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Rut: la fedeltà “fedele”

Rut

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di venerdì 20 agosto 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Rut: la fedeltà “fedele”

Eccoci giunti a venerdì 20 agosto 2021. Oggi è la festa di San Bernardo Abate, Dottore della Chiesa, grandissimo Santo che tutti conosciamo ampiamente.

Abbiamo letto la prima lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal Primo Libro di Rut capitolo I.

Sarebbe bello se noi avessimo qualcuno per cui vivere così, come Rut per Noemi. Noi siamo invece molto portati a tornare al nostro Dio, alla nostra vita, al nostro lavoro, alle nostre cose, e a pensare ognuno per sé. Forse soprattutto oggi, nel contesto in cui viviamo, sembra abbastanza scontato che ognuno si preoccupi un po’ della sua sopravvivenza, del suo stare bene; però ci dimentichiamo che questa non è la vita per la quale siamo venuti al mondo, perché dice Gesù: “Non c’è bene più grande che dare la propria vita per gli amici”.

Se impostiamo la nostra esistenza sul “va bene, ci siamo visti, ci siamo salutati, siamo stati un po’ insieme, abbiamo fatto quello che dovevamo fare, adesso ognuno torna a casa sua…”

Rut ha uno stile vero, ha lo stile di colui che ha capito tutto di Dio e dell’uomo.

«Ecco, tua cognata è tornata dalla sua gente e dal suo dio; torna indietro anche tu, come tua cognata».

Ma Rut replicò: «Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te».

La situazione di Noemi è una situazione drammatica: il marito di Noemi muore, quindi lei rimane vedova, e poi moriranno anche Maclon e Chirion i suoi due figli, Noemi vede tutta la sua famiglia distrutta completamente, e Orpa con la quale è stata un po’ insieme mentre tornavano dai campi, se ne va, decide di tornare alla sua vita. Rut no, Rut non la lascia nonostante Noemi dica: “Ormai la mia vita è quella che è, non ho più niente”

Rut dice:

“Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò”

E arrivano a Betlemme. È interessante: stando insieme a Noemi arrivano a Betlemme, la Casa del Pane, e qui si potrebbero dire mille cose. 

Noi invece abbiamo paura di questi legami. Io non so neanche quanti matrimoni sono così. Quanti dei nostri matrimoni vivono dello spirito di Rut? Quanti dei nostri matrimoni sono abitati da questo spirito di Rut? Non lo so, è una domanda che vi butto lì, poi magari voi mi direte: “Tutti”, e io sono felicissimo, però a me non sembra che siamo tutti così, non mi sembra che molti siamo così, mi sembra che si abbia paura di legarsi. Noi siamo gli uomini e le donne dell’estemporaneo.

A noi una cosa piace fino a quando? Fino a quando non è impegnativa, fino a quando non sconvolge i miei piani, fino a quando non diventa un vincolo, una promessa, fino a quando la posso gestire io, la decido io. Ma poi da una parte abbiamo paura e dall’altra non ci va bene, non ci piace, perché vogliamo essere liberi di fare altro, infatti la frase tipica che noi diciamo è: “Sì ma, sarà per sempre? Sempre così? Da adesso allora io non sarò più libero di fare…? Adesso allora avremo questo impegno sempre?”

Parliamo così perché non lo vogliamo. Pensando a questa grandissima donna, Rut, Noemi ha perso tutto, ma ha trovato una donna meravigliosa, una vera amica. 

Guardate un bel campo di granoturco, cos’è che vedete?

Vedete queste belle piante alte, rigogliose, verdi, e assolutamente ferme e stabili, ben ancorate nel terreno, non vedete roba liquida, in movimento. 

È come quando noi diciamo: “Dimmi tutto, io voglio sapere tutto di te, tu ti devi aprire con me, devi essere sincero con me, aprimi il tuo cuore, consegnati a me, consegna la tua vita a me, dobbiamo consegnarci l’uno con l’altro.”

Sono cose bellissime, ma c’è una domanda successiva: una volta che io mi sono consegnato a te, una volta che io ti ho aperto tutto il mio cuore, che ti ho dato tutto me stesso, tu mi sai portare?

Io e te possiamo essere follemente innamorati, uno dell’altra, ma questo è sufficiente? Purtroppo non è sufficiente.

Essere innamorati non è sufficiente, essere innamorati dell’idea di diventare Sacerdoti, Monache, Frati, Suore, mamme, mogli, dottori, è sufficiente perché io lo possa vivere e fare? No.

