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L’abbandono interiore – L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati, S. Manuel González pt.33

L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati - San Manuel Gonzales Garcia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: L’abbandono interiore – L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati, S. Manuel González pt.33
Lunedì 22 aprile 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 10,11-18 – anno A)

In quel tempo, Gesù disse: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio”.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a lunedì 22 aprile 2024. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal decimo capitolo del Vangelo di san Giovanni, versetti 11-18.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di san Manuel González. Siamo arrivati a pagina 62.

Orrore del fatto

Sì, cari sacerdoti, scacciate il timore di questa parola e trasformatela in orrore per il fatto che le conferisce una così triste realtà e un così sconsolante significato. Questo è lo scopo delle presenti righe: rivelarci non tanto l’estensione quanto l’intensità di queste tristezze. Sì, che il tempo e le forze spesi per indignarsi contro la parola abbandono sarebbero di gran lunga meglio impiegate per lavorare contro il fatto dell’abbandono, in modo che, attenuato o cancellato, perda gradualmente la sua realtà e la sua ragione. E quindi, più che domandarsi se si debba parlare di abbandono del Tabernacolo, la domanda dovrebbe essere posta come segue: C’è abbandono del Tabernacolo? Dove? Come? Fino a quando? Di che tipo? Per quali motivi? Come vi si può rimediare? A questo urge rispondere.

Quindi san Manuel dice: non perdiamo tempo a scandalizzarci perché uso la parola abbandono; usiamo invece il tempo contro il fatto dell’abbandono; usiamo invece il tempo per domandarci: ma questo abbandono del Tabernacolo c’è o non c’è? È vero o è falso? È reale? Il Tabernacolo è abbandonato, sì o no? È questo il punto.

E questo accade sempre, nella storia: c’è sempre qualcuno che si mette a fare le pulci sulle parole: “Mah, questa non va bene; quest’altra sarebbe meglio non usarla; questa parola non è giusta; le cose non sono così esagerate”. Ma la domanda non è se quella parola — come “abbandono” — sia esagerata o non esagerata, se sia offensiva contro qualcuno o qualcosa; se intende questo o quell’altro. La domanda è: è vero o non è vero? È reale o non è reale? Succede o non succede? È questo che occorre chiedersi. E lui dice: «A questo urge rispondere».

E adesso, a pagina 63, inizia un nuovo capitolo.

UNA DIGRESSIONE NECESSARIA

Prima di introdurvi in questo mare amaro e oscuro di abbandoni dei Tabernacoli, e per prevenire difficoltà, devo precisare:

Quello che non intendo fare

La descrizione dell’Abbandono interiore che il Cuore di Gesù soffre o può soffrire nell’anima dei suoi amici che lo ricevono e in mezzo a gruppi e persino a folle di visitatori e comunicanti, può forse suggerire ad alcuni il timore che queste considerazioni possano servire più ad intimidire e spaventare coloro che si recano al Tabernacolo, che a infiammarli per andarvi meglio disposti. E in verità nulla potrebbe essere maggiormente contrario all’obiettivo di queste righe.

Ecco, se il vescovo fosse qui, mi permetterei di dire: “Eccellenza, guardi che una persona onesta, che non ha la coda di paglia, non penserebbe mai che quello che lei ha scritto potrebbe anche solo lontanamente servire per spaventare, intimidire, allontanare dal Tabernacolo; tutto il contrario!” 

Ma vedete alcune persone — non tutte, grazie al cielo — fin dove possono arrivare, a causa della malizia che hanno nel cuore? “A causa del peccato che portano dentro”, come dice San Gregorio Magno nella sua regola pastorale. Cosa significa? Che il male che mi porto dentro, di fatto, condiziona la mia percezione della realtà e me la fa percepire storta, corrotta, quando invece non lo è. 

Come si può aver letto queste pagine, aver letto queste righe, e pensare che possono servire per spaventare chi va, chi si reca al Tabernacolo? Ma vuol dire leggere da destra a sinistra invece che da sinistra a destra! È assurdo. E, infatti, lui dice: “nulla è più contrario all’obiettivo di queste righe”; ma certo! Perché una persona normale, una persona che ha la coscienza a posto, se scoprisse grazie a queste righe di aver abbandonato il Tabernacolo, direbbe: “Eccellenza, lei ha ragione, grazie che mi ha fatto capire che ho sbagliato, che non devo abbandonare più Gesù nel Tabernacolo, ma ci devo andare. Bene, da adesso comincerò a fare esattamente così. Ma queste righe mi sproneranno ad andare di più, non a scappare!” La storia si ripete sempre, sapete? La storia si ripete sempre…

Quello dell’abbandono interiore è un male tanto sottile quanto complesso e tanto profondo quanto ampio; un male che inizia con una lieve indelicatezza nei confronti di Gesù…

Perché prima che esserci un abbandono esteriore (la chiesa vuota), c’è un abbandono interiore. Su questo noi, forse, non abbiamo mai abbastanza riflettuto. 

