Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: «I santi segni. Romano Guardini, parte 1»
Sabato 6 maggio 2023
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Gv 14, 7-14)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a sabato 6 maggio 2023. Oggi ricordiamo San Paolo VI papa.
Abbiamo letto il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo quattordicesimo di San Giovanni, versetti 7-14.
Oggi ricordiamo che è il primo sabato del mese e quindi, come ogni primo sabato del mese, cerchiamo di fare il possibile per vivere bene quanto la Vergine Maria ha chiesto a Fatima, vale a dire la pratica dei primi cinque sabati del mese, che ha l’intenzione di riparare le offese al Cuore Immacolato. Bisogna fare la Santa Confessione e la Santa Comunione con l’intenzione di riparare le offese fatte alla Vergine Maria e tutto quello che, appunto, potete trovare nel pdf che ho messo insieme, quello con la copertina verde sui primi giovedì, venerdì e sabati del mese che trovate sul sito veritatemincaritate. Ecco, questa giornata sia veramente, totalmente dedicata al Cuore Immacolato di Maria, alla riparazione e al consacrarci a Lei.
Quest’oggi vorrei iniziare con voi un nuovo ciclo di meditazioni. Il libro di riferimento s’intitola: Lo spirito della liturgia. I santi segni. Morcelliana 1996, autore Romano Guardini.
Forse per alcuni di voi non è un nome molto conosciuto, per altri invece lo è. Io vi rimando a una bella biografia, scritta bene, molto completa, che ho trovato sul sito www.santiebeati.it, quindi lo potete andare a trovare su internet, dove appunto si parla del servo di Dio Romano Guardini sacerdote; servo di Dio perché la sua causa di beatificazione si è aperta a Monaco di Baviera il 16 dicembre 2017. È veramente impossibile riassumere in poche parole la figura, il pensiero di questo grandissimo filosofo e grandissimo teologo. Perché è talmente vasto, è talmente profondo, che non mi è possibile, impiegherei troppo tempo. E per questo rimando a questa bella biografia e a questa bella sintesi anche del suo pensiero teologico e filosofico che ho trovato sul sito www.santiebeati.it. In particolare, faccio riferimento al testo scritto da Fabrizio Gualco, che è l’autore di questa biografia sintetica — ma comunque completa — della vita e del pensiero di questo grandissimo teologo e filosofo cattolico. Ecco, vi invito ad andare a leggerla, è un po’ lunga ma credo che di meno sarebbe proprio impossibile. Io magari, nei prossimi giorni, prenderò alcuni spunti da questa bella biografia che vi ho citato, però saranno solo degli spunti, dei piccoli affondi, perché altrimenti dovremmo dedicare veramente troppi giorni solo a parlare della sua biografia, perché vedrete, è densissima e bellissima.
Vi raccomando, raccomando a tutti, la lettura di questo libro, ripeto: Lo spirito della liturgia. I santi segni. Voi mi chiederete se è un libro difficile. No, non è un libro difficile. Adesso vedrete, io leggerò una parte di questo libro, ovviamente non tutto perché è impossibile, però vedrete, non è difficile. Secondo me si può leggere. Certo, richiede una certa attenzione, perché stiamo parlando di un grande filosofo, di un grande teologo, però è abbordabile. Se uno non capisce subito si ferma un secondo, rilegge, ma vedrete che lo capirete, io son convinto che lo capirete e sarete tanto grati a Romano Guardini per quello che ha scritto.
Questo libro di fatto contiene due opere: la prima è appunto la prima parte del titolo, “Lo spirito della liturgia” e la seconda parte è “I santi segni”. Ecco, io mi concentrerò su “I santi segni”, poi capirete il perché e vedrete che saranno di grande utilità. Io vi consiglio di comprare il libro, di averlo, di usarlo, di meditarlo, perché oltre a dare una sana formazione teologica, sono sicuro che sarà di grande aiuto anche a livello spirituale. Questo è veramente un libro sicuro che si può proprio leggere e bere senza filtri, proprio così, lo si può respirare a pieni polmoni!
