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“Condotta per passare santamente la Quaresima”, del p. Avrillon. Parte 44

“Condotta per passare santamente la Quaresima” - p. Avrillon

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di mercoledì 13 aprile 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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“Condotta per passare santamente la Quaresima”, del p. Avrillon. Parte 44

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a mercoledì 13 aprile 2022.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo XXVI di San Matteo, versetti 14-25.

Oggi ricorre anche l’anniversario della morte del Beato Rolando Rivi, avvenuta il 13 aprile del 1945, e noi non possiamo mai dimenticare questo giovane seminarista, che muore per la sua fedeltà alla veste. I partigiani lo hanno ammazzato brutalmente, crudelmente, perché lui portava la veste, come era suo diritto e dovere fare, perché era il segno che lui era di Gesù. Così, infatti, lui dice alla mamma: «Perché la devo togliere? Che male faccio a portare la veste?». Nessun male, era suo dovere ed era suo diritto farlo, era un seminarista, e per questo viene ammazzato.

Allora, sotto la protezione del Beato Rolando Rivi, quest’oggi leggiamo quello che scrive Padre Avrillon sul Mercoledì Santo, il “Giorno di pazienza”.

Mercoledì Santo – Giorno di pazienza

“Non perdete oggi di vista presenza di Gesù penante…”

Sicuramente il Beato Rolando Rivi, mentre veniva torturato, seviziato, aveva davanti ai suoi occhi Gesù penante.

“…di cui il profeta Isaia ci fa una sì viva pittura, ed un sì doloroso racconto nell’epistola della santa messa. Non vi occupate solamente a considerare gli oltraggi e i dolori eccessivi che soffre; ma contemplate ancora la mansuetudine e la pazienza eroica che egli pratica penando. Gemete sovente fra giorno sulle vostre passate impazienze, che vi hanno rapito tutto il merito che avreste acquistato coi vostri patimenti. Non vi lamentate di niente, qualunque cosa vi accada in contrario; persuadetevi che le vostre pene sono un nulla in paragone di quelle di Gesù, e che meritate di patire perchè siete peccatore. Fate dunque spesso atti di sommissione e di rassegnazione alla volontà di Dio, con un cuore sempre disposto a patire. In questa maniera acquisterete la pazienza e meriterete quella eterna corona che vi è preparata”.

Quindi, quest’oggi dobbiamo avere davanti agli occhi, ci dice Padre Avrillon, l’immagine di Gesù che patisce ed è un bene imparare, ogni giorno, a fare atti di sottomissione, atti di rassegnazione alla Volontà di Dio. Questa è sicuramente una cosa bellissima, che dovrebbe accompagnare, penso, tutti noi, ogni giorno, all’inizio del nostro giorno.

Conosco una bellissima preghiera, un Atto di rassegnazione alla Divina Volontà, che vi voglio leggere perché mi piace molto:

Che cosa mi accadrà oggi, o Dio mio? Io non lo so.

Solamente so che nulla mi accadrà che Voi non abbiate preveduto, regolato e ordinato da tutta l’eternità.

Ciò mi basta, mio Dio, ciò mi basta; io adoro i Vostri disegni eterni ed impenetrabili; io mi ci sottometto con tutto il cuore per amor Vostro, Io voglio tutto, accetto tutto, Vi faccio un sacrificio di tutto, e unisco questo sacrificio a quello di Gesù Cristo, mio Divin Salvatore.

Questo Atto di rassegnazione è una preghiera bellissima, che esprime molto bene quanto Padre Avrillon ci sta dicendo.

Impariamo a patire con pazienza, impariamo a non lamentarci, impariamo a dire “Grazie” al Signore, quando ci succede qualcosa che non era previsto.

Adesso vediamo la meditazione sulla pazienza tratta dall’Epistola della Messa, che noi non abbiamo letto.

Meditazione sulla pazienza, tratta dall’ epistola della messa.

