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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 75

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 75
Domenica 22 ottobre 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Mt 22, 15-21)

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiàni, a dirgli: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?”.
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: “Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo”. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”. Gli risposero: “Di Cesare”.
Allora disse loro: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a domenica 22 ottobre 2023. Oggi ricordiamo San Giovanni Paolo II, papa. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal ventiduesimo capitolo del Vangelo di san Matteo, versetti 15-21.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del testo di Bonhoeffer, Sequela.

Adesso lui cita un testo lungo, che è Matteo 6, 25-34; credo che ve lo ricorderete tutti: “La vita non vale più del cibo, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo…” e via di seguito.

Commento di Bonhoeffer:

Non affannatevi! I beni danno al cuore umano il miraggio della sicurezza e dell’assenza di affanni, ma in verità sono proprio la causa prima degli affanni. Il cuore che si attacca ai beni riceve insieme ad essi il peso soffocante dell’affanno. L’affanno si procura tesori, e a loro volta i tesori procurano affanno. Vogliamo garantire la nostra vita per mezzo dei beni, vogliamo liberarci dall’affanno per mezzo dell’affanno, ma in realtà ne risulta il contrario. Le catene, che ci vincolano ai beni, sono per sé stesse un affanno. 

Quindi Bonhoeffer, commentando questo Vangelo che vi ho appena detto, ci sta richiamando sull’importanza del non affannarci. E lui dice che i beni, tutti i nostri beni, danno al cuore dell’uomo il miraggio di una sicurezza, danno il miraggio dell’assenza di affanni; ma in realtà i beni sono proprio la prima causa degli affanni. Se ci pensiamo dobbiamo dire che è vero. 

Quindi: “l’affanno si procura tesori e i tesori procurano l’affanno. Quindi lui dice che non ha molto senso volerci liberare dall’affanno per mezzo dell’affanno. Continua:

L’abuso dei beni consiste nell’uso che ne facciamo per garantirci il giorno che viene. L’affanno è sempre rivolto al domani. Ma i beni sono destinati, nel senso più rigoroso, solo all’oggi. Proprio la ricerca di sicurezza del domani mi rende oggi così insicuro. A ciascun giorno basta la sua pena. Chi rimette totalmente nelle mani di Dio il domani e oggi accoglie totalmente ciò di cui ha bisogno per vivere, solo costui è veramente al sicuro. Il ricevere giorno per giorno mi rende libero dal domani. Il pensiero del domani mi espone ad un affanno infinito. — Adesso cita Gesù, cita il Vangelo — «Non affannatevi dunque per il domani»: o si tratta di un terribile scherno nei confronti di quegli uomini poveri e miseri, a cui per l’appunto Gesù parla, di tutti quelli che, in termini umani, se oggi non si affannano, domani saranno affamati. O si tratta, in altri termini, di una legge insopportabile, che l’uomo scansa da sé con avversione, oppure è l’annuncio unico nel suo genere del vangelo stesso, della libertà dei figli di Dio, che hanno un Padre in cielo, da cui hanno ricevuto in dono il Figlio stesso diletto. Come potrebbe non donarci tutto, dopo averci fatto questo dono?

Quindi: in che cosa consiste quest’abuso? Perché la questione è, come sempre, non tanto l’uso del bene, ma l’abuso. E questo abuso consiste nel preoccuparci dei beni in relazione al domani, mentre i beni sono destinati — nel senso più rigoroso — all’oggi; cioè, ciascun giorno ha il suo bene, ha i suoi beni. E quindi siamo chiamati a rimettere totalmente nelle mani di Dio il nostro domani. Questo non vuol dire — l’abbiamo già detto — che uno, quindi, non deve avere uno stipendio e cose di questo tipo!

Pensate alla nostra vita: del resto, la nostra vita è il bene più prezioso che abbiamo. Tra tutti i beni che noi possiamo ricevere, ce n’è uno che riceviamo dalla nascita, che è la nostra vita, la nostra esistenza. Ora, Bonhoeffer dice che il fatto che io rimetto la mia vita nelle mani di Dio, questo mi fa essere al sicuro, pensando che sarà Dio a darmi ciò che ho bisogno per vivere, liberandomi dal pensiero del domani.

Dio ha cura o no delle sue creature? Dobbiamo decidere se credere o no a questa parola del Signore; se crederci seriamente. E, di nuovo, non vuol dire che allora smetto di lavorare, smetto di studiare, smetto di… perché devo star qui ad aspettare che Dio dal cielo mi faccia arrivare la pagnotta sul davanzale della finestra. Ma dovrò fare tutte le cose che devo fare, tutte le cose giuste, belle, doverose che devo fare secondo lo stato della mia vita, però senza l’affanno per il domani. Se cominciamo a pensare: domani che cosa succederà? È finita! Non riusciamo più a venirne fuori. Quindi questo è l’annuncio di libertà — dice Bonhoeffer — della libertà dei figli di Dio.

Bonhoeffer dice che se Dio ci ha donato suo figlio — quindi tutto — come potrebbe non donarci anche il resto? È chiaro che lo farà.

«Non affannatevi dunque per il domani»: questo [invito] non va inteso come saggezza di vita, come legge. Va compreso solo come il vangelo di Gesù Cristo. Solo colui che è nella sequela, che ha riconosciuto Gesù, riceve da questa parola l’assenso dell’amore del Padre di Gesù Cristo e la libertà da tutte le cose. Non è l’affanno a liberare dall’affanno il discepolo, ma la fede in Gesù Cristo. 

Ecco: la fede in Gesù ci libera dall’affanno.

