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I santi segni. Romano Guardini, parte 18

S. Messa

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: «I santi segni. Romano Guardini, parte 18»
Martedì 23 maggio 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 17, 1-11)

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi al cielo, disse:
«Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.
Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.
Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.
Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 23 maggio 2023. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo diciassettesimo del Vangelo di San Giovanni, versetti 1-11.

Continuiamo la nostra lettura del libro di Romano Guardini: I Santi Segni.

Oggi affrontiamo il segno de “La cenere”.

Leggiamo:

Al margine del bosco sorge un ranuncolo, un fior cappuccio. Netto il contorno delle foglie d’un verde scuro. Finemente pieghevole eppur vigoroso l’agile stelo. I fiori, come tagliati in spessa seta e d’un azzurro così luminoso di turchese, che tutta l’aria all’intorno ne riverbera. E ora che uno capiti lì, strappi il fiore e in seguito se ne infastidisca e lo getti nel fuoco… pochi istanti e tutta quella fulgida pompa si riduce a un pizzico di grigia cenere.

Quello però che il fuoco ha fatto qui in brevi istanti, la fa di continuo il tempo a ciò che è vivente: alla felce leggiadra, all’alto verbasco, alla quercia possente. Lo fa alla leggera farfalla come alla rondine veloce. All’agile scoiattolo e al grave toro. È sempre lo stesso destino, sia che si compia rapido oppur lento; può essere una ferita oppure una malattia, il fuoco o la fame o qualcosa d’altro: a un certo momento tutto quel fiorire di vita si riduce a cenere. La vigorosa figura si risolve in un mucchietto di polvere. I colori luminosi si spengono in una farina grigiastra. La vita, tutta fervore e sentimento, si riduce a terra povera e morta; a meno che terra: a cenere! Così succede anche di noi.

Come rabbrividiamo, quando si figge lo sguardo in una tomba aperta e vi si vedono accanto ad alcune ossa pochi pugni di grigia cenere!

Pensaci, uomo;
Sei polvere,
Ed in polvere ritornerai

Caducità: ecco cosa significa la cenere. La nostra caducità, non quella degli altri. La nostra; la mia! Essa mi parla del mio trapassare, quando il sacerdote al principio della quaresima, come la cenere dei rami un dì freschi e verdi della trascorsa domenica delle palme, mi disegna sulla fronte una croce:

Memento homo
Quia pulvis es,
Et in pulverem reverteris!

Tutto diventa cenere. La mia casa, il mio abito, i miei arredi, il mio danaro; campi, prati, boschi. Il cane che mi accompagna, e il bestiame ch’è nella stalla. La mano con cui scrivo, l’occhio che legge, l’intero mio corpo. Le persone che ho amate; le persone che ho odiate; le persone che ho temute. Quello che mi è apparso grande sulla terra, quello che m’è sembrato piccolo, quello che stimai pregevole: tutto cenere, tutto …

Si, credo che questo segno ci sia molto utile proprio per dirci la caducità, il trapassare, innanzitutto nostro. Cioè: dobbiamo avere in mente bene che dobbiamo morire. È vero che ci sono tanti farmaci, abbiamo tanti dottori, adesso la medicina è avanzata tantissimo, si vive molto di più, ci si cura meglio, si scoprono le cose più infinitesimali del nostro corpo. Sì, sì, tutto vero, però moriremo! Moriremo! Questo non ce lo dobbiamo togliere dalla testa. 

Noi abbiamo una paura incredibile di morire. Purtroppo! Perché San Francesco la chiamava sorella morte. E quindi, siccome abbiamo paura di morire, noi cosa facciamo? Viviamo in una sorta di “stato allucinatorio”, cioè nella convinzione che non moriremo mai; sì, a parole diciamo: “Eh, prima o poi morirò”, ma ci crediamo proprio veramente. 

Perché lo dico? Ma guardiamoci attorno, ognuno guardi sé stesso e dica: “Ma la mia vita è la vita di un pellegrino? La mia vita è la vita di un esiliato? La mia vita è la vita di un emigrato?”. Come gli italiani che sono andati in America, sono andati in America per lavoro, stavano là, ma la loro patria era l’Italia. Poi, certo, lì lavori, fai le tue cose, magari poi ti sposi, tutto quello che vuoi, però tu dentro sei italiano e non c’è come la propria patria, no? 