“Egli è sembrato a noi un oggetto di disprezzo, l’ultimo degli uomini, un uomo di dolori, che sa ciò che sia il patire. Niente vi è di più forte e di più urgente per impegnarci alla pazienza, quanto l’esempio d’un Dio salvatore. Ciò che ne dicono gli Evangelisti è divino per stabilire la pazienza d’un cristiano sopra quella che Gesù ha praticata nella sua vita mortale, e soprattutto nel corso della sua passione; ma ciò che ne dice il profeta Isaia ha in un senso ancor più peso; e porta un carattere singolare di divinità che reca meraviglia, perché parla ottocent’anni prima che la sua profezia si fosse adempita col fatto e ne segna tutte le circostanze, come se avesse veduto questo Salvatore sul Calvario tra le mani dei suoi carnefici nel mentre che gli Evangelisti non dicono che quello che è accaduto. Noi l’abbiamo veduto, dice questo Profeta, rapito in ispirito, senza bellezza e senza splendore. Egli ci è parso un oggetto di disprezzo, un uomo di dolori, che sa ciò che sia il patire. Infatti egli ha sofferto la sete, la fame; egli ha pianto, ha sospirato, è stato oltraggiato e coperto di piaghe e di ferite, ma ciò non basta; egli ha sofferto tutti questi dolori con una eroica pazienza. Ecco il divino originale che dobbiamo imitare: ecco il modello della pazienza che la Chiesa ci mette oggi dinanzi gli occhi, e a noi appartiene di seguitarlo”.

Vedete quanto è importante avere davanti agli occhi quest’uomo, Gesù di Nazareth, che ha sofferto la fame, ha sofferto la sete, ha sofferto il disprezzo, le botte…

Questa è una domanda che voglio farvi (e ciascuno risponderà nel suo silenzio): «Nella vostra vita siete mai stati picchiati?». Non è quell’essere picchiati del fare a botte, quando io e Tizio ci pestiamo, no, no, quell’essere picchiati dove tu solo le prendi, l’essere picchiati del bullismo.

Gesù è stato vittima del bullismo, di una forma efferata, diabolica, suprema e spietata di bullismo, perché si è trovato consegnato, si è trovato abbandonato, tra le mani di vigliacchi, di bulli vigliacchi, che Lo hanno bullizzato in un modo ferocissimo, perché di fatto non c’era bisogno di flagellarLo, nessuno lo aveva chiesto.

Andate a leggere la Passione, neanche gli scribi e i farisei avevano chiesto che venisse flagellato, loro hanno chiesto che venisse crocifisso.

Quindi, Lo hanno flagellato, perché Pilato — il grande Pilato, quello che Lo voleva salvare — Gliene ha fatte di tutti i colori prima di farLo morire in croce; anche lui Lo ha bullizzato, quando ha detto: «Ecco il vostro Re, ecco il Re dei Giudei», e così ha buttato ancora più benzina sul fuoco.

Lo hanno flagellato (e non era richiesto), ed è stato un bagno di sangue, una macelleria, quella flagellazione, credo peggiore della crocifissione; poi Lo hanno menato, bastonato, schiaffeggiato, Gli hanno sputato adddosso e poi (cosa che non c’entrava niente e a nessuno era venuto in mente di chiederla) Lo hanno coronato di spine.

Perché? Nessuno lo aveva chiesto. Quelli che Lo avevano consegnato perché fosse ammazzato non l’hanno chiesto. Non hanno chiesto né la flagellazione né la coronazione di spine, hanno chiesto che venisse crocifisso, punto e basta, come i due ladroni, come un qualunque malfattore.

Eppure questi si sono scatenati in modo diabolico, e questa è una forma di bullismo gravissima, perché Gesù era da solo, ed era assolutamente indifeso, era assolutamente inerme, mentre quelli erano soldati, nerboruti, tanti, e tutti i Suoi amici erano scappati.

Prima gli amici Gli dicevano: «Io qua e io là, per te… Tu sei qui e Tu sei là… Io do la vita, io do tutto per Te… Tu sei il mio Dio… Tu sei  questo, Tu sei quello… Tu sei il Figlio di Dio…», e poi spariti. Tutti spariti.

Quindi i soldati hanno fatto quello che hanno voluto, fino a lasciare un’ombra umana, non un essere umano ma un’ombra di uomo.

Ripeto la domanda: «Avete mai provato ad essere bullizzati? Avete mai provato ad essere pestati, senza poter reagire?»

