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S. Teresa di Gesù: le Fondazioni, VIII parte

Fondazioni 8

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di lunedì 13 settembre 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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S. Teresa di Gesù: le Fondazioni, VIII parte

Eccoci giunti a lunedì 13 settembre 2021. Oggi ricordiamo San Giovanni Crisostomo, Vescovo e Dottore della Chiesa, chiamato “bocca d’oro” per quanto sapeva predicare bene.

Abbiamo ascoltato la prima lettura della Santa Messa di oggi, tratta dalla lettera di San Paolo Apostolo a Timoteo capitolo II, versetti 01-08.

San Paolo ci chiede di pregare in ogni luogo, ovunque siamo, qualunque cosa facciamo. La nostra vita dovrebbe essere preghiera. 

“Alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.”

Anche se purtroppo non è sempre possibile vivere in questo stato di pace, perché voi sapete, proprio come dice San Giovanni Crisostomo, che c’è anche una santa ira, che non solo è giusta ma è doverosa in talune circostanze, quando ad esempio bisogna difendere il giusto, la verità, Dio. Già ve lo lessi, proprio lui disse: 

“Se non si esercita la santa ira si compie peccato grave, perché si permette il dilagare del male e lo scandalo dei giusti, dei buoni”.

Non dobbiamo essere sprovveduti, imprudenti, dobbiamo imparare ad essere scaltri, come scaltri sono i nemici di Dio.

 

Siamo arrivati al paragrafo 16, capitolo 5° del libro delle Fondazioni di Santa Teresa di Gesù. 

Scrive:

“16 – Oh, se conoscessimo la nostra grande miseria!… È perché non la conosciamo che troviamo pericoli dovunque!…

Perciò, sommamente utile per conoscere il nostro poco valore è che ci comandino delle cose esteriori. E io ritengo una maggior grazia di Dio passare un giorno solo in umile conoscimento di sé, sia pure a prezzo di grandi afflizioni e travagli, che non più giorni in orazione, tanto più che il vero amante non cessa mai d’amare e pensa sempre all’Amato in qualunque luogo si trovi.”

Incredibile Dio-incidenza, sembra che io abbia preparato esattamente per oggi questo paragrafo 16, invece no, sapete che io vi leggo molto “a braccio” le cose, è la Provvidenza che ha fatto cadere esattamente questo paragrafo 16 con la prima lettura di oggi.

Prosegue:

 “Sarebbe ben duro se soltanto nei nascondigli si potesse fare orazione! Capisco che non potrà essere un’orazione di molte ore. Ma quanta forza ha presso di Voi, Signore mio, anche un solo sospiro che ci esca dal profondo del cuore nel vedere che, non bastando il trovarci in esilio, non si è neppur liberi di star soli con Voi e godervi!…”

Essenziale è conoscere se stessi.

“umile conoscimento di sé”

Che vale più di giorni di orazioni. Un solo giorno passato così vale più di giorni in orazione. È importantissimo questo, perché vedete, il rischio qual è? È quello di accontentarci delle pratiche religiose, di dire preghiere, ma non crescere in niente nella conoscenza di noi stessi e non imparare niente nel metodo per conoscere noi stessi, per saperci guardare ed ascoltare interiormente.

Se non conosciamo noi stessi, come facciamo a conoscere la nostra grande miseria? E se non conosciamo la nostra grande miseria i pericoli vengono da qui, non vengono da altro, i pericoli non vengono dall’esterno, i pericoli vengono dall’interno, perché noi non ci conosciamo. 

Niente di ciò che sta fuori ci può fare del male, credetelo, niente, nulla, nessuno, neppure il diavolo ci può fare del male, ma se noi dall’interno non ci conosciamo allora lì vengono i pericoli. Perché? Perché noi esponiamo il fianco all’attacco del mondo, della carne, del demonio. Perché siamo imprudenti, superficiali, approssimativi, pasticcioni. Perché pensiamo di essere dei Santi, delle grandi e meravigliose persone e invece siamo dei poveretti e via di seguito. 

