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Un cuore solo e un’anima sola

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di martedì 26 aprile 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Un cuore solo e un’anima sola

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

 

Eccoci giunti a martedì 26 aprile 2022.

Abbiamo ascoltato la Prima Lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal capitolo IV degli Atti degli Apostoli, versetti 32-37.

“Moltitudine”

… siamo di fronte ad una moltitudine, una moltitudine di credenti, di coloro che avevano un qualcosa di preciso in comune: la fede.

Persone diverse: uomini, donne, ragazzi, anziani; mansioni diverse, occupazioni diverse, lavori diversi, ognuno il suo, ma tutti avevano in comune il fatto di credere, di avere fede in qualcuno, questo Qualcuno era Gesù.

Una moltitudine che condivide la fede, il credere… e avevano

“un cuore solo e un’anima sola”.

Quindi, dalla moltitudine, siamo arrivati all’unità.

La fede, il credere, compie questo miracoloso passaggio: da molti, all’uno.

Quindi, l’unità, che non è uniformità, l’unità, che è quella che esiste in un corpo (ma la mano resta mano, il piede resta piede, la testa resta testa), come ci dice questo capitolo IV degli Atti degli Apostoli, si fonda, ed è mediata allo atteso tempo, dalla fede; e questa fede produce questa unità interiore profonda: cuore e anima.

Si può quasi dire che avevano un’unità di sentimenti e di decisioni; pur nella loro unicità, sta di fatto che avevano questa unità: la fede, la vera fede, produce questo.

Quindi, non erano come un sacco di pulci impazzite, che ognuna salta dove vuole e fa quello che vuole (purtroppo, alle volte, noi sembriamo di più un sacco di pulci impazzite…), ma avevano questo movimento armonico, bello, unitivo, perché la stessa fede li continuava ad unire e a generare.

Qual era il frutto di questo passaggio dalla moltitudine all’unità?

Era quello che non esisteva più la proprietà… e capite che questo è un passaggio molto delicato, ha un risvolto concreto molto forte, molto forte. Noi non riusciamo neanche ad immaginare cosa vuol dire questa cosa, perché, anche chi fa il voto di povertà, anche chi vive in un convento, di fatto, ha il suo letto, ha la sua camera, ha la sua penna, ha il suo abito, ha il suo computer, ha le sue scarpe.

Qua, invece, te la descrive proprio in un altro modo e dice:

“Fra loro tutto era comune”,

perché comune era la fede; cioè, la fede era, ed è, un valore così assoluto, così importante, così preminente, così totalizzante, che, una volta raggiunta questa unità nella fede, questo essere corpo nella fede, va da sè: è un desiderio ed è una necessità che quindi tutto sia in comune, perché c’è questa voglia di appartenenza, c’è.

Guardate, non sono discorsi così difficili da capire, così campati per aria, lo vedo anche io qui, coi miei “amici della tribù”, io li chiamo così quelli della domenica pomeriggio.

Io passo la settimana ad ascoltarmi tutti gli urli, le grida, gli applausi e i versi di quelli che giocano a calcio, e va bene; poi arriva la domenica e, invece di avere un po’ di pace, ho gli “amici della tribù”, e intanto ho anche i miei pappagallini che sono un po’ più simpatici.

Questi si piazzano nella Villa Pamphili, qui davanti, e cominciano con questi tamburi, e avanti… su e giù, sempre a battere questi tamburi, sempre lì che fanno e brigano. E già questo ti dà un’idea, perché tutti questi ragazzi che sono lì a tamburellare, già, se tu li vedi, quantomeno esprimono questo desiderio che loro hanno (o forse anche un’illusione che loro hanno) di essere uniti, dalla stessa passione del tamburo, che di fatto poi ha delle manifestazioni ben precise, che noi troviamo anche in coloro che non fanno parte della tribù.

Perciò, se tu poi prendi, vai a fare due passi e vai a vedere, allora tu vedi che loro condividono, nonostante il tempo particolare nel quale siamo, le cose da bere e le cose da mangiare: uno non si porta la sua torta, uno non si porta la sua frutta (la tribù, non porta la frutta, vabbè… ma comunque lasciamo perdere), non si porta le sue patatine, i suoi snack, la sua birra… no, tutto insieme, non c’è più una cosa mia.

Se tu li vedi, non puoi distinguere che quella cosa è di Tizia, e quella cosa è di Caio, è impossibile, perché tutto diventa comune, ma non glielo dice nessuno, nessuno dice: «Devi fare così»; lo fanno perché viene da dentro, è proprio un desiderio, quello di mettere in comune tutto, perché è bello.

Il punto è questo: è bello!

È bello, con le persone che con te condividono questa unità, a qualunque livello essa sia, poter poi condividere anche tutto il resto, quindi condividere il tamburo, condividere la coperta sull’erba, condividere i capelli pettinati in un certo modo… è bello!

A maggior ragione, se questa unità si fonda, a livello così profondo, sulla fede in Gesù. Quindi, tutto era comune perché tutti erano uno, e nessuno aveva più la necessità di avere una cosa sua, perché tutto era suo, perché lui apparteneva a…

Se voi ci pensate bene, la nostra vita è una ricerca di appartenenza, noi abbiamo bisogno di sentire che apparteniamo. I cani randagi non appartengono a nessuno, le vespe hanno una vita un po’ del genere, poi forse comunque neanche loro… le api, le formiche, assolutamente no.

