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La Poesia – L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati, S. Manuel González pt.5

L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati - San Manuel Gonzales Garcia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: La Poesia – L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati, S. Manuel González pt.5
Domenica 24 marzo 2024 – Domenica delle Palme o della Passione del Signore

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Mc 11,1-10 – Anno B)

Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”».

Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare.

Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:

«Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a domenica 24 marzo 2024. Quest’oggi festeggiamo la solennità della Domenica delle Palme.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dall’undicesimo capitolo del Vangelo di san Marco, versetti 1-10.

Anche se non dirò nulla in riferimento alla solennità di oggi, perché non potrei fare tutte e due le cose, credo che questo testo che stiamo meditando, sia un’ottima preparazione a questa Settimana Santa che ormai inizia. A partire da domani, avremo Lunedì Santo, Martedì Santo, fino ad arrivare al Triduo: Giovedì, Venerdì e Sabato Santo; è la settimana più importante di tutto l’anno liturgico. La Domenica delle Palme apre questa Settimana Santa. 

Vivremo questa Settimana Santa accompagnati da questo bellissimo libro, che ci fa sentire tutto l’anelito che questo vescovo santo aveva nei confronti dell’Eucarestia. Ecco, noi vivremo il Triduo della Pasqua, la Pasqua, e la settimana dopo la Pasqua, accompagnati da questo testo che è veramente molto, molto importante, come penso abbiate potuto tutti constatare.

Continuiamo la lettura. Io sto leggendo, il racconto del primo Tabernacolo abbandonato che ha cambiato la vita a san Manuel, tratto da un altro famoso suo libro che si intitola “Anche se tutti, io no”.

Andiamo avanti in questa lettura; siamo arrivati al punto in cui lui incontra questo Tabernacolo abbandonato, e abbiamo concluso ieri proprio con questa espressione: «Tutti ti abbandonano, io non ti abbandonerò, — questa espressione che san Manuel muta da san Pietro — questo amore non assomiglia a nessun altro amore!». Ecco, adesso andiamo avanti e vediamo cosa dice:

Di me vi dirò che quella sera, in quel momento di Tabernacolo, intravidi per il mio sacerdozio una occupazione che prima non avevo sognata, e per i miei entusiasmi intravidi un’altra poesia che prima mi era sconosciuta. Credo che li svanirono le mie illusioni di parroco di un popolo con usanze patriarcali e semplici, con la mia vocazione di don Sabas … (don Sabas è un personaggio della letteratura spagnola, un esempio tradizionale di parroco)

Essere parroco di un popolo che non ama Gesù, per amarlo io per tutto il popolo — molto bella questa frase — Spendere il mio sacerdozio nel badare a Gesù in quelle necessità che la vita del Tabernacolo gli ha creato. Alimentarlo con il mio amore. Riscaldarlo con la mia presenza. Intrattenerlo con la mia conversazione. Difenderlo contro l’abbandono e la ingratitudine. Procurare sollievo al suo Cuore con i miei santi Sacrifici. Servirgli da piedi per portarlo dove lo desiderano. Da mani per dare elemosine nel suo nome anche a coloro che non lo amano. Da bocca per parlare di Lui e consolare per suo mezzo, e gridare a suo favore quando si impegnano a non sentirlo … fino a quando lo ascoltino e lo seguano … 

Che bel sacerdozio! — sentite ora — E se non accettano la mia amicizia perché li porta a lui, né i miei soldi perché li do nel suo nome e mi chiudono le porte?

Non importa! Sempre, a Gesù e a me resterà la consolazione di tenere aperta almeno una porta: Lui quella del mio cuore e io quella del suo.

Queste righe che abbiamo letto a me sembrano veramente incredibili, bellissime; “un nuovo programma di vita sacerdotale”.

San Manuel non cade in depressione. Avrebbe avuto tutti i diritti di farlo: giovanissimo sacerdote mandato in una parrocchia — che di parrocchia ha solo il nome — senza nessun fedele, con una chiesa abbandonata, mezza diroccata, sistemata ma messa male, abbandonata — una cosa, una volta che è abbandonata, è abbandonata, si, magari l’avranno anche risistemata, però era abbandonata — un Tabernacolo inguardabile tanto era conciato. 

