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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 59

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 59
Giovedì 5 ottobre 2023 – Santa Faustina Kowalska, Apostola della Misericordia

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Lc 10, 1-12)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 5 ottobre 2023. Festeggiamo quest’oggi Santa Faustina Kowalska, Apostola della Misericordia.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal decimo capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 1-12.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del testo di Bonhoeffer, Sequela.

Scrive:

Qui non si tratta solo del male, ma del malvagio. Gesù chiama malvagio il malvagio. La mia condotta non deve significare scusa o giustificazione del violento, di chi mi opprime. Nel mio esser paziente patendo non devo esprimere una comprensione per il diritto del malvagio. Il colpo che disonora, l’atto di violenza, lo sfruttamento, restano un male. Il discepolo deve saperlo e testimoniarlo, come ha fatto Gesù stesso, proprio perché altrimenti il male non viene colpito né sconfitto. E proprio perché il male che si fa al discepolo è male che in nessun modo va giustificato, il discepolo non deve opporre resistenza, bensì deve, patendo, portare il male all’estinzione e vincerlo in questo modo. Il patire volontario è più forte del male, è la sua morte. Non esiste dunque alcuna immaginabile azione in cui il male sia così grande e forte da esigere una diversa condotta del cristiano. Quanto più terribile è il male, tanto più disponibile al patire deve essere il discepolo. Il malvagio deve cadere nelle mani di Gesù. Non sono io, ma è Gesù che deve trattare con lui.

Questa parte che abbiamo letto adesso è fondamentale, perché sono sicuro che, nei giorni scorsi, leggendo questo paragrafo sul “Contraccambio”, siamo tutti caduti, chi più, chi meno, nel fraintendimento. E io ho aspettato a dirvi queste cose perché volevo farvi vedere, toccandolo con mano su noi stessi, quanto spazio c’è in noi per il sentimentalismo, che non ha niente a che vedere con il Vangelo di Gesù. E non a caso Bonhoeffer mette adesso questa riflessione, perché metterla prima non avrebbe permesso a noi di vedere come è facile fraintendere e come è difficile comprendere bene il messaggio di Gesù. Questo perché? Perché noi abbiamo troppa fretta di capire, troppa presunzione di sapere, poca umiltà per aspettare e per ascoltare. 

Adesso rileggiamo passo passo quanto abbiamo appena letto e lo commentiamo. Quindi, tutto il discorso che abbiamo fatto in questi giorni, non riguarda solo il male, ma anche il malvagio. E Bonhoeffer dice, come suo solito, una frasetta in cui c’è dentro veramente tanto. Bonhoeffer scrive:

Gesù chiama malvagio il malvagio.

Punto. Se una persona è malvagia è malvagia. Il discepolo di Gesù, patendo, soffrendo e offrendo, non vuol dire che diventa rimbambito. Questo deve essere chiaro, seguire Gesù non vuol dire mandare il cervello all’ammasso. Se davanti a me ho una persona empia, quella è una persona empia. Certo, nessuno di noi può entrare nell’intimo dell’anima e scrutare l’intenzione del cuore, vero, ma tutti noi siamo dotati di un’intelligenza — come dire — “raffinata”, cioè un’intelligenza che — chi più chi meno — è abituata a dover distinguere per non confondere. Insomma, se vedo certi comportamenti, se vedo certi atteggiamenti, soprattutto se ripetuti, la mia intelligenza mi dice: questa oggettivamente — soggettivamente non lo so perché lo sa solo il Signore — ma oggettivamente questa persona è una persona malvagia. Oggettivamente questa persona è una persona empia. Non si può chiamare diversamente: una mela è una mela; una pera è una pera. “No, però magari…” No! Una mela è una mela e resta una mela; fine della discussione. Non ci stiamo abituando e ci siamo abituati agli ibridi, ma una mela è una mela. Lasciamo da parte gli ibridi, che sono un qualcosa che viene per opera dell’uomo. In natura, una mela è solo una mela, un pomodoro è solo un pomodoro. 

La mia condotta non deve significare scusa o giustificazione del violento, di chi mi opprime.