Io, da quando sono piccolo, sono incantato dal guardare i formicai, perché è una roba incredibile vedere queste bestioline, questi insetti, cosa sanno fare. Hanno un orario monastico: escono dal formicaio ad una precisa ora e ritornano nel formicaio ad una precisa ora e, quando arriva il caldo furente e feroce del pomeriggio, non le vedi in giro neanche morto; sì ci sono in giro le sentinelle, quelle che controllano che non si avvicini nessuna bestia, ma poi, per il resto, non vedi più nulla. Invece, al mattino, quando il sole ancora non è caldo, c’è un via vai, un movimento, una roba che è incredibile.

Le api in un alveare… c’è  da rimanere incantati, da scrivere una poesia, da fare un quadro, da comporre una musica, sono una cosa meravigliosa; ma quelle sono “uno”, è un “uno” che si muove, hanno un ordine, una regola interiore, veramente sembra che siano tutte discepole di San Benedetto queste qua!

Ed è tutto in comune. Infatti notate: dalle api noi andiamo a rubare il miele, non dalle vespe, capite?

Questa unità è produttiva, questo essere “uno” arriva addirittura a produrre qualcosa, che un’altra specie va a prendere perché le piace, perché è buono, perché fa bene.

Quindi, c’era questa grande testimonianza legata alla Resurrezione del Signore e

“tutti godevano di grande favore”.

Certo, perché se io mi vedo davanti una cosa così bella, della gente così affascinante, che vive un’esperienza così esaltante, pur nella difficoltà che assolutamente avevano come abbiamo tutti, ma di fatto però c’è questa bellezza dentro che si muove, insomma… attrae.

“Nessuno tra loro era bisognoso”.

Questo è interessante: nessuno tra loro era bisognoso, non c’era  qualcuno più ricco degli altri, o qualcuno che dicesse: «Ciò che è mio, è tuo, e ciò che è tuo, è ancora mio»; no, perché nessuno aveva un bisogno, perché erano dentro a questa condivisione profonda, e quindi, se anche ci fosse stato qualcuno che aveva un bisogno particolare, sicuramente gli altri avrebbero provveduto ad andare incontro a questo bisogno.

Non è per un’idea di pauperismo, capite?

Ma proprio perché, se c’era una mucca (adesso sto facendo un esempio), il latte non era per me, il latte era per tutti; se c’era un campo, i prodotti erano per tutti, perché era un desiderio che tutte le persone, che a me erano care, potessero in qualche modo stare bene.

Oggi non è così! Oggi non è così… ognuno pensa per sé, punto.

E chi è nel bisogno, lo sarà sempre di più.

Ragione per cui, abbiamo le famiglie che hanno un bambino piccolo (e tutti sappiamo che un bambino piccolo di notte può creare problemi grossi), i cui genitori magari non riescono neanche a dormire, solo che il giorno dopo devono andare comunque a lavorare. Non ti lasciano stare a casa, perché tu sei dovuto stare su tutta notte a curare le coliche di tuo figlio, capite? Il giorno dopo tu devi essere là per otto ore… da morire!

Lo fai per una settimana, e poi impazzisci… e magari a fianco abita la signora pensionata del Cotton Club, la quale non ha un tubo da fare dalla mattina alla sera, se non le sue quattro cose da pensionata, ma morire che dica: «Guardate, state tranquilli, lo tengo io. Voi andate, fate quello che dovete fare, ve lo curo io. Non vi dovete svenare a pagare la baby sitter, a pagare il nido, io sono qui. Cos’è che ho da fare? Andare giù al super a comperarmi un litro di latte e un po’ di pane? Prendere la verdura? Non ci vuole una giornata, poi al posto di stare qui a guardarmi le telenovela o a rimbambirmi davanti alla televisione, vado in giro col vostro bambino, andiamo al parco, stiamo insieme, lo faccio giocare, cosa ci vuole?»

Eh… cosa ci vuole?… ci vuole la fede!

Cos’è che ci vuole?

Ci vuole una grande fede, ci vuole una persona di fede che abbia un briciolo di cuore e che sappia vedere i bisogni degli altri oltre ai suoi, ma soprattutto ci vuole una fede comune, che non è proprio così diffusa, anche se poi noi ci riempiamo la bocca di tante belle parole.

Nessuno aveva bisogno, perché?

“Perché quanti possedevano campi o case le vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli Apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno”.

Vi ricordate quando l’altro giorno vi dissi, che la legge non è uguale per tutti, ma a ciascuno il suo?

Ecco, a ciascuno veniva dato secondo il suo bisogno; quindi, se vendiamo una cosa e guadagnamo 100, e siamo in dieci, non si fa 10 per ciascuno, perché se tu hai bisogno di 30, te ne do 30, e se tu hai bisogno di 5, te ne do 5. Non è: siccome… quindi allora… no.

Vedete come la lettura della Parola di Dio ci aiuta a registrare le viti della nostra vita, che, diciamola tutta, fa un po’ tristezza…

Fa un po’ tristezza pensare che “quelli della tribù” mi debbano venire ad insegnare, con la loro vita, che cosa vuol dire essere “uno”, insomma è un po’ triste, è un po’ triste… perché non è così frequente vedere la stessa cosa con un gruppo di giovani Cristiani, per esempio, e ci saranno, no? Non è che, tutti quelli che credono, hanno tutti centovent’anni per uno…

E allora, perché non dare testimonianza di questa bellezza?

Perché questa bellezza deve sempre rimanere come nascosta?

Per quale motivo?

E perché questa unità non deve emergere?

Chiediamo quindi al Signore questa grazia grande, di trovare il modo di vivere questa unità della fede, questo passaggio dalla moltitudine all’unità, di saper fare questa bella esperienza dell’appartenenza.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

 

PRIMA LETTURA (At 4, 32-37)

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.
Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore.
Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno. Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Bàrnaba, che significa “figlio dell’esortazione”, un levìta originario di Cipro, padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli.

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