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L’integralità della persona

Abbraccio

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: « L’integralità della persona »
Martedì 25 aprile 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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PRIMA LETTURA (1 Pt 5, 5-14)

Carissimi, rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili.
Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché vi esalti al tempo opportuno, riversando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze sono imposte ai vostri fratelli sparsi per il mondo.
E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesù, egli stesso, dopo che avrete un poco sofferto, vi ristabilirà, vi confermerà, vi rafforzerà, vi darà solide fondamenta. A lui la potenza nei secoli. Amen!
Vi ho scritto brevemente per mezzo di Silvano, che io ritengo fratello fedele, per esortarvi e attestarvi che questa è la vera grazia di Dio. In essa state saldi! Vi saluta la comunità che vive in Babilonia, e anche Marco, figlio mio. Salutatevi l’un l’altro con un bacio d’amore fraterno. Pace a voi tutti che siete in Cristo!

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 25 aprile 2023.

Oggi festeggiamo San Marco Evangelista. Oggi per noi cristiani cattolici è una grande festa ed è tutta in onore di San Marco. Quindi, innanzitutto, auguri, preghiere e benedizioni a coloro che portano questo bellissimo nome, Marco. E per quanto riguarda la lettura che abbiamo appena ascoltato, è la prima lettura della Santa Messa di oggi, tratta dalla Prima Lettera di San Pietro Apostolo, capitolo quinto, versetti 5-14.

San Pietro, in questa porzione di questo capitolo quinto di questa prima lettera — io vi invito sempre a leggere tutto, perché sono proprio belle le lettere di San Pietro, sono veramente belle — dice tante cose, le avete ascoltate, affronta tanti argomenti in modo molto preciso e allo stesso tempo sobrio e allo stesso tempo rigoroso, ovviamente per chi vuol capire.

Siccome ho paura che rimanga in fondo una cosa che mi sta a cuore dire, vorrei dirvela per prima, così se poi non c’è più tempo, pazienza, le altre le lasciamo per altre occasioni, ma questa ci tengo tanto, perché è una questione della quale secondo me parliamo tanto poco. 

In passato ne ho parlato quando feci le omelie su Florenskij e sul valore dell’amicizia, non chiedetemi gli anni in cui è successo, perché non me lo ricordo più, ma vi dico che c’è, in modo tale che sapete che c’è.

Tra l’altro, apro una parentesi e la chiudo subito, ma almeno puntualizziamo alcune cose, c’è stato qualcuno, probabilmente persone nuove che si sono accostate da poco al sito, alle omelie a queste cose qui, che mi ha chiesto: “Ma padre, lei ha fatto anche delle meditazioni su Papa Francesco, su Papa Benedetto, su Giovanni Paolo II o, non lo so, su altri papi, cioè ci sono delle meditazioni?”. Può darsi che queste persone avessero desiderio di approfondire un po’ il Magistero e, appunto, avessero la necessità spirituale di qualche riflessione sui pontefici recenti, perché mi dicevano che sul sito facevano un po’ fatica a trovare.

Allora innanzitutto vi dico che sul sito www.veritatemincaritate.com  c’è un motore di ricerca e lì, battendo delle parole chiave, si può rintracciare qualcosa, cioè viene fuori dove io ne ho parlato. Purtroppo, ho visto che quando ad esempio sono nomi composti — tipo Giovanni Paolo II, quindi sono tre cose da scrivere — la ricerca fa un po’ fatica.

A grandi linee — perché io non sono un computer e quindi non posso ricordarmi tutto a memoria — ho un mio archivio dove tengo segnato tutto, per cui a queste persone sarà mia premura nel caso poi inviare i riferimenti precisi di dove e quando ne ho parlato, comunque a grandi linee vi dico, in modo tale che lo sapete, che Giovanni Paolo II l’ho affrontato con un testo, che è Reconciliatio et paenitentia, un po’ di anni fa, quando feci le catechesi sulla coscienza, e abbiamo letto praticamente tutto il testo che lui ha scritto. Molto importante tutto il valore della penitenza, tutte le parole della coscienza e su quant’altro. Quindi, per un tempo veramente ampio ci siamo soffermati un po’ sul magistero di Papa Giovanni Paolo II.

Poi ho affrontato in svariate occasioni Papa Benedetto XVI, non ultima quella di pochi giorni fa — forse a queste persone può essere che sia sfuggita quella meditazione — quando ho parlato delle tre conversioni di Sant’Agostino, dove vi ho proprio letto il discorso fatto dal Papa, con tutte le citazioni e quant’altro; ma non è stato sicuramente l’unico, anzi Papa Benedetto l’ho citato tantissime volte, magari dentro ad altre meditazioni che stavo facendo, affrontavo queste questioni. Mi ricordo diversi affondi che ho fatto sul tema della trascendenza di Dio, facendo riferimento proprio a Papa Benedetto. Devo aver fatto qualcosa anche sulla preghiera… insomma, in diverse occasioni.