Don Manuel si sarebbe potuto ribellare — come dice lui — e dire: “No, io qui non ci rimango, vengo via, vado via, non posso stare qui, è impossibile, impazzisco”. Avrebbe potuto dirlo, e chi gli avrebbe dato torto? Avrebbe potuto dire al vescovo: “Guardi, Eccellenza, mi spiace, lei o mi ha mandato lì per castigo o non era a conoscenza della situazione, o lei pensava che io fossi il santo Curato d’Ars, non lo so; ma nessuna delle tre va bene, quindi io lì non ci rimango, vengo via, mi trasferisca altrove”. Avrebbe potuto inacidirsi, incattivirsi, arrabbiarsi, avvilirsi, ripiegarsi, demoralizzarsi, rinchiudersi in un mutismo, fuggire, come faceva l’altro parroco, che stava lì il meno possibile e andava altrove. Invece, come vi ho già detto quando abbiamo meditato santa Teresa, san Manuel scopre la sua vocazione nella vocazione.

Avete visto? Questo è un esempio classico, proprio paradigmatico, di cosa vuol dire scoprire la vocazione nella vocazione. E lui lo descrive molto bene con questa bella espressione:

…quella sera, in quel momento di Tabernacolo, intravidi per il mio sacerdozio una occupazione che prima non avevo sognata…

Vedete: la vocazione nella vocazione, un’occupazione, un qualcosa da fare. Va bene, non aveva da doversi mettere lì a fare la catechesi, la predicazione, il Rosario all’aurora e i canti con la gente, perché non c’era nessuno, ma lui scopre un’altra attività, un’altra occupazione, che neanche aveva sognato, immaginato minimamente. Sentite che bella frase:

…intravidi un’altra poesia 

ogni uomo, ogni donna, ha bisogno di una poesia per cui vivere. Se la nostra vita non ha una poesia per cui vivere, noi sentiamo tutta l’inutilità del nostro vivere.

Eh, infatti, guardiamoci attorno: tutti sono alla ricerca di una poesia per cui vivere; pochi la trovano. Se non la trovo, la mia vita diventa una nenia, una filastrocca banale, diventa una ripetizione di parole vuote, ma non una poesia. 

Noi siamo chiamati a essere dei poeti, dei poeti che cantano la propria poesia con la loro vita, con la loro parola, con i loro scritti. Ognuno ha la sua, ed è chiamato per tutta la vita a cantare quella poesia. Che poi questa poesia, la deve sistemare, deve aggiungere, limare, cambiare, correggere, ci vuole una vita intera. E così, alla fine, quando morirà, consegnerà all’umanità, alla Chiesa, la poesia che lui ha scritto, quell’unica poesia che per tutta la vita ha continuato a scrivere. E questi sono i santi: san Manuel scrive la sua poesia, santa Teresa ha la sua poesia, san Giovanni della Croce ha la sua poesia, san Giovanni Bosco ha la sua poesia, ma son tutti dei meravigliosi poeti.

Per una poesia si può dare la vita. Quando c’è una poesia che rende ragione al mio svegliarmi al mattino e andare a letto la sera, allora vale la pena vivere. E se anche sono rinchiuso in una cella, e se anche sono bloccato in un letto, e se anche sono… se c’è una poesia per cui vivere, si vive, e si vive meravigliosamente.

La poesia, nessuno ce la può strappare dal cuore, solo noi possiamo decidere di non scriverla, non seguirla. Perché, sapete: hai l’intuizione poetica, ti viene l’ispirazione, ma poi, se non ti metti a scriverla eh, niente! San Manuel, invece, l’intuisce e la scrive, non rimane attaccato ai suoi sogni, che son già andati tutti in fumo; non rimane attaccato, li lascia andare, dice: “Vabbè quelli niente, erano i miei sogni, sono andati; adesso seguo la poesia che mi dà il Signore. Quelli erano i miei sogni, irreali, adesso il Signore mi offre una poesia, una vera poesia, da scrivere qui, in questo paese, dove nessuno viene. E dove sono chiamato a girare la testa dall’altra parte, a guardare ad est”.

