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I santi segni. Romano Guardini, parte 2

S. Messa

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: «I santi segni. Romano Guardini, parte 2»
Domenica 7 maggio 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 14, 1-12)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.
Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a domenica 7 maggio 2023. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo quattordicesimo di San Giovanni, versetti 1-12.

Continuiamo la nostra lettura del libro di Romano Guardini, siamo arrivati a:

La cosa più bella è resa volgare

Ricordate quando diceva:

Se vuoi percepire quanto sia vuoto il nostro discorrere pubblico, presta attenzione ai luoghi comuni.

Il nostro discorrere pubblico, quanto è vuoto!

Rabbrividirai fin nelle intime fibre. Essi sono vuoti, irrispettosi e distruttori come soltanto il vuoto può esserlo. La cosa più bella è resa volgare.

Andiamo avanti:

Se per avventura una parola sgorga dal fervore del cuore, tutta piena di sangue e di forza, in pochi giorni i giornali e le chiacchiere della gente ne prendono possesso, la sbiadiscono a luogo comune, la rendono scipita fino alla nausea. Oh, noi dovremmo apprendere a custodire le nostre parole più care, affinché la volgarità del pubblico chiacchierìo non le insozzi!

Questo è un tema che abbiamo già trattato quando, nei mesi scorsi, nei tempi scorsi, abbiamo affrontato, sotto diversi aspetti, la questione del silenzio e anche quando abbiamo letto il testo di Bonhoeffer, se vi ricordate, sul valore del silenzio. Qui Romano Guardini ci richiama su una cautela che dobbiamo avere. Noi pensiamo a quella parola o a quelle parole che sgorgano dal fervore del cuore; noi abbiamo delle parole fervorose, che vengono proprio dal cuore. Lui dice: “Tutta piena di sangue e di forza”, cioè sono quelle parole che proprio sentiamo vere, che nascono da un qualcosa nel quale crediamo profondamente. Sono quelle parole piene di noi stessi, dense della verità che ci portiamo dentro, dense della nostra vita, della nostra esperienza, sono quelle parole forti; forti perché sono il frutto di una vita che si spende, di una vita che ci crede. Succede, succede che abbiamo queste parole che ci sgorgano proprio, nascono dall’anima con queste caratteristiche.

Lui dice: “State attenti!”, state attenti perché i giornali e le chiacchiere della gente cosa fanno? Le rapiscono, le sbiadiscono — cioè tolgono loro tutto il colore, tutta la forza che hanno, proprio le svuotano — e le rendono insipide fino alla nausea, cioè tolgono loro tutto il fervore che hanno. Questo perché? Per il discorso del vuoto. Non dobbiamo mai dimenticare il discorso che lui ha fatto sul vuoto; il discorso sul vuoto è fondamentale. Perché il vuoto distrugge, il vuoto non ha rispetto di queste parole fervorose, piene di sangue, di forza, il vuoto non le sa percepire, non riesce a percepirle. Il vuoto non è capace di accogliere parole che toccano l’anima.

Queste parole di cui parla Romano Guardini, queste parole che “sgorgano dal fervore del cuore, piene di sangue, di forza”, sono parole che toccano l’anima, è così, sono parole che toccano l’anima. Sono parole che esprimono bene quello che abbiamo letto all’inizio, quando dice “Non pensiamo più cose, bensì parole”. Ecco, queste parole in realtà sono il veicolo di “cose” profonde, vere, reali. Non sono solo parole, non sono parole vuote. Sono esattamente il contrario del vuoto. Le chiacchiere (il vuoto) che sono irrispettose, che sono distruttrici delle parole (perché sono vuote) rapiscono, prendono possesso delle parole, le sbiadiscono e le rendono insipide, fino alla nausea. Allora Romano Guardini ci dice: “Dobbiamo imparare a custodire le nostre parole più care, affinché la volgarità del pubblico chiacchierio non le insozzi!”. Questo, guardate, è importantissimo ed è quello che abbiamo già sentito in Bonhoeffer.