Poi ci fu tutto quel ciclo di catechesi che io ho fatto, della durata praticamente di un anno, sul libro del Cardinal Sarah, La forza del silenzio, ovviamente tutti avete letto questo libro, quasi tutti, e sapete meglio di me che Papa Benedetto è citato continuamente, non dico ad ogni pagina, ma comunque ampiamente. E poi lo trovate anche quando io ho parlato della Comunione in bocca e in ginocchio. Questi sono quelli che adesso così a memoria, a grandi linee, ho in mente, poi ci sarà sicuramente altro, ma che adesso non ho in testa. 

E poi, in diverse occasioni ho fatto riferimento a Papa Francesco, me ne ricordo alcune abbastanza importanti quando ero ancora al Carmelo di Monza che sono state trasmesse tra l’altro su Radio Mater, perché era il tempo in cui veniva trasmesso su Radio Mater, quindi tutta Italia che ascolta l’ha sentita, dove appunto io ho fatto riferimento ad alcuni pronunciamenti, alcuni testi riferiti appunto a Papa Francesco e anche lo cito nel PDF, che trovate sul sito e che comunque gira ormai da anni, che ho composto sul riposo domenicale. Lì è citato anche Papa Francesco.

Nel PDF sul riposo domenicale non c’è niente di mio, non c’è nessuna mia riflessione, è solamente una raccolta di testi autorevoli del Magistero, della Scrittura, dei Santi, dove riporto alcune affermazioni a sostegno del riposo festivo. Ultimamente Papa Francesco è ritornato ancora su questa questione, tra l’altro, dovrò aggiornarlo. Questo PDF l’ho fatto perché è giusto che ciascuno lo possa leggere e trarre le sue conclusioni, cioè uno dice: “Leggendo tutto questo arrivo a questa conclusione” — “Leggendo tutto questo arrivo a un’altra conclusione”, però almeno abbiamo le fonti. Io ho presentato le fonti che io ho studiato, sicuramente altri ne avranno altre. Siccome io scrivo per me e parlo per me, non posso parlare per il mondo intero, ho citato le fonti ovviamente a sostegno di un pensiero teologico che io porto avanti da sempre, sul riposo festivo domenicale. A sostegno di questo ho portato determinate fonti, che poi uno va a leggere. Poi uno può dire: “No, sono fonti che a me non interessano. Sono fonti che non mi dicono niente”, non può dire che siano fonti inattendibili perché non lo sono, perché la Sacra Scrittura non può essere inattendibile, però uno potrebbe dire: “Io l’interpreto in un altro modo”. Va benissimo, non c’è nessun problema, io porto quelle fonti; infatti, per questo non ho scritto niente di mio. Quello che ho detto sul riposo festivo l’ho sempre detto nelle meditazioni, ma in quel testo, in quel PDF, non porto niente di mio, perché mi sembra bello che ciascuno possa leggere le fonti che io porto, ripeto, scelte in relazione alla mia tesi teologica.

Poi uno leggendole dice: “Sì, va bene, condivido”, oppure dice: “No, io ne ho altre e queste altre mi dicono altro”, va bene, certamente nessuno mi può dire che ci sia una disonestà intellettuale o una mancanza di rigore scientifico o di metodologia, perché sono fonti.

È chiaro che se uno ha una tesi teologica, deve sostenere la sua tesi teologica, non altre, uno ha una tesi teologica, sostiene la sua tesi teologica fondandosi su cosa? Su delle fonti. Un altro ha un’altra tesi teologica, benissimo, porti le sue fonti. Poi ciascuno, leggendole, sceglierà in coscienza quale gli sembra quella più pregnante per il suo cammino di fede.

Ecco, quindi, che ho parlato di questi ultimi tre Papi. 

Nelle mie meditazioni, lungo gli anni, ho affrontato anche altri pontefici dei quali però adesso non ho precisissima memoria perché è una cosa che risale un po’ indietro nel tempo; quindi, non ricordo quando ne ho parlato o gli argomenti che ho trattato; quindi, non vorrei essere impreciso citando un Papa piuttosto che un altro. Però sicuramente devo aver parlato di Pio IX, per esempio, piuttosto che di Pio XII… Quindi c’è altro, ma adesso, a memoria non vi so dire con precisione. Mi è venuto in mente di dirvelo adesso e allora ve lo dico così, con tanta semplicità, poi se uno ha il desiderio lo andrà a cercare, lo verifica, comunque ci sono e ho parlato anche di loro. 

Poi mi sono dedicato particolarmente ai santi, ai mistici, all’Eucaristia, e adesso sto affrontando questo tema della Parola di Dio. Ecco, ogni tanto intervallo, faccio un po’ l’uno e faccio un po’ l’altro, per cui mi sembra di aver risposto a queste persone che mi hanno chiesto gentilmente qualche delucidazione. Chiusa la parentesi.