Io salto, per ragioni di tempo, la prefazione dell’autore al testo I santi segni — ma vi consiglio di leggerla — e invece leggo la premessa, perché questa mi sembra che ci possa introdurre bene al testo che andremo a leggere. Il primo capitoletto è: “Del Segno della Croce”, perché lui affronterà i santi segni della liturgia, quindi partirà dal segno della Croce. Vedrete che parole bellissime scriverà e, dopo che l’avremo lette, la nostra vita cristiana, la nostra vita liturgica, sicuramente cambierà, ve lo assicuro, perché è veramente bello. Mi è ritornato tra le mani questo libro e ho detto: “Mah, perché no? Perché non cimentarci in questa opera?”. Come ho fatto con Bonhoeffer già vi dico che ci richiederà tanto tempo, presumo un po’ di tempo, ma vedrete che alla fine saremo tanto grati a Romano Guardini.
Eccoti un libretto ben modesto nelle mani. Esso parla di cose che forse ti sembrano di poca importanza; eppure, quel che vuole propriamente dirti, è qualcosa di grande. Noi viviamo in un mondo di segni ma abbiamo perduto la realtà da essi significata. Non pensiamo più cose, bensì parole.
Teniamo a mente questa frase così sintetica, ma così vera: “Non pensiamo più cose, bensì parole” e anche “viviamo in un mondo di segni”.
Quando una persona dice «faggio», le sta veramente dinanzi agli occhi un nobile fusto grigio-argenteo, un ampio sviluppo di rami modellati con forza e insieme con delicatezza fin nelle ultime propaggini, delle foglie compatte e senza pieghe, soffuse alla luce solare di riflessi così delicati nelle loro iridescenze verdi-gialle?
È una domanda! Quando una persona dice faggio — adesso io vi ho detto la parola “faggio” — voi avete immediatamente avuto davanti agli occhi tutta questa descrizione che ha fatto? A parte che, probabilmente, molti di noi non sanno neanche come è fatto un faggio.
Lui risponde:
Forse! Ma per taluno «faggio» è proprio solo una parola; una parola con la quale intende quell’albero, allo stesso modo che una moneta gli fa pensare a un determinato valore numerico. Quando la pronunzia, forse gli guizza attraverso lo spirito un’immagine fuggevole, ricordo sbiadito di qualche gita in montagna, ma niente di più.
Vedete? “Non pensiamo più cose, bensì parole”: non dimenticate questa espressione! Quindi uno dice “faggio” ma, se gli viene in mente, pensa ad un albero e nient’altro, non tutta quella descrizione che ha fatto lui.
Oppure uno dice «miseria». Ma la sua parola è davvero gravata dall’oscuro fardello che pesa sul cuore dell’uomo? Sente egli come una stretta al cuore l’amarezza che queste tre sillabe significano oppure queste sono per lui soltanto quasi fredda moneta ch’egli trasmette senza commozione, come un infermiere comunica all’altro il numero d’una stanza, senza riflettere a quel che è chiuso in quello spazio contrassegnato da una morta piastrina di ottone?
Ditemi se non sono vere queste riflessioni, queste domande!
Cosa proviamo quando diciamo di aver meritato tante e tante lire? Sentiamo quale giudizio è implicito in questa parola «meritato»? Soddisfacimento tranquillamente consapevole, oppure un’ingiustizia che esige espiazione, ovvero addirittura una beffa crudele? E così per molte altre parole…
È vero, no? Pensate la parola “miseria”. Pensate alla televisione, quante parole dice! Pensate in un giornale, quante parole leggiamo! Pensate in una telefonata quante parole diciamo, ascoltiamo. Purtroppo, è vero: “Non pensiamo più cose, bensì parole”. E quindi l’esempio del malato — interessante come esempio — l’infermiere che “comunica all’altro il numero d’una stanza, senza riflettere a quel che è chiuso in quello spazio contrassegnato da una morta piastrina di ottone”; l’infermiere che dice il numero della stanza come se dentro non ci fosse nessuno… dentro c’è un essere umano che soffre, non un numero! Eppure, eppure…
Parole, parole! Per questo il nostro pensiero ha sì poca importanza nei riguardi della realtà che non afferra affatto saldamente. Per questo la nostra parola è così pallida e fioca, esangue e priva di forza figurativa. Per questo ciò che udiamo non ci tocca l’anima. Altrimenti potremmo ascoltare e leggere ogni giorno tante cose? Se le parole fossero per noi qualcosa di più d’un suono che significa alcunché, d’una struttura sonora accompagnata da fugaci sensazioni e da immagini evanescenti, come potremmo leggere tanti giornali e prestare ascolto a tante novità?
