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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 52

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 52
Giovedì 28 settembre 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Lc 9, 7-9)

In quel tempo, il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elìa», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti».
Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 28 settembre 2023.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo nono del Vangelo di san Luca, versetti 7-9.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Bonhoeffer, Sequela.

Abbiamo appena iniziato il nuovo paragrafo intitolato: “La donna” e Bonhoeffer sta commentando il brano del Vangelo di San Matteo, capitolo quinto, versetti 27- 32. Ieri abbiamo visto come non ci possa essere per il discepolo di Gesù un piacere, qualunque esso sia, senza amore. E quindi in nessun modo chi segue Gesù può dare libero corso alla propria volontà dominata dal piacere. Ieri ci siamo fermati qui, adesso andiamo avanti. 

Non rileggo integralmente il brano che adesso commento perché l’abbiamo già letto ieri. Ieri mi ero fermato un pochino prima, perché non sono riuscito a commentarlo tutto.

A questo punto Bonhoeffer dice che questa cupidigia, questa volontà dominata dal piacere, riguardasse anche un solo sguardo, separa dalla sequela. Vi ricordate che proprio Gesù nel Vangelo parla dello sguardo?

«Chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore».

Allora Bonhoeffer dice:

Tale cupidigia, fosse pure per un solo sguardo, separa dalla sequela e porta il corpo con tutte le sue membra nell’inferno.

Noi probabilmente non siamo abituati a sentire questo genere di riflessione. E soprattutto non siamo abituati a questo esame di coscienza. Probabilmente qualcuno di noi potrebbe dire: “Per uno sguardo? Eh, ma che esagerazione! Adesso per uno sguardo sono separato dalla sequela di Gesù e tutto il mio corpo, con tutte le sue membra, portato all’inferno! Per uno sguardo!? Uh, mamma mia! Cosa ho fatto di così terribile?”.

Basta uno sguardo, prosegue Bonhoeffer:

Basta questo perché l’uomo venda la primogenitura nel regno dei cieli per un piatto di lenticchie del piacere.

Quando noi assecondiamo questa volontà dominata dal piacere (questa è la cupidigia: la volontà dominata dal piacere), quando acconsentiamo a un piacere senza l’amore, noi stiamo vendendo la primogenitura del Regno dei cieli — l’essere i primogeniti del Regno dei cieli — per un piatto di lenticchie. Le lenticchie rappresentano il piacere: ricorderete sicuramente tutti questo brano dell’Antico Testamento dove appunto si parla della vendita della primogenitura da parte di Esaù. Quindi cominciate a capire perché è così grave già solo uno sguardo. 

Bonhoeffer lo spiega ancora meglio:

Egli chi fa questo — non crede a colui che può ripagarlo con il centuplo della gioia per il piacere cui ha rinunciato.

Questo sguardo pieno di cupidigia — poiché nasce dalla cupidigia, poiché nasce da una volontà dominata dal piacere, poiché vive di un piacere senza amore — di fatto è un atto di mancanza di fede verso Dio, il quale ricompenserebbe cento volte tanto per quel piacere senza amore, al quale tu sei chiamato a rinunciare. Lo ricompenserebbe se tu facessi così. Ma coloro i quali vivono questo genere di sguardo dominato dal piacere, preferiscono questo piacere al centuplo della gioia. 

Sentite che bella questa espressione:

Non confida nell’invisibile, ma si attacca al frutto visibile del piacere.

Colui che rinuncia a separare il piacere dall’amore, colui che rinuncia a questa volontà dominata dal piacere (e quindi a vendere la primogenitura del Regno dei cieli e quindi ad avere il centuplo della gioia) è colui che confida nell’invisibile e rifiuta il frutto visibile del piacere. Bonhoeffer l’ha detta in negativo, io ve l’ho girata in positivo. 

