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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 60

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 60
Venerdì 6 ottobre 2023 – San Bruno, Sacerdote e monaco

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Lc 10, 13-16)

In quel tempo, Gesù disse:
«Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a venerdì 6 ottobre 2023. Oggi ricordiamo San Bruno, Sacerdote e monaco.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal decimo capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 13-16. 

Ricordiamo che oggi è il primo venerdì del mese di ottobre e quindi ricordo a tutti la bellissima pratica dei Primi Nove Venerdì del mese, chiesta da Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del testo di Bonhoeffer, Sequela.

Stiamo trattando questo tema del “Contraccambio” e quindi stiamo affrontando il come rispondere al male che affrontiamo, alle offese che riceviamo. Dunque, Bonhoeffer scrive:

Egli — Gesù — parla a coloro che sono nella sequela come a gente che ha lasciato tutto per seguirlo. Il «privato» e l’«ufficio» dovevano essere totalmente sottoposti al comandamento di Gesù. La parola di Gesù li aveva chiamati in causa in modo indiviso, egli esigeva ubbidienza indivisa.

Del resto, scrive Bonhoeffer:

Dove, nella vita reale, sono esclusivamente un privato, e dove esclusivamente titolare di un ufficio? Forse che, in qualunque situazione io venga fatto oggetto di un attacco, non sono al tempo stesso il padre dei miei figli, il predicatore della mia comunità, l’uomo di stato del mio popolo? 

Certo, perché lui è luterano e quindi come pastore poteva anche avere dei figli, però il concetto di fondo è: “Sono io che vengo attaccato e non c’è distinzione fra ciò che io sono in privato è ciò che io sono in pubblico”.

Forse non sono perciò tenuto a parare ogni attacco, appunto per responsabilità verso il mio ufficio? D’altra parte, anche nel mio ufficio, non sono sempre io che mi trovo di fronte a Gesù da solo? Con questa distinzione non era dunque inevitabile dimenticare che chi è alla sequela di Gesù è sempre totalmente solo, è il singolo, che in ultima analisi può agire e decidere soltanto per sé solo, e che proprio in questo agire risiede la più seria responsabilità verso quelli che mi sono affidati?

Qui emerge il tema della singolarità, dell’essere noi singolarmente davanti a Gesù e quindi di sentire tutta la gravità, l’urgenza che ciò che accade nella nostra vita accade a noi come singoli ma investe anche tutta la nostra persona nella sua sfera pubblica e privata.

Ma come si giustificherà l’asserto di Gesù davanti all’esperienza che il male si accanisce proprio sul debole e infuria senza freni proprio sull’indifeso? Forse questo asserto non resta semplicemente ideologia, che non tien conto dei fatti reali, o, diciamolo pure, del peccato del mondo? Forse esso potrebbe valere entro la comunità. Nei confronti del mondo, appare come una fanatica sottovalutazione del peccato. Poiché noi viviamo nel mondo, ed esso è malvagio, perciò è impossibile che questo asserto sia valido. Ma Gesù dice: poiché voi vivete nel mondo e questo è malvagio, perciò vale questo asserto: Non dovete resistere al male. Difficilmente si può rimproverare a Gesù di non aver tenuto conto della potenza del male, lui che fin dal primo giorno di vita è stato in lotta col demonio. Gesù chiama male il male, e proprio questa è la ragione del suo parlare ai discepoli in tali termini. Come è possibile questo? In effetti, ciò che Gesù dice ai suoi seguaci sarebbe puro fanatismo se dovessimo intendere le sue affermazioni come un programma etico universale, se si dovesse intendere l’affermazione che il male è vinto solo dal bene come espressione di una saggezza universale del mondo e della vita. In effetti sarebbe un fantasticare in modo irresponsabile su leggi cui il mondo non ubbidisce mai. La rinuncia a difendersi eretta a principio della vita nel mondo è un’empia distruzione dell’ordine del mondo, che Dio conserva per grazia. Ma nel nostro caso non parla affatto uno che voglia proporre dei programmi; qui, del superamento del male per mezzo del patire, parla colui che personalmente fu vinto dal male sulla croce e che da questa sconfitta uscì come colui che ha superato e vinto il male. Non può esserci altra giustificazione di questo comandamento di Gesù tranne la sua stessa croce. Solo chi in questa croce di Gesù trova la fede nella vittoria sul male può ubbidire al suo comandamento, e solo un’ubbidienza di questo tipo ha la promessa. Quale promessa? La promessa della comunione nella croce e nella vittoria di Gesù.