Ricordate cosa disse l’arcangelo Raffaele, alla fine del libro di Tobia? Andate a prendere la fine del libro di Tobia, quando Azaria si rivela come l’arcangelo Raffaele e dice a Tobia: “È cosa buona tenere nascosto il segreto del re”. Bisogna tenere nascosto il segreto del re; Romano Guardini dice la stessa cosa: “Le parole più care, quelle più profonde, quelle piene di fervore, quelle piene di sangue, di forza, le parole più vere che ci portiamo dentro dobbiamo custodirle, non possiamo esporle alla volgarità del pubblico chiacchiericcio”. Non possiamo dirle a chiunque; non possiamo dirle in un contesto di vuoto; non possiamo dirle in un contesto di superficialità, non possiamo dirle in un contesto pubblico dove non c’è nessuna preparazione alla ricezione e alla custodia.

Vedete come torna il tema della volgarità? Guardate che per volgarità Romano Guardini non intende, come noi siamo abituati a pensare, qualcosa di impuro. Non pensiamo alla volgarità di cui lui parla come quando noi diciamo: “Ha fatto una battuta volgare”, quindi una battuta impura, no no, la volgarità è intesa proprio come il vuoto, come la superficialità, come la banalità; va inteso proprio in questo senso, altrimenti la riduciamo velocemente a qualcosa di “riservato”, a qualcosa di impuro, e invece no. La volgarità è molto comune. E lui la sposa con questo tema del pubblico chiacchiericcio. Perché nel chiacchiericcio non c’è densità, non c’è profondità, non c’è fervore, non c’è sangue, non c’è forza, non c’è verità: c’è il vuoto! E noi non possiamo gettare le parole più care nella volgarità del pubblico chiacchiericcio, perché sennò cosa succede? Le insozza!

Ricordate cosa dice Gesù? “Non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché sennò calpestandole si gireranno per sbranarvi”. E allora succede che — come già successo — qualcuno dica: “Eh, ma padre Giorgio, questo allora cosa vuol dire, che non dobbiamo testimoniare la nostra fede? Eh, ma padre Giorgio, allora vuol dire che non dobbiamo più testimoniare quello in cui crediamo, allora non dobbiamo più evangelizzare, allora non dobbiamo più portare il messaggio di Gesù?”.

Questa domanda è veramente superficiale. Stiamo attenti quando facciamo certe domande, perché alle volte sembra che prima parliamo e poi cerchiamo di capire, ma il processo corretto è: prima capisco, poi parlo, se è il caso di parlare. Sennò sto zitto. Stiamo attenti alle domande che facciamo, perché — sapete — dalla domanda si capisce anche il quoziente intellettivo e lo spessore spirituale di una persona, e rischiamo di fare brutte figure. Parlare a vanvera non porta mai grande successo.

Gesù ha annunciato il Regno, la buona novella? Certo! Gesù ha predicato? Certo! Ma andate a vedere se e dove Gesù ha parlato senza misura. Andate a vedere se Gesù si è esposto all’imprudenza, a una predicazione senza ritegno, senza freni, senza contezza dell’uditorio che aveva davanti, andate a vedere! Faccio un esempio: il discorso della montagna, il colle delle beatitudini, le beatitudini, sono la stessa cosa dei discorsi che Gesù faceva agli scribi e ai farisei? Per fare un esempio. Quello che Lui dice alla prostituta perdonata — seduta stante — e il modo in cui lo dice  sono le stesse parole che Lui rivolge a Simone il fariseo? No! Perché a lei dice una cosa e a lui ne dice un’altra. Gesù misura molto bene le parole che deve dire.

Andate a vedere il dialogo — chiamiamolo così, in realtà dialogo non è stato — andate a vedere quello che si sono detti Gesù e “i giudei che avevano creduto in lui”, come li definisce Giovanni nel suo vangelo ai capitoli 6 e 8.