San Manuel scrive che i suoi sogni svanirono lì, in quel luogo, in quel momento di Tabernacolo. Davanti a quel Tabernacolo nasce la poesia della sua vita e lì svaniscono tutte le illusioni di parroco. Un sacerdote novello a cui il Signore toglie tutte le sue illusioni, a partire da quelle di essere parroco in quel modo: «di un popolo con usanze patriarcali e semplici, con la mia vocazione di don Sabas» (questo parroco tradizionale spagnolo); via, salta tutto. “Tu sarai parroco, ma in tutt’altro modo. Eserciterai sì il tuo sacerdozio, ma in tutt’altra maniera”.

Una storia avvincente, incredibile. Quindi, ecco che scopre la sua nuova poesia, la vera poesia della sua vita:

Essere parroco di un popolo che non ama Gesù

Come fai a essere parroco di un popolo che non ama Gesù? È una contraddizione in termini! Tu sei parroco di coloro che amano il Signore! — “No, io sono parroco di una parrocchia dove non si ama Gesù!”. Capite? Lo ripeto: “sono parroco di una parrocchia dove non si ama Gesù, sono sacerdote di fedeli che non amano Gesù” — l’ha scritto lui, eh! — “sono sacerdote di fedeli che non amano Gesù, sono parroco di fedeli che non amano Gesù…

per amarlo io per tutto il popolo

Questi fedeli, questi parrocchiani che ho, non amano Gesù; benissimo, io sono il loro parroco. Perché lo sono? Per amare io Gesù per loro”.

Ecco la poesia, ecco la sua vocazione nella vocazione: “Gesù, io ti amo per questi miei fedeli che non ti amano. Io ti amo per questi parrocchiani che non ti amano. Ti amo io! Io ti amo per coloro che dovrebbero amarti e non ti amano; ci sono io”. 

Attenzione, va ancora più a fondo:

Spendere il mio sacerdozio nel badare a Gesù

Ma vedete questo sacerdote novello come tratta Gesù? Come se lo avesse lì in carne ed ossa, come se avesse lì una persona che gli parla, che lo guarda, come se avesse lì un amico: perché era così veramente. La presenza reale di Gesù — che poi, vedremo, nei prossimi giorni, lui ne parlerà — “è reale” per lui. Non è che dice: “Sì, vabbè, qua c’è l’Eucarestia, però intanto io …”. No, no! «Spendere il mio sacerdozio nel badare a Gesù». Cioè, io userò il mio sacerdozio, i miei giovani anni di sacerdote — che potrei fare mille cose, potrei predicare, potrei correre, potrei salire e scendere e non dormire mai, non mangiare mai e confessare, catechizzare e amministrare i sacramenti, e fare mille cose — io li userò per badare a Gesù:

badare a Gesù in quelle necessità che la vita del Tabernacolo gli ha creato.

Questo è un programma di vita, veramente! “Tu perché sei prete?”. Don Manuel risponde: “Io sono prete per badare a Gesù in quelle necessità che la vita del Tabernacolo gli ha creato”. Gesù nell’Eucaristia vive una vita del Tabernacolo, perché sta dentro al Tabernacolo. Bene, allora: che necessità ha Gesù, nel Tabernacolo? Gesù nel Tabernacolo ha delle necessità? Noi non ce lo siamo mai chiesti probabilmente. Quali sono le necessità di Gesù nel Tabernacolo?