Ora egli sa che non possiamo nemmeno darci affanno. Il domani, l’ora che segue, è del tutto sottratta alle nostre possibilità. Non ha senso agire come se, in generale, fossimo in grado di affannarci. Non possiamo infatti cambiare niente delle condizioni del mondo. Dio solo può affannarsi, perché è lui a governare il mondo. Poiché non possiamo affannarci, poiché siamo così totalmente impotenti, perciò nemmeno dobbiamo affannarci. Altrimenti ci arrogheremmo il ruolo di governo che è di Dio.

Cioè, dovrebbe essere anche un discorso logico: siccome solo Dio è onnipotente, solo Dio può veramente, noi cos’è che possiamo fare? Non posso neanche dire ai miei capelli: ricrescete; non posso neanche dire ai miei capelli bianchi: tornate marroni. E Bonhoeffer dice che se ci affanniamo, ci arrogheremmo il ruolo di governare e questo ruolo di governare è solo di Dio, non nostro.

Ma chi è nella sequela sa anche che non solo non può e non deve affannarsi, ma che addirittura non ha bisogno di farlo. Non è l’affanno, e neppure il lavoro, a procurare il pane quotidiano, ma Dio Padre.

E notate ora il paragone di Gesù con i gigli del campo e gli uccelli del cielo:

Hanno bisogno dei beni del mondo solo per la vita quotidiana, non li ammassano…

Un uccellino, una rondine, non è che ammassa il cibo; prende, va, mangia e porta al nido, basta. Domani è un altro giorno.

…e proprio così celebrano la gloria del creatore, non con la sollecitudine, il lavoro, l’affanno, ma con il quotidiano, semplice ricevere il dono dato da Dio. Così uccelli e gigli sono esempio per chi è nella sequela. Gesù scioglie il legame tra lavoro e nutrimento, che risulta necessario se lo si pensa prescindendo da Dio. Non considera il pane quotidiano come salario del lavoro, ma parla della semplicità libera da affanni di colui che percorre la via di Gesù e riceve tutto da Dio.

«Ora nessun animale lavora per il nutrimento, ma ognuno ha una sua attività in base alla quale cerca e trova il suo cibo. L’uccelletto vola e canta, fa il nido e genera prole: è il suo lavoro, ma non è di questo che si nutre. I buoi arano, i cavalli trasportano e combattono, le pecore danno la lana, il latte, il formaggio, ed è il loro lavoro, ma non di questo si nutrono, — La pecora, la capra non mangiano il formaggio, capite? — bensì la terra produce l’erba e li nutre attraverso la benedizione di Dio. Dunque anche l’uomo deve e non può non lavorare e fare qualcosa, ma deve anche contemporaneamente sapere che è un altro a nutrirlo e non il suo lavoro, e cioè l’abbondante benedizione di Dio, per quanto possa sembrare che sia il lavoro a nutrirlo, in quanto Dio non gli dà nulla senza il suo lavoro. Così pure l’uccelletto non semina e non raccoglie, e tuttavia morirebbe di fame se non volasse in cerca di cibo. Ma il riuscire a trovare cibo non è frutto del suo lavoro, bensì della bontà di Dio. — Molto bella questa riflessione — Infatti, chi ha messo il cibo in modo che egli lo trovi? Se non c’è Dio a mettercelo, nessuno riesce a trovare nulla, e tutto il mondo non farebbe che morire di fatica in questa ricerca» — Non si riuscirebbe ad arrivare a prendere qualunque cosa, non è possibile — L’affanno è affare dei pagani, che non credono e che contano sulla loro forza e sul loro lavoro, ma non su Dio. Sono pagani quelli che si affannano perché non sanno che il Padre sa che abbiamo bisogno di tutto. Perciò vogliono fare da soli ciò che non si aspettano da Dio. 

Quindi, i pagani sono sempre affannati, non credono e contano solo sulla loro forza, sul loro lavoro. Non sanno che il Padre sa di cosa noi abbiamo bisogno, perciò vogliono fare da soli, non si aspettano nulla da Dio; invece:

Per chi è nella sequela invece hanno valore queste parole: «Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto questo vi sarà dato in sovrappiù». Con ciò si chiarisce che l’affanno per il cibo e il vestito non è ancora affanno per il regno di Dio, come ci piacerebbe pensare, quasi che il lavoro compiuto per la nostra famiglia e per noi, il nostro affanno per il pane e la casa fossero già un ricercare il regno di Dio, quasi che il regno si realizzasse solo nell’ambito di quegli affanni. Qui invece il regno di Dio e la sua giustizia sono in tutto e per tutto diversi da qualsiasi tipo di doni del mondo che possiamo ricevere. Il regno di Dio non è altro che la giustizia della croce di cui si è parlato in Mt 5 e 6, la giustizia della croce di Cristo e della sequela sotto la croce. 

È chiaro quindi questo Regno di Dio, pensiamo anche all’Eucarestia, non dobbiamo mai dimenticarcela.

La comunione con Gesù e l’ubbidienza al suo comandamento vengono per prime, tutto il resto segue. Non è interdipendenza, ma conseguenza. Prima dell’affanno … c’è la ricerca della giustizia di Cristo. Questa è semplicemente la sintesi estrema di ciò che già era stato detto. Anche questa parola di Gesù risulta o un peso insopportabile, una negazione impossibile dell’esistenza umana dei poveri e dei miseri, oppure è il vangelo stesso, che rende totalmente lieti e liberi.

Chi è nella sequela di Gesù, anche dopo lungo discepolato, risponderà alla domanda del Signore: «C’è forse qualcosa che vi è mancato?», «No, Signore, mai!». Che cosa potrebbe mancare a colui che, pur nella fame e nella nudità, nella persecuzione e nel pericolo, è certo della comunione con Gesù Cristo?

Ecco, abbiamo finito questo paragrafo.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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