Circa poi la lettera in questione, quella di San Pietro che abbiamo appena letto, c’è un aspetto che secondo me è veramente molto bello, che riprenderò prossimamente quando affronterò un tema un po’ particolare, delicato, di cui per adesso non vi faccio nessuna anticipazione. Sto approfondendo la questione, la sto studiando bene per essere preciso nei contenuti che vi dirò, in modo tale da offrirvi come sempre delle fonti precise e attendibili, per cui per adesso non vi dico niente. Vi dico solo che quel giorno, non credo tra molto, comunque il giorno in cui affronterò quel tema, vi dirò: “Vi ricordate quando ho trattato giorni fa quella meditazione sulla prima lettera di San Pietro Apostolo?”. Ecco, vi dirò così, non pretendete che mi ricordi il capitolo e i versetti, non sono così bravo, vi dirò questa frase e così voi farete memoria di questa meditazione. Perché stanno insieme, c’è un collegamento, che è quello che adesso io tratto, mi servirà anche lì come aggancio alla Scrittura per quello che vi dirò.

Quello che vorrei dirvi, la questione che vorrei trattare è questa: è la parte finale della lettera.

Vi ho scritto brevemente per mezzo di Silvano, che io ritengo fratello fedele… Vi saluta la comunità che vive in Babilonia, e anche Marco, figlio mio. Salutatevi l’un l’altro con un bacio d’amore fraterno. Pace a voi tutti che siete in Cristo!

Io trovo in queste parole una dolcezza e un’umanità bellissime. C’è una differenza tra la dolcezza e l’essere sdolcinati. C’è differenza tra essere affettuosi ed essere mielosi, morbosi, appiccicosi, c’è differenza. Noi non dobbiamo buttare via l’acqua sporca col bambino. Cioè se un eccesso è male, non vuol dire che quella realtà vissuta in modo equilibrato sia male. 

È male mangiare troppo, tanto da diventare obesi, che uno fa più in fretta a saltarmi che girarmi intorno? Si, per tante ragioni, è male. Anche perché sapete sotto ci può stare — non sempre perché ci sono anche disfunzioni fisiche, ovviamente — una grande compensazione. Quello che io non trovo nella mia vita per svariati motivi, lo vado a compensare mangiando in modo sregolato. Ripeto, se non ci sono disfunzioni ormonali. Quindi, per svariate ragioni è male diventare obesi: per la salute, perché nessun dottore vi dirà mai: “È bello e fa bene essere obesi”, ma tutti vi diranno: “Attenzione al peso, perché è un affaticamento al cuore, perché il colesterolo, per i trigliceridi, …” e avanti, avanti, avanti …

Questo però non vuol dire che vi diranno: “Non mangiate più, perché il cibo fa male”. No, il cibo non fa male. È il modo con il quale tu ti cibi che è male, che è sbagliato, ma il cibo non fa male. La bistecca non fa male, un dolce non fa male, un pezzo di panino col prosciutto non fa male, la pastasciutta non fa male, la fettina di Saint Honoré non fa male. Un pugno di ciliegie non fa male. Le posso mangiare? Certo, un caffè non fa male, un bicchiere di vino non fa male.

Ma se io comincio a prendere una torta Saint Honoré e me la mangio, mi mangio 5 kg di pasta in un pasto, mi mangio quattro panini con 2 kg di prosciutto e mi bevo una damigiana di vino, mi fa male? Sì. Ma perché è il modo di assunzione che è sbagliato. 

Quindi, quando tu sei sovrappeso, come ti curano? Togliendoti il cibo? No, perché muori, ma ti curano riequilibrando il tuo modo di mangiare, infatti, si dice che noi siamo sempre a dieta, perché la dieta è un modo di vivere, non è in funzione del dimagrire. Poi, se siamo in sovrappeso ci fa dimagrire, ma tutta la nostra vita è una dieta, vuol dire che devi avere un regime alimentare corretto, apportando tutto ciò che dobbiamo portare, questo è il significato della dieta. Poi dopo è passato con: “Mi metto a dieta” vuol dire che dimagrisco, sì, ma perché se tu mangi quello che devi mangiare nel modo corretto, il tuo corpo sta bene e tu non vai in sovrappeso, ma neanche vai sottopeso, vivi nel tuo peso giusto.

Quindi anche nella vita di fede ci vuole una dieta. Come ci vuole un’igiene alimentare in riferimento alla dieta alimentare, tradotto in senso teologico, in senso spirituale: ci vuole un’igiene, una correttezza spirituale e umana. Quindi è necessario che ci sia equilibrio.

Tutto questo per dire cosa? Per dire che volersi bene, avere attenzioni affettuose verso l’altro, è una cosa molto buona e molto bella. E qui San Pietro è chiarissimo. 