Se io ho la conoscenza di me stesso, se io so di avere la gamba rotta non mi metto a fare un salto di un metro perché se no mi spacco del tutto; se io so di avere problemi di cuore, non mi metto a fare la maratona di New York, perché altrimenti non torno a casa più; se io non so nuotare, non mi tuffo nell’Oceano; se io ho il diabete, non mi mangio un panettone. Ma devo saperlo. Se so di avere il cancro mi curo, ma se non lo so, muoio. 

Piccoli esempi per dire che cosa? Che se io lo so, se io mi conosco allora evito il pericolo, ma se io non mi conosco nel pericolo ci cado da solo, perché il panettone è lì e non fa male a nessuno, ma se sono diabetico non lo posso mangiare, il mare è bellissimo e non fa male a nessuno ma se io non so nuotare e mi tuffo dentro, annego.

Questo è il punto, ecco perché lei dice:

 “E io ritengo una maggior grazia di Dio passare un giorno solo in umile conoscimento di sé, sia pure a prezzo di grandi afflizioni e travagli, che non più giorni in orazione”

Ciò che conta è il conoscersi. Ma come si fa a conoscersi? Bisogna allenarsi e abituarsi all’introspezione davanti a Gesù, usando la Parola di Dio, è fondamentale questo. È fondamentale perché non è un’analisi psicoanalitica o psicologica. 

Noi, oggi, quando ci confessiamo, quando facciamo Direzione Spirituale, quando abbiamo qualcuno che è adibito alla nostra formazione, chiunque esso sia e qualunque ruolo ricopra, il discorso che taglio prende? Prende sempre un taglio psicologico, psicoanalitico, magari freudiano. Andate a vedere la storia di Freud, non dimentichiamo che Freud in filosofia fu uno dei tre maestri del sospetto, insieme a Marx e a Nietzsche. Tutto diventa un’analisi psicoanalitica, quindi quando io parlo di me, o cerco di parlare di me, si va a vedere la relazione con il padre (si comincia sempre da lì) il rapporto con il padre e la madre, il complesso di Edipo, le ferite affettive. Lì è come mettere un topo nel formaggio, è uguale. 

Di norma chi svolge questi compiti, e magari non ha nessun titolo per farlo, magari non sono neanche psicologi, spesse volte è gente ignorante, senza alcun titolo di studio che fa abuso di professione. Ma se non ho nessuna preparazione psicologica non mi metto a fare lo psicologo, se non ho fatto neanche un esame di psicologia, non mi metto a fare lo psicologo — o lo psichiatra, peggio ancora! — non mi metto a diagnosticare malattie psicologiche negli altri, quando io non so l’abc della psicologia, l’autodidatta non funziona. Con questi mestieranti della psicologia, quando si tratta della sfera affettiva, sessuale, genitale — e fra le tre c’è una differenza grande — è come mettere un topo in mezzo al gruviera, tutto va sempre a finire lì, perché se non si parla di quella roba, manca qualcosa, allora bisogna parlare delle ferite affettive, sessuali, delle tue impurità.

Ma cosa c’entrano queste cose? Non si sa. Oggi fa moda parlare di queste cose: se hai avuto un rapporto difficile con tuo padre, un complesso con tua madre, se hai fatto esperienza della tua nullità, della tua inconsistenza, del tuo essere niente, del tuo fallimento, del tuo essere incapace a fare tutto… Guarda, tira una somma e buttati giù dal ponte. Cosa stai al mondo a fare? Non sei capace di fare niente, sei il nulla, sei inconsistente, non hai certezza… Guai ad avere certezze a questo mondo! “Non ho certezze neanche di Dio, perché l’ignoto, l’oscuro… e poi sono ferito, sono debole…”

È più utile il panno che ho a casa per pulire i pavimenti. 

Questo non è il conoscere se stessi, questa è la psicologia che si impara forse alle 40 ore, per chi ha la forza di farle, ma non è il conoscimento di cui parla Santa Teresa. 

Il conoscimento di cui parla Santa Teresa, è l’umile conoscimento di sé, e umile non è un dettaglio, vuol dire costruito, partorito, generato nella verità, non è un dettaglio. 

Nella verità scoperte come? Non guardandomi l’ombelico, non facendo un ripiegamento su me stesso, un’auto riflessione su di me del tipo: “Impara a scrivere le tue paginette psicologgggiche con 4 g”.