Pensiamo (io purtroppo ne ho conosciuti) ai bambini, ai ragazzi, picchiati a cinghiate, quando va bene, se non in altre maniere, dal padre…

Io in carcere conobbi un ragazzo che, quando tornava a casa da scuola con la sorellina, il papà gli faceva mettere le mani sul tavolo, gli faceva aprire le dita, e poi prendeva il coltello, lo girava a punta in giù, e passava il coltello tra un dito e l’altro. Era ubriaco marcio. Voi immaginatevi un bambino… la paura, il disorientamento, il terrore… Già anche da parte di uno sano, vedersi passare un coltello in mezzo alle dita, non è facile, ma da parte di uno ubriaco, che mentre lo fa ride… E se sbaglia? La mano di un bambino quanto è grande? Le dita di un bambino quanto sono grandi? Pensate al terrore… Poi i segni sulla schiena per le cinghiate prese…

Oppure pensiamo a quei ragazzi che si sono suicidati perché vittime del bullismo a scuola, una piaga terribile… mentre tutti gli altri giravano la testa dall’altra parte, mentre li lasciavano lì da soli a essere pestati fino al sangue, ad essere umiliati nel modo peggiore possibile, senza poter fare niente, fino a quando i loro aguzzini ne avevano voglia.

Pensate ad una violenza come lo stupro, pensate a quelle violenze terribili domestiche, dove le mamme vengono picchiate, magari davanti ai figli…

Quanti sono i casi, terrificanti, criminali, nei quali si presenta, con forme diverse, questa passione di Gesù!

Quando noi facciamo i frignoni perché dobbiamo fare una mezz’ora di digiuno, pensiamo a tutte queste persone, che condividono questi dolori atroci di Gesù.

Oltre al fatto che bisogna ribellarsi, bisogna chiedere aiuto, bisogna denunciare queste cose, non si possono passare sotto silenzio. Qualunque sia il prezzo da pagare, bisogna denunciare queste cose, bisogna parlarne, avere qualcuno con cui parlarne. Qualunque forma di bullismo, qualunque forma di discriminazione, che sia sessuale, che sia religiosa, che sia politica, qualunque essa sia, è una cosa criminale, abominevole, che va denunciata, che va risolta, perché accanto a noi possiamo avere degli altri Gesù, che stanno realizzando nella loro vita questa Passione del Signore, e noi non possiamo fare come hanno fatto i discepoli che hanno girato la testa dall’altra parte, perché se no diventiamo complici.

Non possiamo lasciare una persona ad affogare nel suo sangue, vanno aiutate le vittime! E sono sempre vittime, non è mai per colpa loro ciò che accade. Perchè in più, quando succedono queste cose, gli altri li fanno sentire anche sbagliati: «È colpa tua se… perché non ti sai difendere, perché non sai fare questo… perché non sai fare quello… perché ti sei vestito così… perché dovevi vestirti cosà…»

Ma cosa vuol dire? Non sono mica una preda, eh? Ma che ragionamenti sono? Adesso una ragazza non può vestirsi come vuole, perché se no succede che…? Ma siamo impazziti? Non siamo mica nella giungla in mezzo alle pantere! Uno deve essere libero di vestirsi come vuole.

Il discorso morale è un’altra cosa. Io posso fare poi un discorso morale su tutto quello che voglio, ma è un altro discorso, è un’altra questione; ognuno, però, deve essere libero di vivere la propria vita (nel rispetto degli altri) come più si sente di viverla, e deve essere libero di vestirsi come si sente di vestirsi, certo nel rispetto delle norme civili, nel rispetto della decenza e tutto quello che volete. Uno non deve uscire di casa pensando che è una preda, e che quindi deve andare in giro con un lenzuolo che lo copra dalla testa ai piedi, ma no!

Qualcuno dice: «Eh no, perché se no è una provocazione…». Ma che provocazione! Una persona deve essere e deve sentirsi serena, libera e protetta nella sua persona, deve poter vivere la propria vita nel modo in cui, in quel momento, reputa opportuno e più giusto viverla.

Del resto, chi di noi non ha fatto sbagli? Questo cosa vuole dire, che devo essere preso, rapito, menato, e non so cos’altro? Ma stiamo scherzando? Va bene, se sbaglio, col tempo capirò, ma posso essere libero di sbagliare? Ovviamente finché non faccio del male a nessuno.

Dentro a tutte queste piaghe, a tutte queste ferite, la cosa più triste è che spesse volte uno non sa con chi parlarne, questa è la cosa più triste.