Quanto è raro leggere espressioni del tipo: “Figlio mio, fratello fedele”. Quando è stata l’ultima volta che noi abbiamo rivolto espressioni del genere a una persona che non è della nostra famiglia naturale da cui siamo nati — a parte, che alle volte non le rivolgiamo neanche a nostro fratello di carne! Ci sono rapporti così segnati, così sofferti, che neanche verso il nostro fratello di carne riusciamo a dire: “Fratello fedele”, ma alle volte neanche verso il nostro figlio naturale riusciamo a dire: “Figlio mio”. Guardate queste due parole hanno una potenza di bene, di umanità, vivificante, che è incredibile!

Quando un figlio si sente dire da suo padre: “Figlio mio”, non serve altro! Mi viene in mente Dio Padre: “Questi è il figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo”… “è il figlio mio prediletto”. E Per San Pietro, ovviamente, Marco non era suo figlio, Silvano era un fratello nella fede, non era suo figlio naturale, e San Pietro usa questi termini: “Fratello fedele, figlio mio”, punto. Basta questo. Ecco, io non so quand’è che abbiamo chiamato qualcuno, scrivendolo, fratello fedele. Guardiamoci intorno. Possiamo dire di qualcuno, uno, che abbiamo attorno, del quale noi potremmo adesso prendere carta e penna e scrivere il suo nome e accanto: “fratello fedele”? Prendiamo il nome, uno, di qualcun altro, del quale possiamo scrivere il nome e “figlio mio”? Persone alle quali potremmo dirlo pubblicamente, perché queste lettere erano pubbliche. Non so quanti di noi hanno la grazia di potersi permettere questo, è una grazia. È una grazia avere un figlio nella fede, come l’ha avuto San Pietro, che è Marco. Abbiamo da queste parole la testimonianza che Marco ha fatto una vera esperienza di paternità, di San Pietro, tra l’altro, riconosciuta esplicitamente da San Pietro, scritta!

Il rischio qual è? È di vivere una fede allucinata, sapete le allucinazioni? Una fede allucinata, perché oggi va molto di moda parlare di fede incarnata e di fede disincarnata, io non uso queste espressioni. Io uso l’espressione “fede reale” o “fede allucinata”. Non uso le espressioni incarnata e disincarnata perché ho notato che spesse volte chi usa queste espressioni è poi il primo che fa esattamente il contrario di quello che dice, che dice: “Dobbiamo vivere una fede incarnata o non dobbiamo avere una fede disincarnata” e poi succede che guardando la res uno dice: “Sì, va bene, e quindi è qual è la prova vivente, operativa, riconoscibile, che tu stai vivendo questa fede incarnata o effettivamente stai opponendoti alla fede disincarnata?” È un po’ complessa come cosa, e dobbiamo stare attenti a riempirci la bocca anche di alcune espressioni demagogiche che lasciano il tempo che trovano, che poi alla fine dicono tutto e non dicono niente.

Io preferisco “fede allucinata”, perché è una fede che vive di allucinazioni “positive”. Noi normalmente definiamo le allucinazioni in modo negativo, qui invece io le intendo come allucinazioni “positive”, cioè il soggetto è convinto, si convince — ecco l’allucinazione — di avere una fede, una vita di fede, di questa entità di cui sta parlando San Pietro, una fede che porta in sé una profonda carica di umanità — diciamo così, un rapporto di fede con Dio profondamente innamorato dell’umanità di Cristo, come direbbe Santa Teresa d’Avila — solo che in realtà non c’è, ecco la fede allucinata.

È una fede che crede di essere, crede di vivere, ma in realtà sono allucinazioni, che ovviamente lasciano il tempo che trovano come tutte le allucinazioni. Quindi non vive nella realtà, non si rende conto, non riesce a vedere che quella presunta unione, che quella presunta visione integrale dell’uomo — e qui ci sarebbe tutto il tema sulla coscienza credente che adesso non apro — non c’è, per cui non abbiamo una fede affettuosa.

C’è un bellissimo libro, scritto da Monsignor Pierangelo Sequeri, Il Dio affidabile e tutto il tema della coscienza credente portato avanti appunto da Monsignor Sequeri,  che dice questo: non possiamo vivere una fede che è solo ragione, dobbiamo vivere una fede che riguarda tutto l’uomo, in tutta la sua integralità, soprattutto per quanto riguarda i sentimenti, soprattutto per quanto riguarda il mondo degli affetti. È fondamentale. E questa lettera ci sta offrendo proprio questo.

Ci sono nella scrittura esempi bellissimi di atti di affetto, atti di amore stupendi, e qui ne abbiamo un esempio. Talmente forte, questo esempio, che non è molto diffuso. Già solo queste due cose “Fratello fedele, figlio mio”, poi dopo arriverò alla terza, che questa proprio…. 