Quando Gesù viveva sulla terra, aveva necessità di mangiare, di bere, di dormire, di lavarsi, aveva delle necessità molto concrete. Adesso Gesù è presente sacramentalmente nell’Eucarestia, che è custodita nel Tabernacolo; una presenza vera, reale e sostanziale, esattamente come quando era qui sulla terra! È una presenza vera, reale e sostanziale, cioè: lì c’è Gesù. Non è un ricordo, un simbolo, un segno, no: lì c’è Gesù veramente, realmente, sostanzialmente presente. Bene, san Manuel dice: “Allora se lì c’è Gesù, avrà delle necessità”; come chiunque di noi nel momento in cui è lì, in un certo luogo. Quando sono al lavoro, ho delle necessità; quando sono a casa, ho delle necessità; quando sto dormendo, ho delle necessità (di coprirmi, di stare al caldo); benissimo: Gesù nel Tabernacolo che necessità ha? Le abbiamo appena lette, adesso le vediamo e le commentiamo.

Primo: essere alimentato dal mio amore; questa è la prima necessità di Gesù.

Io mangio pastasciutta, pane, carne, verdura e frutta; Gesù, invece, viene alimentato dal mio amore, Gesù si nutre con il mio amore, il mio amore è fondamentale per nutrire Gesù. Potremmo dire: “per non far morire di fame Gesù”, noi dobbiamo dargli il nostro amore. Quindi, la prima necessità di Gesù è essere nutrito con il mio amore. 

Seconda necessità: Gesù ha freddo. Che tipo di freddo è questo? Il freddo della solitudine. Benissimo, seconda necessità: essere riscaldato con la mia presenza. Io vado a letto e mi devo riscaldare con la coperta, col calorifero; Gesù ha bisogno della mia presenza per essere riscaldato. Quindi: ha bisogno del mio amore per essere nutrito e ha bisogno della mia presenza per essere riscaldato; quindi devo andare lì, quindi ci devo stare.

Terza necessità: intrattenerlo con la mia conversazione. Gesù vuole parlare; tutti parliamo, e perché Gesù non deve parlare? Gesù ci vuole parlare, vuole intrattenersi con noi, vuole stare con noi. Gesù vuole stare con noi, vuole parlare con noi, come fa ogni amico. Ma qual è il desiderio di una persona che veramente ci ama? Penso che tutti voi, tutti noi, nella nostra vita, almeno una volta abbiamo amato qualcuno, e io spero che anche adesso — mi verrebbe da dire tutti noi ma, se non tutti — la stragrande maggioranza mi auguro, sta amando qualcuno veramente; quindi o ha amato o sta amando, oppure ha amato e sta amando, tutti abbiamo un’esperienza breve o lunga che sia, passata o presente, dell’amare.

Quando si ama qualcuno — ma quando si ama veramente, non secondo lo stile che c’è oggi, del cuore-batticuore — quando si ama veramente qualcuno, qual è il desiderio, l’unico vero desiderio che si ha? Stare con la persona amata. Chi ama ha questo desiderio. Qual è la vera, unica sofferenza che prova chi ama? Essere separato, essere separata dalla persona amata. Questa è la vera sofferenza, tutto il resto è sopportabile, tutto il resto si va oltre, tutto il resto si supera, ma essere separati da una persona amata è terribile. A chi ama veramente, non interessa cosa si fa, dove si va, dove si sta; non interessa. “Facciamo quello che vuoi, andiamo dove vuoi, stiamo dove vuoi, ciò che conta è che stiamo insieme”. Questo prova, questo pensa, questo desidera, questo brama, questo cerca, questo vuole, solo questo vuole, chi ama veramente. Quindi, non si metterà mai a bisticciare su: “andiamo di qui, andiamo di là, facciamo questo, facciamo quello, facciamo quell’altro”. Non m’interessa, ma fai quello che vuoi! Vuoi andare in montagna? Andiamo in montagna. Vuoi andare al mare? Andiamo al mare. Vuoi andare al lago? Andiamo al lago. Vuoi andare al Polo Nord con le foche monache? Andiamo al Polo Nord. Vuoi andare a caccia dei pinguini per fargli le foto a trenta gradi sottozero? Va bene, andiamo al Polo Nord, io ho un freddo terribile, ma comunque andiamo al Polo Nord, non mi interessa. No, io preferisco andare all’Equatore a vedere gli elefanti. Andiamo all’Equatore a vedere gli elefanti! Non mi interessa, andiamo dove vuoi, facciamo quello che vuoi, stiamo dove vuoi. Non vuoi uscire, vuoi stare a casa? Benissimo, non mi interessa, quello che conta è che stiamo insieme. Perché? Perché io mi nutro del tuo amore; io mi riscaldo con la tua presenza e io mi intrattengo con la tua conversazione, quello che conta è poter stare con te per nutrirmi, per riscaldarmi, per intrattenermi, perché solo con chi amo e mi ama veramente c’è una vera conversazione, c’è un vero intrattenimento. Perché ci si intende, perché c’è la complicità, perché ci si capisce con uno sguardo, perché si sta bene insieme.

