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Ciclo di catechesi – “L’imitazione di Cristo” – Lezione 1

Icona Catechesi Imitazione di Cristo

Lettura commentata del classico di spiritualità: “L’imitazione di Cristo” .

Lezione di lunedì 2 settembre 2019

Relatore: p. Giorgio Maria Faré

Ascolta la registrazione audio della catechesi

Se hai dubbi su come fare per ascoltare la registrazione vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

Le catechesi di p. Giorgio Maria Faré si tengono ogni lunedì alle 21 presso il Convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Monza, con ingresso dal parcheggio di Via Boito 2.

Scarica il testo della catechesi [udesign_icon_font name=”fa fa-file-text” size=”1em”] 

“L’IMITAZIONE DI CRISTO”   Lezione 01

Cominciamo questo nuovo anno di catechesi che sarà dedicato integralmente a questo testo, che è:

“L’IMITAZIONE DI CRISTO”

Un testo molto impegnativo, un classico della spiritualità cristiana che ha formato scuole di cristiani santi, non possiamo dimenticare S.Teresina che fin dalla fanciullezza ha avuto molto a cuore questo libro insieme ai Vangeli, lei racconta che glielo facevano aprire anche a caso per leggerlo poi davanti a tutti, e comunque la meditazione del testo in sé è stata per lei di grande accompagnamento.

Noi seguiremo il metodo di sempre, leggeremo il testo e poi piano piano lo commenterò e alla fine apriremo lo spazio alle domande.

L’IMITAZIONE DI CRISTO

Io partirei dal titolo, c’è dentro tutto il programma del libro. Lo scopo di questo anno di catechesi dovrebbe essere:

IMPARARE AD IMITARE GESÙ

Ma come vuole Gesù, non come voglio io.

Imparare ad imitare Gesù vuol dire:

SEGUIRE i suoi gusti, le sue indicazioni che noi abbiamo nel Vangelo e che qui vengono come tradotte, ci vengono dette più nel dettaglio.

Lo apriamo e cominciamo dall’inizio:

LIBRO I

INCOMINCIANO LE ESORTAZIONI UTILI PER LA VITA DELLO SPIRITO

Ascoltiamo queste esortazioni che serviranno per la nostra vita spirituale:

Capitolo I

L’IMITAZIONE DI CRISTO E IL DISPREZZO DI TUTTE LE VANITÀ DEL MONDO

  1. «Chi segue me non cammina nelle tenebre» (Gv 8,12), dice il Signore. Sono parole di Cristo, le quali ci esortano ad imitare la sua vita e la sua condotta, se vogliamo essere veramente illuminati e liberati da ogni cecità interiore. Dunque, la nostra massima preoccupazione sia quella di meditare sulla vita di Gesù Cristo.

Il testo è interessante che inizi proprio con un versetto del Vangelo, trasuda Vangelo da tutte le parti, fa un riferimento costante al Vangelo di Gesù.

«Chi segue me non cammina nelle tenebre» (Gv 8,12)

Se noi vogliamo essere persone che camminano nella Luce, noi dobbiamo seguire il Signore. Tutte le volte che nella nostra vita sperimentiamo la presenza delle tenebre, sotto qualunque aspetto, la tristezza, la malinconia, il peccato, l’egoismo, l’avvilimento, ci sono tante occasioni per sperimentare le tenebre, e magari qualcuno di noi vive dentro a queste tenebre.

Come faccio ad uscire dalle tenebre?

Siamo chiamati a seguire Gesù. Seguirlo vuol dire imitare la sua vita, imitare il suo stile di vita, la sua condotta, il suo comportamento, quello che Lui ha fatto. Non siamo chiamati a fare le stesse cose nelle medesime situazioni, perché le medesime situazioni sono cambiate, ciò che non cambia è lo stile, è il metodo. Noi dobbiamo imparare il metodo, affinché i tempi che cambiano possano essere affrontati nel medesimo modo, quello di Gesù.

Se vogliamo essere veramente illuminati e liberati da ogni cecità interiore.

Per avere Luce dobbiamo metterci bene in mente che abbiamo davanti a noi una via sola, che è appunto quella di seguire Gesù. Se vogliamo essere liberati da tutto ciò che ostacola la mia capacità di vedere, dobbiamo  seguire Gesù, dobbiamo stare alla scuola di Gesù.

Dunque, la nostra massima preoccupazione sia quella di meditare sulla vita di Gesù Cristo.