Noi siamo chiamati, per questo non cediamo a questi sguardi densi di cupidigia: perché noi vogliamo confidare nell’invisibile. Non cedere a questi sguardi vuol dire fare un atto di fede, vuol dire essere persone di fede che preferiscono confidare nell’invisibile, in ciò che gli occhi non vedono e rinunciare al frutto visibile del piacere. Perché in questo caso lo sguardo dà un piacere. Certo, non è il piacere di colui che possiede, che è ancora più forte, ovviamente, ma è già una forma di piacere: il guardare, anche solo il guardare, assecondando la cupidigia, è già un’attuazione, una consumazione del piacere senza amore. Con lo sguardo questo è assolutamente evidente perché, se io guardo qualcuno che neanche conosco, come posso amarlo? È chiaro che è uno sguardo, un atto, un piacere, senza amore, è ovvio! Non posso amare una persona che non conosco, non posso amare una persona che vedo passeggiare per strada o una persona che mi passa davanti alla macchina. Non posso amare un’immagine che vedo alla televisione piuttosto che su internet, non posso amarla, non so neanche chi è quella persona. Quindi è chiaro che non c’è l’amore. Allora uno perché sceglie di rinunciare a questo frutto visibile del piacere? Perché confida nell’invisibile: io voglio confidare nell’invisibile, credo di più nell’invisibile e quindi nella mia primogenitura nel Regno dei cieli e quindi al centuplo della gioia, che non al visibile che potrei subito avere; cogliere, cioè, il piacere.

Ora Bonhoeffer scrive che chi non fa questo:

Non confida nell’invisibile, ma si attacca al frutto visibile del piacere. Egli fuoriesce così dalla via della sequela ed è separato da Gesù.

Vedete, è un ragionamento assolutamente evidente, autoevidente! È chiaro che questo invisibile non è altro che Dio; quindi, se io non confido in lui, mi separo. Ecco, dunque, che torna il ragionamento all’inizio di questo nostro giorno, ossia:

Tale cupidigia, fosse pure per un solo sguardo, separa dalla sequela e porta il corpo con tutte le sue membra nell’inferno.

Certo, perché non confidando nell’invisibile, vendendo la mia primogenitura, sono fuoriuscito dalla sequela e mi sono separato da Gesù. La cupidigia è impura perché è chiaro che questa cupidigia, questa volontà dominata dal piacere, è un atto non puro, non c’è purezza in questo, perché manca l’elemento fondamentale che caratterizza la purezza, che è l’amore. Quando manca l’amore, tutto diventa non puro, qualunque cosa. Nessuno di noi apprezzerebbe qualcosa senza amore: detto, fatto, donato, senza amore. Nessuno di noi lo apprezza. 

Tutti noi accettiamo un dono, per esempio, perché è simbolo di un amore; fosse anche una molletta per stendere i panni, ma data per amore, data con amore, data quale segno di amore, vale più di un diamante senza amore. Tutti pensiamo questo! E quindi noi siamo capaci di essere attaccati, affettivamente attaccati a una semplice Madonnina di legno — faccio un esempio — di nessun valore economico, che si potrebbe comprare con cinquanta centesimi, forse anche meno, rispetto a una statua d’oro, sempre della Vergine Maria, dal costo di migliaia e centinaia di euro, perché quella Madonnina mi è stata regalata dalla mia mamma, dal mio papà, dai miei nonni, da mia moglie che è defunta o che è ancora viva, dai miei figli, perché quel dono mi è stato fatto il giorno della mia prima comunione, eccetera. Sono tutti oggetti che in sé non dicono niente ma, caricati dall’amore, hanno un valore infinito. Ho detto la Madonnina di legno, ma potevo dirvi un orologio, potevo dirvi una penna, potevo dirvi, non so, una qualunque cosa, un anello, qualunque cosa.

Quindi, Bonhoeffer dice che l’impurità della cupidigia — che non è pura perché è senza amore — è incredulità — l’abbiamo visto e l’abbiamo detto fino adesso — è un atto di mancanza di confidenza, di fede. Perché è la rinuncia a confidare nell’invisibile per attaccarsi al frutto visibile del piacere. E lui dice che solo per questo va respinta, va respinta perché è un atto di incredulità, perché è incredulità. Quindi, quando noi dovessimo essere tentati di muovere la nostra volontà in nome del piacere, noi dovremmo chiederci subito: “Hai scelto di diventare non credente? Vuoi compiere un atto di incredulità? Vuoi rinunciare a confidare nell’invisibile?” Va bene: allora fallo.

Io credo che nessuno di noi abbia mai riflettuto sul peso specifico di questi atti mossi da una volontà dominata dal piacere. Ma adesso che abbiamo sentito Bonhoeffer spiegarcelo così, sono sicuro che tutti, veramente tutti, da adesso in poi, qualora fossimo messi di fronte a questa tentazione, diremmo: “No, no, non voglio cedere all’incredulità”. Non tanto all’impurità, perché, vedete, l’accento va sempre poi a cadere sull’impurità, no! Sta prima! Perché se lo facciamo andare a cadere sull’impurità, uno dice: “Eh vabbè, cosa vuoi, sono stato fragile, non ce l’ho fatta e sono caduto, non ho resistito”, capite? È un’altra prospettiva, una prospettiva fallimentare, perché pone tutta l’attenzione sulla mia debolezza, sulla mia incostanza, sulla mia fragilità, sul fatto: “Eh sa, sono un uomo… Eh sa, sono giovane”. È sbagliato porre così la questione, se la poniamo così, la questione, abbiamo già perso in partenza. La questione non è sulla purezza, ma sulla fede. L’impurità è incredulità. 