Nel capitolo 6 Gesù fa il discorso sull’Eucarestia. Esito: se ne vanno tutti, tanto che Gesù dice ai suoi discepoli: “Volete andarvene anche voi?”. Andate a vedere come Gesù parla. “Questo linguaggio è troppo duro per noi”, e Gesù cosa fa? Uno avrebbe detto: “E vabbè, Gesù spiega — noi avremmo fatto così — spiega: «No, ma aspettate, ci siamo fraintesi, aspetta che ne parliamo, no?»”. Gesù invece rincara ancora di più la dose, diventando ancora più duro. Giovanni 8 è un’escalation di fraintendimento. Gesù dice una cosa, quelli capiscono esattamente il contrario!

“La verità vi farà liberi” — frase bellissima di Gesù — comincia tutto così. Da questa frase si scatena un disastro. Tanto che poi lo voglio uccidere. Fino ad arrivare al momento solenne — l’abbiamo già visto — quando Gesù dice: “Voi fate le opere del padre vostro” — “Eh, ma chi è nostro padre?” — “No, vostro padre non è Abramo, vostro padre è il diavolo!”. E lì dà una definizione sul demonio terribile. Andate a vedere da come è cominciato — “Conoscete la verità, la verità vi farà liberi” — andate a vedere come finisce.

Gesù custodisce molto bene le parole più care, lui che è la Parola. Non si dà a tutti indistintamente. “Ho molte cose ancora da dirvi, ma per il momento non siete pronti” e quindi non le dice. “Verrà lo Spirito, il Consolatore, il Suggeritore. Lui vi dirà a suo tempo le cose che… adesso no!” e non le dice. “Quando, Signore, succederanno queste cose?” Gesù risponde: “Non spetta a voi conoscere i tempi”. Gesù non risponde.

Tante volte fanno delle domande a Gesù e Gesù non risponde a queste domande, dice altro. Uno si aspetta una risposta puntuale e Gesù dice un’altra cosa. Oppure quelle volte in cui Gesù dice: “Vi faccio anch’io una domanda: i vostri figli con che autorità scacciano i demoni?” Vedete? Loro non rispondono e Lui dice: “Anch’io non rispondo!”. E via di seguito, e va avanti.

Sono tantissimi gli esempi nel Vangelo dove vediamo che c’è una custodia delle parole più care, perché la parola non è solo un insieme fonetico pronunciato dalla bocca. Lo vedremo, la parola è ben altro… E infatti il Verbo si fece carne, il logos. Stiamo attenti, perché altrimenti dopo piangiamo, dopo ci sentiamo defraudati di queste parole più care, perché la volgarità del pubblico chiacchiericcio poi le prende e le insozza, le rapisce e le insozza. Vanno custodite. 

Dobbiamo imparare a custodire le parole più care. Uno si potrebbe chiedere: “Allora come faccio a sapere a quali persone…?”. Bisogna imparare a discernere. Non c’è la ricetta come per fare il risotto giallo! Noi vogliamo sempre la ricetta, perché noi “Non pensiamo più cose, bensì parole”, ci dice Guardini. Quindi non siamo più abituati a pensare al faggio, col

fusto grigio-argenteo, un ampio sviluppo di rami modellati con forza e insieme con delicatezza fin nelle ultime propaggini, delle foglie compatte e senza pieghe, soffuse alla luce solare di riflessi così delicati nelle loro iridescenze verdi-gialle…

Non ci viene affatto in mente questo quando pensiamo al faggio. Noi non pensiamo più cose, pensiamo parole. E parole vuote. È questo il punto. Parole che non significano più niente, quindi dobbiamo imparare a custodirle, a non buttarle, queste parole più care.

Spero di essermi spiegato: non vuol dire non annunciare il Vangelo, non vuol dire non testimoniare la fede, tutt’altro. Vuol dire annunciare, vuol dire testimoniare, ma attenzione “a non gettare le perle davanti ai porci”, dice Gesù. Pesa bene a chi ti stai rivolgendo. Valuta molto bene.

