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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 34

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione sul testo “La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia” di S. Pietro Giuliano Eymard di martedì 5 luglio 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Mt 9, 32-38)

In quel tempo, presentarono a Gesù un muto indemoniato. E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare. E le folle, prese da stupore, dicevano: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!». Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni».
Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 34

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 5 luglio 2022. Abbiamo letto il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo IX di San Matteo, versetti 32-38.

Proseguiamo la lettura del nostro libro di San Pietro Giuliano Eymard sugli “Esercizi Spirituali Eucaristici”; possiamo definirli così, perché fatti alla luce dell’Eucarestia.

Iniziamo questo nuovo paragrafo, che è: “La mortificazione dei sensi”.

“I s t r u z i o n e .

La mortificazione dei sensi.

Abbiamo detto che bisogna dare senza riserva lo spirito a Dio; che i combattimenti più pericolosi sono quelli della mente; che la tiepidezza della vita ha la sua sorgente nella pigrizia e nell’indecisione dello spirito in pronunciarsi per Dio e respingere il male; abbiam detto che bisogna scacciar subito, senza esitare, i pensieri anche di sola apparenza cattiva.

Abbiamo detto che bisogna dare il cuore a Dio; ch’Egli lo esige assolutamente per sé solo; ma che il dono del nostro cuore non può essere continuo se non abbiamo pure una volontà costante di offrirci con un amore di generosità e di sacrificio”.

Questa è un po’ la sua sintesi di tutto quello che abbiamo detto fino adesso.

“Questo amore (di generosità e di sacrificio) è lo spirito di penitenza, la mortificazione di amore; è questa la vera via della santità; senza di ciò, tutto il resto non è che passatempo, sentieri più o meno cosparsi di fiori, per divertire; tutti gli altri mezzi trastulli infantili al servizio di Dio”.

Quindi, ci vuole una volontà costante, per offrirci con amore di generosità e di sacrificio. Bene. Ma questo amore, che amore è? È l’amore del sentimento? No. È lo spirito della penitenza, è la mortificazione dell’amore. È questa la vera via della santità: la mortificazione dell’amore.

“Non è questo che noi vogliamo: bisogna essere seri. Dio ci preservi dalla gente leggera: …”

Non cattiva, non malvagia, non perversa, non empia, no, no: “Dio ci preservi dalla gente leggera”.

“… la leggerezza è come un olio che si spande sulla loro mente, e sul loro cuore, ed impedisce alla grazia di penetrarvi. No, abbiate un pensiero ed uno scopo ben definiti, e tendetevi con mezzi seri, capaci di farvici arrivare”.

Guardate che in queste cinque, sei righe, c’è dentro veramente tutto, c’è dentro il segreto della santità, potremo proprio chiamare questa meditazione: “Il segreto della santità alla luce dell’Eucarestia”.

Quindi, è necessario lo spirito di penitenza, la mortificazione di amore, che è, dice San Pietro Giuliano Eymard, la vera via della santità, che è quella che permette di avere una volontà costante, così da offrirci con un amore di sacrificio e di generosità. Se non c’è lo spirito di penitenza, la mortificazione di amore, è tutto inutile.

Allora, lui dice: «In realtà noi questo non lo vogliamo, bisogna essere seri». Vedete i Santi? Sono seri. Bisogna essere seri: noi non lo vogliamo.

Dio ci preservi dalla gente leggera”.

La gente leggera può tranquillamente essere quella con in mano il Santo Rosario, il Messalino, il libro di meditazione, e non so quali altre cose, e magari può fare anche la Via Crucis.

La gente leggera non sono le persone lontane da Dio, per forza; leggera può essere benissimo una persona che, in apparenza, è una grande frequentatrice della casa e delle cose di Dio. Ho detto frequentatrice, non vera amica… solo in apparenza. In realtà, sotto, dietro a tutta questa apparenza, ci può essere questo olio (che è la leggerezza), che pervade tutta la mente e tutto il cuore.