Mi sembrano riflessioni molto chiare: qui non ci troviamo di fronte a un’ideologia, a un programma etico universale, non ci troviamo di fronte a una sorta di programma pacifista. Non siamo di fronte a una saggezza universale del mondo e della vita, altrimenti, lui dice bene, “sarebbe un’empia distruzione dell’ordine del mondo”. Qui siamo di fronte a Uno — con la U maiuscola, che è Gesù — che è stato “vinto dal male sulla croce” e che da questa sconfitta ha vinto lui a sua volta il male.

Quindi vedete il percorso? La morte di Gesù è la vittoria del male su Gesù, ma la resurrezione è il suo superamento, proprio totale! Di fatto anche già solo la morte in croce di Gesù — che rappresenta proprio il trionfo dei suoi nemici — già quella — per il fatto che Gesù muore senza vendicarsi, opporsi, resistere e tutto quello che abbiamo già detto — è la forma sublime della vittoria sul male: perché Gesù ha dimostrato libertà assoluta da qualunque forma di diritto personale. Lui ha rinunciato ad ogni diritto, ha rimesso la sua causa al Padre e quindi Gesù muore perdonando, e questa è la forma sublime della vittoria sul male; anche se, esteriormente — perché di questo stiamo parlando — chi guardava, che cosa ha visto? Quello che vediamo tutti anche nella nostra vita, nella vita degli altri, e cioè che il male ha trionfato. Questo è ciò che vediamo sempre e di cui, in un certo senso, accusiamo Dio: il male vince, questa è un po’ la nostra lamentazione. Il male vince, perché vediamo tante situazioni nelle quali non c’è reazione. Questo accade per scelta, ma anche non per scelta, pensate alle situazioni dove non si può reagire, dove non ci sono proprio le forze per reagire, pensate ai sistemi dittatoriali e quant’altro. In ogni caso esternamente si vede una fine, una fine terribile, come la morte in croce di Gesù, come la morte di queste persone.

Pensate a San Massimiliano Maria Kolbe: è morto, quindi il regime, la dittatura, ha vinto su di lui, perché l’ha ucciso, era quello che voleva. Ma il modo con il quale lui e morto, che è esattamente il modo di Gesù in croce, già quel modo ha vinto il male, quel male, perché ha spezzato il suo potere mortifero di riprodursi. 

Con la resurrezione di Gesù abbiamo poi il trionfo totale assoluto, perché Gesù risorto dice: “Io non solo ho vinto questo male attraverso il perdono, attraverso il non oppormi, non solo, ma io adesso vinco il male per eccellenza”; qual è il male per eccellenza? La morte! Gesù con la resurrezione sconfigge la morte. La risurrezione di Gesù inghiotte la morte.  Ecco perché il cristiano non solo non deve opporsi al malvagio, al male, con tutto quello che abbiamo detto fino adesso, ma non deve temere neanche la morte, perché Gesù ci ha insegnato che lui ha sconfitto la morte, ha distrutto il pungiglione mortifero della morte; Lui, Signore della vita. Quindi il cristiano non teme la morte, quale discepolo di Gesù. 

È bella questa promessa della comunione nella Croce e nella vittoria: la comunione che noi abbiamo con Gesù nella sofferenza è la comunione che noi abbiamo con Gesù anche nella vittoria.

La passione di Gesù come sconfitta del male per opera dell’amore divino è l’unico solido fondamento per l’ubbidienza del discepolo.

Certo, perché Lui l’ha sconfitta; infatti, se voi vi ricordate i discepoli di Emmaus, che hanno guardato solo l’aspetto esteriore, se ne vanno sconfitti, delusi, amareggiati, proprio avviliti, perché in apparenza Gesù ha perso. Loro si allontanano da Gerusalemme, si allontanano dai discepoli, camminano parlottando uno con l’altro, molto avviliti; quasi — possiamo dire — si stupiscono di Gesù, quasi lo rimproverano: “Ma come? Solamente tu sei così straniero che non sai cosa è successo?” — “No, ditemi, ditemi cos’è accaduto?”. Gesù fa finta di nulla: perché l’apparenza era quella, e anche il modo con il quale è morto Gesù, quindi questo modo assolutamente mite, assolutamente affidato a Dio — a loro non dice. È troppo delicata come situazione, è troppo delicata come reazione per essere apprezzabile dai più, quindi “niente” dice a loro.

Con il comandamento Gesù chiama ancora una volta il seguace alla comunione della sua passione.