È sufficiente fare la laurea in medicina per diventare dottore? No.

È sufficiente fare tutti gli esami di teologia per diventare prete? No.

È sufficiente che noi ci conosciamo, ci vogliamo bene, ci piacciamo, andiamo d’accordo per fare una famiglia? No.

Che cosa serve?

Serve capire, sperimentare, vedere se io sono in grado di portare quella scelta, di portare quella consegna, quell’affidamento. 

Sapete poi che cosa succede?

Voi sentite che le persone, praticamente quasi tutte, dicono:

“Io voglio la verità…”

“Dottore mi dica la verità della mia malattia, dei miei esami…”

“Dimmi la verità di quello che provi per me… io voglio sapere la verità di te, dimmi la tua verità.”

Oppure si sente dire: “Dobbiamo parlare schiettamente, non si può crescere in un’amicizia, in una fraternità, in una comunità, in una famiglia se non c’è verità, confronto, se non ci diciamo le cose chiaramente, le cose in faccia, le cose che non vanno.”

Benissimo. Ditemi se conoscete una persona che non sostenga questa tesi. Io non ho mai sentito nessuno dire il contrario, poi quando lo si fa, quando veramente uno inizia a dire la verità, si sente dire: “Adesso cosa facciamo? E adesso?”

Viene il panico, le chiusure, gente che fa il broncio, capricci, ritorsioni, vendette, risentimenti.

Ma scusa, me lo hai chiesto tu! Sei tu che mi hai detto che bisogna crescere nella verità, bisogna dirsi le cose come stanno, perché non c’è possibilità di fraternità, di amicizia, di amore se non c’è la verità. Ma la verità ha questo volto e questa carne! La verità è fatta anche di questo male. Non è che un albero di ciliegie è una grande ciliegia: è fatto di rami, di foglie, di corteccia, è fatto di tante cose. Quando vado a raccogliere le ciliegie mi posso tagliare un po’ le braccia, devo stare attento a non cadere dall’albero, devo fare tante attenzioni. 

Avete mai provato a raccogliere le pannocchie a mano in un campo di granoturco? Non è un’impresa semplice, è faticosissimo, esci che sei distrutto. 

Ma nella vita reale, questo non va bene, va bene finché è ideale, finché “ce lo diciamo”, oggi va di moda questo mantra, sapete ci sono delle frasi fatte che sono un po’ dei mantra, che se non le dici non ti sdogani, che fa un po’ moda dirle, allora le dico anche io, ma a me fan ridere: “Se non ce le diciamo…

Ma quando ce le siamo dette, dopo sono venuti fuori litigi, fazioni, bronci, permalosità, chiusure, liti e quant’altro.

“Ma questo fa parte dell’umano.”

No, questo non fa parte dell’umano, perché non c’è niente di umano in tutto questo, qui sta sotto un’antropologia pericolosissima che Benedetto XVI aveva già stigmatizzato. 

Noi sbagliamo quando diciamo: “È umano peccare”.

Benedetto XVI aveva detto che non c’è niente di umano nel peccato. Non dobbiamo mai dire che è umano peccare perché allora vuol dire che la Vergine Maria è disumana, vuol dire che San Giuseppe è disumano e quindi sicuramente vorrà dire che Gesù non è veramente uomo, perché siccome non ha peccato, era un’apparenza.

Questa è un’eresia già vissuta e superata, più o meno, speriamo.

La verità, che vuol dire la realtà, bisogna saperla portare, allora mi devo chiedere: “Ma io che voglio fare quel passo…”

Qualcuno mi ha detto che ho parlato tanto dei Sacerdoti, per due mesi del Sacerdozio, ma non parlo più della famiglia. Bene. adesso parliamo un po’ della famiglia. Anche se, per inciso è la stessa cosa perché siamo tutti chiamati alla santità, se l’affrontiamo dal punto di vista sacerdotale, o dal punto di vista coniugale è la stessa cosa. Quando parlo della famiglia il Sacerdote è coinvolto e quando parlo del Sacerdozio, la famiglia è coinvolta, non siamo a compartimenti stagni.

Quindi, riprendendo il discorso di prima, io che voglio fare una famiglia dico mi guardo e giungo alla conclusione: “Sì, ma non posso”.

