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“Condotta per passare santamente la Quaresima”, del p. Avrillon. Parte 43

“Condotta per passare santamente la Quaresima” - p. Avrillon

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di martedì 12 aprile 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Scarica il testo della meditazione

“Condotta per passare santamente la Quaresima”, del p. Avrillon. Parte 43

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 12 aprile 2022, martedì della Settimana Santa. Andiamo avanti con la lettura del nostro testo di Padre Avrillon, oggi siamo al “Giorno di patimento”.

Martedì Santo – Giorno di patimento

“Siccome siamo in una settimana tutta santa, perché ella è consacrata dalla Chiesa alla memoria di Gesù penante, investitevi di questo spirito, e fatevi una continua pratica di patimenti. Fate una risoluzione generosa di patire con ispirito di viva fede, di vera penitenza e di sincera conformità con Gesù, tutte le afflizioni che a lui piacerà di mandarvi, e di mortificare voi stesso, quando non abbiate da altra parte motivo di patire. Abbiate sempre dinanzi agli occhi questo divino e doloroso esemplare; patite per lui, con lui e come lui. Andate spesso ora nell’orto in cui la sua anima soffre una mortale agonia, la quale gli fa sparger sangue da tutto il suo corpo, ora nel pretorio dov’è flagellato e coronato di spine, ed ora sul Calvario dov’è crocifisso. Soprattutto fatevi oggi una legge inviolabile di non concedere a’ vostri sensi cosa alcuna che possa lusingarli, ed offerite tutte le vostre mortificazioni a Gesù penante”.

Ecco, è un giorno di patimento, quello di oggi, ci stiamo proprio preparando ad entrare nel Triduo Santo, quindi, offriamo tutto al Signore e ringraziamo il Signore per le croci che oggi avremo, fisiche e/o spirituali, e teniamo come modello Gesù.

Meditazione sui pentimenti, tratta dal Vangelo.

“Quanto a me, io era come un agnello pieno di mansuetudine, che è portato a sacrificarsi. Geremia parla qui letteralmente di se stesso, come un particolare, sulle persecuzioni che ha sofferte; ma come Profeta parla di Gesù, che è l’agnello figurato e sacrificato fin dal principio del mondo nell’innocente Abele. Eccovi dunque quest’agnello sì mansueto e sì paziente, che va alla morte perchè ci ama e si è addossato tutti i nostri peccati per portarne la pena”.

Tra l’altro, vi dico una ricorrenza importante di oggi, di cui mi stavo dimenticando. Il 12 aprile del 1947 avvenne l’apparizione della Vergine della Rivelazione a Bruno Cornacchiola alle Tre Fontane. Ecco, facciamo memoria di questo grande evento e andiamo a rileggere i dettagli di quella apparizione e il messaggio.

Riprendiamo il testo di p. Avrillon:

“Quest’agnello, che è Dio, va a far sulla croce un’unione sorprendente di due qualità, che erano sempre state separate; cioè a dire della vittima e del sacrificatore. Coma vittima va a pagare tutti i nostri debiti, come sacrificatore va ad offerire il primo sacrifizio della nostra religione. La croce ne sarà il primo altare e la culla sanguinosa, in cui tutti i fedeli nasceranno ed il fermo fondamento che sosterrà tutto l’edifizio del cristianesimo”.

Questa è la croce…

“Da ciò ne viene che il cristianesimo si è stabilito in tutto il mondo pei patimenti; nè può stabilirsi e sostenersi nelle nostre anime che per questi”.

Quindi, noi dobbiamo fondare la nostra fortezza sulla croce.

“Se avete mai fatta una seria riflessione sulla condotta di Dio a vostro riguardo, confesserete che quando vi siete allontanato dai vostri doveri, Iddio per mezzo de’ patimenti vi ha ricondotto al centro della religione, che la prosperità vi avea fatta dimenticare”.

Succede spesso che, quando stiamo bene, dimentichiamo i nostri doveri, dimentichiamo velocemente il rapporto con Dio; poi arrivano le sofferenze e allora ritorniamo in asse.

“Infatti noi allora alziamo per necessità gli occhi al cielo, invochiamo il Signore; la grazia opera sulle anime nostre; cominciamo a conoscere che questi patimenti ci erano necessari per deliniare nei nostri cuori i caratteri del cristianesimo quasi scancellati. Conosciamo la debolezza estrema delle creature alle quali siamo ricorsi sul principio delle nostre afflizioni”.

Perché noi, ovviamente, andiamo sempre dalle persone per essere consolati.

“E persuasi di questa debolezza, la quale non ci ha recata che una sterile consolazione, e non ci ha liberati dalle nostre pene, ricorriamo a Dio…”

Dopo, in fondo, per ultimo.

“…in cui troviamo tutto ciò che abbiamo desiderato, quando lo abbiamo pregato con tutto il cuore…”

Quindi, di fatto, quando noi ricorriamo alle persone, che cosa sperimentiamo? Una consolazione… poverine, che consolazione possiamo dare noi? Sì, quel poco… ma certamente non possiamo liberare dalle pene nessuno, perché, di fatto, solo Dio può fare questo.