Noi è lì che siamo chiamati a …

Come potrebbe essere visibile e credibile al mondo la predicazione della passione di Gesù Cristo, se i discepoli di Gesù si sottraessero a questa passione, se si rifiutassero [di subirla] nel proprio corpo?

Eh, certo, perché noi predichiamo la passione di Gesù, certo, ma giustamente uno dice: “Sì, però è credibile quello che tu predichi se non rifiuti di subirla anche tu. Se tu l’accetti”.

Gesù adempie personalmente la legge da lui data, e lo fa sulla croce; al tempo stesso per mezzo del comandamento mantiene per grazia chi è alla sua sequela nella comunione della sua croce. Solo nella croce c’è la verità e la realtà del fatto che il contraccambio e il superamento del male è l’amore sofferente. E la comunione della croce è donata ai discepoli nella chiamata alla sequela. In questa comunione visibile essi sono detti beati.

Ecco quindi ritorna sempre questo tema della comunione nella Croce di Gesù.

E iniziamo — perché è abbastanza legato — un nuovo paragrafo dal titolo “Il nemico — «lo straordinario»”.

Adesso leggo il testo della Scrittura che cita Bonhoeffer, sul quale poi si concentrerà; è Matteo, capitolo quinto, versetti 43-48.

«Avete udito che fu detto: devi amare il tuo prossimo e odiare il tuo nemico. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici, benedite quelli che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, pregate per quelli che vi oltraggiano e perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli, perché egli fa sorgere il suo sole sui malvagi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se infatti amate quelli che vi amano, quale premio ne avrete? Non fanno forse lo stesso anche i pubblicani? E se salutate solo i vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pubblicani? Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli»

Altro testo della Scrittura assolutamente conosciuto e famoso. Scrive Bonhoeffer:

Qui ricorre, per la prima volta nel discorso della montagna, la parola che compendia tutto quanto è stato detto: l’amore, e precisamente nel senso inequivocabile di amore per il nemico. L’amore per il fratello sarebbe un comandamento equivocabile, l’amore per il nemico rende inequivocabilmente chiaro quale sia il volere di Gesù. Per i discepoli il nemico non era un vuoto concetto. Essi lo conoscevano bene. Lo incontravano ogni giorno. Erano coloro che li maledicevano come distruttori della fede e trasgressori della legge che li odiavano per il loro abbandono di tutto per amore di Gesù, per il loro tenere in poco conto tutto ciò che non fosse la comunione con lui; erano coloro che li oltraggiavano e li schernivano, per la loro debolezza e umiltà; erano i persecutori, che sospettavano nella schiera dei discepoli un crescente pericolo di rivoluzione e cercavano di annientarli. Il nemico era dunque rappresentato, da una parte, dai rappresentanti della religiosità nazionale, che non potevano ammettere la pretesa esclusiva di Gesù. Questo nemico disponeva di potere e di prestigio. L’altro nemico, a cui ogni ebreo non poteva non pensare, era il nemico politico, Roma. Anche di questo nemico si percepiva con forza il carattere oppressivo. A fianco di questi due gruppi di nemici c’era tutta l’ostilità personale che colpisce chi non segue la strada della maggioranza, c’era la calunnia quotidiana, il disprezzo, le minacce.

Quindi Bonhoeffer dice che qui Gesù parla in un modo inequivocabile dell’amore per il nemico; su questo non si può fraintendere. E lui dice anche che

Per i discepoli il nemico non era un vuoto concetto. 

Non era il nemico in generale, questo nemico aveva un volto ben chiaro, situazioni ben chiare, ed era una realtà che incontravano ogni giorno, ogni giorno avevano a che fare con questi nemici.

Erano coloro che li maledicevano come distruttori della fede e trasgressori della legge — pensate un po’ che cosa hanno subìto — che li odiavano per il loro abbandono di tutto per amore di Gesù

È strano, no? Uno dice: “L’ho fatto io. Non l’ho chiesto a te, perché mi devi odiare?”. È strano! Eppure, chi segue Gesù veramente, incontra misteriosamente un odio, un odio diabolico, da parte di coloro che non seguono Gesù. È così, è un dato di fatto. Erano odiati “non solo perché avevano abbandonato tutto, ma anche perché tenevano in poco conto tutto ciò che non fosse la comunione con Gesù”. Cioè, incontrare un vero discepolo di Gesù dà fastidio, ma un fastidio radicale, a colui o a coloro che non sono in comunione con il Signore. Non serve che parlino, non serve che facciano cose, no, basta vederli. Vedere una persona, vedere un vero discepolo di Gesù, a chi discepolo non è genera un profondo sentimento di odio, di odio omicida. E infatti voi sapete a quale fine sono poi giunti tutti gli apostoli. È così, allora come oggi, come sempre.