Ci sono volte in cui bisogna saper tacere. Non ci si può mettere a parlare di Gesù in un discorso da bar, non ha nessun senso! Ad esempio, se tu sai che chi hai davanti non è credente, non ha molto senso che gli vai a parlare del Santo Rosario, o della devozione dei Primi cinque sabati del mese, non ha senso! Perché se quello ti dice che non crede, che senso ha? Forse ha senso non dire proprio nulla e testimoniare la propria fede in Gesù semplicemente con la propria vita, perché non è che dobbiamo sempre parlare per forza. La predicazione passa attraverso la parola — come sto facendo adesso in questo momento — e passa attraverso la vita. Non ci sono solo parole da dire, dipende! E poi soprattutto dipende da chi ho davanti. 

E poi prosegue:

È il nostro agire! Noi eseguiamo delle forme e non delle azioni! Diciamo delle larve di parole; compiamo delle ombre di azioni.

Guardate che sono parole forti: “Noi eseguiamo delle forme, non delle azioni, diciamo delle larve di parole, compiamo delle ombre di azioni”.

Adesso voi dite: “Ma possibile! Cosa vuol dire che diciamo delle larve di parole e compiamo delle ombre di azioni? Cosa vuol dire che eseguiamo delle forme e non delle azioni?” Sembrano concetti difficili, vero? No, non lo sono, non sono concetti difficili. Purtroppo, sono talmente veri e talmente frequenti che noi già li viviamo, senza saperlo già li viviamo. 

Sentite cosa dice adesso:

Siamo consapevoli di quello che facciamo quando stringiamo la destra a qualcuno?

“Siamo consapevoli di quello che stiamo facendo stringendo la destra a qualcuno?”

Ci è chiaro che noi gli diamo la nostra fiducia, la nostra anima?

Questo è il significato di dare la mano destra, non è un saluto banale, convenzionale — “Ti do la mano destra” — no! Perché diamo la destra, e non diamo a sinistra? Perché invece di stringerci la mano destra non ci schiacciamo un piede? Ha un significato profondissimo dare la mano destra. 

Ci è chiaro che noi gli diamo la nostra fiducia, la nostra anima?

Guardate che parole potentissime! Ma io credo che nessuno di noi abbia mai sentito o letto parole di questo genere. Credo che non le abbiamo mai sentite. Io credo che nessuno ci abbia mai detto che stringere la mano destra a qualcuno voglia dire questo. Lo facciamo — ecco che compiamo “ombre di azioni” — ma non sappiamo che cosa vuol dire. Facciamo cose — compiamo azioni, diciamo parole — delle quali non sappiamo quale portata simbolica abbiano. Semplicemente le facciamo, quindi noi non eseguiamo delle azioni, ma eseguiamo delle forme. Sono forme.

Quando qualcuno critica le forme, lo fa perché per lui forme vuol subito formalità, ma forme non è formalità, forme non è formalismo. Vedremo che quando noi compiamo delle azioni liturgiche, queste per qualcuno sono semplicemente formalismi. Perché? Perché sono vuote, lo vedremo quando, ad esempio, cominceremo col segno della Croce. Perché viene fatto così male? E perché la Madonna a Lourdes, a Santa Bernadette, insegna innanzitutto a fare il segno della Croce? Lei dice che la Vergine Maria faceva il segno della Croce lentissimamente. Perché quella è un’azione, non è una forma. Quella è un’azione, non è un’ombra. 

Certo che se tu non conosci il significato, se tu non sai che stringere la mano destra vuol dire quello che abbiamo letto, tu stringerai la mano destra a chiunque. E invece no! Bisogna stringere la mano destra a chiunque? No! Possono esserci delle situazioni nelle quali uno dice: “Io la mano destra non te la stringo” — “Perché?” — “Perché può essere che tu abbia fatto delle cose talmente gravi, talmente efferate — magari pubbliche — delle quali non c’è un pentimento pubblico, per cui io la mano destra non te la do” — “Perché?” — “Semplice, perché non ti posso dare la mia fiducia, perché non ti do la mia anima”. Cioè vuol dire: “Non mi fido e non mi posso affidare”.