Come Gesù, che è lasciato solo, non solo fisicamente, cioè nel senso che non c’è nessuno che lo difende, ma non può avere nemmeno una compagnia umana… va l’Angelo a consolarlo, avete capito? Gli altri sono là che dormono, non hanno capito niente, loro dormono, dormono…

C’è chi dice: «Eh ma io devo dormire, ho i miei cicli, devo dormire, devo riposare, perché se non dormo, poi mi agito, poi le mie ghiandole surrenali, i miei ormoni… poi ingrasso… poi…»

Gesù è solo, come tante persone oggi, che non possono parlare con nessuno, non hanno nessuno con cui confidarsi, perché immediatamente si sentono giudicate, immediatamente si sentono etichettate, immediatamente sentono di essere sbagliate.

È terribile che siamo proprio noi a fare queste cose, è veramente terribile!

Sapete che io sono innamorato di Madre Teresa di Calcutta, no?

A parte che l’ho conosciuta, ma, al di là di questo, è una donna che veramente, da sempre, da quando ero ragazzo, ha rapito il mio cuore. Poi, quando l’ho conosciuta, vabbè, non ne parliamo…

Quando io ho iniziato ad andare in carcere, come vi dicevo, andavo in questo Raggio (VI Raggio, al secondo piano), dove c’era proprio la parte più drammatica dell’umanità (loro la chiamano “il peggio del peggio”), e io avevo ventidue anni, ero proprio giovanissimo.

Erano tante le domande che nascevano nella mia mente, incontrando queste persone…

Mi ricordo che un giorno, credo per la Provvidenza di Dio (stiamo parlando degli anni 90, non di ieri, perché adesso sono cambiate tante cose; chi ha conosciuto gli anni 90, sa di cosa sto parlando), ebbi la grazia di ascoltare una testimonianza, un video, o lessi un articolo (adesso non ricordo bene cosa fosse, perché sono passati tantissimi anni), dove Madre Teresa veniva intervistata…

[Nell’audio della meditazione si sente un suono di campane]

Ecco, adesso è partito il sottofondo di queste campane… che ci sostengono, ed è bello dirvi queste cose con le campane, perché sono ricordi che mi commuovono sempre, anche tanto.

Voi sapete che le Figlie di Madre Teresa (lo trovate scritto nel bellissimo libro “La Città della gioia”) furono le prime ad andare in America a curare i malati di AIDS quando scoppiò la malattia, perché nessuno se ne voleva occupare e gli “amanti dell’umanità” li buttarono nei ghetti fuori dalla città, perché avevano paura di essere contagiati. Nessun dottore voleva andare, perché non si sapeva ancora come si trasmetteva la malattia. Quindi, Madre Teresa manda le sue suorine, e poi ci va lei, a curare nei primi “Lazzaretti”, diciamo così, i primi luoghi dove ospitavano questi ragazzi.

Fu in una di quelle occasioni che venne chiesto a Madre Teresa: «Lei cosa ne pensa dell’omosessualità?»

E Madre Teresa rispose così: «Questa parola non mi piace, io li chiamo gli “amici di Gesù”».

Io ricordo che, dopo aver ascoltato questa cosa di Madre Teresa, nel mio cuore di ragazzo si aprì un sole proprio, perché, tornando in carcere, ci tornavo con questa armonia nel cuore, capite?… con questa musica che adesso sentite, di queste campane che suonano.

Ecco, io tornavo così in quel luogo, ci sono tornato così.

Mi ricordo che ne ho subito parlato con alcuni detenuti, e fu bellissimo, veramente…

Uno di loro, un transessuale, lo ricordo ancora (non me lo dimenticherò mai questo ragazzo, il nome d’arte non me lo ricordo più, ma il suo nome era Alberto), un giorno mi si avvicinò e mi disse: «Io lo so che andrò all’Inferno e che merito l’Inferno (così gli era stato detto) per quello che sono, però volevo chiederti se esiste una speranza per me, se io cambio vita».

Io avevo appena ascoltato questa intervista bellissima di Madre Teresa e lui fu il primo a cui io dissi questa frase.