Quindi, questa avversità che mi capita è un bene, perché mi ha fatto comprendere l’essenzialità del rapporto con Dio e che ancora non ero bene istruito nelle “cose” di Dio. Ecco, la sofferenza, la croce, mi portano ad arrivare a questi ragionamenti essenziali.

“La fede unita ai patimenti serve di guida al nostro spirito ed al nostro cuore. Dica ognuno a se stesso: un innocente ha patito; bisogna adunque con più ragione che io patisca, perché son peccatore. Se ricuso di patire, porto indegnamente il nome di cristiano, perché non sono somigliante a Gesù, il quale non ha stabilito il cristianesimo che nei patimenti. Mettiamo il legno nel suo pane, esterminiamolo dalla terra, ed il suo nome sia scancellato dalla memoria degli uomini. Cioè a dire, secondo i santi Padri, mescoliamo un legno avvelenato nel suo pane per farlo morire, oppure diamo a lui invece del suo pane il legno mortale della croce, per esterminarlo, per scancellare il suo nome. Se esaminate bene queste parole, vi troverete tre brutti oltraggi. Primieramente i suoi nemici vogliono avvelenare il suo pane col legno, e questo Salvatore è egli stesso il pane vivo che guarisce dal veleno e dà vita a tutti gli uomini. Con questo legno mortale vogliono esterminarlo, ed appunto con un tal legno questo re de’ re stabilirà il suo Impero su tutta la terra. Finalmente vogliono scancellare il suo nome dalla memoria degli uomini, ed è che per i patimenti il suo nome adorabile sarà rispettato dal cielo e dalla terra ed anche dall’inferno. In una parola pei patimenti, dice l’Apostolo, Gesù ha acquistata la sua gloria, e per conseguenza pei patimenti meriterete quella che vi è promessa. Riceveteli con pazienza, uniteli a quelli di Gesù, egli ve li renderà dolci, e vi produrranno sicuramente un’eterna felicità. La vostra rassegnazione lo chiama al vostro aiuto, egli vi viene, fa sentire la sua adorabile presenza, egli è nella tribolazione con voi, egli porta la miglior parte della vostra pena, vi soccorre a portar l’altra, vi consola, asciuga le vostre lagrime, vi santifica e finalmente vi corona. Un uomo mondano, stato sempre schiavo della sua carne, che niente ha negato ai suoi sensi e non ha avuta altra premura che di cercare i piaceri, s’impazienta al minimo dolore, ed è ingegnoso ad accrescer la sua pena senza renderla meritoria. Egli è vero che mentre patisce cerca il sollievo nelle creature e nei piaceri, ma se ha un poco di fede, deve convenire che l’aver ricorso a questo preteso rimedio, è un ingannare o almeno addormentare il suo dolore e non superarlo”.

Se vogliamo superare il nostro dolore, andiamo da Gesù, e basta, perché gli uomini non possono fare granché.

Sentiamo questa bellissima preghiera:

“Agnello mansueto e paziente, che vi lasciate portare sopra l’altare della croce per esser la vittima de’ miei peccati, che lasciate versare il vostro sangue fino all’ultima goccia per risparmiare il mio, che soffrite i più crudeli supplizi per liberarmi da quelli dell’inferno, e per procurarmi eterni contenti; e che morite finalmente di una morte la più dolorosa per darmi la vita della grazia e quella della gloria. Insegnatemi in questo santo tempo, consacrato alle vostre pene e alla vostra morte di soffrire per vostro amore e pei miei peccati, a morire a tutti i piaceri dei sensi e a me stesso, per non vivere che per voi solo. Io non posso pensare alle vostre pene, né seguirvi in ispirito per tutte le strade sanguinose della vostra passione, senza che il mio cuore non mandi profondi gemiti sui miei disordini, sulle mie delicatezze, sul cattivo uso dei patimenti, che mi avete mandati per soddisfare a’ miei peccati e per comprare il cielo. La mia coscienza mi rimprovera d’aver portato con tanta indegnità il nome di cristiano, non avendo adempito neppur ad uno degli obblighi essenziali, i quali consistono nell’imitarvi nei vostri patimenti. Io voglio, mio Salvatore, rimediarvi colla vostra grazia, dicendovi sin da ora con S. Agostino: — bellissima questa espressione — bruciate, tagliate, o Signore, finché son vivo, purché mi perdoniate per l’eternità. Umiliate questo spirito d’orgoglio che tante volte si è rivoltato contro di voi; private questo cuore carnale d’ogni altro piacere fuorché di quello di amarvi, perch’egli ha troppo amato i piaceri dei sensi; e questa carne peccatrice sia pure esposta ai dolori più acerbi, per farle espiare le sue delicatezze, purché voi me ne diate la forza e la grazia in questa vita e la gloria eterna nell’altra”.

Mi sembra che oggi abbiamo motivi di grande riflessione e disponibilità alla sofferenza.

Domani, Mercoledì Santo, vedremo il “Giorno di pazienza”.

 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

VANGELO (Gv 13, 21-33. 36-38)

In quel tempo, [mentre era a mensa con i suoi discepoli,] Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà».
I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui.
Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte.
Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire».
Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte».

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