Guardiamoci, vediamo se la nostra vita parla di esilio! Se questa terra è “questa valle di lacrime” che diciamo nel Salve Regina. Non so se è proprio una valle di lacrime la nostra! Eppure, tutto passa, eppure tutto finisce, eppure tutto va in cenere, tutto! Ma noi, siccome rifiutiamo la morte, la esorcizziamo. In che modo? Appiccicandoci a tutto quello che tocchiamo, che abbiamo vicino, addosso. Noi siamo appiccicati alle nostre cose e ai nostri affetti, perché stringerli ci dà l’illusione — ecco l’allucinazione — ci dà proprio questa allucinazione di permanenza, non di caducità, ma di permanenza! Cioè: come permangono le cose, permango anch’io. No! Innanzitutto, perché nemmeno le cose permangono in eterno. Poi certo, rispetto a una sequoia, probabilmente io durerò di meno! Sì, ma non è che se mi appiccico alla sequoia o mi lego a una sequoia, allora io condividerò il fatto di poter vivere 200 anni, no!

Questo ci aiuta anche a ridimensionare tutte le nostre ansie. 

Noi guardiamo i grandi nella nostra vita, le persone famose, le persone importanti; siamo toccati da quelle con cui non andiamo d’accordo… Moriranno tutti! Tutti diventeranno cenere! Tutto! Le persone che abbiamo tanto temuto nella nostra vita diventeranno cenere, come me. Condivideremo un giorno la stessa “casa”. Eh sì, saremo tutti sottoterra, c’è poco da girarci intorno. 

E tutto finisce. Non dimentichiamolo! Non dimentichiamolo facilmente! Perché questo proprio ci aiuta ad avere una vita più snella, più semplice, a dire: “Ma sì, va bene, va bene”. Ci aiuta a essenzializzarci, a concentrare la nostra attenzione solamente su ciò che è veramente importante e non sulle stupidaggini. Che cos’è che rimane? Ma quello che rimane è la carità. Che cos’è che rimane? Ma quello che rimane è la verità. Questo è quello che rimane. Quindi cerchiamo di fare opere di carità e di verità, queste rimangono, rimarranno sempre. Queste non passeranno mai.

Mi hanno mandato un bellissimo video nei giorni scorsi, molto breve, io non l’avevo mai visto — adesso non so dirvi il titolo perché non ce l’ho qui sotto agli occhi — è un bellissimo video di Giovanni Falcone. Io sono sempre stato molto catturato dall’esperienza della vita di questi due grandissimi magistrati: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Questi due amici, questi due combattenti per la giustizia, questi due martiri della giustizia. Questo video è brevissimo, veramente brevissimo. Poi vedranno coloro che organizzano le pubblicazioni se postarlo, ma quello che conta è quello che voglio dirvi adesso, se lo metteranno lo potrete vedere anche voi. Quello che credo colpisca tutti quelli che guardano questo video, tra le tante cose possibili, sono gli occhi di questo magistrato che, quando ha fatto questa intervista, era a pochi mesi dalla morte. Lui ovviamente non lo sapeva, ma non mancava molto. Io l’ho guardato più volte, ma non tanto per le parole che sono bellissime — dice delle parole bellissime sul coraggio, sul rapporto tra l’aver paura e il coraggio, su questa vita privata che non hai più facendo questo lavoro e via di seguito — ma gli occhi… a me hanno detto: tanta sofferenza, tanta solitudine eppure… tanta pace! A me dava l’impressione proprio di vedere gli occhi di un guerriero, giunto un po’ all’apice della sua avventura; un guerriero che alla fine, in un certo senso, resta solo a combattere contro le forze del male. 