“Ma io ti amo”

“Si anche io ti amo, ma non è sufficiente, io non posso fare questo passo perché io non sono in grado di portarti. Innanzi tutto perché non so portare neanche me, la mia verità, non me la so dire con verità, e secondariamente perché poi, nel momento in cui mi consegni la tua verità, io non so portarla perché mi viene l’angoscia, fuggo, scappo, chiudo le porte, evito le barriere, il confronto”

Noi andiamo d’accordo con chi? Con chi la pensa come noi. 

Di chi ci circondiamo? Guardiamoci nella nostra vita. Noi ci circondiamo di gente che sono dei cloni, gli uomini del sì, è tutta gente che dice sì, proprio come i pupazzi. Non ci mettiamo attorno persone che magari non la pensano come noi, perché è faticoso, solo che è lì che sta la ricchezza. Se io non so gestire la diversità, il fortemente diverso di me, non sono in grado di avere responsabilità. Non è una colpa ma un dato di fatto. Dovrei essere così onesto dal dire che non sono in grado, mi piacerebbe, vorrei ma per oggi non sono in grado.

“Vorrei sposarmi ma non sono in grado”.

Non sono in grado di portare la tua verità, perché nel momento in cui ho visto la tua debolezza, una tua fragilità, una tua immaturità io non sono stato in grado di portarla. Non sono in grado di dirti:

«Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio».

No. “Facciamo un Srl, una SpA, mettiamo insieme un po’ di soldi, facciamo due figli — uno è meglio perché poi è —, cominciamo una vita tranquilla, ci facciamo un po’ di compagnia e così andiamo avanti”

Una vita che se uno la guarda all’esterno pensa che è meglio andare a raccogliere le ciliegie.

Tutto questo perché non siamo in grado, non ci riusciamo. 

Rut non è che l’ha detto e basta, Rut l’ha fatto. Questo è il matrimonio, il Sacerdozio, essere amici, fare il medico e via di seguito, se no perdiamo di credibilità.

“Io devo andare a dire a quella persona che l’ho tradita.”

“Stai attento però, sei sicuro che quella persona è in grado di portare quel peso enorme? Perché se non sei sicuro, uccidi quella persona. Dovrebbe quella persona essere in grado di portarlo, perché è ovvio che nel momento in cui tu ti sposi tu hai già messo in conto che non stai sposando un Cherubino delle Milizie Angeliche, è già in conto che quella persona è fragilissima come lo sei tu, ma un conto è averlo nella testa e un conto è averlo nella vita come fa Rut che dice: “Sei vedova, ti sono morti i figli, non hai più niente, ma io indietro non ci torno, non faccio come Orpa, io ti seguo ovunque”

Non “nonostante”, questa è la parola rivelatrice, non “nonostante le tue debolezze, il tuo male, i tuoi peccati”, no, ma proprio a motivo di quelli io ti raccolgo, ti prendo e ti porto proprio in ragione di quelle cose che io vedo e conosco e che fanno parte della tua vita come della mia, perché tu hai le tue e io ho le mie. 

Solo che purtroppo le cose non stanno così e quindi cosa facciamo? Quindi ci nascondiamo come tra i canneti, che è una cosa terribile, vite da camaleonti, parallele, indicibili, ma non per fare il male, ma semplicemente per essere se stessi. Un po’ come quelli che dicono: “Io amo mio figlio”. Fino a dove? Questa è la domanda che dovremmo porre sempre.

“Io amo quella persona”. Fino a dove?

Quella persona ha la possibilità di dire a se stessa: “Io dicendo di me, essendo me, so che al di là di tutto e tutti, io sono amato”, come fa esattamente Rut con Noemi, che Tizio non mi lascia, che Caia non mi lascia quando vede che ho perso tutto, che non ho più niente, non mi lascia perché ha deciso precedentemente di accompagnarmi a Betlemme. 

Questa è la grande scoperta, se tu decidi di andare con Noemi, cosa scopri?

Scopri che c’è una Betlemme, che è un nome che ricorda altro. Ma questo lo puoi vivere solo se tu ci stai. Orpa non ha visto Betlemme, non ha vissuto a Betlemme, ha vissuto la sua misera vita, la sua vita normale, non ha fatto l’esperienza ultra liminale di Rut. Non è stata accanto al di là di tutto e nonostante tutto, che ripeto, questo “nonostante” a me è uscito di impulso ma è sbagliato, perché non è “nonostante il mio male”, ma è “con il mio male, con la mia fragilità”, è già in conto, non è uno scandalo, non può esserlo, perché sappiamo tutti che nessuno di noi è un angelo. Allora dovremmo avere tanta umiltà e saper dire dei no. 

“Vorrei vivere una vita con te”.