Guardate, oltre che in San Pietro, ho letto espressioni come queste, ad esempio, negli scritti di San Pio da Pietrelcina, quando lui scrive alle sue figlie spirituali. Sapete che il tema del rapporto di Padre Pio con le figlie spirituali, fu uno dei temi, come dire, un po’ problematici, per il suo cammino di beatificazione. Ma in realtà non c’è niente di ambiguo. È tutto così chiaro! È tutto così cristallino. Certo che se io mi porto il male dentro, se sono un vizioso, un impuro, un perverso, è chiaro che io vedo tutto questo fuori, ma questo è ovvio! Come fa una persona impura, perversa, viziosa a vedere luce — beati i puri di cuore, perché vedranno Dio — come fa a vedere Dio negli altri? Ogni cosa che vede la sporca, immediatamente, con quella perversità che si porta dentro. Abbiamo visto in questi giorni gli scribi e i farisei il Sinedrio cosa hanno fatto, prima con Gesù e poi con gli Apostoli, con i santi. Con Padre Pio c’è voluto un cammino per capire di dire: “basta”. Fu poi Paolo VI che disse con Padre Pio: “Adesso basta, adesso lo lasciate in pace, fine. È stato torturato fin troppo, adesso lasciatelo stare”. È bellissima questa cosa. Fu proprio il Cardinal Montini che disse a Padre Pio: “Se vuoi vieni qui che ti ospito io, vieni nella mia diocesi, che io ti prendo” perché aveva una grande stima di Padre Pio.

E il tema erano questi scritti, queste lettere, questi rapporti che aveva con le sue figlie spirituali, ma Padre Pio non ha mai fatto niente di brutto, di immondo, di impuro…. non ha mai fatto niente di male, semplicemente “imbevuto dell’umanità di Cristo” era assolutamente umano nel suo essere frate, sacerdote e, chi lo incontrava, incontrava un padre. Tutte cose di cui noi oggi, per diverse ragioni abbiamo un bisogno enorme, perché siamo in un mondo di orfani. Ma, allo stesso tempo, appunto perché non abbiamo forse più tanto coltivato la paternità ad ampio spettro, cioè a 360 gradi, facciamo fatica a cogliere la bellezza, l’importanza della paternità, sia della paternità naturale che di quella spirituale, è proprio in crisi la realtà della paternità. E sapete, se non sono stato figlio, è difficile che un giorno possa essere padre. A Dio tutto è possibile, ma umanamente è difficile. L’esperienza della paternità è fondamentale, sia per quanto riguarda l’aspetto umano, sia per quanto riguarda l’aspetto spirituale. Poi il Signore, ovviamente, è libero di dare le grazie a chi vuole quando vuole come vuole, però diciamo che in linea di massima — se voi leggete anche le riflessioni degli psicologi — capite che c’è una fatica.

“Fratello fedele, figlio mio”. Ecco, io direi: “Impariamo a recuperare questa integralità della fede e quindi l’integralità della persona, tutta la persona. Impariamo a recuperare questa bellezza del rivolgere agli altri  — perché prima ho vissuto un rapporto di questo tipo — di saper rivolgere agli altri espressioni del genere, “Fratello fedele, figlio mio”. Cioè, vuol dire, prima viviamole bene. 

E poi:

Salutatevi l’un l’altro con un bacio d’amore fraterno

Ecco, questo a me sembra che non ci sia più. O ci sono quei baci — che purtroppo adesso non posso farvi vedere perché non è video ma è audio —quei saluti che sono veramente terrificanti: ci si dà il bacio senza baciarsi, che è una contraddizione, cioè si fa un abbraccio che non è un abbraccio, dove si mette testa contro testa, che voglio dire, ma che cosa vuol dire? Ma voi da bambini avete mai dato un abbraccio a una persona mettendo la testa contro la testa? A testate? Ma a testate lo fanno forse le caprette, ma non le persone. Testa contro testa, spalla contro spalla, adesso non riesco a farvi vedere, ma sarebbe da far vedere la scenetta! Ma delle robe che sono veramente… son simpatiche! Uno le guarda e dice: “Per farsi tre risate, facciamoci tre risate”, per non piangere. Ma meglio non farle.

Ma San Pietro parla: “Salutatevi l’un l’altro con un bacio d’amore fraterno — non con un bacio — con un bacio d’amore fraterno” Ma quando è stata l’ultima volta — togliamo i fidanzatini — che noi abbiamo visto due persone salutarsi con un bacio d’amore fraterno? Quando è stata l’ultima volta che noi abbiamo salutato qualcuno con un bacio d’amore fraterno? Allora io qui leggo così, poi non so se qualcuno interpreta in un altro modo, non so in quale modo si possano interpretare queste parole, a me sembrano così chiare, comunque… Ma quando è stata l’ultima volta? Vedete che abbiamo perso un pezzo! E quindi la fede a un certo punto rimane solo una roba dal collo in su, ma neanche! Dal naso in su, cioè praticamente nel cervello. Tutta la parte del cuore dov’è? Chi ha scritto che essere discepoli di Gesù — non è scritto —vuol dire azzerare l’umanità? Tutte le esperienze mistiche di Gesù dove appare ai santi, ai mistici… ma non vi ricordate quando mostra il costato, quando fa riposare sul suo petto Santa Faustina, Santa Margherita Maria Alacoque… Non ci ricordiamo queste cose, quelle esperienze bellissime con Santa Caterina da Siena, esperienze bellissime, fortissime?

