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Beato don Giacomo Alberione: i Novissimi, il Giudizio particolare, VI parte

Novissimi: il Giudizio particolare

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di mercoledì 1 dicembre 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Beato don Giacomo Alberione: i Novissimi, il Giudizio particolare, VI parte

Eccoci giunti a mercoledì 1 dicembre 2021, prima settimana di Avvento.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi tratto dal capitolo XV di San Matteo, versetti 29-37. 

Credo che il miracolo più grande, ancora più grande della moltiplicazione dei pani e dei pesci, sia la compassione di Gesù. Forse non ci siamo mai soffermati abbastanza a meditare su questo aspetto e siamo rimasti catturati dalla moltiplicazione dei pani e dei pesci, che certo è un evento miracoloso, ma la compassione di Gesù è ancora più miracolosa. Lo vediamo nella vita di tutti i giorni: quanto è difficile trovare qualcuno che sappia com-patire con noi! Compatire non è commiserare, non è far finta di dispiacersi, non è dire: “Mi dispiace, poverino! Che brutto quello che ti è capitato!”.

Non so se vi è mai successa questa esperienza: voi avete vissuto una situazione difficile, brutta, pesante e magari con un po’ di fatica ne parlate con qualcuno. Tizio vi ascolta e sembra — magari ci prova anche — volervi compatire, ma la cosa strana è che vi ascolta, vi dice magari due parole e dopo dieci secondi cambia argomento. Voi state parlando della vostra sofferenza, magari spirituale, per un’incomprensione, per una fatica, per un’ingiustizia, l’altro sembra partecipare vi risponde anche, ma dopo dieci secondi: “Ah ma ti ricordi quella cosa…che…”. E voi non potete dire che non avete ricevuto attenzione, però interiormente sentite che c’è qualcosa che non va. Certo! È mancata la compassione. 

Da che cosa riconosciamo la compassione? Dal fatto che Gesù riconosce, individua, vede un bisogno molto importante, perché si tratta di mangiare, bere, nutrirsi, vede un bisogno essenziale al di là delle possibilità reali e concrete che ci sono. Lui non mette prima l’impossibilità: siamo in un deserto, abbiamo tre pani e tre pesci, come facciamo a sfamare tutti? Non comincia a ragionare sul: “Se, ma, allora…Come faremo? Dove andremo? Chi ce lo darà?”; tutti ragionamenti tenebrosi, che ci sembrano realistici.

“Non abbiamo niente, come facciamo, dove andiamo, dove glielo prendiamo, non possiamo…”

Gesù guarda il bisogno: queste persone hanno questo bisogno”. Questo diventa un suo problema. I discepoli fanno la parte del: “Ma come si fa? Come facciamo? Non possiamo…”Gesù dice: “Qui c’è un problema, qui c’è un bisogno. Questo è il mio bisogno, lo assumo e lo risolvo, per loro”.

Questa è la compassione, ecco perché è così rara. 

Il Vangelo non dice che sono andati a dirgli: “Abbiamo fame, come faremo, moriremo per la strada… tre giorni che non mangiamo”. Nessuno dice niente, neanche i discepoli. È Gesù che li guarda, li vede e avverte questo bisogno perché è compassionevole. 

Questo è il miracolo di cui noi abbiamo bisogno e che tutti noi possiamo e dobbiamo ripetere nella nostra vita. Non siamo chiamati a fare la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma ad avere compassione sì, a saper compatire, sì, che vuol dire patire insieme all’altro. Non vuole dire stare lì insieme a fare quattro lacrime e dare una pacca sulla spalla, questa non è compassione. Non è dire: “No, ma vedrai, andrà tutto bene…”. Questa si chiama consolazione, poi bisogna vedere quanto è fatta bene, non a caso lo Spirito Santo si chiama il Consolatore, altro tema che sarebbe interessante affrontare. 

La consolazione non è la pacca sulla spalla. La compassione è: innanzi tutto io mi faccio carico della tua sofferenza e la condivido con te e in secondo luogo cerco di risolverla, perché questa sofferenza la devo in qualche modo risolvere. Se non riesco a risolverla concretamente io sto qui con te, questa cosa la viviamo insieme, non la soffrirai da solo. 