Me lo ricordo perché, così come l’ho raccontata a voi, l’ho raccontata a lui, e mi ricordo che mi ha ascoltato come un sordo che per la prima volta sente la musica…

È rimasto in silenzio, siamo rimasti in silenzio tutti e due… poi lui si è alzato, mi è venuto vicinissimo, si è messo in ginocchio e ci siamo abbracciati… è stato uno degli abbracci più belli della mia vita, veramente; proprio un abbraccio dove c’era posto solamente per tante lacrime di commozione, di felicità, di un cuore che si apriva nuovamente alla speranza, alla vita.

Dopo, quando ci salutammo, lui mi disse: «Nessuno mai mi aveva chiamato così», e poi mi disse: «Ma tu ci credi veramente che io sono un amico di Gesù?»

Io ho detto: «Alberto, se lo crede Madre Teresa, e se così ti chiama Madre Teresa, guarda, io non ho neanche un dubbio, zero, zero dubbi».

Madre Teresa in quell’intervista non si è messa a fare nessun discorso morale e anche io non ne ho mai fatti a loro, io guardavo solo i frutti.

Noi parlavamo di Gesù e i frutti erano che questi ragazzi cambiavano, iniziavano a pregare, a confessarsi, ad andare alla Messa, a dire il Rosario, a me questo bastava.

Non so se, magari, qualcuno dirà: «Ma lei avrebbe dovuto dire… avrebbe dovuto fare…»

Può darsi, poi, quando mi troverò davanti al Giudizio di Dio, sarà Lui a dire cosa avrei dovuto fare che non ho fatto, ma se tornassi indietro, rifarei esattamente le stesse cose, perché davanti a tanto dolore c’è veramente poco da dire.

Loro sapevano meglio di me ciò che era giusto e ciò che non era giusto, meglio di me, che, a ventidue anni, quasi non sapevo distinguere la sinistra dalla destra, più o meno; certamente non avevo l’esperienza che avevano loro.

Vedere questi frutti mi ha fatto dire: «Madre Teresa ha visto giusto, ha trovato proprio il nome giusto».

Questo non vuol dire canonizzare niente e nessuno.

Madre Teresa non ha mai canonizzato niente e nessuno, non ha mai chiamato bene il male, né male il bene, è stata sempre una donna molto essenziale, molto vera, molto sincera, molto fedele a Dio, molto amante di Dio, però, quando tu eri con Madre Teresa, tu sapevi che lei vedeva l’uomo che aveva davanti a sé, non il peccato. Se c’era un peccato, lei non vedeva quel peccato, lei vedeva l’uomo; e proprio per questo incontro così bello, così umano, e così divino, quando tu uscivi da lì, non avevi più voglia di peccare. Se avevi fatto qualche peccato, tu non avevi più voglia di fare i peccati, tu volevi essere una persona nuova, una persona diversa, una persona migliore; non ti interessava più niente, solo quello.

Questi ragazzi non hanno avuto la grazia di incontrare Madre Teresa, però io spero davvero che quelle parole che io ho portato loro, siano state in qualche modo sufficienti a far loro incontrare Madre Teresa, a far sentir in loro quel sole che improvvisamente era sorto nella mia anima quando ho sentito quell’intervista e ho detto: «Dio mio, che bella! Che belle parole! Quanto sono vere queste parole…». Me le sono sentite dentro proprio come prima avete sentito partire quell’armonia [di campane].

E io ho visto queste parole all’opera nella vita di queste persone, io ho viste con i miei occhi cosa hanno potuto fare. Queste persone si sono sentite amate da Dio a tal punto da diventare persone diverse, nuove.

Volete saperla fino in fondo? Io e loro non abbiamo mai parlato delle loro scelte sessuali, mai. Io li ho sempre voluti incontrare come persone, non come “scelte”, perché coi miei amici che incontravo a scuola, che incontravo a casa, con cui uscivo a giocare, io non ho mai parlato di queste cose.

Io li incontravo come persone e loro mi incontravano come persona, non come colui che mangia il gelato al cioccolato o il gelato alla panna, o preferisce le fette biscottate ai Ringo; no, mi incontravano come persona, punto.

A me tutto il resto non interessa, lo lascio a quelli più dotti di me, più intelligenti di me, più esperti di me, più santi di me, più bravi di me, più tutto di me.

Io, nel mio piccolo, faccio quello che posso, quello di cui sono capace e quello che la mia coscienza mi dice di fare; di più non lo faccio perché non voglio fare quello che non mi compete, e quello che mi compete è solo questo: quella frase che ho sentito dire a Madre Teresa.