Venivano oltraggiati, venivano scherniti, perché erano deboli perché erano umili e poi venivano sospettati di rivoluzione… guardate, i temi di sempre. Uno dice: “Non usano violenza. Predicano e vivono l’amore per il nemico, sono uniti, sono umili, ma come si fa a fare una rivoluzione con la mitezza?”. Cioè, in teoria l’unica rivoluzione vincente è questa, vabbè, ma i loro persecutori non ne erano coscienti! Il demonio è molto cosciente di questo, ecco perché li perseguita: sa benissimo che le vere rivoluzioni non sono quelle fatte con la ghigliottina, no, non sono queste le vere rivoluzioni. Le vere rivoluzioni, quelle che veramente cambiano, e quelle che veramente lasciano il segno, e quelle che veramente rivoluzionano tutto, sono quelle proprio dei miti, sono proprio quelle dei discepoli di Gesù. Queste sono le vere rivoluzioni, perché cambiano proprio l’assetto interiore dell’uomo, è questa la vera rivoluzione. Il demonio lo sa, gli uomini un po’ meno, però siccome partecipano di quell’odio; quindi, anche se per loro è irrazionale… perché: che male fa? Che male potevano fare le martiri di Compiègne, queste monache di clausura che pregavano e non avevano le armi, e stavano chiuse in un monastero, che male potevano fare? Fa niente, le prendiamo e le ammazziamo tutte. Le odiavano a morte e sono state accusate di essere delle rivoluzionarie, loro, che non avevano niente a che fare con questa questione!

Quindi non c’è da capire, non è che uno deve mettersi a dire: “Ma perché? Che cosa posso aver fatto di male? Come mai succede questo? Ma forse ho sbagliato qualcosa, ma forse avrei dovuto fare, avrei dovuto essere, ma forse dovrei cercare una via per…” No! Qua non c’entra la persona in quanto persona, c’entra la persona in quanto “discepola di”; è questo il problema, Gesù è il problema! Quindi quell’odio che si è scatenato contro di lui dal giorno della sua nascita, fino alla sua morte — ricordate la strage degli innocenti, ricordate il rifiuto di ospitare la Sacra Famiglia, e via via, fino alla morte in croce — quell’odio lì si riaccende ogni volta che vede un discepolo di Gesù — perché è di Gesù, non tanto perché fa il discepolo, non tanto per quello, ma nella misura in cui è di Gesù ed esprime questa appartenenza — quell’odio radicale e profondo, che affonda le sue radici nella notte dei tempi, quell’odio lì si riaccende e si scatena. È da duemila anni che si ripete sempre questa situazione.

E loro (i discepoli) avevano il nemico, giustamente, sia in coloro che erano i rappresentanti della religiosità nazionale — e quindi quelli che poi hanno condannato a morte Gesù, che avevano potere e prestigio — sia nei romani, nel potere politico dei romani, che è stato il braccio che ha eseguito la condanna. Queste due realtà insieme hanno portato alla morte Gesù.

E poi questo odio si manifesta anche attraverso “la calunnia quotidiana, il disprezzo e le minacce verso coloro che non seguono la strada della maggioranza”. Beh, il discepolo di Gesù non seguirà mai la strada della maggioranza, perché segue la strada della verità, la strada di Gesù. E si sa che la maggioranza va dietro ai vari pifferai magici. Quindi, siccome Gesù non è un pifferaio magico, è chiaro che sarà sempre una minoranza a seguire Gesù. Perché noi da sempre, ma oggi soprattutto, abbiamo tanto in bocca la parola “diversità”, “accoglienza dell’altro”, abbiamo tanto in bocca l’attenzione alle minoranze, l’attenzione alla diversità, l’accoglienza dell’altro, il dialogo, la disponibilità e l’apertura; tutto vero, ma verso coloro che fanno parte di quelle minoranze — chiamiamole così — “riconosciute”, accettate dalla maggioranza. La maggioranza esprime una certa tolleranza riconoscendo alcune minoranze, che chiama diversità, che chiama alterità, che chiama come volete; e quindi verso queste minoranze riconosciute, quindi accettate — diciamo così — omologate, allora bisogna esercitare tutto quello che vi ho appena detto, questo tema del dialogo, questo tema dell’accettazione, e guai a non farlo! Benissimo. Ma le minoranze omologate rappresentano tutte le minoranze esistenti? No, di fatto no. E la storia ci consegna ampi esempi di minoranze non accettate e quindi non omologate, e quindi perseguitate.