Tu non credi nell’invisibile: ecco perché sei impuro. 

Qui nel caso del brano del Vangelo ha chiaramente un risvolto nella sfera della sessualità, ma io vi inviterei a estendere questo ragionamento su tutti gli ambiti della nostra vita. Non circoscriviamolo solo alla dimensione della sessualità, estendiamo, perché il piacere che domina la volontà può veramente riguardare e interessare tutti gli ambiti della vita. 

Pensate allo studio, che è molto lontano dalla sessualità. Pensate al lavoro che ciascuno di noi fa. Quante volte è il piacere che ci domina senza l’amore? Per esempio: studio tanto per il piacere di prendere un buon voto; studio solo quello che so essere importante per il voto; mi invento mille modi e mezzi per trovare scorciatoie per superare quell’esame — che non siano la vera preparazione che devo dare — per il piacere del voto: questo è un atto di impurità, c’è poco da fare. Questa è una forma di impurità: abbiamo scelto il frutto visibile del piacere non confidando nell’invisibile; siamo stati increduli. Uno invece dovrebbe dire: “Io non studio per il piacere del voto (che dà un forte piacere!), io studio per amore del sapere. Perché nella misura in cui io so, io conosco, poi potrò mettere questo sapere a servizio della verità. Anche se devo studiare delle cose che mi sembrano inutili. Le equazioni di secondo grado… uno dice: “Ma nella mia vita futura cosa mi interessa sapere le equazioni di secondo grado o cosa mi interessa sapere tangente, cotangente, seno e coseno? Ma cosa mi interessano queste cose? Cosa mi interessa il teorema di Euclide? Perché mi devo mettere a studiare la terza legge del moto? Io per fare la mia vita di tutti i giorni, non ho bisogno di saper fare gli algoritmi; per la mia vita non mi serve. Perché devo studiare tutto quel latino, quando poi un domani ho in mente di andare a fare l’ingegnere, l’architetto, piuttosto che il dottore? Ma sì, vabbè, mi dà un senso di cultura, però cosa mi interessa? Allora cerchiamo di superare velocemente questo esame”. 

In realtà, questo ragionamento non dice amore. Noi invece dovremmo studiare innanzitutto con un senso di riconoscenza enorme per il fatto che noi possiamo farlo e altri no. Ci sono persone intelligentissime che vorrebbero studiare ma non possono, che vorrebbero studiare ma gli è proibito. Lo studio dovrebbe essere un diritto, non un privilegio. Lo studio non è un privilegio, è un diritto, dovrebbe essere un diritto e invece non è così. Pensate anche certi paesi poveri dove la famiglia non può mantenere lo studio di uno, due, tre figli, bisogna scegliere chi, dove e come e gli altri devono tutti sacrificarsi per lui. Guardate che è terribile avere nel cuore questo desiderio profondo di poter studiare e di poter condurre un tipo di vita, e non poterlo fare perché non c’è la possibilità. È terribile… E io che posso lo faccio male, in modo impuro, senza amore, quindi senza studiare bene, approfondire bene, conoscere bene la materia, capire bene tutti i vari meccanismi, arrivare all’esame preparato e vivere l’esame proprio come una verifica. Cioè, voglio verificare veramente di sapere bene questa materia perché mi servirà, in un modo o nell’altro mi servirà, e perché Dio mi sta dando la possibilità di crescere nella conoscenza, di tenere la mente allenata, di essere una persona capace di fare una certa cosa. 

Pensate a conoscere le lingue, pensate a chi conosce tre, quattro, cinque, sei, nove lingue; pensate quale servizio può rendere alla Chiesa, a Gesù. 

Non so se a qualcuno di noi è capitata la disgrazia di incontrare un infermiere, peggio ancora un medico, che svolge la sua professione per il piacere dello stipendio, senza l’amore per ciò che fa. Da morire! Il malato che incontra un infermiere o un medico del genere, guardate… è veramente un calvario. Essere toccati e trattati dalle mani di un infermiere o di un medico che svolge la sua professione senza amore, in un modo scontento… se esci vivo è un miracolo. 