Se noi guardiamo la nostra giornata, forse dobbiamo riconoscere che la nostra massima preoccupazione non è meditare sulla vita di Gesù. Noi abbiamo tante preoccupazioni, ma sono altro dal meditare la vita di Gesù, e forse nascono proprio dall’assenza della prima e unica preoccupazione che dovrebbe essere la vita di Gesù. Se noi avessimo quella preoccupazione come primaria, probabilmente molte altre preoccupazioni svanirebbero, avremmo sicuramente una vita più serena, perché molte delle nostre preoccupazioni si fondano sul fatto che vogliamo gestire noi la nostra storia, non ci affidiamo alla provvidenza, non ci abbandoniamo alla Volontà di Dio e quindi ci preoccupiamo. Imitando la vita di Gesù noi impariamo quello che Gesù vuole, come noi dobbiamo essere per assecondare lo stile di Gesù, il gusto di Gesù.

Già l’insegnamento di Cristo è eccellente, e supera quello di tutti i santi;

Noi abbiamo l’abitudine di leggere tantissime cose ma di meditare pochissimo la Parola di Dio.

Nella giornata di oggi, quante volte abbiamo aperto il Vangelo e abbiamo meditato un versetto per due minuti?

L’insegnamento che è presente nel Vangelo supera quello di qualunque santo, quello di qualunque teologo, quello di qualunque autore.

e chi fosse forte nello spirito vi troverebbe una manna nascosta.

Solo colui che è costante è forte. Forte perché non si arrende al fatto che non trova subito un alimento spirituale immediatamente comprensibile, però lì c’è veramente quella manna nascosta.

Ma accade che molta gente trae un ben scarso desiderio del Vangelo dall’averlo anche più volte ascoltato, perché è priva del senso di Cristo.

Se io non ho gusto, non ho desiderio di meditare il Vangelo, questo vuol dire che il senso di Cristo in me è molto piccolo, è molto flebile. Questo anno di catechesi avrà lo scopo di risvegliare questa fiammella. Leggeremo il testo ma poi l’impegno a casa ogni giorno sarà quello di iniziare la lettura del Vangelo. Scegliamo un Vangelo e iniziamo a leggerlo dall’inizio, per poter sviluppare questo senso di Cristo.

Invece, chi vuole comprendere pienamente e gustare le parole di Cristo deve fare in modo che tutta la sua vita si modelli su Cristo.

Se io voglio trovare gusto, se io voglio formarmi un palato spirituale che quindi rigetterà tutte le cose che non sono spirituali, io devo modellarmi su Gesù, ma tutta la mia vita deve modellarsi su Gesù. Non possono esserci degli ambiti franchi, degli ambiti dove io mi riservo di vivere come voglio io. O tutta la mia vita si modella su Gesù o niente. Tutta la mia vita in tutte le sue sfere, intellettuale, affettiva, volitiva anche corporea, tutta la mia persona deve modellarsi su Gesù. Io non posso tenere qualcosa fuori da questa continua vicinanza, scultura che devo fare sul modello di Gesù. Solo così io potrò gustare e potrò comprendere veramente le Parole del Signore. Imparerò a gustare le Parole del Signore solo quando avrò progressivamente modellato la mia vita sul Signore.

E’ il lavoro di una vita questo.

Che ti serve saper discutere profondamente della Trinità, se non sei umile, e perciò alla Trinità tu dispiaci? Invero, non sono le profonde dissertazioni che fanno santo e giusto l’uomo; ma è la vita virtuosa che lo rende caro a Dio.

Io posso fare tutte le riflessioni più belle del mondo, scrivere i libri spirituali più belli del mondo, ma non è questo che rende l’uomo santo, che rende l’uomo gradito a Dio.

Ciò che rende l’uomo gradito a Dio è la vita virtuosa, una vita potremmo dire forte, dove l’abitudine al male è allontanata e c’è questo habitus al bene, a una vita buona, bella, cristiana.

Preferisco sentire nel cuore la compunzione che saperla definire.

Sapere perché vivo, non sapere perché faccio delle riflessioni che sono sganciate dalla mia vita di tutti i giorni.

Senza l’amore per Dio e senza la sua grazia, a che ti gioverebbe una conoscenza esteriore di tutta la Bibbia e delle dottrine di tutti i filosofi? «Vanità delle vanità, tutto è vanità» (Qo 1,2), fuorché amare Dio e servire lui solo. Questa è la massima sapienza: tendere ai regni celesti, disprezzando questo mondo.