Umile vuol dire vero, cioè che questa verità mi viene rivelata da Dio, non da me e neanche dall’altro.

“Padre Giorgio è impazzito, è andato fuori di testa, sta dicendo delle cose che non stanno né in cielo né in terra nè in ogni luogo”.

Guardate io mi baso sulla Scrittura, sapete, “la Parola”, “la Parola” che viene nominata spesso. Ma vivila la Parola! Conoscila la Parola! 

Pensiamo a quando il grande Re Davide commette il peccato di omicidio e di adulterio. Sono due i peccati che commette, anche se noi ne ricordiamo sempre uno solo, noi ricordiamo sempre Betzabea e il peccato di adulterio. Ma innanzitutto non possiamo dimenticare l’efferato, terribile, disgustoso peccato di omicidio che lui progettò contro il suo fedelissimo servo, amico, soldato Uria l’Ittita. Se il peccato che Davide ha commesso con Betzabea si può dire che lo abbia fatto perché ha perso la testa, faceva caldo e il calore gli è andato un po’ alla testa, quello commesso contro Uria l’Ittita è un peccato premeditato terribile, efferato, senza attenuanti: tenta di farlo ubriacare, cerca di mandarlo a casa da sua moglie — e non c’era l’esame del DNA, così se fosse nato un figlio si sarebbe pensato che fosse di Uria — quindi lo chiama alla sua tavola, lo fa mangiare, ubriacare e poi alla fine gli consegna il biglietto per il comandante dove c’era scritto: “Mettete Uria l’Ittita dove la guerra è più forte, efferata dove i nemici sono più forti e quando arriverà l’attacco sottraetevi da lui, lasciatelo solo così che muoia”. Una cosa terribile!

Questi due peccati, l’adulterio e l’omicidio di questo genere,  prima di andare a letto non viene in mente di averli commessi? No. Uno può commettere un omicidio così grave, ammazzare il suo migliore amico, il suo più fedele servo, rubargli la moglie — una roba da film giallo, da film d’orrore — fare tutto questo e andare a letto sereno, nonostante fosse il grande Re Davide, con tutto quello che Dio aveva fatto per lui. Evidentemente anche tutte le letture introspettive, psicologiche che lui poteva fare di se stesso, evidentemente non sono servite a molto e neanche il suo modo falso di rapportarsi con Dio è servito, perché era un’illusione.

Quando il grande Re Davide viene a conoscimento di sé? Quando lui scopre i peccati che ha fatto? Questo accade nell’incontro con il profeta Natan che, attraverso una parabola, un racconto, gli narra la sua storia.

Quando gli dice: “Tu sei quell’uomo”, il grande Re Davide finalmente si rende conto, anche se ormai è troppo tardi, dei suoi tremendi peccati. È solo nell’incontro vero e magari mediato dalla Parola di Dio e con la Parola di Dio, che io conosco veramente, umilmente me stesso, è solo così. 

In che modo io vengo liberato dalla mia cecità e posso finalmente vedere veramente?

Ricordate Saulo e Anania? Saulo diventa cieco, sarà nell’incontro con Anania che Saulo perderà le squame dagli occhi e tornerà a vedere. C’è poco di psicologico in questo, Anania non si fa raccontare il rapporto di Saulo con suo padre nell’adolescenza: “Ma che fatiche hai avuto nell’adolescenza con tuo padre? Ma parlami un po’, ma che ferite affettive hai? Ma quali sono i tuoi pregressi?” 

No, qui viene detto solamente “Tu sei quell’uomo”. Fine.

“No, ma sai, ho i miei problemi, ho le mie fatiche, sono fragile, faccio l’esperienza della mia inconsistenza, così sono senza certezze”. (Oggi guai avere certezze, è sintomo di psicosi avere certezze).

Io sono quell’uomo”, si parte da qui, senza sé e senza ma. Poi si possono avere pregressi, fatiche, va bene, ma cominciamo a conoscerci per quello che siamo oggi, davanti a Dio, attraverso la Parola di Dio e attraverso una buona, santa, dotta mediazione, di qualcuno che ci aiuta a fare verità, ma attraverso la Parola di Dio, alla luce della Parola di Dio. Ricordate tutta la lettura che abbiamo fatto di Larchet, di quanto questo psichiatra ci ha aiutato a vedere esattamente quello che vi ho detto fino ad adesso e, soprattutto, ricordate quando lui fece la distinzione chiarissima, tra la psicoanalisi soprattutto di origine freudiana e la spiritualità cristiana, con tutte le pagine bellissime che abbiamo letto di quel libro. 