Stiamo attenti, perché questo libro — ve lo dico con molta sincerità — ci farà fare un viaggio nelle profondità della nostra persona e della nostra fede, come pochi libri ci fanno fare. Già vedete, siamo alla premessa!!!  Questo non è ancora il primo capitolo, questa è la premessa alla seconda parte del libro “I Santi Segni”, ci sta preparando a quello che poi leggeremo, quindi immaginatevi dopo…

Se lo sapessimo lo faremmo con minor frequenza.

Eh, certo, quello che vi ho appena detto!

Ma così tale atto è una vera formalità, che solo di rado è compenetrata di realtà spirituale, al punto che possiamo dare la destra all’amico intimo come a chi ci è indifferente o, addirittura, spregevole

Questa è una formalità! Quindi la formalità, che sia una formalità legata al costume (come dare la mano destra), legata al vivere comune, legata a un vissuto sociale, politico o religioso (e quindi la liturgia) non cambia!

 La formalità è — lui lo dice chiaro — un atto di vera formalità, che solo di rado è compenetrato di realtà spirituale. Quindi la formalità è esattamente il vivere un’azione, compiere un gesto che non ha dentro una realtà spirituale: quindi solo una forma; come abbiamo appena detto, è un’ombra. Sono forme, non sono azioni, è un’ombra. Al punto — e questa è una cosa tristissima — che posso dare la mano destra al mio amico intimo e anche a colui che ritengo spregevole, a un nemico, a una persona che non è degna. Il mio amico, il mio migliore amico, non lo posso trattare come tratto colui che mi è totalmente avverso. Altrimenti sto compiendo la formalità. Quel gesto non dice più nulla, è una formalità.

I saluti, gli auguri, i doni e la comunanza della tavola, le svariate forme della deferenza, hanno esse ancora un’anima? In caso diverso non potremmo scialarle con tanta facilità. Noi diciamo delle mere parole. Noi compiamo delle formalità. Viviamo in un mondo di segni, ma la realtà che essi significano l’abbiamo perduta.

I saluti, gli auguri, i doni, la comunanza della tavola… Anche Bonhoeffer aveva trattato questo argomento. Tutte le svariate forme della deferenza, tutte quelle false educazioni, tutti quegli atti puramente formali di educazione, ma falsa; lui chiede: hanno ancora un’anima? Quel biglietto di auguri che hai scritto, quel dono che hai fatto, quel mangiare insieme, quel salutarvi e salutarci, quel modo di salutarci, ha un’anima dentro oppure è solo forma? Oppure sono solo delle mere parole!

Viviamo in un mondo di segni, ma la realtà che essi significano l’abbiamo perduta.

Oggi potremmo fare questo come esercizio: pensare, ritrovare la realtà dei segni, dei gesti, delle parole che facciamo e che diciamo. Invitiamo qualcuno a mangiare? Bene! Siamo invitati da qualcuno? Bene! Proviamo a pensare se c’è un’anima e qual è quest’anima, nel gesto di accogliere e di essere accolti: ci ritroviamo per mangiare? Per riempirci la pancia? Per scambiare quattro chiacchiere? Oppure c’è una realtà profonda, che anima quei saluti, quegli auguri, quei doni?