Se io non ho amore per Dio, e poi capirete che cosa vuol dire amare Dio, se io non sono in Grazia di Dio, se il peccato grave ha rotto, come dice S.Teresa D’Avila ha opacizzato il cristallo, lo ha spento, se io interiormente sono morto, cosa mi serve conoscere tutta la Bibbia e conoscere tutti i filosofi? Cosa mi serve sapere, se non sono in Grazia di Dio?

La prima cosa che noi dobbiamo cercare è:

ESSERE IN GRAZIA DI DIO

Cioè, come dice S.Teresa, allontanare, entrare velocemente nel Castello, tirando fuori tutte le cose che non sono degne del Castello, superando tutti gli ostacolo e le prove per poter arrivare al talamo nuziale, per arrivare ad un incontro più profondo con Dio che è l’Amore Perfetto.

Una domanda che sarebbe lecito farci di frequente è:

“Io Amo Dio?”

Non diamo risposte affrettate. Per sapere se io Amo Dio devo osservare i suoi Comandamenti, tutti, nessuno escluso.

Sono in Grazia di Dio? Mi confesso frequentemente? Faccio l’esame di coscienza quotidiano? Dedico del tempo all’incontro con Gesù per valutare la bellezza della mia coscienza?

Solo amare Dio, solo servire Dio è alieno da ogni vanità.

Padre Pio da Pietrelcina diceva che la vanità è una delle realtà più difficili da combattere e rinnegare.

Ci piace apparire sapienti, dotti, pii, devoti, essere visti, notati.

Solo amare Dio e solo servire Dio è alieno da ogni vanità.

Questa è la massima sapienza: tendere ai regni celesti, disprezzando questo mondo.

Come si fa a tendere al Regno dei Cieli e a disprezzare questo mondo?

Abbiamo tutto questo libro per vederlo.

  1. Vanità è dunque ricercare le ricchezze, destinate a finire, e porre in esse le nostre speranze. Vanità è pure ambire agli onori e montare in alta condizione. Vanità è seguire desideri carnali e aspirare a cose, per le quali si debba poi essere gravemente puniti. Vanità è aspirare a vivere a lungo, e darsi poco pensiero di vivere bene.

Siamo tutti proiettati a vivere a lungo. La sofferenza la si allontana il più possibile. Sembra che siamo tutti eterni.

Quanti di noi si sforzano e si impegnano per vivere bene?

Non è importante vivere a lungo, è importante vivere bene ogni giorno, dalla mattina alla sera, ogni giorno vissuto in tutta la sua pienezza, vissuto santamente, in amicizia e in Grazia di Dio.

Vanità è occuparsi soltanto della vita presente e non guardare fin d’ora al futuro.

Non so quanti di noi riflettono fra sé e sé e davanti a Dio e quanti di noi parlano della Vita Eterna, della morte, del post morte? Cosa ci attende dopo? Che cos’è il Paradiso, l’inferno, il Purgatorio? Quanti di noi si preoccupano? Cosa stiamo facendo per questa vita che è per sempre? Quanto ce ne stiamo occupando?

Vanità è amare ciò che passa con tutta rapidità e non affrettarsi là, dove dura eterna gioia.

C’è una Porta che dà sul Paradiso, qui sulla terra, ed è la Porta del Tabernacolo. Affrettiamoci a stare lì e affrettiamoci a non amare più ciò che invece oggi c’è e domani non c’è più.

Ricordati spesso di quel proverbio: «Non si sazia l’occhio di guardare, né mai l’orecchio è sazio di udire» (Qo 1,8). Fa’, dunque, che il tuo cuore sia distolto dall’amore delle cose visibili di quaggiù e che tu sia portato verso le cose di lassù, che non vediamo. Giacché chi va dietro ai propri sensi macchia la propria coscienza e perde la grazia di Dio.

Il testo non è l’educazione alla separazione tra corpo e anima, non è un testo manicheo, non è distacco platonico. L’uomo è la Gloria del Dio vivente.

Ci sta dicendo che la cosa fondamentale è mettere ogni realtà al suo posto. I sensi chi li ha donati a noi? Dio. Quindi in sé non sono male, ma dovrò educarli.

Concentrati verso il Cielo, come priorità, perché sarà questa priorità che ti insegnerà a vivere bene il rapporto con le realtà di quaggiù.