È Gesù che spezza i pani e li dà ai Discepoli e quindi i Discepoli alla folla. La compassione è operativa. Infatti noi alle volte possiamo dirci: “Ma quella persona ha capito che sto soffrendo? Quella persona ha capito l’entità della situazione?”

Quando noi guardiamo la sofferenza degli altri per noi è sempre banale, è sempre una cosa da poco, è sempre piccola, è sempre: “Oh che stupidaggini! Cosa vuoi che sia questa cosa!”

La nostra invece è una sofferenza d’enorme anche quando soffriamo perché ci si è spezzata un’unghia, guai! Ci è venuto un capello bianco, è una sofferenza atroce! Assolutamente. Se non veniamo capiti, è terribile. 

Se non sappiamo compatire, noi non sappiamo amare. 

La compassione deve risolvere la situazione, non è dare il soldino al povero, dargli il panino con il prosciutto, no, questa è assistenza, che va bene, ma non è la compassione. 

La compassione è dirsi “Se io fossi al suo posto quanto soffrirei per questa cosa?” Mettiti al suo posto, non tu al posto suo, tu come lui o come lei, mettiti lì dentro a quel posto lì, con la sua psicologia, con la sua storia, con la sua umanità, con la sua spiritualità e assumila quella sofferenza, falla tua. Siamo pieni di assistenzialismo ma poveri di compassione.

Perché vi parlavo del Natale? Adesso che vi sto parlando del Giudizio Particolare, su “I Novissimi” di don Alberione, perché trattando di queste cose vi parlavo del Natale e del non lasciare le persone da sole? Per questa ragione, esattamente per questa ragione. Perché all’altro che è solo non interessa che tu vada a suonargli il campanello per dargli il panettone farcito con la crema Chantilly e poi te ne vai e lo lasci lì da solo a mangiarlo. Non interessa che tu fai il grande tavolone dove gli servi il pranzo di Natale e poi te ne vai e lui torna sulla sua strada al freddo e al gelo nel pomeriggio di Natale a morire da solo in mezzo al cemento con la pancia piena. Ma chi di noi è felice perché ha la pancia piena?

Non esiste questa cosa qui, non siamo mica dei procioni che passano la loro vita pensando a mangiare. Nessuno è felice perché ha la pancia piena, sei sazio, ma non è che sei felice. 

Quando sei felice?

Quando ti sei potuto nutrire di umanità. L’uomo si nutre di umanità. È solo quando io sono veramente amato che esisto, altrimenti sono niente. Ecco perché Dio è amore. Allora ecco perché il giorno di Natale non devo lasciare nessuno da solo.

“Eh ma io ho i miei parenti! Devo andare a visitare i miei parenti, ma come faccio? Me lo tiro dietro?” E se fossi tu al suo posto? Forse non resisteresti neanche un giorno. Che cosa è più importante? Se quel Natale fosse l’ultimo Natale della tua vita, cosa vorresti aver fatto? Lasceresti quella persona sofferente da sola? Pensiamoci.  

Oggi dei “Novissimi” del Beato don Giacomo Alberione vedremo questo aspetto.

IX. LA SENTENZA DELL’ANIMA 

Abbiamo già considerato la nostra comparsa al tribunale di Dio e l’esame della vita; ed in terzo luogo ora dobbiamo meditare ai piedi di Nostro Signore, la sentenza finale. Più tardi considereremo, se piacerà al Signore, il giudizio universale. Ma oggi dobbiamo pensare: quale sarà l’esito che avrà il nostro giudizio particolare. Tre sono le sentenze che si possono avere al giudizio particolare: condanna alle pene eterne; condanna alle pene del purgatorio; ammissione immediata al Paradiso. Consideriamo: 

  1. La sentenza che Gesù Cristo darà all’anima eletta

“Parliamo qui dell’anima che è passata all’altra vita, rivestita della grazia, abbellita completamente, senza che le rimanga alcun debito con la divina giustizia.

Sarà il nostro incontro così dolce e pieno d’amore con Gesù Cristo, come fu quello della Maddalena dopo la risurrezione? San Luigi interrogava il suo confessore, se vi siano anime che dalla terra volino subito al cielo senza purgatorio. Ve ne sono, rispondeva il confessore. Questa dolcissima sentenza spetta all’anima partita dalla terra dopo aver scontato ogni debito contratto col Signore; all’anima che ha amato Iddio come dice il S. Vangelo, cioè con tutta la mente, con tutta la volontà e con tutto il cuore. Quando un’anima durante la vita va purificando la mente da ogni pensiero mondano ed estraneo e tutta si fissa in Dio e nella volontà del Signore, e la sua meditazione è sempre la legge di Dio; quando un’anima non ha preferenze tra cosa e cosa, ma il suo criterio è sempre come piace a Dio”

Com’è difficile! Questo com’è difficile! 