Certamente l’essere di Gesù, il discepolo di Gesù, l’appartenenza a Gesù, quella vera, rappresenta una minoranza non riconosciuta mai, mai, e non accettata. E se è stata nella storia, qualche volta, temporaneamente riconosciuta, lo è stato per poco tempo. Poi, subito, si è scatenata nuovamente la persecuzione. Un esempio su tutti, quello dell’imperatore Costantino. Con Costantino c’è questa accettazione della minoranza cristiana, e quindi questa protezione, questo riconoscimento, ma poi dopo di lui, con i suoi figli, cade tutto nuovamente e ricominciano le persecuzioni. Perché? Ma perché Gesù è un problema, è difficile Gesù da collocare, è difficile Gesù da gestire. E se Gesù è difficile da collocare, i suoi discepoli lo sono altrettanto. Cioè, la domanda è: “Ma questo discepolo di Gesù, questi discepoli di Gesù, dove li mettiamo? Perché questi creano un problema ovunque vanno. Non si capisce bene come, perché di fatto sono miti, sono mansueti, perdonano, amano, si impegnano più degli altri, lavorano più degli altri…”

Voi sarete dicendo, ma padre Giorgio a chi sta pensando mentre dice queste cose? Ma io penso sempre solo a Padre Pio, è sempre lui che ho in mente, e la domanda per lui era: “Ma dove lo mettiamo?”. Sapete che — questa cosa è storica — Padre Pio a un certo punto lo volevano trasferire dal convento dov’era. Poi c’è stata una sollevazione di popolo. Addirittura hanno tentato di uccidere Padre Pio, volevano ucciderlo, ricordate quel tale che ha urlato: “Meglio qui morto che altrove vivo”, ma non perché gli volevano male, ma proprio perché gli volevano questo bene enorme, allora gli dicevano: “Guarda, piuttosto che tu vada via, ti ammazziamo, così ti abbiamo qui. Meglio averti qui morto che averti vivo altrove”. Ma per coloro che dovevano gestire la figura di Padre Pio, era un problema, era ingestibile. Ma non perché Padre Pio non fosse obbediente, era l’obbedienza fatta persona. Capite, questo è il paradosso: non perché Padre Pio si ribellasse o non facesse quello che gli dicevano di fare — è morto facendo l’obbedienza, Padre Pio ha sempre solo obbedito — eppure era ingestibile. Eppure, dava fastidio. Eppure, non si sapeva dove metterlo. E allora, se non lo si può spostare, perché sennò qui tutti danno fuori di matto, allora cosa facciamo? Sospendiamolo a divinis, quindi togliamogli tutto! Fa niente. Padre Pio ancora di più era ingestibile, perché la gente lo cercava.

Purtroppo, chi non vive dello Spirito di Dio, non si accorge di essere strumento del diavolo, che perseguita i discepoli di Gesù come ha perseguitato Gesù. Si ripete sempre così. E tutti i santi hanno conosciuto queste situazioni estreme di persecuzione ferocissima, di calunnie, di disprezzo, di minaccia, che uno dice: “Ma poverino!”. 

Anche Padre Pio, ha attraversato dei momenti di buio interiore profondissimo, perché chi si trova perseguitato si chiede che cosa ha fatto di male. All’inizio la domanda che viene è su se stessi, e quindi uno si dice che probabilmente ha sbagliato questo, probabilmente ha sbagliato quell’altro, allora fa il proposito di impegnarsi, di impegnarsi per riuscire a corrispondere maggiormente alle attese dell’altro, quello che l’altro gli chiede, a quello che gli viene indicato, e quindi fa tutto questo sforzo interiore, che non è giustificato perché non c’era niente da cambiare, ma uno si interroga, si mette in discussione, si mette in dubbio lui. Poi, a un certo punto capisce che il problema non è come tu mangi, come tu cammini, come tu parli o non parli; perché poi, di fatto, se parlava perché parlava, se taceva perché taceva, se mangiava era un goloso, se non mangiava era un indemoniato che voleva fare la prima donna, che voleva essere diverso dagli altri, che voleva attirare l’attenzione, allora mangia — “Ecco vedi quanto mangia!”, “Ecco, vedi come è goloso”, “Ecco vedi che non ha freni”, “Ecco, vedi che è come tutti gli altri, vizioso”. Se tace: “Ecco, vedi, fa il saputello, che vuole fare quello che non vuole … “; se parla: “Eh, ma parla solo lui, parla unicamente lui, esiste solamente lui”…