Se io comincio a concentrarmi veramente su Gesù poi i miei occhi non hanno più bisogno di guardare cose che non sono degne, la mia bocca non ha più bisogno di dire cose che non vanno bene se è abituata, come dice S.Paolo, a parlare solo di Gesù, ad avere sempre in bocca il nome di Cristo, che vuol dire avere lo stile di Gesù che mi insegna a parlare come Lui ha parlato.

Giacché chi va dietro ai propri sensi macchia la propria coscienza e perde la grazia di Dio.

Se io vado dietro, se sono schiavo dei miei sensi macchio la mia coscienza, perché i sensi non sono mai sazi. Se io non insegno loro a saziarsi delle realtà giuste, loro non hanno un ordine, sono io che devo darglielo, solo in nome dell’amore che ho per Dio.

Capitolo II

L’UMILE COSCIENZA DI SÈ

  1. L’uomo, per sua natura, anela a sapere; ma che importa il sapere se non si ha il timor di Dio? Certamente un umile contadino che serva il Signore è più apprezzabile di un sapiente che, montato in superbia e dimentico di ciò che egli è veramente, vada studiando i movimenti del cielo.

Il Timor di Dio è un dono dello Spirito Santo.

Che cos’è il Timor di Dio?

Non è la paura.

E’ la coscienza della Trascendenza di Dio, citazione di Papa Benedetto XVI.

Sapere che Lui è oltre, è Altro da me, per evitare di cadere in quel difetto tremendo di Donna Prassede che come scrive il Manzoni:

“era bravissima e perfettissima in tutto, tranne che se non fosse per un piccolo difetto, che scambiava la sua testa per il cielo.”

Noi non siamo Dio. Noi spesse volte ci comportiamo come se fossimo Dio, volendo avere una posizione con noi stessi e con gli altri che non ci appartiene. Pensate solo al giudizio. Quante volte noi rubiamo a Dio il suo ruolo mettendoci a giudicare le intenzioni del cuore delle altre persone, esprimendo giudizi terribili, senza sapere nulla. In quel momento noi abbiamo perso il Timor di Dio. Posso esprimere un giudizio oggettivo sulle azioni, ma non sulla sua intenzione, non sul suo cuore, non sulla sua coscienza.

Il Timor di Dio è anche la paura di Dio. La paura in sé, nella nostra vita è la prima arma di sopravvivenza. Io per paura di bruciarmi non mi butto nel fuoco, per paura di tagliarmi non mi passo una lama sulla gola, per paura di pungermi uso bene l’ago, per paura della multa non passo con il rosso, per paura della prigione non rubo e non uccido e via di seguito.

Quante volte la paura salva la nostra vita in una giornata?

Tutte le volte che io ho paura è sbagliato? No. C’è una sana paura, una dovuta paura.

La paura di Dio a cosa serve? Cosa vuol dire avere paura di Dio?

Questa paura vuol dire che io devo avere il timore di offenderlo, perché Lui è quel Padre buono che mi ama. Offendere, far del male, rammaricare, rattristare Colui che è così tanto mi ama e mi ha amato dando Suo Figlio in Croce, deve essere la mia prima paura.

Noi siamo abituati a sposare la paura col castigo, c’è anche questo, il Purgatorio e l’Inferno ce lo insegnano, c’è anche questo ma la più bella paura, perché c’è una bella paura, una santa paura legata al santo Timore di Dio, è:

Ho paura di offenderTi semplicemente perché Ti amo.

E’ la paura che noi abbiamo avendo in mano un vaso di cristallo, un diamante, è talmente bello, è talmente prezioso che la paura di rovinarlo, di perderlo, me lo fa custodire nel modo più grande possibile.

Il Timor di Dio è una sentinella che lampeggia e che ti dice: “Stai attento, mantieni bianca questa bellissima realtà che è appunto la tua coscienza, la tua anima”

Guarda il video della catechesi su Youtube

Testo commentato durante il ciclo di catechesi:

“L’imitazione di Cristo”

Traduzione a cura di Ugo Nicolini

Edizioni San Paolo

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La catechesi è preceduta da un momento di preghiera a partire dalle ore 20.00.

È anche possibile seguire la catechesi in diretta streaming sul profilo Facebook di p. Giorgio Maria Faré, ogni lunedì a partire dalle ore 21.[/vc_cta]

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