto, lo deve soccorrere amichevolmente, non lo deve disprezzare”. Ripeto, perché quella situazione è un’occasione. Non è: “Che delusione!”. Non è lo sgretolamento di tutto l’impianto ma è un’occasione per dire: “Guarda, sì, effettivamente è una cosa gravissima, bruttissima, tristissima, mi ha ferito tantissimo, però senti…”.

Il fondamento di tutte le cose — ci dice la lettera agli Ebrei — è la speranza. Quindi che cosa facciamo adesso? Restiamo qua una vita intera a continuare ad accusarti e rinfacciarti il tuo male e a pensare che tu ormai non sei niente, più niente per me, che Dio non può più servirsi di te per niente, perché tu sei stato una delusione? Ma non è possibile! Se fosse così sarebbe meglio morire, capite? È meglio morire che vivere una vita così. Perché che vita è, che senso avrà mai più la vita adesso?

E invece noi dovremmo dire no. Il dolore rimane, la sofferenza resta, perché, capite, ci sono delle situazioni di fragilità che sono proprio gravi, brutte, che sono peccaminose. Bene, però io sono chiamato da Dio a portarti con una pazienza estrema, a portarti in questa cosa, e a credere che Dio non “nonostante”, ma “grazie” al tuo male coglie quest’occasione per farti fare un salto creativo, che possiamo definire un salto ontologico, e trasformarti in un’altra persona.

È una cosa che può fare solo Dio, ovviamente. Noi non possiamo farla. Quando Dio lo fa? Con la confessione. Però, se il sacramento è fondamentale per ricreare l’uomo, è altrettanto fondamentale la mia parte, col mio perdono. C’è bisogno di tutti e due. Perché allora l’altra persona si sente veramente avvolta dalla speranza. C’è una speranza divina, che lo ricrea e lo rimette in piedi, e c’è una speranza umana, che sono io, che sto mediando la stessa speranza divina, la sto mediando nell’esperienza umana. E ti sto dicendo: “Io ci credo, come Dio crede in te, anch’io ci credo”. Non “Ricominciamo da capo”, non si ricomincia, non c’è niente da ricominciare da capo, andiamo avanti, non andiamo indietro, non spezziamo tutto, non fermiamo tutto, e andiamo avanti.

Guardate, diventa una grande ricchezza per tutti e due, perché poi di fatto tu hai guadagnato un fratello. Immaginatevi quella persona che senso di riconoscenza avrà nel cuore di fronte a questa condivisione della speranza soprannaturale, se le date fiducia.

Quante famiglie spezzate proprio a motivo di questa debolezza, di questa fragilità, di questo peccato, che non riesce neanche a essere visto come un “nonostante”. “Occasione” assolutamente no, ma “nonostante” neppure, e quindi uno dice no, guarda, basta, è finita.

I film sono pieni di queste storie stupide in cui ti insegnano fin da bambino, da ragazzo, che: “Ah! Se l’altro non mi dice tutto, se l’altro non fa con me tutto, se l’altro mi nasconde qualcosa, se l’altro mi tradisce… Basta, finito, non ne voglio più sapere perché non posso perdonarti”. Ma stiamo scherzando? Ma questo vuol dire chiudere la persona nel suo peccato, questo vuol dire rendere quel peccato fino alla sua morte per sempre presente, questo vuol dire cristallizzarlo nel male, questo vuol dire togliergli la speranza, questo vuol dire non credere che ogni male per Dio sia veramente un’occasione di bene, grazie alla sua potenza creatrice.

Quindi non pretendete nella vostra mamma, nel vostro papà, nel vostro sacerdote, nella vostra suora, non pretendete che siano Superman. Non lo sono e non lo saranno mai, perché Dio non vuole questo. A Dio va bene che siano così come sono, nel loro cammino di conversione, come tutti. E, ciononostante, in modi diversi, livelli diversi, per ragioni diverse, Dio si media in loro. Stai tranquillo. Anche se li vedi fragili e deboli, stai tranquillo. Il Signore passa. Passa, e sfrutta questa occasione per comunicarsi a te.

L’uomo ha “bisogno di tanta pazienza”. Tutti hanno bisogno di pazienza sia il debole che il forte. “Sopportazione dell’altro nella sua libertà”. Certo, dobbiamo lasciare l’altro libero di essere sé stesso. Cosa che nelle nostre comunità, secondo me, non avviene molto. Eh beh, è storia di poco tempo fa, no? Dobbiamo dircelo: “Se tu non hai fatto quella certa cosa, allora non puoi più partecipare a questo, non puoi più entrare in chiesa, non puoi più fare questo, non può più fare quello, non puoi fare… sei fuori”. Non si può, non si può! Noi finiamo di essere una comunità cristiana se facciamo queste cose. Non è possibile. Non è possibile.