Santa Teresa ci dice che:

“Il vero amante non cessa mai d’amare e pensa sempre all’Amato in qualunque luogo si trovi.”

Se lo ama, aggiungo io. Quindi se basta un piatto di “risi e bisi” — che dalle nostre parti è un piatto di riso coi piselli — per farmelo dimenticare, oppure un piatto di  “pisarei cui fasò” ecco, se uno perde la testa e lì si dimentica dell’amore, dell’amato del suo cuore, se basta questo, se basta un cestino di ciliegie, capite che non c’è proprio tanto amore. Basta vedere nelle cose che facciamo, quanto ci anneghiamo dentro, quanto troviamo gusto, piacere.

Scrive Santa Teresa:

“Sarebbe ben duro se soltanto nei nascondigli si potesse fare orazione!

Certo, se tu puoi pregare soltanto in chiesa siamo fritti, soprattutto di questi tempi, e non aggiungo altro.

“Capisco che non potrà essere un’orazione di molte ore. Ma quanta forza ha presso di Voi, Signore mio, anche un solo sospiro che ci esca dal profondo del cuore”

Basta un sospiro dice Santa Teresa, un desiderio.

“anche un solo sospiro che ci esca dal profondo del cuore nel vedere che, non bastando il trovarci in esilio, non si è neppur liberi di star soli con Voi e godervi!…”

Un desiderio, un sospiro, basta questo fatto dal profondo del cuore, con tutto il desiderio e l’anelito che si può avere verso Dio. Bellissima questa cosa.

“17 – Qui ci mostriamo veri schiavi di Dio, venduti volontariamente per amor suo alla virtù dell’obbedienza, dato che per essa rinunciamo perfino, in un certo qual modo, a godere di Lui: nulla di straordinario, del resto, se consideriamo che anch’Egli, per obbedienza, venne dal seno del Padre per farsi nostro schiavo.”

Veri schiavi di Dio perché ci vendiamo all’obbedienza, rinunziamo a tutto, anche al godere di Lui, come fecero i Santi. Se i superiori gli dicevano: “Stasera non vai a pregare, vai a letto a dormire”, andavano a letto a dormire.

 “In che modo migliore possiamo essergli riconoscenti per tanta grazia?

Però è necessario che nelle nostre opere esteriori, siano pure d’obbedienza e carità, cerchiamo sempre di non distrarci e di ritirarci spesso nell’interno col nostro Dio.”

Quindi magari, quando faccio queste cose non mi attacco la musica e la radio, perché questo mi distrae; le cose che devi fare, falle, ma in silenzio, condotte dallo Spirito di Dio, alla presenza di Dio. 

Mi è sempre piaciuto, mi ricordo, quando in convento, in Postulandato ebbi la grazia di vivere insieme alle suore. Nel nostro convento c’era una sezione dedicata alle suore carmelitane di vita attiva che aiutavano i Padri a gestire la casa di preghiera, il convento e mangiavamo insieme, frati e suore. Bellissime. Noi postulanti mangiavamo nei tavoli delle suore. Io avevo accanto a me una suora che si chiamava suor Felipa, spagnola, adesso è morta, meravigliosa, di una dolcezza… Sorrido perché mi vengono in mente tanti di quegli aneddoti che potrei raccontarvi con queste suorine meravigliose. I miei sei mesi di Postulandato sono stati uno dei tempi più belli della mia vita, sembrava di essere in Paradiso, circondato veramente da anime sante, sei mesi di Paradiso, sembrava di non essere più neanche in terra. Mi ricordo queste suore quando lavoravano, cioè vuol dire dalla mattina alla sera. Suor Felipa era adibita alla stireria, io non ho mai visto nessuno stirare bene come stirava lei, una cosa incredibile, ti veniva persino male ad aprire le magliette e a metterle su, per come lei le preparava, le lavava, le stirava, per come te le metteva lì, una dolcezza questa donna, un sorriso, un rigore, una precisione, mai che frignava e si lamentava. La stireria, la lavanderia era il suo luogo. Mi ricordo i tovaglioli che ci faceva trovare: questi tovaglioli belli, grandi, puliti, profumati, tutti ben stirati… e come li metteva lì, come te li preparava, bellissimo! Stirava tutto, persino le calze, persino gli slip, tutto! Una donna incredibile. Tu scendevi in lavanderia, lei aveva davanti le finestre con il giardino, c’era un silenzio… Poi c’era suor Giacinta, noi la prendavamo in giro perché lei non camminava, lei andava sui monopattini, mi girava la testa quando mi passava attorno, sembrava di vedere speedy Gonzales, non la vedevi, poi giravi la testa ed era di là, tu non facevi in tempo ad avere un desiderio, un pensiero, che lei lo aveva già realizzato, lo aveva già fatto, quando tu ti accorgevi che in tavola mancava qualcosa, lei lo aveva già sistemato. 