Cosa fa questo olio? Impedisce alla grazia, alla potenza, alla presenza dello Spirito Santo, di entrare.

Ci sono i leggeri, che vivono con questo olio che unge tutta la mente e il cuore, e ci sono coloro che invece sono persone serie, il contrario dei leggeri.

Qual è la caratteristica delle persone serie, che la gente leggera non ha?

Cioè, questo olio, questa leggerezza, che impedisce la grazia, che avvolge il cuore e la mente, che impedisce di agire allo Spirito Santo, concretamente, come si manifesta? Come riconosco questa leggerezza?

Noi non vediamo se il cuore e la mente sono pieni di olio o no, ovviamente. Come facciamo a dire “sono leggero” o “non sono leggero”?

Da che cosa capisco se io sono una persona leggera (perché non mi vedo l’olio nella testa)?

Lo capisco da questo: se ho o se non ho un pensiero ed uno scopo ben definito (pensieri e scopi ben definiti), se ho o se non ho mezzi seri per tendere a questi scopi, a questi pensieri, mezzi così seri, che mi permettono di arrivarci. Questo è il crinale, che separa i leggeri dai seri.

I leggeri non hanno niente di definito, non hanno un pensiero definito, preciso, non hanno uno scopo preciso, quindi non hanno mezzi.

È una cosa leggera… leggera… non è niente di impegnativo; sì, c’è qualcosa che va fatto, però non ha un’incidenza, non provoca un’incisione dentro alla vita, rimane a galla come l’olio, e quindi non si arriva ad uno scopo, e quindi non si cambia. Questi sono i leggeri.

“I. – Ora per giungere ad essere tutto di Nostro Signore, bisogna assolutamente dargli il nostro corpo e tutti i sensi; …”

Che cosa vuol dire “dare a Dio il nostro corpo e i nostri sensi”?

Vuol dire…, ecco, adesso lo dice:

 “… e perciò bisogna che ne siamo padroni”.

Cioè, li comandiamo noi.

“Ad ogni costo dobbiamo aver in tasca le chiavi di casa nostra: bisogna tener il corpo sotto l’impero del dovere, della volontà, della grazia di Dio”.

Per dare tutto a Dio, dobbiamo darGli appunto tutto, corpo e sensi, ma dobbiamo esserne padroni, cioè, io devo avere le chiavi della mia casa.

Quindi, tutto il mio corpo deve essere sotto il dominio di ciò che devo fare, di ciò che voglio fare e della grazia di Dio, se no non posso darlo a Dio.

“Il corpo non ha né intelligenza né fede: dev’essere dominato e condotto dalla volontà; […] Non sa che cosa sia sobrietà e onore; non si cura di virtù; è sregolato di sua natura, e tende con ostinazione a soddisfarsi: vuole il bene sensibile, il bene suo proprio, e tende con tutte le forze della concupiscenza a soddisfarsene. Se la ragione si oppone, esso cerca di prevenirla e di raggiungere l’oggetto delle sue brame suo malgrado: è un aspro combattimento, e se per disgrazia lo spirito è connivente con esso, noi siam perduti.

Perciò la mortificazione interiore non basta; si ha da mortificare pure questo corpo che potrebbe tradirci.

Forse potreste arrivare senza di ciò se aveste una volontà molto energica e un grandissimo amore; ma, in regola generale, val meglio avere buoni bastioni ben custoditi e porte ben chiuse.

L’uomo decaduto dev’essere continuamente represso, abbattuto e mortificato, perché non ha che istinti da bruto. Lo spirito dev’essere diretto ed elevato verso Dio, il corpo si ha da reprimere e mortificare. Non si deve comprimere lo spirito con pericolo di soffocarlo, ma si deve dirigere costantemente verso Dio. Perciò la preghiera, che è per essenza una funzione dello spirito si chiama l’elevazione della nostra anima a Dio. Lo spirito ha bisogno di luce, il cuore di alimento, il corpo di compressione: bisogna dominarlo e incatenarlo.