“Se fai questa cosa, compi un atto d’amore”. Va bene, ma io posso non volerlo fare l’atto d’amore. Siamo liberi, io posso dire: “Io non voglio fare un atto d’amore”. Un atto d’amore, se non è libero, non è più un atto d’amore, è una violenza sessuale, una violenza carnale, uno stupro. Capite? Io compio un atto d’amore con un’altra persona, con una donna, in questo caso, se sono un uomo, nel momento in cui io mi avvicino a questa donna e le dico: “Io ti amo”, lei mi dice “Anche io ti amo” — “Condividiamo la vita insieme?” — “Sì” — E quindi qui parte una storia d’amore, capite? Dove liberamente tutti e due ci diciamo che ci amiamo e quindi condividiamo il medesimo amore. Ok? Questo è un atto d’amore, una scelta d’amore, è un atto d’amore reciproco.

Ma se io vedo una donna e dico: “Io ti amo” e lei mi risponde: “Io no” — “No? Ah, vabbè” e la prendo, la rapisco e la violento, questo si chiama stupro. Dico: “No, ma io l’amavo”. Ho capito, ma l’altra persona ti ha detto di no. “Eh, ma io l’amavo”. Ho capito, ma se tu la ami devi rispettare la sua libertà. Non puoi dire: “Io la amo, quindi questo mi dà il diritto su di lei, di vita e di morte, per cui la prendo e la violento” perché lo stesso atto, da atto d’amore, siccome non c’è più la sua libertà, diventa stupro. Che è esattamente l’orrore, la parte disgustosa, la parte falsa, la parte terrificante dell’amore, non esiste quella roba lì nell’amore, perché si chiama stupro, ed è una roba terrificante.

Ora, questo esiste anche nella vita spirituale, no? Uno ti dice: “Questo è un atto d’amore. Ti propongo di fare un atto d’amore”, non so, di andare a chiedere perdono, e uno dice “No, non voglio, non lo voglio fare”. Eh, ma se ti costringo non ti conduco all’atto d’amore, ti conduco allo stupro.

Se io dico: “Ah sì, tu non vuoi andare a chiedere perdono? Vabbè, fa niente, adesso io prendo un coltello, te lo pianto alla gola — e ci sono molti modi di piantare un coltello alla gola a una persona, anche in modo figurato — e tu vai là e gli chiedi perdono”. Sì, ma questo non è un atto d’amore. Questa è una violenza.

“Se non lo fai, se non fai questa cosa, non siamo più amici”. No, no, ma un’amicizia non può essere fondata sulla violenza, non può essere fondata sul ricatto.

“Se non fai questa cosa, tu non puoi più venire a…” Eh no, no, non è così. Non funziona così. Nella comunità di Gesù Cristo, fondata da Gesù Cristo, non funziona così, non ha mai funzionato così, non può funzionare così, perché se noi mettiamo questo come vincolo, noi abbiamo finito di essere una comunità cristiana.

Non perché lo dico io ma perché lo dice il Vangelo, lo dice la Scrittura. Lo dice anche Bonhoeffer. È fondamentale la libertà dell’altro, è imprescindibile. Dovrò dire: “Ho proposto un atto d’amore, ho proposto questa cosa, questa persona non ha voluto, va bene, nella sua libertà, io la porto”. E, mi verrebbe da dire, la porto non come prima ma più di prima. Perché ha detto che non ha voluto fare un atto d’amore, quindi magari si è un po’ chiuso all’amore, quindi ha bisogno di essere portato di più (poi bisogna vedere se veramente è un atto d’amore, qui si apre un altro discorso, ma comunque facciamo finta che sia andare a chiedere perdono a una persona). Non l’ha fatto? Va bene, allora io devo portarlo di più, non lo devo prendere e sbattere fuori.

Noi, invece, facciamo così. Noi parliamo di libertà, parliamo di fraternità, parliamo di comunità, parliamo di queste belle cose, di agape. E poi diciamo: “Ok, se tu fai questo, questo e questo, allora fai parte di questa comunità. Se non lo fai, sei fuori” — Scusa, allora non ho capito. Delle due, una, no? Questa è una comunità cristiana o è una setta? Perché se è una setta, ci sta, che tu mi metti sotto violenza per fare qualcosa, ma allora è una setta; se una comunità cristiana, allora non ci sta, perché la mia libertà è sacrosanta, fino al giorno della mia morte. E io ti posso dire: No, non voglio! E tu non mi sbatti fuori.