Chiediamoci: perché abbiamo così tanta paura, del mondo dei sentimenti e degli affetti! Forse perché non siamo capaci di controllarli, cioè di viverli nel modo dovuto? Forse perché su quella porta c’è scritto: non aprite quella porta perché sennò viene fuori il mondo? Forse perché abbiamo qualcosa da nascondere, da imbavagliare, da imprigionare, da incatenare? Che uno dice: “Ma se io la apro, poi chissà dove vado a finire, viene fuori un mostro che mi divora”. Sì, però, capite, vivere così vuol dire vivere veramente allucinati. Vuol dire vivere una vita da frustrati, vuol dire diventare acidi, cattivi e spietati. Eh sì, perché poi la fine è quella, la fine poi è quella.

Quando una persona si dissocia — individuo vuol dire proprio “indiviso” — nel senso che dissocia il mondo degli affetti dalla sua razionalità, è finita! Prima di tutto perché quel mondo degli affetti ad un certo punto gli può esplodere tra le mani e poi: si salvi chi può! Poi si fanno le cose più assurde del mondo, eh certo, gli è esploso tra le mani! Prima di tutto per questo e poi perché se non gli esplode tra le mani, voi vedete in giro, voi incontrate non una persona, ma un ghiacciolo. Ma un ghiacciolo non è che vi dà molto calore, molta vita.

Tra l’altro mi viene in mente proprio quello che è successo in questi giorni con Giovanni Paolo II, quella macchina di fango che gli hanno buttato addosso, quando hanno detto — che è dovuto poi intervenire il suo segretario — quando hanno detto: “Eh, lui usciva di notte! Di notte non si esce mica per andare a dire un Rosario, per andare a pregare!”. Ma voi cosa ne sapete? Ma anche qui, io quando ho letto questa cosa ho pensato: “Ma tu cosa ne sai? E se invece lui è uscito — mettiamo che sia uscito, io questo non lo so, non so tutta la sua vicenda, la sua vita — ma io se vedo una persona, se vedo il Papa uscire di notte, ma perché devo pensare che va con una donna? Ah, forse lo penso perché lo faccio io per primo!”. Ah vabbè, allora sì, ci sta. Siccome io di notte faccio le cose più occulte e orribili del mondo, allora se vedo un altro che inizia lo stesso percorso, dico: “Beh come me fa anche lui”. Siccome io sono un ladro, se vedo uno che si muove in un supermercato, penso che stia rubando, sì, ma perché io sono un ladro. Del Papa che esce di notte, dico: “Eh certo, lui esce di notte perché va con le donne”, perché lo faccio io! Perché il male ce l’ho dentro io, allora lo vedo negli altri. Ma o porti le prove — carta canta — oppure non possiamo sparare illazioni così, perché queste diventano calunnie gravissime. Voi sapete che la calunnia è anche perseguibile penalmente, tra l’altro. 

La prima cosa che mi è venuta in mente quando ho letto è stata: se fosse vero, se è accaduto, il Papa è uscito di notte per andare a trovare qualcuno che stava male e che cercava la sua presenza. E uno si chiede: “Ma perché di notte?” Ma dico, ma scusa, ma testa di pera, ma secondo te, perché di notte? Ma perché se esce di giorno lo vedono tutti! Ma tu immagini il Papa che esce di giorno e dice: “Scusate, oggi devo andare in via Volta numero 5 per trovare una persona malata che mi ha scritto e che ci tengo ad andare a trovare” ma ti immagini cosa succede? Televisione, radio, ma non ci arriva neanche in quella casa! Quindi avrà detto: “Va bene, di giorno non lo posso fare, mi organizzo”. 

Magari c’è qualche caso grave, qualche cosa importante, magari un sacerdote, magari un vescovo che ha bisogno. Ma cosa ne sappiamo noi? E il Papa non è libero di dire: “Io stanotte esco”? Che differenza c’è tra uscire di giorno e uscire di notte, scusate un attimo? Ma qual è la differenza? Il problema è il buio? Cioè quando arriva il buio entriamo nella corte marziale, entriamo nel coprifuoco! Ma qui non c’è il coprifuoco! Io le cose le posso fare di giorno o di notte, sono libero, tutti siamo liberi.