Quando si sta con la persona amata, si sta bene insieme. Non vuol dire che non ci sia mai qualche battibecco, è normale! Però è quella cosa che alla fine supera tutto; non so come spiegare in altro modo, spero di essere riuscito a farvi capire quello che ho in testa, quello che ho nel cuore.

E Gesù è così, Gesù ti dice: a me non interessa; a me quello che interessa è che stai qui con me, a me quello che interessa è che stiamo insieme, a me quello che interessa è che tu mi vieni a raccontare le tue cosine, che mi parli delle tue cosine, che mi vieni a dire, che sono il primo a cui racconti i tuoi successi, che sono il primo da cui vai quando soffri, che sono il primo da cui vai quando racconti i tuoi desideri che non puoi raccontare a nessuno, perché hai paura di essere preso in giro, che sono il primo… ecco, questo mi interessa. Poi, cosa vuoi che mi interessi che vai di qui, che vai di là, che fai questo, che fai quello. Fai quello che vuoi, ma facciamolo insieme, stiamo insieme in tutto quello che facciamo. Devi cucinare, devi ballare, devi danzare, devi andare a fare lo sport, devi correre, devi nuotare, devi sciare, devi lavorare, devi dormire? Va bene, ma intanto siamo uniti, uno per l’altro, uno nell’altro.

Questa è l’Eucarestia! Ecco perché Gesù ha pensato a qualcosa che viene mangiato. Il momento sommo, culminante, di questa necessità — c’è una necessità radicale, mi permetto di dire “ontologica” (magari qualcuno storce il naso, ma credo che adesso, spiegando, potete capire cosa voglio dire) — una necessità talmente radicale, che è una necessità ontologica per Gesù, quale? Essere un tutt’uno con te, e quindi essere mangiato da te, diventare te, e tu Lui, uno parte dell’altro. Questa è proprio una fusione, dove non si perde l’identità dell’uno e l’identità dell’altro, non si perde, rimane, ma si uniscono. E quindi Gesù è nel Tabernacolo — certo, per tutto quello che stiamo dicendo — e poi il punto finale è: “ricevimi, nutriamoci uno dell’altro, riscaldiamoci uno con l’altro”.

Quarta necessità: difenderlo contro l’abbandono e l’ingratitudine. Come ogni amico, Gesù ha bisogno di essere difeso. Un amico, un’amante, difende la propria amata, il proprio amico. Lo difende da che cosa? Da tutto e da tutti, da tutti coloro che gli vogliono fare del male e da tutto ciò che gli può far del male. L’amato difende l’amata, l’amico difende l’amico, da tutto, da qualunque cosa può essere una minaccia. L’amico non permetterà mai che il proprio amico possa essere attaccato. L’amico difende a costo della sua vita, ecco perché Gesù dice: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Vi ricordate? E Gesù ha bisogno di essere difeso; da che cosa? Dall’abbandono e dall’ingratitudine; in che modo? Col contrario: stando lì con lui ed essendogli grati.

Quinto: procurare sollievo al suo Cuore con i sacrifici; che vuol dire imparare a fare un po’ di penitenze. Non serve fare grandi cose: le piccole cose, quelle ordinarie di tutti i giorni, e son quelle che ci costano di più. Piccoli sacrifici, però fatti per dare sollievo al Suo Cuore: “Questo lo faccio in onore del Cuore eucaristico di Gesù, questo è per dare sollievo al Cuore eucaristico di Gesù”.