Come potremmo? Questa parola ormai è fioca, pallida, senza forza figurativa e, di fatto, ciò che ascoltiamo non tocca più l’anima. Noi oggi riusciamo a vedere, a sentire parole come “strage” come “omicidio”, come “stupro”, come “guerra”, come “bombe” e intanto mangiare la pastasciutta col sugo! Capite che è una cosa aberrante? È aberrante! Se uno mentre mangia la pastasciutta col sugo sente la parola “strage”, non può dire subito dopo: “Scusa, mi passi il formaggio?”, vuol dire che quella parola non ha toccato la sua anima, vuol dire che quella parola non ha raggiunto niente dentro di lui, non ha più nessun potere, nessuna forza figurativa; non gli tocca l’anima!
Non so se riusciamo a capire… Questo dice la situazione nella quale noi versiamo: il valore delle parole…Tante volte nelle meditazioni che vi ho fatto ho parlato del valore del linguaggio, però vi ho sempre detto: “Non posso approfondire questo tema perché è molto ampio”; adesso forse è giunto il tempo, e Romano Guardini ci può veramente aiutare in questo percorso. Già vedete dalle prime battute quanto è profondo il suo pensiero e quanto è vero. Noi incontriamo persone che ci dicono: “Io sono disperato” e quella parola non ci dice niente. Se una parola non ci dice niente, cioè non ci tocca l’anima, come possiamo fare “empatia” con le altre persone? Se noi vediamo qualcuno che soffre, che sta male, come possiamo andare oltre? Vi ricordate la parabola del Vangelo “Il Buon Samaritano?”. Quando noi usiamo le parole per uccidere l’altro, con la calunnia e la diffamazione, quando noi distruggiamo la fama di una persona attraverso parole malvagie dette alle spalle, noi non ci stiamo più rendendo conto del potere della parola. Ecco perché Gesù dice: “Il vostro parlare sia sì sì, no no, il resto viene dal maligno”. Stiamo attenti alle parole che usiamo, perché il fatto che noi a quelle parole ormai non diamo più peso, questo non vuol dire che non abbiano peso. Il fatto che io non dia peso a una pistola, questo non vuol dire che la pistola non uccida. Se io sparo, ammazzo una persona, anche se non davo peso al potere di quella pistola. Non potremmo un giorno dire: “Ah, ma io non credevo! Ah, ma io non volevo fare tanto male con le parole”. Eh, però l’hai fatto, dovevi pensare al valore di quello che dicevi. Quelle parole hanno un peso. “Noi invece prestiamo ascolto a tante parole — dice Guardini — come potremmo leggere tanti giornali e prestare ascolto a tante novità?” Come potremmo se le parole fossero per noi qualcosa di più di un segno, che significa alcunché?
Prosegue:
Pensa alla schiatta terribile dei luoghi comuni!
Questo è un altro tema!
Se vuoi percepire quanto sia vuoto il nostro discorrere pubblico, presta attenzione ai luoghi comuni. Rabbrividirai fin nelle intime fibre. Essi sono vuoti, irrispettosi e distruttori come soltanto il vuoto può esserlo.
Il vuoto è distruttore e irrispettoso.
Mi fermo, guardate, mi fermo perché questo non lo posso leggere adesso perché è troppo denso. Lo farò domani, abbiate pazienza, ma se inizio questo discorso adesso, non va bene. Ho già detto tante cose, non voglio sciupare quanto vi sto per dire, perché è veramente molto. Concludo con questa frase.
Vedete! Lui fa queste frasi molto brevi ma hanno un effetto dirompente:
La cosa più bella è resa volgare.
Io qui non posso non pensare all’amore.
Mi fermo qui, perché domani partiremo da qui.