Dobbiamo proprio chiedere al Signore questo dono grande della purezza quale atto di fede, di confidenza in tutto ciò che noi facciamo. E quindi: sei uno studente? Fallo bene, fallo tutto, fallo fino in fondo, fallo con amore, non per il piacere del voto. Sei un professionista? Fallo bene, non per il gusto dello stipendio, non per il gusto della carriera, non per il gusto di avere un nome, ma fallo con amore, fallo quindi secondo il fine del tuo lavoro. Devi costruire un ponte? Costruiscilo bene, perché sennò poi crolla. Devi fare una casa? Falla bene. Fai l’idraulico? Fallo bene, non per il piacere dei soldi che poi andrai a prendere, fallo con amore. 

Ho parlato di dottori, degli infermieri, degli ingegneri, degli architetti, parliamo anche del sacerdote. Guardate che anche la persona più semplice capisce all’istante quando un sacerdote svolge il suo ministero con amore e non per il piacere di essere acclamato, di ricevere consenso, di essere applaudito, di fare carriera, di essere approvato, della gloria del mondo; con amore. Qualunque fedele, anche un bambino, si accorge immediatamente quando un sacerdote celebra la Santa Messa, siede in confessionale, amministra i sacramenti, predica, con amore. Quindi con una volontà non dominata dal piacere, ma dall’amore. 

Quando tutto ciò che noi facciamo, diciamo, pensiamo, è dominato dall’amore, poi arriverà anche il piacere, ma quel piacere sarà lecito, quello sarà un piacere puro, perché è una conseguenza dell’amore.

Guardate che non me lo invento io, lo scrive San Tommaso nella Summa Theologiae proprio in riferimento al piacere coniugale, in risposta a San Girolamo e a Sant’Agostino. Loro dicevano: “Il piacere, comunque, anche all’interno del matrimonio, è sempre un male”; San Tommaso si colloca proprio tra loro due e dice: “Calma, non è vero! Non è sempre un male. Perché qualora proceda dall’amore e qualora nasca, si manifesti dentro all’amore, non è assolutamente un male, anzi è un dono”. È un dono! Pensate proprio che bello, come Dio ha fatto perfetta ogni cosa: proprio nella misura in cui tu ami e quindi agisci, tu hai subito, o quasi subito, una ricompensa lecita di questa tua volontà, che si è mossa dalla carità, che è il piacere. Subito! Bellissima questa cosa! E questo è un piacere super lecito. 

Pensate a tutto il consenso del popolo che Padre Pio ha avuto. Pochi giorni fa abbiamo fatto la sua memoria; Padre Pio è stato acclamato dal popolo di Dio, amato dal popolo di Dio, tanto amato, a differenza dei suoi nemici. E questo è un piacere grande, è una grande consolazione. È stato tanto aiutato Padre Pio dal popolo di Dio, tanto cercato, scatenando le invidie sanguinare e fameliche di chi gli stava intorno. Ma non era questo che muoveva Padre Pio, era la carità. Quindi come ricompensa arrivava il piacere, il gusto, ma è sempre stata la carità che lo ha mosso. Quindi se poi devo scegliere, sono pronto a rinunciare ad ogni piacere, pur di non rinunciare alla carità.

Quindi Bonhoeffer dice:

Nessun sacrificio che possa recare al seguace la libertà da questo piacere che separa da Gesù è troppo grande.

Quindi dobbiamo essere pronti a sacrificare qualunque cosa.

L’occhio è meno di Cristo, così pure la mano.

Ecco perché Gesù dice: “Cavati l’occhio, tagliati la mano se ti è occasione di scandalo, perché vale meno di me”. Vale meno di Gesù: qualunque parte del mio corpo è meno di Gesù. Allora Gesù dice: “Io valgo di più, l’amore vale di più”. Quindi devi essere disposto a sacrificare tutto, tutto ciò che ti separa da Gesù. Quindi se quel piacere ti separa da Gesù, taglialo, perché prima ci deve essere l’amore. L’amore per Gesù è la dogana che dice: questo sì e questo no. E se l’amore per Gesù ti dice: “No, questo no, questo non è un’espressione di questo amore, questo non aiuta questo amore, questo ostacola questo amore, questo si frappone tra te e l’amore per Gesù”, bene: taglialo. Se le cose stanno così devi essere disposto — ecco la radicalità di Gesù — a tagliare la mano, il piede, a cavarti l’occhio, cioè a tagliare tutto ciò, anche il più indispensabile possibile — che a te può sembrare essere una mano, un piede, un occhio — tagliarlo pur di non separarti da Gesù. Capite? Ecco, e domani andremo avanti.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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