La volontà che è il sì e il no, che è la regalità dell’uomo, deve avere per unico fine la volontà di Dio, ed esserle costantemente unita e sottomessa: lo spirito vede, il cuore lavora, la volontà termina. La volontà dev’essere padrona dello spirito e del cuore: essa è sovrana, e tutto può con la grazia di Dio; è ammirabile questa volontà cristiana, che rivestita della forza stessa di Dio, non conosce più ostacoli.

Poiché Dio è con la volontà per vincere, quando la volontà è con Dio per essere sottomessa”.

Quindi, vedete quanto è importante avere verso il nostro corpo anche quel giusto comportamento fatto di no. Non si può sempre dire “Sì” al nostro corpo!

Certo, ci sono delle esigenze, che sono vitali, essenziali, importanti, bisogna anche avere quell’equilibrio, per sapere ascoltare le sue esigenze vere.

Faccio un esempio: se ho studiato tanto, se ho letto tanto, mi fanno male gli occhi e ho la testa fusa, non devo dire: «No, vado avanti!», perché tanto non combino niente; allora, è più intelligente dire: «Mi fermo un attimo, riposo, e poi ricomincio».

Questa è una esigenza bella, lecita, giusta, va rispettata.

Il mio corpo ha bisogno di nutrirsi, ha bisogno del giusto riposo, ha bisogno del giusto svago, del momento di divertimento, di fare un po’ sport; tutte cose vere e belle, però, poi ci sono degli eccessi, quindi, non mi accontento di mangiare cinque o dieci ciliegie, ne mangio un chilo. Ecco, mangiare un chilo di ciliegie non è più una esigenza vitale del corpo, infatti poi sto male; questo diventa un eccesso, è un desiderio smodato che vuole essere soddisfatto e che invece deve essere mortificato.

Quindi, da bambini, la nostra mamma cosa ci diceva? A chi aveva il gusto di bere, ad esempio, tanta Fanta, tanto Chinotto (vi ricordate il Chinotto?), la nostra mamma diceva: «No, adesso basta, perché poi ti si gonfia la pancia, ti fa male».  Se ne bevi un bicchierino va bene, ma se cominci ad attaccarti e a berne uno, due, tre e quattro… Se bevi un bicchiere di vino non succede niente, ma se ne bevi una bottiglia… eh è diverso, no?

Quindi, ci sono delle esigenze lecite e delle esigenze non lecite; queste, non lecite, vanno rinnegate. Va detto: «No, perché non ne ho bisogno». Capite? È solamente una bramosia, la bramosia del gusto, per esempio, ma non è una necessità, io non ne ho bisogno; anzi, se guardo veramente le esigenze del mio corpo ordinato, scopro che tutto quel dolce mi fa male, tutto quel vino mi fa male, tutto quel dormire mi fa male, tutto quello stare fermo mi fa male. Capite?

I Santi questo ci insegnano, ad avere un grande sguardo di obiettività, di realtà, e a chiamare le cose con il loro nome.

“[…] Ed è cosa difficile e fortunosa divenir padrone del proprio corpo. A motivo del contatto con il mondo, vi sono difficoltà da farne disperare; è molto raro che alcuno sia padrone assoluto dei suoi sensi. Per un tempo, sì; ma la sorpresa vi attende, s’impadronisce di voi quando meno vi pensate; le occasioni, le attrattive sono così numerose e sottili! vi allacciano da ogni parte. Epperò viene un giorno, un’occasione in cui vi trovate con tutta la vostra debolezza: come l’animale domestico, molto mansueto d’ordinario, ma che di fronte alla sua passione non conosce più padrone”.

Certo… certo… quindi, io mi prendo il cucciolo di tigre, piccolino, che mi tengo in casa, e dico: «Guarda che dolce… Guarda che bravo…», poi gli metto la mano in bocca, ci metto anche la testa, e dico: «Vedi che non mi morde… Vedi di qua… Vedi di là…»; ma il cucciolo di tigre, poi, diventa una tigre… Capite?