Io non posso sbattere fuori chi fa diversamente, come faccio a sbatterti fuori? Io non ho versato il mio sangue per la comunità cristiana, l’ha versato Gesù Cristo e Gesù Cristo non ha mai sbattuto fuori nessuno.

Ti dovrò portare, dovrò capire qual è il modo giusto per essere portato, dentro la comunità, nel rispetto della tua libertà e della tua scelta. Nessuno deve sentirsi sbagliato. Nessuno deve sentirsi ghettizzato. Nessuno deve sentirsi escluso, qualunque sia la sua scelta, su qualunque cosa.

Uno al massimo si può autoescludere, come gli scribi e i farisei che dicono: “No, noi questa cosa qui non la vogliamo. Noi non vogliamo proprio in toto tutto, non vogliamo Gesù”. Va bene, ok. Ma se no io, guardando Gesù, come faccio io a dirti, a buttarti fuori, a chiuderti la porta in faccia? A chiederti il lasciapassare? Non è possibile! Non è la vita di Gesù. Nel Vangelo non c’è questa cosa, ma neanche nella comunità cristiana, nella prima comunità cristiana c’è questa cosa qui, non c’è, non esiste, perché la libertà è fondamentale, sempre.

Quindi immaginiamoci anche nelle famiglie, no? Non si può mettere sotto ricatto qualcuno. Non si può dire, tu devi fare questo, questo e quest’altro, perché sennò… no! Cioè, te la indico, ti faccio vedere la via, però poi, però poi, io questa libertà la devo portare.

Ecco perché in un matrimonio è fondamentale conoscersi molto bene prima; perché io devo capire se sono in grado di portare la tua libertà totalmente per quella che è, non costringendoti prima a cambiare e farti fare delle cose che non avresti mai fatto per amor mio, no! No! No! Io devo guardare così come sei, anzi dovrei guardarti nella parte peggiore, nella tua parte peggiore, proprio questo dovrei fare, dovrei vederti nella tua parte peggiore, nella parte più piagata e devo capire se io riesco a portare il tuo peso.

Devo poterti pesare per quello che sei veramente. Tolto tutto, e lasciato tutto quello che c’è veramente, tolto tutti i fronzoli, lasciato quello che tu sei veramente, devo prenderti in braccio e dire: “Ma io riesco a portare questo peso sulle spalle, riesco a portarlo? Si, no”. È questo il tema. Non: “Questo pesa 180 kg, però io adesso gli ho già fatto una dieta e lui mi ha promesso che dimagrirà!”. No, no no, pesa 180 kg? Tu devi chiederti se sei in grado di portare almeno 180, perché poi guarda che col tempo diventeranno 200, non diventeranno 160, tranquillo. È molto probabile che diventino 200. Quindi devi vedere se hai quella forza. Perché dopo non puoi buttarlo fuori dalla tua vita. Dopo è parte integrante della tua vita.

Mi sono soffermato un po’ su questa cosa, perché mi sembra veramente importante, guardate, veramente importante.

Il passo che vedremo domani è ancora più difficile, quindi non me la sono sentita di andare avanti, perché approfondiremo quello che vi ho appena detto. Comincia così:

Alla libertà dell’altro si affianca anche l’abuso che se ne può fare nel peccato, altro motivo per cui il fratello risulta di peso al cristiano. È ancora più difficile sopportare il peccato dell’altro che non la sua libertà: nel peccato infatti si distrugge la comunione con Dio e con i fratelli.

Vedete? Lui fa un passo in più, domani vedremo questo.

Oggi non sono andato avanti perché non potevo fare un discorso che tenesse insieme la libertà e il peccato, tutti e due insieme, a livello proprio di principio. Vi ho accennato il tema del peccato ma oggi ho dovuto sottolineare la libertà. Domani invece sottolineeremo il tema del peccato.

Capite: un conto è portare la libertà dell’altro per quello che l’altro è, in tutta la sua integralità, e un conto è portare il suo peccato. Il peso del peccato si aggiunge al peso della sua libertà. Perché sarò di fronte a ciò che radicalmente distrugge la comunione. Questo è terribile.

E quindi domani metteremo proprio la mano sul nervo scoperto del portare i pesi gli uni degli altri che, se nella sua parte positiva è la libertà, nella sua parte negativa è proprio il peccato dell’altro.

Ed ecco perché vi ho detto: “Non cerchiamo il prete, la suora, la mamma e il papà supereroe per fidarci”. Perché se facciamo così stiamo uscendo dallo schema di Gesù, stiamo uscendo dal Vangelo. Noi dobbiamo cogliere quel peccato come l’occasione, non come un “nonostante”.

Domani, a Dio piacendo, ci concentreremo interamente su questo tema del peccato.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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