Sapete che ci sono le palestre aperte h24? Mi hanno detto questa cosa e mi ha un po’ colpito. Quindi ho chiesto: “Ma uno può andare in palestra di notte?” — “Si! Uno alle due di notte si alza e va in palestra” — “Ah!” — Insomma, ci vuole proprio, non so, una forza incredibile, uno si sveglia all’una di notte per andare in palestra, vabbè, ecco ci sarà qualcuno che lo fa, non lo so. E del resto mi son detto: “Vabbè Giorgio, ognuno è libero di fare quello che vuole, se si sente meglio così va bene, sarà meglio così per lui”. Ma cosa cambia se lo fa di giorno o di notte? Il Papa non può uscire di notte per andare a trovare qualcuno? Il Papa che dice: “Io stanotte ho intenzione, per le mie ragioni, di andare a trovare i mendicanti, i poveri delle strade. Voglio andare a portare anch’io quattro thermos di tè bollente ai malati. C’è un malato di tumore morente che sta agonizzando, mi hanno scritto, per me è una cosa importante, voglio andare a dargli i conforti” Ma perché non lo può fare? E perché dobbiamo pensare che va a donne! Veramente, questa cosa è di una perversità incredibile. Veramente, credetelo, è una perversità incredibile. 

Chiaro che uno vedendosi attorno a queste iene fameliche con la bava — perché sapete che le iene perdono la bava, sono schifosissime quelle bestie — vedendosi attorno queste iene fameliche che non aspettano altro che tu ti giri per saltarti addosso e morsicarti, uno vivendo nel terrore, dice: “Vabbè, io non mi muovo più, e così almeno evitiamo di finire sotto le loro zanne”. Ecco a me vien da dire: “No, non si può vivere così. Non è possibile vivere in questo modo”.

Tutti quelli che di voi sono venuti al santuario di Maria Rosa Mistica alla domenica in Albis, della Divina misericordia, quando hanno visto le suorine che sono venute a fare l’Atto di Offerta all’Amore Misericordioso, dopo che praticamente le avete viste solamente venire lì e poi uscire dopo pochissimo tempo — non so quanti hanno parlato con loro, penso pochissimi — tutti quelli che mi sono venuti a parlare, mi hanno detto: “Padre, che belle queste suore!”. Io mi immaginavo che dicessero: “Perché sono devote, perché le ho viste raccolte, perché…” No! Mi hanno detto: “Che belle, erano tutte sorridenti”. Questo ha colpito, non la spiritualità. O meglio, la spiritualità che passa attraverso la gioia. Tu ti guardi attorno da un’altra parte e che cosa vedi? Queste facce di muro e di mulo, questi musi ingrugniti, incartapecoriti, questi musi rognosi, ringhiosi, tristi, arrabbiati col mondo, sospettosi, con questi occhi che ti guardano sospettosi, che appena fai un passo subito la girano nel modo sbagliato.

Ma questa è una vita? Ma guardate che questa è una vita brutta. Ma questa non è vita. Io quando vengo a sapere di o quando li incontro, guardate la cosa che mi viene dentro è ridere, ridere. Perché dico: “Magari ridendo gli viene voglia anche a loro di smollarsi un po’…”, gli vorrei dire: “Figlio mio, rilassati, guarda il mondo come è bello, guarda il sole, guarda i fiori, guarda la gente quanto è bella, quanto è buona. Ma non c’è solo male a questo mondo, e se hai il male dentro di te, vai a tiratelo fuori, non avvelenare tutto e tutti. Vai a spurgarti questo male che hai dentro con una bella e sana Santa Confessione e con un bel sano cammino di conversione, ma non vivere una vita così acida, così vuota, così triste, così miserabile. Abbiamo bisogno di testimoni gioiosi, di gente gioiosa — che non vuol dire andare in giro col sorriso da ebeti —queste suore ce l’hanno fatto vedere bene: vuol dire avere la gioia dentro, essere felici di quello che si è e dove si è. Sei felice della tua vocazione? Sei felice di essere dove sei e quello che sei? Sei felice del tuo rapporto con Gesù? Sei in pace con Gesù? E allora sorridi. Ma regala al mondo un sorriso, regala alle persone che incontri un sorriso. Madre Teresa di Calcutta lo diceva sempre, la prima cosa che dovete donare agli altri è un sorriso. Incontrate le persone con un sorriso. San Pietro ci dice: “Date un bacio d’amore fraterno”.

Ecco, sono già 45 minuti che parlo. Ho fatto bene a trattare questo argomento per primo, perché lo sapevo che finiva così.

Quindi cosa vi dico in conclusione? Vi dico: gioia! Portate, portiamo gioia. San Pio da Pietrelcina diceva: “La tristezza non porta niente di bene, ci porta al diavolo”. San Filippo Neri diceva: “Tristezza e malinconia, fuori da casa mia”. Quindi gioia! Salutiamo gli altri con un sorriso.