Mi ricordo quando c’erano gli ospiti che mi è capitato di dire: “Caspita, ho dimenticato il pane”. Lei, speedy Gonzales, con i suoi monopattini — non li aveva davvero, lo dicevamo noi che li aveva — lei era già andata in cucina, aveva già preso il pane e glielo portava su un piattino. 

Mica come gli scappati di casa, questi “Maramei”, figli di Filistei, che ti sbattono la roba davanti come se fossi un cane o come se fossi davanti ad un trogolo. Che tristezza! 

“Usiamo i tovaglioli di carta! Ma cosa ci interessa? Non dobbiamo fare i borghesi perbenisti. Ma perché i tovaglioli di carta? Ma usiamo le braccia, i gomiti! Fantastico! Così poi usciamo anche un po’ colorati. Usiamo le mani, ma va bene tutto!”

Questo gusto dello schifo, dell’orrore, dello sciatto, del buttato lì, dello sporco, oggi va molto di moda. Invece un tempo c’era il gusto della bellezza, dell’ordine, della pulizia. Ma lavati un po’! Ma tirati insieme! Ma fatti una doccia! Ci sono di quelle puzze, ma lavati! Se hai bisogno ti regalo una saponetta, oppure ti faccio un giro di lavatrice “a gratis”.

“Non distrarci”

Non fate come Padre Giorgio quando fa le meditazioni che ogni tanto va un po’ per campi. 

“Non distrarci”

Loro non si distraevano mai, erano sempre lì tutte concentrate al loro lavoro. Ognuno il suo, come delle api nell’alveare.

Santa Teresa dice:

   “Cerchiamo sempre di non distrarci e di ritirarci spesso nell’interno col nostro Dio.

No, non è lo stare a lungo in orazione che fa avanzare l’anima. Quando ci s’impiega esteriormente con ogni perfezione, vi si trova un aiuto prezioso per accendersi in amore molto più facilmente e in minor tempo che non in molte ore di meditazione. Ma tutto ci deve venire da Dio. – Sia Egli per sempre benedetto!”

Non è lo stare tante ore in Chiesa, no.

“Quando ci s’impiega esteriormente con ogni perfezione, vi si trova un aiuto prezioso per accendersi in amore molto più facilmente e in minor tempo che non in molte ore di meditazione.”

Quindi impegniamoci a fare bene il nostro dovere e il nostro lavoro, senza impiegarci dieci anni per portare a casa un titolo di studio. Tirati insieme! Ma mettiti su quei libri e studia invece di rubare soldi a tradimento!

Impariamo a fare bene il nostro dovere. Dobbiamo studiare? Studiamo. Dobbiamo dare gli esami? Diamo questi esami. Dobbiamo lavorare? Lavoriamo bene. Dobbiamo fare le analisi di laboratorio? Fatele bene queste analisi. Devi fare il dottore? Fallo bene. Devi fare il prete? Fai bene il prete. Devi fare la mamma? Falla bene. 

“con ogni perfezione”

 E senza distrarti dalla presenza di Dio, vedrai che il tuo amore per il Signore decollerà velocemente, dice Santa Teresa, e in minor tempo, che non lo stare in preghiera dalla mattina alla sera.

 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen. 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

 

PRIMA LETTURA (1 Tm 2, 1-8)

Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.

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