Pensate agli auguri di Natale. Guardate, credo che non ci sia realtà più formale, più vuota, degli auguri di Natale e di Pasqua. Ma proprio lo si vede, lo si legge. E noi diciamo: “Eh, si, ma non ho tempo” — la scusa è sempre quella — “Non ho più tempo”. Sì, peccato che non abbiamo più tempo di essere “esseri umani”, non abbiamo più tempo di essere “umani”. Stiamo diventando dei robot. Tra noi e una macchina, che differenza ci sta? Non avere più tempo per le cose che valgono, per le cose vere, è innanzitutto una mancanza di tempo interiore, non è dovuto alle tante cose che ho da fare, non diciamoci storie; San Carlo Borromeo faceva quello che quattro vescovi insieme in un giorno non riuscivano a fare; lui lo faceva da solo. “Ah, ma San Carlo è assistito dalla grazia” Si, anche noi, anche noi siamo assistiti dalla Grazia: tutti siamo battezzati, tutti siamo cresimati, abbiamo tutta la grazia che serve, abbiamo un surplus di Spirito Santo. Solo che San Carlo Borromeo corrispondeva, noi no. Quindi non troviamo le scuse: “Ah, ma San Carlo Borromeo era Santo”. Anche tu, anch’io lo posso essere, basta corrispondere… perché non corrispondiamo? Allora è nostra la motivazione! E quindi ci perdiamo le cose più belle. Perdiamo i volti; perdiamo l’empatia, lo scambiarci vicendevole: perdiamo lo stare assieme a nutrirci uno dell’altro, mangiando un buon gelato, sorseggiando un calice di vino, andando a bere una birra, facendo una passeggiata; mille sono i mezzi ma uno è il fine: la realtà che tutti questi segni vogliono significare, che è l’empatia, che è il comunicarsi, che è avere un’anima dietro ciò che si fa, dentro ciò che si fa.

Dovremmo proprio dirci: “Io oggi non faccio niente se non ho chiarezza che quello che sto facendo ha questo significato e lo faccio per questo significato, diversamente non lo faccio”. Quanti baci formali ci diamo! Quanti abbracci formali ci diamo? Ci sono delle volte in cui io vedo le persone che abbracciano un cane o un coniglio o un porcellino (mi è capitato di vedere anche quello); per l’amor del cielo, carinissimi. Però mi ha colpito vedere tanto affetto per il porcellino e non la stessa cosa “almeno” per il proprio bambino, per esempio. A me è capitato di vedere il cane nel passeggino e il bambino dietro che rincorre la mamma piangendo. È stata una scena che mi ha pietrificato, tipo la moglie di Lot quando è uscita da Sodoma e Gomorra. Perché io a vedere questa scena mi son detto: “Un momento, ho perso un pezzo. Devo avere avuto uno slivellamento spazio-temporale, per cui sono entrato nella quinta dimensione, devo aver perso un pezzo, è successo qualcosa nel mio cervello che ho perso qualcosa, non lo so, perché questi segni vogliono dire qualcosa no!? Se vedo la mamma che porta il cane nel passeggino coperto dal sole e il bambino dietro, che le corre dietro piangendo, c’è qualcosa che mi vuole parlare. Non è normale! Non è una cosa che va bene così. È una cosa che va pensata; questi sono segni che vanno ricevuti, decodificati. E poi bisogna leggere il messaggio che danno questi segni.

Quindi non compiamo gesti, non diciamo parole, anche che sono formalmente e socialmente accettate, se dentro a queste parole e a questi segni non c’è una realtà viva, che significa esattamente quello che il segno vuole trasmettere. Dai la mano? Questo è il segno, questo il significato. Dai un bacio? Questo è il significato. Porti un passeggino? Non è uguale che ci sia dentro un cane o che ci sia dentro il tuo bambino, non è la stessa cosa. Cioè, quei segni vogliono dire qualcosa: se li viviamo, dobbiamo essere consapevoli che stiamo trasmettendo un significato. E se non siamo consapevoli, se per noi avere nel passeggino un cane o un bambino è la stessa cosa, la situazione è grave. E allora ha ragione Guardini: “Viviamo in un mondo di segni, ma la realtà che essi significano l’abbiamo perduta

Ecco, chiediamo al Signore che ci aiuti veramente a recuperare questa realtà, a recuperare “l’anima” in tutte le forme che noi mettiamo in essere, nelle parole che diciamo e a custodire le nostre parole più care. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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