E c’è un altro che avevo già visto e che ho rivisto quel giorno perché mi è uscito appena dopo, ma mi ha dato un fastidio! Non riesco a vederlo quel video. È un’intervista fatta al giudice Falcone nel corso di un importante programma, dove viene attaccato nel modo più bieco, ma veramente una roba… Stavo male io per lui! Credetemi, stavo male io per lui a vedere tanta cattiveria, tanta ingiustizia e, nello stesso tempo tanta pacatezza nel giudice. Che è stato lasciato solo, anche in quel momento. Perché era in studio con altre persone e in due lo hanno attaccato. Ma nessuno è intervenuto. Tra l’altro, lui, poverino, si deve sempre girare — perché era un po’ di anni fa, non è come adesso — a rispondere a uno dei due, perché lo si vede di dietro, lo mettono di dietro, scomodissimo. Ma non è che qualcuno in studio sia intervenuto dicendo: “Ma cosa state dicendo? Ma lasciatelo stare, non vedete che sta morendo per noi? Ma non vedete che combatte per noi? Ma chi di noi avrebbe il coraggio di essere al suo posto? Siete qui tutti a fare tanti “quaquaraquà”, ma poi? Ma poi chi è che combatte veramente questo mostro? Chi combatte veramente questo impero delle tenebre che sta facendo delle stragi pazzesche? Loro due! Lui, il giudice che abbiamo davanti in questo momento, dovremmo tutti essere qui a ringraziarlo, a incoraggiarlo, mica ad attaccarlo”. E infatti poi sappiamo tutti come va a finire…

Vedete, io ovviamente non l’ho conosciuto il giudice, ma la sua testimonianza di amore per la giustizia, per la verità, giunge fino a noi. Quella non è esplosa, o meglio, sì, è esplosa ma, come la fenice, è risorta dalle sue ceneri. Hanno potuto uccidere il giudice, ma la giustizia che lo ha animato, la verità che lo ha segnato così tanto, questa è contagiosa, non la puoi uccidere, questa è un testamento che viene raccolto. 

Quando è esplosa la macchina, non tutte le guardie del corpo sono morte, alcune sono sopravvissute e una delle guardie del corpo racconta ciò che lo ha colpito quando sono corsi subito all’auto del giudice. Lui era incastrato dentro ed era ancora vivo e allora questa guardia dice: “Quello che mi ha colpito è lo sguardo, il modo con il quale mi guardava per implorare aiuto. Ma non potevamo fare niente”. Primo perché erano “feritissimi” anche loro — immaginatevi: sei esploso in autostrada… ti puoi immaginare uno com’è! — ma poi non potevano fare niente perché non avevano gli strumenti per poterlo tirar fuori e quindi dopo lui muore. E mi son detto chissà com’è vivere, sopravvivere, a un dramma del genere. Io credo che sia proprio come il raccogliere questa testimonianza, il dire: “Questo non finisce, questo non muore”.

Sono morti i testimoni, ma non la loro testimonianza. Ecco la caducità: la cenere non può scalfire né la giustizia, né la verità, né la carità. Sono morti per noi, eh! Non erano lì perché gli piaceva immolarsi, così, a caso! Sono morti per noi, per regalarci una vita libera, una vita giusta, una vita onesta, per dirci che è possibile e doveroso opporci al male. È possibile ed è doveroso. Questo non muore.

Quindi continuiamo ad affermare nella nostra vita la bellezza, l’importanza di ciò che non muore e lasciamo andare tutto il resto, tutte le nostre piccole stupide polemiche, tutti i nostri discorsi vani, tutto il nostro risentirci, le nostre antipatie. Quelle cose sono indegne della nostra vita! Sono indegne! Indegne! Non dovremmo neanche pensarci. Di tutta quella roba non rimarrà niente: cenere su cenere. Ma tutto ciò che nella nostra vita avremmo fatto di vero, di giusto, di santo, di bello, questo non finirà: verrà raccolto da altri. E, eccoci qui, a distanza di anni, a parlare di questi due meravigliosi magistrati che hanno veramente lasciato un segno più profondo del segno dell’esplosione dell’autostrada. Quella è stata aggiustata, ma “l’esplosione della loro vita”: questo è un segno che attraversa il tempo.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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