Cioè, capite che giustamente a un certo punto Padre Pio — come ogni santo — “si ferma” — diciamo così, tra virgolette — e comprende che il problema non è lui, perché non è possibile. Come mai invece tutti gli altri, che fanno quello che vogliono e magari fanno anche cose terribili, non creano problemi e vengono accettati tranquillamente? Perché gli altri sì? Ma questo i santi lo capiscono col tempo — con la riflessione e la meditazione, l’incontro con Gesù, capiscono questa cosa che appunto noi stiamo leggendo adesso con Bonhoeffer — e cioè che gli altri fanno parte della maggioranza o delle minoranze omologate perché accettate, perché riconosciute. Ma il discepolo di Gesù, siccome fa parte di una minoranza che è l’essere discepolo di Gesù — e Gesù non viene assolutamente accettato, assolutamente riconosciuto e ancor di meno omologato — quindi tutto questo odio, questa persecuzione, quest’oppressione, tutta questa situazione gravissima, si viene a creare ed è irrisolvibile. Non la puoi risolvere tu personalmente. È questo che loro, a un certo punto, comprendono: che non possono farci niente, perché qualunque cosa fanno, umanamente, finisce male. È comunque sempre fraintesa, calunniata, minacciata, oltraggiata e disprezzata, comunque. Perché? Perché sono di Gesù, il problema è Gesù. Loro rivelano Gesù, portano Gesù e Gesù dà fastidio, Gesù non si lascia mettere nella nicchia degli dèi nel Pantheon. Perché, se entra lui, devono uscire tutti — già l’avevano detto allora — lui non si può mettere nel Pantheon perché, se entra lui devono andar fuori tutti. Eh, certo, non è mica un bambolotto che tu metti lì nella vetrina insieme a tutti gli altri bambolotti. Lo avevano capito bene. E quindi? E quindi non lo vogliamo, e quindi lo perseguitiamo. 

E quindi chi è discepolo di Gesù si deve mettere il cuore in pace perché, poiché è di Gesù, e nella misura in cui è di Gesù, non verrà mai riconosciuto, né accettato, né omologato e quindi non avrà mai il diritto del dialogo, dell’accettazione, dell’ascolto, del confronto, del rispetto e di tutte queste cose belle, non avrà mai questo diritto, non gli verrà mai riconosciuto. Ma non perché lui, lei o loro sono sbagliati. Ma perché il problema è Gesù; e a Gesù non è stato riconosciuto il diritto di essere ascoltato. L’unica volta che ha parlato, quello là si è stracciato le vesti. Non aveva detto niente, ma l’unica volta che parla quello si straccia le vesti: “Ha bestemmiato! Ecco, qui abbiamo la causa per poterlo condannare a morte” — “E allora perché parlare, di che cosa parliamo?” Quindi, non ha avuto il diritto di parola, ha parlato una volta e il sacerdote si è stracciato le vesti: “Ha bestemmiato!”, ha parlato la seconda volta e gli è arrivato un ceffone sulla faccia incredibile, per una domanda che ha posto, e quindi capite, non c’è diritto, non viene riconosciuto il diritto. Viene riconosciuto il diritto a Barabba. È incredibile! A Barabba, brigante e assassino, viene riconosciuto il diritto alla vita. E quindi lo scelgono, scelgono Barabba, criminale, colpevole, ma preferiscono lui a Gesù.

Guardate che qui c’è tutto un programma di vita, dovremmo stare qui a riflettere insieme non so quanto tempo su questa scelta. Chi scegliete, Barabba o Gesù? Scelgono Barabba. Nella storia sarà sempre così, sempre, e bisogna mettersi il cuore in pace. Non è colpa del singolo, ma la ragione sta in quel “di”, tu sei “di” Gesù, quello è il problema. E ogni volta stai tranquillo che sceglieranno sempre i Barabba, i vari Barabba che tu avrai accanto, ma non sceglieranno mai te. Perché? Perché tu sei di Gesù e Gesù non l’hanno scelto e l’hanno condannato a morte.

Spero di essere stato un po’ chiaro e di essere riuscito un po’ a spiegarvi decentemente questo testo che abbiamo letto.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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