“Sì, anche a me piacerebbe ma non è possibile, perché io non sono adatto per questo, non ti farei del bene, perché io non so portare nessuno, solo me stesso o me stessa, forse”.

Capite che livello di maturazione ci deve essere prima di compiere certi passi? Perché dopo, una volta che sono compiuti, sono compiuti.

Una donna che non è in grado di saper portare, come fa quando avrà dei figli? Come fa ad averne la cura? È molti difficile averne cura.

“Sarebbe bello che dentro la nostra famiglia nostro figlio si aprisse e ci raccontasse, noi abbiamo un po’ intuito che cosa si porta dentro ma non ce lo vuole dire”

Ci sarà un motivo per cui non lo vuole dire, perché tu magari ti immagini A e invece è Z, e se lui dovesse dirti quella Z a te cosa ti succederebbe? Tu che reazione avresti?

Questo è il punto, tutto si gioca lì. E noi proprio perché non diciamo, non possiamo, non riusciamo a dire ciò che di vero portiamo nel cuore, questa esperienza di Rut, e di Noemi appare come un’esperienza così fascinosa, perché uno, qualunque sia la sua posizione, capisce che dentro a questa situazione c’è qualcosa di bellissimo, che più bello di così non si può, però tra il dire e il fare… Raccogliere, custodire e vivere quello che dice Rut non è semplicemente fare le cose assieme, volersi bene, non è così, perché la vita di una famiglia, di un Sacerdote non è un insieme di regole da rispettare, non è una spunta da eseguire giornalmente, non è portare a casa lo stipendio, non è solo questo, ci sono anche queste cose ma non è solo questo e lo sappiamo tutti, c’è bisogno di altro, di questa condivisione radicale, e noi lo sappiamo se abbiamo accanto qualcuno che a questo livello non c’è.

Io purtroppo devo dire che ho visto situazioni molto tristi da questo punto di vista, di gente che si è fidata, che alle parole: 

“Fidati, parlami, raccontami, dimmi, aprimi il tuo cuore”

Quello con una fatica enorme l’ha fatto, e poi cos’è successo?

È successo che la macchina si è fermata, la portiera si è aperta, e la persona si è trovata con la sua valigia in mezzo all’autostrada da sola.

“Mi dispiace ma io non riesco a portare queste cose. Mi dispiace ma così no”

Quindi è meglio la menzogna, è meglio mentire, nascondersi, fare buon viso a cattivo gioco, è meglio sembrare che essere?

Sì, è proprio così, perché con una personalità immatura, con una persona incapace di un confronto vero, serrato, radicale e profondo, non c’è un’altra via, purtroppo, non possiamo andare a combattere come Don Chisciotte, non c’è un’altra via che quella di “dire solo il dicibile”, quindi prima di fidarci di qualcuno e prima di consegnare la nostra vita, prima di dire “sì va bene”, pensiamoci bene, mettiamo alla prova. È una cosa che dobbiamo valutare in modo radicale, perché poi è per sempre, dopo da quelle scelte lì non si torna indietro più. 

Io di cuore vi auguro di trovare nella vostra vita una Rut, o un Rut, che qualcuno vi possa dire, ma soprattutto vivere quella bellissima espressione che abbiamo ascoltato poc’anzi che dice:

«Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio».

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen. 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

 

PRIMA LETTURA (Rt 1,1.3-6.14-16.22)

Al tempo dei giudici, ci fu nel paese una carestia e un uomo, [chiamato Elimèlec,] con la moglie Noemi e i suoi due figli emigrò da Betlemme di Giuda nei campi di Moab.
Poi Elimèlec, marito di Noemi, morì ed essa rimase con i suoi due figli. Questi sposarono donne moabite: una si chiamava Orpa e l’altra Rut. Abitarono in quel luogo per dieci anni. Poi morirono anche Maclon e Chilion, [figli di Noemi,] e la donna rimase senza i suoi due figli e senza il marito.
Allora intraprese il cammino di ritorno dai campi di Moab con le sue nuore, perché nei campi di Moab aveva sentito dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane.
Orpa si accomiatò con un bacio da sua suocera, Rut invece non si staccò da lei. Noemi le disse: «Ecco, tua cognata è tornata dalla sua gente e dal suo dio; torna indietro anche tu, come tua cognata». Ma Rut replicò: «Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio».
Così dunque tornò Noemi con Rut, la moabita, sua nuora, venuta dai campi di Moab. Esse arrivarono a Betlemme quando si cominciava a mietere l’orzo.

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