Sesto: «Servigli da piedi per portarlo dove lo desiderano». “Gesù, ti porto io, io ti porto dove ti vogliono”. Quindi, il sacerdote che porta l’Eucaristia, agli ammalati, ad esempio. O il sacerdote che porta l’insegnamento di amare Gesù, di far scoprire Gesù Eucarestia, a tutti coloro che lo vogliono.

Poi servigli «… da mani per dare elemosine al suo nome anche a coloro che non lo amano». Quindi, veramente dare aiuto anche a chi non ama Gesù; servirgli «Da bocca per parlare di Lui e consolare per suo mezzo, e gridare a suo favore quando si impegnano a non sentirlo … fino a quando lo ascoltino e lo seguano …».

Quindi, questa è un’altra necessità: dare la nostra bocca a Gesù per parlare di Lui, per consolare. Quanto c’è bisogno di consolazione, oggi! Essere noi quella mano, quella voce, quello sguardo, quel sorriso consolatorio per coloro che il Signore ci fa incontrare, esattamente come farebbe Lui, esattamente come fa Lui, esattamente come ha fatto Lui nel Vangelo.

Ed ecco che san Manuel scrive:

Che bel sacerdozio!

Eh, beh, sì, certo, questo è un sacerdozio bellissimo! Capite che san Manuel ha scoperto il vero modo di essere sacerdoti? Che non è correre di qua, correre di là, saltare come le pulci, ma è vivere esattamente così. Perché poi vedremo, vivendo così, cosa succede! Non è che la storia finisce qui; qui comincia, e poi vedremo cosa succede.

E poi, dice:

E se non accettano la mia amicizia perché li porta a lui…?

È vero; è vero, purtroppo. 

Capite, il concetto di fondo è: quando un sacerdote vive così, è chiaro che ci saranno persone che non accettano la sua amicizia, perché sentono che quel sacerdote li porta a Gesù, e ci sono persone che non vogliono andare da Gesù. Dicono: “No, io voglio essere tuo amico in modo molto umano. Ma non voglio che tu mi porti a Gesù” — “Eh, no, ma non posso, non posso non portarti a Gesù” — “No? Allora non ti voglio come amico” — “E va bene” — “Non voglio la tua amicizia” — “Va bene” — “Non voglio i tuoi soldi, non voglio niente da te, perché tu alla fine mi metti a nudo la coscienza, per farmi vedere i miei peccati e portarmi dal Signore, e io questo non lo voglio. Quindi ti abbandono!”.

Guardate che ci sono questi casi: io adesso non posso stare qui a raccontarvi i fatti, ma vi assicuro che ci sono moltissimi di questi casi — gravissimi casi del genere, veramente molto, molto brutti — di persone che si rivoltano contro il sacerdote per una ragione sola: perché quel sacerdote, quell’amicizia, li porta al Signore. E allora dicono “No, io non la voglio più”; e quindi abbandonano quel parroco, abbandonano quel vice parroco, abbandonano quel rettore, abbandonano quel sacerdote, perché quell’amicizia li costringerebbe a fare verità dentro di sé, a mettere chiarezza dentro di sé, a cambiare vita, e siccome loro non vogliono, lo abbandonano; siccome lui porta a Gesù, e loro non vogliono Gesù, abbandonano Gesù e abbandonano anche lui. Poiché hanno abbandonato Gesù, quindi abbandonano anche il sacerdote. E san Manuel dice:

Non importa! Sempre, a Gesù e a me resterà la consolazione di tenere aperta almeno una porta: …

possono chiudermi tutte le porte che vogliono, tutti i cuori possono chiudersi, benissimo, ma una porta resterà sempre aperta:

… Lui quella del mio cuore e io quella del suo.

Il mio cuore, la porta del mio cuore sarà sempre aperta per Gesù. E io so, che se anche tutte le porte di tutti i cuori che conosco dovessero chiudersi per me, una porta non si chiuderà mai per me, ed è la porta del Cuore di Gesù.

Auguro a tutti voi una Santa Settimana Santa.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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