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Un semplice alzare d’occhi – Il cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.97

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Un semplice alzare d’occhi – Il cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.97
Lunedì 5 febbraio 2024 – Sant’Agata, vergine e martire

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Mc 6, 53-56)

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono.
Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse.
E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a lunedì 5 febbraio 2024. Oggi festeggiamo Sant’Agata, vergine e martire; quindi, tanti auguri a tutte coloro che portano questo nome.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal sesto capitolo del Vangelo di san Marco, versetti 53-56.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione. Siamo arrivati al paragrafo quarto del capitolo trentunesimo.

4 — Talvolta in questa orazione di quiete il Signore concede un’altra grazia che è assai difficile da comprendere, a meno che non la si abbia provata assai spesso. Quelle che ne hanno esperienza mi capiranno facilmente e avranno piacere nel sapere cosa sia. — Spesso il Signore la concede con quella di cui ho parlato. Quando l’orazione di quiete è profonda e dura molto, pare che la volontà non possa perseverare nella pace se non sia avvinta a qualche oggetto. Accade infatti che rimanga in questo stato per un giorno o due, senza sapere come ciò avvenga. Coloro che ne sono favoriti, quando si applicano alle occupazioni esteriori, si accorgono di non portarvisi per intero. Manca loro il meglio, la volontà, che credo rimanga unita al suo Dio, lasciando libere le altre potenze perché s’impieghino alla maggior gloria del Signore: per questo esse sono allora abilissime, mentre per le cose del mondo sono come intorpidite e alle volte impotenti.

5 — Grande è questa grazia, e colui che ne è favorito assomma in sé vita attiva e contemplativa. L’anima va tutta assorta nel servizio di Dio, perché mentre la volontà attende al suo solito lavoro, che è la contemplazione, pur senza sapere in che modo vi attenda, le altre due potenze fanno l’ufficio di Marta. E così Marta e Maria vanno d’accordo. Io so di una persona — ed è lei stessa — a cui spesso il Signore concedeva questa grazia. Non sapendola spiegare, si rivolse a un grande contemplativo e questi le disse che era cosa possibile e che anch’egli vi andava soggetto. Perciò penso che quando l’anima è in questa orazione di quiete, la volontà sia quasi sempre con Colui che solo la può soddisfare.

Mi sembra molto bella questa cosa che ci narra Santa Teresa, molto bella. Lei ci dice che, quando questa orazione di quiete è profonda e dura molto, di fatto la volontà rimane unita a Dio, lasciando libere le altre potenze di impiegarsi alla maggior gloria di Dio, e c’è come un’abilità molto forte per il Signore, «mentre per le cose del mondo sono come intorpidite e alle volte impotenti». 

Ovviamente stiamo parlando di situazioni che vengono tutte da Dio, cioè di un’origine soprannaturale, nessuna di queste situazioni la possiamo — diciamo così — provocare noi, questo è importante da dire, è una grazia, è una grande grazia. Per cui, la volontà attende alla contemplazione, che è il suo lavoro, le altre potenze fanno l’ufficio di Marta. Così Marta e Maria vanno d’accordo nella stessa persona. È la volontà che rimane totalmente, completamente, assorta, potremmo dire proprio unita, rapita, a Dio, non può volere che Dio: vuole solo Dio.

6 — Credo opportuno metter qui alcuni avvisi per coloro, sorelle, che il Signore, nella sua bontà, si degnerà elevare a questo stato: già so che tra voi ve ne sono alcune. Ed eco il primo. Quando costoro si trovano in tanta dolcezza e non sanno donde essa provenga, o vedono, se non altro, che esse non hanno potuto procurarsela, inciampano in una tentazione: credono di potervisi trattenere quanto vogliono, e perciò non vorrebbero neppur respirare. Ma è una sciocchezza. Come non possiamo fare che aggiorni, così non possiamo evitare che annotti. Si tratta di una cosa soprannaturale che noi non possiamo raggiungere, perché superiore alle nostre forze. Il miglior modo per conservarla è di comprendere che non possiamo togliere né aggiungere nulla, che siamo indegnissimi di averla e che dobbiamo riceverla con riconoscenza. E ciò non con un subisso di parole, ma con un semplice alzar d’occhi, come il pubblicano.

Molto bello! Leggiamo anche questo:

7 — È ancora utilissimo tenersi in più grande solitudine per meglio facilitare l’azione di Dio, permettendogli di operare in noi come in cosa propria. Il più che si possa fare, secondo me, è aggiungere di quando in quando qualche dolce parola, a guisa di soffio leggero che ravviva una candela appena spenta, e la spegne se accesa. Dico come un soffio leggero, per impedire che a forza di ordinar ragionamenti, non si finisca con inquietare la volontà.