Cioè, il fatto che il discepolo di Gesù patisca e rinunci al suo diritto — e adesso vedremo perché rinuncia, in che prospettiva rinuncia; non in una prospettiva masochistica, assolutamente — questo non significa che io scuso e giustifico il violento. L’atteggiamento di Gesù “autem tacebat” davanti al sinedrio, non ha voluto significare minimamente giustificazione di quella condotta empia, malvagia, ingiusta, perfida; assolutamente! Ha voluto significare che Gesù si opponeva al malvagio, rompendo la catena della violenza attraverso la sopportazione, attraverso il patire, attraverso il soffrire, attraverso l’offrire: tutta un’altra cosa. Ma quell’azione è violenta e resta violenta; quell’azione è oppressiva e resta oppressiva; quell’abuso di potere è un abuso di potere, fine. E così va chiamato. Quindi non c’è nessuna comprensione. Il fatto che il discepolo di Gesù patisca in modo paziente, questo non esprime comprensione per il diritto del malvagio; assolutamente. Il malvagio resta malvagio e non ci deve essere nessuna comprensione dei suoi diritti da malvagio. “Eh, ma se tu non reagisci, se tu patisci, se tu offri, se tu resti fermo, vuol dire che tu giustifichi e comprendi”; no, no, no, no, assolutamente: non giustifico, non comprendono e non scuso. Vuol dire semplicemente che: uno, rompo questo circolo vizioso di violenza e di malvagità col mio comportamento da discepolo di Gesù; e due, quello che adesso vedremo.

Bonhoeffer scrive:

Gesù non ha nulla a che fare con queste considerazioni sentimentali.

Noi ce l’abbiamo un po’, queste cose, no? “Eh, ma dai poverino, no ma veramente?”. Abbiamo situazioni familiari terribili, di violenza domestica gravissima, padri di famiglia che massacrano di botte la loro moglie e i loro figli, cose veramente gravissime. Non è un fatto unico e nuovo che ci siano mamme in attesa di un bambino che sono costrette ad abortire per le botte subite: quelle botte subite provocano un aborto; sono situazioni terrificanti, guardate che non sono cose così rare. 

Ci sono figli che massacrano i propri genitori, e veramente forse è un’empietà maggiore quella di sentir dire: “Eh, poverino, no ma lui c’aveva i problemi”. No, guardate, tutti abbiamo i problemi, tutti. “No, ma tu non devi giudicare” — Certo che devo giudicare! Non sono mica rimbecillito, eh! Dio mi ha dato un’intelligenza, ma stiamo scherzando? Non devo giudicare l’intenzione, certo, non la vedo, come faccio a giudicare? Quella non la vedo, non la posso giudicare. Ma quello che vedo lo giudico: quel figlio ha massacrato a coltellate i propri genitori. Questo è un fatto e questo va giudicato. Non posso dire: “Ah no, ma poverino”, poverino che cosa? Poverini sono quei genitori che sono stati uccisi a coltellate fino a distruggere le loro membra; questi sono poverini. Stiamo attenti, perché poi veramente cadiamo in queste considerazioni sentimentali, Bonhoeffer lo scrive molto bene.

Quando io ho prestato servizio in carcere in quei sei anni… Voi direte: “Ma come mai padre Giorgio ci dice sempre la durata del tempo? Perché ci dice sempre sei anni?”. Vi dico sempre sei anni perché per me dire carcere e dire sei anni è la stessa cosa. Non posso dire carcere senza dire sei anni, perché? Perché in carcere il tempo è moltiplicato: sei anni in carcere sono — non lo so — sessant’anni di vita normale fuori, mi viene da dire così. Sei anni sono sei anni. È vero che io tornavo a casa e dal lunedì al venerdì stavo fuori, sì, ma il sabato e la domenica stavo dentro. Due giorni alla settimana, di tutte le settimane dell’anno, per sei anni. Adesso calcolate le ore e vedete cosa viene fuori. Sono ore in carcere, sei anni, sono sei anni, e va detto. In questi sei anni appunto, massima disponibilità a tutti i detenuti, ci mancherebbe, aiuto massimo a riconoscere i propri peccati, assolutamente. Mai saltata una volta, in sei anni non sono mai stato a casa un giorno. Vero, non è un’invenzione, è scritto sui registri perché, quando si va in carcere, si firma un registro per entrare. Mai mancato una volta in sei anni, per grazia di Dio. Sono andato anche con la febbre, non perché facevo l’eroe, ma perché sapevo che quelle persone avevano bisogno e quindi bisognava “tirarsi insieme” e andare. Quindi, massima disponibilità, massimo sacrificio, massimo tutto, però — e questo però è grande come il mondo — però: “Chiami male il male che hai fatto. Tu riconosci il tuo male senza se e senza ma e senza scaricarlo sulla responsabilità degli altri. Tu sei quell’uomo che ha fatto quel male, punto”. Si parte da qui. Mi ricordo un ragazzo che aveva iniziato questo percorso di avvicinamento al Signore, di presa in carico di sé stesso, e mi ricordo che un giorno mi scrisse una lettera dove diceva: “Eh sì, però io, sa, poverino. Insomma, non avrei voluto però…”, io gli ho scritto: “Guarda, ciò che sta nella tua anima lo vede e lo sa solo Dio, ma, per quanto riguarda i fatti, tu sei un assassino, tu hai ucciso qualcuno; quindi, questo è un fatto e devi prendere coscienza di questo fatto: devi chiamare questo fatto omicidio, punto; senza se e senza ma. Tu hai ammazzato una persona, non hai rubato una mela”. Il male è male, non cerchiamo scuse e giustificazioni. L’ho fatto io e ho scelto io liberamente di farlo. A meno che non fossi sotto chissà quale sostanza, ma questo è un altro discorso. Quando compio un atto, sono io che lo compio. Ci sono quelli che dicono: “Io ho bestemmiato per colpa tua”. No, tu hai bestemmiato perché tu hai voluto bestemmiare. Ognuno è responsabile dei suoi atti in toto e smettiamola con queste considerazioni del “poverino”. C’è questo stile sentimentaloide… proprio brutto, stucchevole, che vuole togliere dall’essere umano la sua responsabilità. Eh no, questo vuol dire misconoscere la preziosità, la nobiltà di ogni atto umano di quella persona. Vuol dire misconoscere l’importanza di quella persona. Il “poverino” togliamolo proprio dal nostro modo di parlare. E immaginate… il carcerato non è che abbia reagito subito bene, fa niente! Fa niente; certo, la verità brucia. Quando poi sono andato e lui era un po’, come dire, immusonito, gli ho detto: “Guarda, è inutile che facciamo tante scene, che stai lì a fare tanto il muso perché tu pensavi che io venissi lì ad accarezzarti le piaghe”. No, non è compito di un uomo, non è compito di un cristiano fare questo. È compito di ciascuno di noi aiutarci a prendere consapevolezza e ad assumerci le nostre responsabilità, in ogni cosa che facciamo. 