Pensate a come l’amore, a come l’amicizia, che sono le realtà più belle che noi abbiamo, sono state rese volgari, sono state mercificate, sono state usate, strumentalizzate per i fini più volgari e più bassi che si possano pensare. Pensate un po’! Ecco perché lui scrive “Rabbrividirai fin nelle intime fibre”, e qui sta parlando del nostro discorrere pubblico, di quanto sia vuoto, di quanto il nostro parlare è vuoto. Dove addirittura la cosa più bella è resa volgare. Quando, ad esempio, si fanno quelle battute stupide, anche su Dio, anche sulla Vergine Maria, sui santi. Non so se esiste ancora questo bruttissimo stile di fare le barzellette prendendo in giro Dio, la Vergine Maria; a me hanno dato sempre un fastidio enorme. Ci sono realtà, ci sono situazioni, ci sono esperienze, talmente sacre che quasi dovremmo avere paura a formalizzarle dentro le parole, perché sono talmente grandi che sembra che le parole non riescano neanche a contenerle, che solo il silenzio riesce ad esprimerle. E noi, invece, le roviniamo, le rendiamo volgari.
Domani sentirete che cosa dice. Veramente fa delle riflessioni che sono bellissime. Io ringrazio Dio che mi ha fatto capitare tra le mani questo libro che avevo letto e studiato tanti, tanti, tanti anni fa, all’inizio del mio percorso di studi teologici, proprio il primo anno di teologia e che avevo un po’ sepolto. Mi è ritornato tra le mani e mi sembra veramente che possa esserci molto utile. Io credo che già da queste prime battute, come fa bene a me rileggerle, credo che faccia bene anche a voi ascoltarle.
Ecco, teniamo fisso per oggi quanto vi ho detto: l’importanza quindi della parola, l’importanza di dare il peso a quello che diciamo. Queste frasi brevi ma densissime: “Non pensiamo più cose, bensì parole”; impariamo a pensare alle cose che le parole significano, ai contenuti a cui rimandano. Diciamo “Dio”, uno dice “Dio”: basta! Fermo immobile! Dove stai? Lì, in contemplazione! Perché quando dici “Dio” tutto quello che ti sgorga nella mente e nel cuore… quando uno dice “Gesù”… oggi è sabato, uno dice “Vergine Maria”: basta! Cos’altro c’è da dire?
Quante parole in meno diremmo, inutili e volgari, spesse volte. E: “non rendiamo volgari le cose più belle”, veramente! Cerchiamo di proteggere ciò che di più bello il Signore ci ha dato.
“Per questo ciò che udiamo non ci tocca l’anima”. Ma sarà capitato anche a voi di parlare con le persone, magari con qualcuno, di essere in un momento di dramma profondo nell’anima e vedere che quel dramma non tocca l’anima dell’altro. Ma com’è possibile? O vedere che qualcuno parla di situazioni drammatiche, gravissime, senza nessun coinvolgimento interiore, come se stesse parlando della mozzarella. Ma ci sarà differenza quando parlo della mozzarella e di quando parlo dell’aborto, ma c’è differenza? C’è differenza di quando parlo di una caciotta e di quando parlo dell’eutanasia? Ma ci sarà differenza!! Non può dentro di me muoversi la stessa cosa che si muove parlando dell’uno come dell’altro, non è possibile!
Infatti, voi notate, alle volte, come ad esempio, quando si parla, ci sono quelle risate sguaiate, che non c’entrano niente con l’essere gioiosi, non c’entra niente! Quel ridere esagerato, quello scherzo esagerato che, non so… Poi credo che sia un’esperienza comune, che noi andiamo via da un certo stare insieme e, quando siamo soli, è come se scendesse il vuoto dentro di noi, come se ci sentissimo svuotati. È come se quell’incontro, quello stare insieme, invece di arricchirci, ci avesse impoveriti, ci avesse banalizzati, superficializzati, è come se ci sentissimo “ebbri del nulla”. Questa non è una bella cosa. Noi dovremmo uscire dallo stare insieme edificati, riempiti, sostanzializzati. Dovremmo uscire più belli, più veri, più sereni, dove certo fa anche parte il momento del gioco, anche dello scherzo, il momento del divertimento, ma non come qualcosa che ci svuota, non come qualcosa che ci fa calare addosso questo potere distruttore, irrispettoso e volgare del vuoto. Mi fermo.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.