Allora, adesso ci dice gli avvisi. Il primo: c’è una tentazione per coloro che si trovano in tanta dolcezza; quale? Potersi trattenere quanto vogliono in questo stato (come vi dicevo prima: come se dipendesse da loro). Ma Santa Teresa dice: è una sciocchezza, perché così come noi non possiamo fare nulla perché venga giorno e non possiamo fare nulla perché venga notte, allo stesso modo in questa cosa, dobbiamo renderci conto che è una cosa soprannaturale, che supera le nostre forze, che non la possiamo assolutamente mai raggiungere noi; questo è importantissimo, cioè non dipende da noi. Però possiamo conservarla! Questo sì! Quindi: non la possiamo raggiungere, non la possiamo ottenere, non la possiamo — come dire — trattenere, però la possiamo conservare; sono due cose diverse: trattenere e conservare. 

La possiamo conservare; come? Lei dice: «Il miglior modo per conservarla è di comprendere che non possiamo togliere né aggiungere nulla» (questo è il miglior modo per conservarla, cioè: “non dipende da me”), che siamo indegni di averla e, poi, la riconoscenza.

Quindi: non la possiamo trattenere, la possiamo conservare, comprendendo che non posso aggiungere e togliere nulla, che sono indegno di avere questa grazia e che dobbiamo mostrarci riconoscenti. E ciò — lei dice — non con mille parole, ma con un semplice alzare di occhi. 

Noi pensiamo che per pregare ci vogliano mille parole, per noi la preghiera è coprire Dio di parole. 

“Non ho tempo per pregare”; quante volte diciamo questa frase? “Io non ho tempo per pregare”, quante volte che emerge questa frase. Oppure: “Io non sono un monaco; io non sono una monaca; io non sono un frate; io non sono un prete; io sono un laico e quindi… il mio tempo per la preghiera è scarso, non mi posso dedicare alla preghiera, come invece può fare una monaca, un monaco, un eremita”. Non è corretto questo modo di procedere, perché? Perché un «semplice alzar d’occhi» è possibile a chiunque, in qualunque situazione, anche in mezzo a un intervento di neurochirurgia. È un secondo; un alzare gli occhi, un semplice alzare gli occhi al cielo, come fa il pubblicano. Interessante, molto bella, questa cosa: “la preghiera come semplice alzare d’occhi”. Credo che ce la dobbiamo proprio segnare e meditare, anche quando entriamo in chiesa, che andiamo dal Signore, quando siamo in casa, in qualunque momento: alzare gli occhi, un semplice alzare gli occhi. E lì noi mettiamo dentro tutta la nostra riconoscenza, tutto il nostro sentirci indegni, il fatto che non possiamo aggiungere o togliere nulla. Che bella questa espressione, questa preghiera, diciamo così, questo modo di pregare: un semplice alzare gli occhi. È interessante perché, se voi andate a prendere Luca 18, 10-14 — dove c’è appunto questa parabola — vedete che San Luca scrive:

“Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore”.

Non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo… Perché questo alzare gli occhi al cielo, è già una forma di preghiera, potremmo dire che, proprio, è la forma di preghiera più bella. Possiamo dirla anche così:

“Siccome non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, allora si batteva il petto, dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore”.

E invece Santa Teresa dice: “Non copriamo Dio con un mare di parole, ma con un semplice alzare gli occhi”. Alziamoli, questi occhi. In questo “alzar degli occhi”, c’è dentro: il riconoscerci indegnissimi, come fa il pubblicano che si batte il petto; c’è dentro: quella preghiera del pubblicano che si batte il petto e non ha neanche il coraggio di alzare gli occhi al cielo; c’è dentro la riconoscenza, perché in quella preghiera del pubblicano (che, appunto, non ha neanche il coraggio di alzare gli occhi), “fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo…”

Guardate, ci sono alcuni testi — pochissimi, per la verità — che da sempre mi hanno accompagnato in tutti i miei spostamenti di posti, case, conventi, luoghi che ho fatto nella mia vita. Ne ho cambiati veramente tanti, in cinquant’anni, quanti traslochi ho fatto… tantissimi! Alcuni testi non mi hanno mai abbandonato, son sempre stati con me. 

Il primo di questi testi è Il catechismo di San Pio X illustrato per bambini della mia mamma, si intitola Alla scuola di Gesù. Bellissimo, mi ricorda quando ero bambino, ce l’ho qui davanti agli occhi: è un catechismo tutto grande, formato A4, bellissimo, in ogni pagina c’è la foto di un quadro, di un dipinto; per ogni argomento che si affronta, c’è questo dipinto; io ho imparato il catechismo innanzitutto guardando le immagini, perché mi piaceva tantissimo sfogliare questo catechismo; io non sapevo leggere, ancora, però le immagini… Mi piaceva tanto, allora io andavo a cercare le immagini — ci sono alcune immagini che a me piacciono moltissimo — e allora io indicavo le immagini — mi ricordo — con il mio ditino, e chiedevo che mi si leggesse quella pagina. E la prima, l’immagine di copertina, è proprio Gesù, seduto, che accoglie i fanciulli. Questa, di tutte le immagini religiose, è quella che mi è sempre piaciuta di più, veramente, fin da bambino mi ha incantato — ce l’ho qui davanti agli occhi, perché è proprio lì, ha sempre occupato questo posto. Per tutti gli altri libri non mi interessa, ma questo e un altro libro sono messi in un modo tale che li vedo sempre, all’inizio della fila dei libri (il secondo libro è sempre su Gesù, ma vi dirò un’altra volta che cos’è, e non è un libro) — questa copertina raffigura Gesù seduto, bellissimo, con i suoi abiti rosso e azzurro — che ho sempre immaginato indicassero natura divina e natura umana di Gesù, me lo sono sempre immaginato così — e questi fanciulli che lo abbracciano, che si stringono a lui. E ce n’è uno, il più piccolo, con la sua vestina bianca, bianca, bianca, che sta in braccio a Gesù e appoggia la sua testolina sul petto di Gesù.