Un po’ di tempo fa ho perso la voce, mi è venuta una laringite abbastanza forte e per qualche giorno ho perso la voce, e quindi mi hanno messo un po’ a riposo vocale, non potevo più parlare. E io dicevo: “Mamma mia, come si fa adesso a salutare le persone, se devo stare zitto per tot giorni?” Allora mi sono detto: “Vabbè, l’unico modo che ho è di sorridere di più”. Guardate, mi ha colpito molto che alcuni confratelli che avevo accanto al collegio dove sono, mi hanno detto: “Sai, padre Giorgio, abbiamo notato che in questi giorni sei più sorridente”. E ho detto: “Oh cielo, cioè adesso che sto male e che non posso parlare sono più sorridente. Qui è tutto il contrario!” Mi hanno detto: “Guarda, abbiamo notato che non puoi parlare, però sei ancora più sorridente”. Sapete perché è successo questo? Perché io, non potendo parlare, mi sono ingegnato e ho detto: “L’unico modo che ho per comunicare è di sorridere”. Non potevo dire una parola, ma il sorriso, ho capito sulla mia pelle, che dice più di mille parole, veramente il sorriso parla. 

Ecco, non vi dico poi il bacio d’amore fraterno che miracoli può fare! Questo l’ho visto in carcere. Ho visto dei miracoli bellissimi, veramente. Avere umanità per gli altri, prendere la mano di una persona mentre gli parli, fare una carezza su un volto che sta male, asciugare delle lacrime, dare un bacio sentito a una persona che è in un momento di fatica, senza dire una parola, almeno in questi momenti può fare miracoli. Può veramente salvare le vite. Può strappare una persona dalla disperazione. E ci vuole niente. Qui San Pietro dice di farlo non per queste emergenze di cui vi ho parlato io, ma dice di farlo normalmente. 

A Monza, dov’ero, andavo a fare servizio ai malati terminali, c’è il reparto dei malati terminali — l’hospice — e dei malati in stato vegetativo. Per un annetto sono andato lì assieme all’allora mio padre priore, andavamo lì a fare questo servizio una volta alla settimana, un pomeriggio, un giorno uno, un giorno l’altro. E c’erano delle volte che non potevi parlare, perché non si riusciva. Allora io ogni volta, quando mi avvicinavo, magari dicevo una preghiera, prendevo il braccio o la mano della persona e recitavamo la preghiera insieme — la recitavo io, l’altro non poteva parlare perché magari era tracheotomizzato o per tante ragioni — ma sapete quante volte — lo sguardo di queste persone non ve lo posso raccontare perché non è raccontabile, solo chi l’ha visto può capirlo, quegli occhi parlavano più di mille parole — quante volte mi è successo di vedere lacrime, e lacrime, e lacrime, scendere da quei volti quando gli prendevo la mano e come mi stringevano la mano. E alla fine, spesse volte, quale sorriso mi regalavano.

Queste parole di San Pietro, guardate, dobbiamo viverle. Le iene pensino quel che han voglia. Facciano tutte le loro calunnie orrende, non ha importanza. Che le facciano. Se San Giovanni Paolo II è uscito di notte per andare a dare l’estrema unzione, a visitare i malati, ha fatto bene. Io non credo a una parola di tutto il fango che gli hanno buttato addosso, ma non ho bisogno di prove, perché non starebbe minimamente con la vita di quell’uomo. Basta vedere la vita di quell’uomo per capire che non ci sta. Non ho bisogno di prove. Per me lui non ha mai fatto niente di male. E lo si capisce benissimo dalla vita che ha condotto. Beati coloro che di notte hanno ricevuto la visita di Giovanni Paolo II. Che tra l’altro, quando era arcivescovo di Varsavia, già ve lo dissi, era andato proprio di notte a trovare quel sacerdote ubriacone che era stato denunciato da quelli che volevano farlo sospendere a divinis, volevano ridurlo allo stato laicale, volevano castigarlo. Il suo arcivescovo Woytila è andato di notte a trovarlo. Ricordo molto bene questo fatto della sua vita. Quando questo prete gli ha aperto la porta ubriaco fradicio, lui che era arrivato tutto coperto ha tolto il mantello nero e sotto era vestito da arcivescovo, — o da cardinale se già era — adesso mi ricordo più, ma comunque il sacerdote si è accorto immediatamente di avere davanti l’arcivescovo. È andato vestito in pompa magna e il prete aveva praticamente la bottiglia in mano, quando l’ha visto ovviamente ha pensato: “Ok, è finita”.

Questo è quello che avrebbero fatto tutte le iene di questo mondo, gli assetati di sangue, quelli famelici che non aspettano altro di tagliarti le gambe. Andate a vedere le iene, oggi dovrei mettere come immagine del post — non lo farò, non lo farò fare — la foto di una iena, con la bava che scende, ma non lo farò perché è troppo brutta. Ebbene, quando è entrato, lui è rimasto folgorato dalla presenza dell’Arcivescovo, ha pensato alla “fine”, l’arcivescovo è andato verso l’inginocchiatoio che il sacerdote aveva attaccato al muro sotto il crocifisso, si è messo in ginocchio e gli ha detto: “Padre, sono venuto qui per confessarmi”. Lui l’ha guardato, e gli ha detto: “Cosa, eminenza??!” — “Sono venuto qui per confessarmi, mi può confessare?”.

Da quel giorno, da quella notte, quel sacerdote non ha mai più toccato una goccia di vino.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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