Prima che un marito abbandoni sua moglie o una moglie abbandoni suo marito — e quindi abbandoni la casa, abbandoni la famiglia, abbandoni i suoi figli e se ne vada fuori — prima c’è un abbandono interiore. Questa persona è in casa fisicamente, ma interiormente non c’è più, non è lì, è altrove. E lo si capisce! Lo si capisce quando una persona interiormente ha abbandonato un luogo, o un volto, o dei volti. Dopo arriverà il momento in cui dirà: “Ecco, siccome tu….  (si inventano, poi, tutte le storie false, perché sono false) lavori tanto; non mi guardi più come prima; sei invecchiato”. Ci si inventano tutte le storie che non esistono: “Ti dedichi troppo a questo piuttosto che a quell’altro”. Ma in realtà l’abbandono c’è già stato! C’è già stato l’abbandono, il distacco affettivo, il distacco interiore, il distacco emotivo, il distacco di tutto il mondo interiore della persona. Quella persona se n’è già andata. Semplicemente ciò che c’è in casa è il corpo, è una presenza fisica, ma niente più.

E così avviene con Dio: prima c’è un distacco interiore, un allontanamento interiore, poi ci sarà quello esteriore, poi il corpo seguirà lo spirito. 

Quindi: «l’abbandono interiore è un male tanto sottile quanto complesso, e tanto profondo quanto ampio». 

E come inizia questo abbandono interiore? È interessante ciò che scrive il Vescovo. E quello che lui scrive adesso in riferimento a Gesù, provate ad applicarlo alle persone! Applicatelo al marito e alla moglie, applicatelo ai figli e ai genitori, applicatelo a due amici, applicatelo ai rapporti umani, è la stessa dinamica, la stessa identica dinamica, uguale! Sentite: il male dell’abbandono interiore…

un male che inizia con una lieve indelicatezza nei confronti di Gesù…

Avete capito bene? Uno pensa che, perché ci sia un abbandono interiore, debba capitare chissà quale peccato mortale… «una lieve indelicatezza»; lieve! Si comincia da lì.

…e passa attraverso la negligenza, l’abitudine, la tiepidezza, la freddezza, la scortesia, l’irriverenza, la promiscuità, l’inconsistenza, la poca e distratta cura, la mancanza di comunicazione affettuosa e la durezza di cuore, per giungere fino alla mostruosità del tradimento sacrilego.

Non è quello che avviene tra marito e moglie? L’adulterio non è un tradimento sacrilego del sacramento del matrimonio? Certo! 

Non posso io adesso commentarvi ogni parola che ha detto, perché ogni parola merita non so quanto tempo. Rileggete il libro e stiamoci tutti sopra, su queste cinque righe.

“Lieve indelicatezza che passa attraverso la negligenza”. 

“La negligenza”: la persona negligente, che non fa quello che deve.

“L’abitudine”: fare le cose per abitudine, vivere il rapporto con Dio per abitudine, andare in chiesa per abitudine, pregare per abitudine, stare in famiglia per abitudine, tornare a casa per abitudine, fare il marito per abitudine; quindi, passare dall’essere marito al fare il marito, capite? Un fare, semplicemente un fare, come in fabbrica. 

“La tiepidezza”: né caldo e né freddo; non mi interessa. Non è che ti odio, non è che ti amo, è indifferente. 

“La freddezza” … Ci possono essere degli atteggiamenti verso Dio, di una freddezza che gelerebbe un iceberg: freddi! Un modo di celebrare la messa, freddo; un modo di pregare, freddo; un modo di amministrare i sacramenti, di ricevere l’Eucarestia, di stare davanti al Tabernacolo, freddo. 

“La scortesia, l’irriverenza”: quanti modi di trattare il Signore da maleducati, da scortesi, da irriverenti. La sparizione della genuflessione; la mancanza di raccoglimento prima e dopo la messa; la mancanza di silenzio in chiesa: parlare, e parlare a voce alta, in chiesa,  chiamarsi come ci si chiama al mercato; passare davanti al Tabernacolo come se si passasse davanti al quadro della Gioconda — anzi, almeno lì ci si ferma un attimo a guardarla — attraversare la chiesa da un lato all’altro, passando sul presbiterio, come se passassi in mezzo alla navata. Ma il presbiterio non è la navata della chiesa! Si chiama presbiterio — a parte che non so quanti cristiani sappiano che cos’è il presbiterio… — si chiama così perché è dei presbiteri, è dove vanno i presbiteri. Nel presbiterio ci sta l’altare, che è il luogo sul quale si celebra il sacrificio della Santa Messa. In molte chiese, per salire sul presbiterio, ci sono dei gradini da fare. Ed è il luogo abitato dal sacerdote, che dalla sede va all’altare; dall’altare va all’ambone; dall’ambone va all’altare; dall’altare va alla sede; poi scende dal presbiterio per dare la comunione ai fedeli, poi risale al presbiterio, poi va al Tabernacolo, chiude, poi va all’altare, purifica, poi prende e va in sede. E invece c’è gente che passa tranquillamente sul presbitero per attraversare la Chiesa, così, come se niente fosse, passando davanti al Tabernacolo senza neanche fare un qualunque gesto di riverenza, di adorazione. Questa è la scortesia, questa è l’irriverenza. Proprio una mancanza di attenzione dell’essere in chiesa, nella casa di Dio, dove non dovrei proprio parlare, e, se parlo, non mi metto certo parlare a voce alta, come se fossi al mercato.