Ecco, io credo che questa intuizione di Santa Teresa arrivi proprio lì; perché a tutti noi piace questa preghiera del pubblicano, questo atteggiamento del pubblicano e poi anche la sentenza di Gesù. Questi torna a casa sua giustificato, perché, appunto, si batte il petto, si riconosce peccatore. Ma Santa Teresa ci fa fare un passo in più — guardate, veramente geniale — e questo semplice alzare d’occhi porta in sé il comprendere che non possiamo fare nulla, che siamo indegni, indegnissimi, e la riconoscenza. 

Quindi: del pubblicano noi dobbiamo prendere l’essenzialità della preghiera; scrive S. Teresa: «E ciò non con un subisso di parole, ma con un semplice alzar d’occhi, come il pubblicano». Il pubblicano non riempie di parole, come invece fa il fariseo: “Io faccio questo, io faccio quello e faccio quell’altro, pago la decima, pago qua, faccio il digiuno, faccio qua, faccio là…”. 

La preghiera del fariseo è: «O Dio ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo»; è lunga, eh?

Il pubblicano: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Fine. Finita la preghiera.

Quindi, pregare come il pubblicano; pochissime parole. E Santa Teresa suggerisce questa modalità, veramente geniale, della preghiera: un semplice alzare d’occhi. “Lui non osava neanche alzare gli occhi”, lei ci propone di alzare gli occhi. E, in questo semplice alzare d’occhi, guardate cosa c’è dentro!

Ma impariamo oggi — abbiamo davanti questa giornata bellissima, dedicata a tutta Sant’Agata — quando camminiamo, quando andiamo in macchina, quando andiamo in bicicletta, ad alzare gli occhi al cielo: un semplice alzare d’occhi. Guardate, mi verrebbe da dire: senza dire niente. Difficile, eppure… senza dire niente! 

Non so se vi sarà capitato di fare voi l’esperienza, o di vederla fare ad altri — beh, se l’avete fatta voi… adesso sto parlando di un qualcosa che vi farà battere il cuore a mille; se l’avete vista negli altri, ugualmente vi darà un ricordo molto bello — quando uno è innamorato, e l’altra persona corrisponde — quindi, lui e lei sono profondamente e veramente (importante questo: veramente, con la mente vera) innamorati — basta uno sguardo, uno sguardo. E, in quello sguardo, c’è dentro tutto. Le parole rovinerebbero quel momento, qualunque parola, anche semplicemente la parola “ti amo”, sarebbe un di più. Quello sguardo comprende anche quello, e lo supera. È bellissimo, questi credo che siano i momenti veramente più belli in assoluto. 

Pensate a una mamma e al suo bambino: che cosa passa in uno sguardo! Pensate a un papà con sua figlia, suo figlio: uno sguardo, un alzar degli occhi. A una mamma basta vedere che suo figlio alza gli occhi a lei… Ha già capito tutto: come sta, come non sta, cosa le vuole dire, che cosa si attende… uno sguardo. Quante volte si sente dire: “Ah, ho già capito tutto, ho già capito cosa vuoi, tu”. Uno sguardo, un semplice alzare d’occhi.

Ecco, io spero che sia questa oggi un po’ la nostra preghiera; e qui non ci sono impegni, capite? “Devo fare questo, devo fare quello”; “Ho tante cose da fare”. Ma alza gli occhi! “Eh, ma non so cosa dire”; niente, non dire niente. Non dire niente, alza gli occhi al cielo. Alza gli occhi al Crocifisso, proprio alzali, e questo è il modo per conservare tutte le grazie, comprendere che non possiamo aggiungere e togliere nulla, che siamo indegnissimi e… riconoscenza. Alza gli occhi, un semplice alzare gli occhi. E lì c’è tutto.

Così, se arriverà il giorno in cui magari staremo morendo — che uno, in quel momento lì, chissà cosa riesce o non riesce a dire, magari niente — alzate gli occhi al cielo o al Crocifisso o alla Vergine… Basta un alzare degli occhi e lì c’è tutto.

E poi Santa Teresa dice anche il «tenersi in più grande solitudine per meglio facilitare l’azione di Dio, permettendogli di operare in noi» e poi, di quando in quando, «qualche dolce parola, a guisa di soffio leggero».

Così… qualche dolce parola. Ma… poca roba, poca roba.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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