Finché è un cucciolo, se ti dà un morsicotto, vabbè, ti fa un po’ male, perché anche un cucciolo di tigre è sempre un cucciolo di tigre, ti può far male, ma va bene. Se il morsicotto te lo dà la tigre adulta, ti stacca una gamba… se ti va bene; rimani senza un braccio… se ti va bene, se si ferma lì. Capite? Perché? Perché, se questa bestia, addomesticata e tutto quello che volete, viene improvvisamente presa dal suo istinto, dalla sua passione, che è quella di sfamarsi, e ti vede lì, e tu sei carne per lei, è chiaro che… Capite?

Mi ha colpito un veterinario, che conoscevo, che mi raccontò questo fatto che gli accadde, di una famiglia, che aveva comprato (rido, perché sono cose incredibili, veramente) un pitone, di nome “Poldo” (voi ditemi se si può chiamare un pitone “Poldo”, vabbè, comunque…), un piccolo pitone. Poi, Poldo, il piccolo Poldo, è diventato adulto, è diventato un grande Poldo.

Si trattava di una coppia giovane, e la ragazza, che aveva questa passione per i pitoni, oramai lo aveva addomesticato (lei diceva…), e quindi questo pitone lo lasciavano libero anche in casa, nonostante fosse grosso.

Poldo era carino, Poldo era dolce, Poldo era buono…

Un giorno (non finisce male, state tranquilli, se no non vi racconterei questa storia), lei porta Poldo dal veterinario, ma non vi dico il motivo, perché è indicibile, sono cose veramente incredibili, che non si possono neanche raccontare. Vabbè, Poldo aveva un problema di salute, quindi viene portato dal veterinario e, mentre il veterinario lo visita per cercare di dare la soluzione al problema, a questa ragazza viene la luce di raccontare al veterinario un fatto, che lei aveva letto in un modo stupendo.

Quindi, mentre il veterinario visita Poldo, lei gli dice: «Sa, è successa una cosa bellissima…»

E lui: «Sì, sì, mi racconti cosa è successo».

Lei racconta: «È da un po’ di sere che Poldo ha preso l’abitudine, siccome mio marito torna tardi dal lavoro, di venire anche lui sotto le coperte con me. Deve vedere che dolce, che carino… poi sta lì, non si muove, e pensi che lui si stende tutto, come se fosse un cagnolino; non sta raggomitolato, lui si stende tutto, mettendo quasi la sua testina, lì, sotto al cuscino, proprio dietro alla mia schiena. Si stende tutto, dalla mia testa fino a dove arriva».

Il veterinario si ferma, lascia giù Poldo, la guarda, e le dice: «Signora, guardi che il suo Poldo sta prendendo le misure eh…»

Lei fa: «Come le misure?!»

«Certo, signora, la sta misurando, per vedere quando la potrà mangiare».

Capite? Poldo stava prendendo le misure… incredibile…

Poldo, si chiamerà anche “Poldo”, ma è un pitone, punto.

Il pitone, quello fa.

Il giorno in cui Poldo vede che le misure sono giuste e si stufa dei topini morti, magari dice: «Boh… posso anche pensare di riempirmi un po’ di più questa pancia…», e se anche non dovesse riuscire a mangiarla tutta, la ucciderebbe comunque.

Stiamo attenti alle nostre passioni, perché, prima o poi, possono saltare fuori ancora.

Vi ricordate quel detto dei nostri nonni: “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”?

Il lupo è sempre un lupo… cioè, non possiamo sfidare la natura!

È dolce, è caro, è buono, è affettuoso, è un cucciolotto, è tutto batuffoloso, sì, sì, ma è un lupo!