«La promiscuità, l’inconsistenza, la poca e distratta cura». La poca cura nelle cose del Signore… le tovaglie dell’altare, i candelieri, il corporale, il purificatoio. La pulizia della Chiesa: chiese sporche, trascurate, fiori davanti al Tabernacolo marci, con l’acqua putrefatta che puzza, che non vengono tolti né cambiati. Il cero rosso che dovrebbe sempre ardere, spento, dimenticato… Dita di polvere attorno al Tabernacolo. Ecco, tutto questo, nella casa di Dio. Oppure assenza di fiori, oppure neanche una luce, buio totale! Perché, ovviamente, noi non risparmiamo sulle stupidaggini o sui vizi, no, su quelli non risparmiamo, noi risparmiamo sulle candele, sulla candela rossa o sul cero rosso che arde per una settimana davanti al Tabernacolo, lì risparmiamo. Risparmiamo sulla luce in chiesa che illumina bene l’altare, anche durante il giorno, lì risparmiamo. Poi fa niente se spendiamo per i nostri vizi e stravizi. E mi raccomando di non tagliare questa meditazione, come qualcuno ha fatto precedentemente.

Adesso avete visto che ho messo, all’inizio di ogni meditazione, quell’avviso, così vediamo che a norma della legge si sappia che le meditazioni, se si vuol farle girare, devono essere fatte passare integralmente, citando l’autore; questa è la legge. La legge prevede questo, non si possono prendere dei discorsi delle persone, tagliarli a pezzi, vivisezionarli, e spargerli in giro cambiando titoli, facendo quello che uno vuole, tagliando di qui, tagliando di là e usando quello che piace a me; no! Si prende tutto il pacchetto e si dice chi è che lo dice, con il titolo con cui lo dice, mandando il link. Ti piace quella meditazione? Benissimo, prendi, invii il link e, se vuoi, dici: “Ti consiglio l’ascolto dal minuto tot al minuto tot”, al massimo questo! Ma non prendere, tagliare e vivisezionare ciò che una persona dice; che sia un sacerdote, che sia… chiunque sia, non si fa!

«La mancanza di comunicazione affettuosa e la durezza di cuore». Ci vuole una comunicazione affettuosa col Signore, non si può avere il cuore duro. Ma come si fa a non avere affetto, a non comunicare in modo affettuoso con Gesù, ma com’è possibile? Lui che ci ha dato il suo cuore!

«Per giungere fino alla mostruosità del tradimento sacrilego». Beh, certo: se ci sta tutto questo che vi ho detto fino adesso, figuriamoci se mi faccio problemi ad andare a fare la comunione in peccato mortale! Ma figuriamoci! Figuriamoci se mi faccio il problema a trattare male l’Eucarestia o riceverla male! Perché, anche per chi riceve l’Eucarestia in mano, la Chiesa prevede che le mani vengano messe in un certo modo; non che ognuno va come c’ha voglia, la prende come c’ha voglia lui: con una mano, due dita o, non so, con le borse in mano. C’è un modo ben preciso, che non sto qui io certo a dirlo, perché voi sapete tutti benissimo qual è la mia posizione: io sono contrarissimo alla comunione in mano, contrarissimo da sempre, l’ho sempre detto, scritto, ridetto e stradetto sempre. Ma del resto la Chiesa lascia liberi — leggete Redemptionis Sacramentum — di ricevere la comunione in piedi, in mano, in ginocchio e in bocca, benissimo. E io, da sacerdote e da teologo, mi sento libero di dire che sono contrario alla comunione in piedi e in mano. Posso dirlo? Sì. La Chiesa lo permette? Sì, e quindi lo dico. Tra le possibilità offerte dalla Chiesa, io sostengo la comunione in ginocchio e in bocca; da sempre, l’ho sempre sostenuta. Ma chi va a ricevere la comunione in mano, sappia che c’è un modo ben preciso di riceverla in mano. Peccato che questo modo non l’osserva quasi nessuno; perché ognuno la prende come c’ha voglia lui. Senza considerare l’uso del piattino… La Redemptionis Sacramentum prevede l’obbligo dell’uso del piattino, che viene messo dal ministrante sotto la bocca — o sotto le mani per chi prende la comunione in mano — del fedele che va a ricevere l’Eucarestia. C’è l’obbligo dell’uso del piattino. Sparito! Non c’è! Non lo usa più nessuno, praticamente quasi più nessuno; eppure è scritto, vedete? Però non si fa, e così le particole cadono per terra.

Rileggiamo bene questa pagina del libro di san Manuel González e facciamoci tutti l’esame di coscienza su di noi, non sugli altri; non andiamo a guardare gli altri, guardiamo noi stessi e convertiamoci noi.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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