E allora Bonhoeffer scrive:

Il colpo che disonora, l’atto di violenza, lo sfruttamento, restano un male. Il discepolo deve saperlo e testimoniarlo, come ha fatto Gesù…

Questo deve essere chiaro: quello resta un male. Non è un ibrido di male/bene e non è un semi-male, no, è male. Tu hai ammazzato a randellate i tuoi genitori, per esempio — e questo è un male, gravissimo. E resta tale, non potrà mai diventare un semi-male. Non potrà mai diventare: “No, vabbè, però”, no vabbè però niente: è male. Quindi, mi potrò convertire, quindi potrò cambiare, come colui che ha ucciso Santa Maria Goretti. Certo, ti puoi convertire, ci mancherebbe. Ma quell’uomo ha fatto penitenza tutta la vita per quello che ha fatto a Santa Maria Goretti. Non è che poi ha preso e si è messo lì a fumarsi le sue belle sigarette, andando in giro, facendo gozzoviglie, eh no! Ha tolto una vita, non scherziamo su queste cose, non si possono prendere alla leggera, quella vita lì non c’è più per colpa tua. Stiamo attenti, come già vi ho detto, ad evitare di banalizzare il male, il male non va mai banalizzato, il male non va mai giustificato, il male va chiamato per quello che è e va guardato per quello che è, in tutta la sua estensione e in tutta la sua responsabilità. Scrive:

E proprio perché il male che si fa al discepolo è male che in nessun modo va giustificato…

Capite? In nessun modo va giustificato, in nessuno modo: quel male è male, fine della discussione. Senza nessuna giustificazione.

…il discepolo non deve opporre resistenza, bensì deve, patendo, portare il male all’estinzione

Cioè, lo scopo del patire, non è masochismo, ma è portare il male all’estinzione.

Il patire volontario è più forte del male, è la sua morte.

Io accetto di patire volontariamente, di non oppormi al malvagio, per portare all’estinzione, per distruggere il male. E Bonhoeffer dice che non c’è un male talmente grande da chiedere una condotta diversa. Davanti a qualunque male noi siamo chiamati a fare così. Anzi:

Quanto più terribile è il male, tanto più disponibile al patire deve essere il discepolo.

Adesso attenti: tutto questo a quale scopo?

Il malvagio deve cadere nelle mani di Gesù.

Non sono io, ma è Gesù che deve trattare con lui. Ecco, questo è il vertice, questo è il fine del patire: la violenza dell’empio, questo è il fine. Tu, malvagio, non devi cadere nelle mie mani, ma devi cadere nelle mani di Dio. Non sono io “vittima” che devo trattare con te, ma è Gesù che deve trattare con te. Per questo io mi fermo, per questo io mi sottraggo alla spirale della violenza, a rispondere alla violenza con la violenza e ad assumere la posizione di colui che patisce e che offre e che soffre. Perché chiamo in causa Gesù, sarà Gesù a trattare con te, non io.

Quindi adesso, con questo testo che abbiamo letto oggi, avete tutta la parabola completa. E adesso capite che la riflessione si fa interessante. Perché adesso sì che abbiamo tutti gli elementi per dire: “Ah beh, allora è una questione seria e questo è il modo di viverla”.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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