Quello è un leone, quella è una tigre, quello lì è un pitone, non è un barboncino! E non te lo puoi mai dimenticare, perché, la volta in cui te lo dimentichi, non lo racconti a nessuno…

E così è per noi: noi abbiamo una natura, che è sì fatta di qualcosa di bello, di qualcosa di stupendo, ma noi abbiamo anche una natura, che è stata segnata dal male che abbiamo scelto e che abbiamo fatto nella nostra vita, e dobbiamo stare attenti a non essere mai presuntuosi e dire: «Sì, io sono una tigre, però posso fare il gatto siamese». No! Una tigre non farà mai il gatto siamese, una tigre sarà sempre una tigre.

Uno dice: «Questo allora vuol dire che uno non può mai cambiare».

No, uno può cambiare, uno si può convertire, ci mancherebbe, questa è la santità, ma la sua conversione non potrà mai fargli dimenticare la sua natura. Proprio perché si converte, sa che dovrà stare attentissimo a ciò che nel passato lo ha così tanto segnato, perché il peccato lascia una traccia, lascia una tensione, una propensione, un punto debole.

Quello è il mio punto debole.

Faccio un esempio: se io nella mia vita ho scoperto il gusto di drogarmi, il gusto di bere, il gusto di rubare (perché il peccato è legato al gusto, ve l’ho già detto mille volte), quando mi converto, non posso dire: «Ah vabbè, mi sono convertito, quindi apro un’enoteca». Magari no… magari non aprirò un’enoteca, se io ho vissuto dieci anni nell’alcolismo; magari andrò ad aprire una sartoria, per esempio.

Dobbiamo stare attenti, perché è vero che la vicinanza con Dio, la conversione, mi portano ad essere una creatura nuova, vero, ma quella passione lì io l’ho gustata, quindi potrebbe succedere che questa, un giorno o l’altro, mi salti fuori esattamente come la tigre, che si dimentica di essere domestica e confonde la camera da letto con la foresta di Mompracen… e lì, poi, cosa facciamo? Lì, poi, è un problema…

Siccome questa passione potrebbe saltare fuori, proprio a causa di questo contatto frequente con il mondo, perché tutti noi lo abbiamo, dobbiamo stare ancora più attenti, perché magari uno fa un proposito, però (te lo dice bene San Pietro Giuliano Eymard), poi arriva la sorpresa, tu sei colto di sorpresa, e allora vieni preso quando meno te lo aspetti.

Magari sei distratto, sei stanco, sei un po’ arrabbiato, e tac…

Le occasioni, le attrattive, sono molte, sono numerose, sono sottili, ti prendono da tutte le parti, ed ecco che, un giorno in cui sei particolarmente debole, tac… ti salta addosso.

Infatti, guardate, lo dice subito dopo:

“Quindi si disperano i peccatori convertiti: si mantengono essi fedeli per lungo tempo, poi ad un tratto sentono gli attacchi più violenti e ricadono talvolta gravissimamente: l’anima e il cuore erano ben convertiti, ma il corpo non si era cambiato.

Amar Dio, pregare, prendere risoluzioni è bene, è necessario. Ma inoltre tenete il vostro schiavo in freno: finché un uomo non è padrone del suo corpo (pensate alla lingua i danni che fa…), non è né santo né veramente pio; non può produrre buoni atti; egli non è in uno stato di pietà solida e durevole.

Oh, quanta pena si dura per far morire il corpo!”

Vedete? Non dobbiamo dimenticare l’importanza di tenere insieme le cose. Pregare, decidere, fare… va bene, ma il nostro corpo va tenuto in questo spirito di penitenza, non va mai troppo assecondato, perché se no poi ti si rivolta contro, perché non è ancora cambiato.

Cambiare il corpo è veramente difficile, cambiare la passionalità che c’è dentro e riuscire a rendere quella natura diversa, è difficile.

San Francesco di Sales impiegò vent’anni per diventare, dall’uomo iroso che era, all’uomo dolcissimo che è diventato. Vent’anni non sono due giorni…

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

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