Quella frase io ho voluto sempre portarla nella mia vita, solo quella, tutto il resto a me non interessa; non ho le competenze, non ho gli studi, non ho niente, non li voglio neanche avere, non mi interessa, e non mi voglio neanche mettere a discutere di queste cose, non mi interessano.

A me semplicemente interessa di testimoniare, fino alla fine della mia vita, quella frase di Madre Teresa: «Quella parola non mi piace, io li chiamo “amici di Gesù”», basta. Questo a me interessa.

E va bene… oggi la meditazione di Padre Avrillon ha aperto altre porte.

Allora, concludendo perché non voglio tenervi qui troppo, mi vien da dire: «Stiamo vicini a tutti coloro che sono “amici di Gesù” perché in qualche modo condividono la sua sofferenza, il suo isolamento, il bullismo che ha subito, la crudeltà che ha subito, la violenza che ha subito, la cattiveria che ha subito. Stiamo vicini a tutti gli amici di Gesù! Offriamoci, come tante “Veronica”, l’unica, oltre alla Vergine Maria, che ha avuto un gesto di grandissima carità verso Gesù, che è stato quello di asciugarGli il volto, senza dire una parola».

Anche noi, a tutti gli amici di Gesù, a tutti coloro che soffrono, nel corpo e nello spirito, per le diverse ragioni del mondo, facciamo come Santa Veronica, stiamo accanto ad asciugare loro il volto, senza criticare, senza giudicare, senza fare omelie, senza fare discorsi, senza dire: «Tu sei sbagliato, tu sei giusto, questo non va bene, adesso ti curo, adesso ti porto di qui… adesso ti faccio di là…»

Tante “Veroniche”…

Sapete che, facendo così, si rendono le persone migliori, si aprono le speranze nei cuori delle persone, si ridà vita a chi l’ha persa, si ridà una casa a chi non ce l’ha più, si ridà un abbraccio a chi magari andava a pagare per averlo, si ridà un abbraccio a chi magari è passato in mezzo a cento mani e a cui mai nessuno ha fatto una carezza, vuol dire tante cose…

Lasciamo il giudizio a Dio, lasciamo il giudizio a Dio… a noi non compete.

Ripeto, ripeto per i soliti scribi e farisei che ci sono: «Questo non vuol dire canonizzare e beatificare niente, questo non vuol dire chiamare male il bene, né bene il male. Madre Teresa non l’ha mai fatto. Questo vuol dire innanzitutto incontrare le persone, le persone, per quello che sono, così come sono; esattamente come Gesù ha incontrato le persone così come erano, per quello che erano, dal lebbroso fino ad arrivare a Zaccheo, fino al buon ladrone sulla croce, fino a Maria Maddalena, alla madre col figlio morto, alla Sirofenicia con la bambina malata e posseduta, insomma così».

Lui incontrava le persone, non stava lì a sindacare su questo, quello e quell’altro, su come, quando e perché, dove, sopra e sotto; guardava le persone, le persone e… la lotta al peccato.

Certo, questo sempre, bene al bene, male al male, sì sì, no no, ma sfido chiunque a essere davanti a Madre Teresa e scegliere il male, era impossibile, impossibile. Era impossibile perché non avevi voglia di farlo, perché avevi solamente voglia di stare con lei, avevi solamente voglia di condividere quello che viveva lei, non ti veniva il pensiero di fare il male, non ne avevi il tempo, non ne avevi la voglia, non ne avevi le energie, non avevi il cuore, la mente… niente. Non avevi in mente niente altro che di essere te stesso fino in fondo, di essere quell’uomo e quella donna che Dio ha pensato, nel modo più bello, nel modo più vero, nel modo più esaltante possibile.

Ed è questo che oggi vi lascio in questo Mercoledì di Passione.

Oggi non vi leggo la preghiera di Padre Avrillon, perché oggi la nostra preghiera sarà questa: «Tu, che ascolti e che porti dentro la tua persona tanti dolori, tante sofferenze, o anche una sola sofferenza, non dimenticare mai che tu sei un amico di Gesù. Parola di Madre Teresa di Calcutta».

 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

VANGELO (Mt 26, 14-25)

In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».

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