“Non mi interessa né A, né B, né C, mi interessa solo Dio. Per me tutto è indifferente, mi interessa solo Dio”. 

È difficile questa cosa. È qui che si inserisce la compassione: “Non posso lasciare questa persona sola”.

Come possiamo noi essere felici il giorno di Natale se sappiamo che qualcuno in quel momento sta soffrendo perché è solo? Com’è possibile essere felici? Non si può.

“Quando un’anima non ha preferenze tra cosa e cosa, ma il suo criterio è sempre come piace a Dio qualunque sacrificio costi”

Mi fermo quando leggo queste cose perché… è un criterio veramente essenziale.

“sempre come piace a Dio qualunque sacrificio costi”

“Quando un’anima ama il Signore così da trovare l’ora più deliziosa della sua giornata e della sua settimana e della sua annata, quella che si passa davanti al Signore; quest’anima ha amato Iddio con tutta la mente, con tutta la volontà e con tutto il cuore. Uscirà dal mondo rivestita di grazia; sulle sue vesti non porterà macchie; il Signore la mirerà, se ne compiacerà e la inviterà: «Vieni, sposa di Cristo: ricevi la corona…». O anima, che non hai amato che il tuo Dio, che non hai cercato che la sua volontà, che non hai avuti altri fini nelle tue intenzioni che servire meglio al tuo Padre celeste, vieni, sposa di Cristo, vieni, entra al possesso della grande corona che ti è preparata. Quest’anima da questa terra di esilio ne passerà direttamente alla patria celeste. Per essa il giudizio sarà una constatazione che il Signore compie, con uno sguardo istantaneo, della sua bellezza, della sua innocenza, della sua grazia. Venite, o veramente benedetti del Padre mio; avete solo cercato il Signore: sarà vostro in eterno; il vostro desiderio sarà saziato in eterno: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,6). Si aprano quelle porte celesti; entri quest’anima al possesso del regno che si è guadagnato! Allora, alla sepoltura dei bambini, suonino pure a festa tutte le campane, si vestano di bianco i Sacerdoti, accorrano le anime innocenti, cioè i fanciulli: non abbiano un accompagnamento funebre, ma l’accompagnamento trionfale di un’anima che entra con gli Angeli in cielo. Si rallegrino adunque, e facciano festa cielo e terra. E noi cantiamo con la Chiesa il cantico che mette sulle nostre labbra nel giorno benedetto in cui si celebra l’entrata dei bambini in Paradiso: «Lodate, fanciulli, il Signore» (Sal 112,1). Pensiamo di accompagnare una di quelle anime fortunate che sono passate sulla terra come colombe candide, senza macchiarsi; o meglio ancora: di quelle anime religiose che portano in cielo una doppia corona di meriti: l’innocenza e l’amore; il giglio e la rosa.”

Ecco che allora quest’oggi, oltre a riflettere sulla compassione, riflettiamo sull’importanza di essere in ogni momento in grazia di Dio, perché se il Signore ci chiama possiamo entrare direttamente in Cielo. Non dobbiamo avere nessun debito col Signore, mai, né con gli uomini.

Prepariamo bene questo Santo Natale, vi raccomando, prepariamolo bene e prepariamoci bene alla Solennità dell’Immacolata. Facciamo bene questa Novena che stiamo facendo — chi ha voluto farla — al Servo di Dio fra Jean Thierry. Preghiamo con tanta fiducia e usiamo questi ultimi 24 giorni per arrivare il più innamorati possibile davanti al nostro meraviglioso presepe, lasciandoci un po’ incantare dalla bellezza del Natale.

Vi auguro davvero di prepararvi e prepararci proprio con un’attesa profonda, come coloro che stanno aspettando Qualcuno con tanto fervore.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen. 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. Amen. 

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

p. Giorgio Maria del Volto Santo 

 

VANGELO (Mt 15, 29-37)

In quel tempo, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d’Israele.
Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?».
Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.

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