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Orazione di quiete – Il cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.96

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Orazione di quiete – Il cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.96
Domenica 4 febbraio 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Mc 1, 29-39)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: “Tutti ti cercano!”. Egli disse loro: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!”.
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a domenica 4 febbraio 2024.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal primo capitolo del Vangelo di san Marco, versetti 29-39.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione. Siamo giunti al trentunesimo capitolo.

 CAPITOLO 31

Prosegue sul medesimo argomento e dice cosa s’intende per orazione di quiete — Alcuni avvisi per coloro che ne sono favoriti — Capitolo assai importante.

1 — Voglio continuare, figliuole mie, a spiegarvi in che consiste l’orazione di quiete, e lo farò secondo le spiegazioni che ho udito da altri, o meglio, secondo quello che piacque a Dio di farmi conoscere, forse perché ve ne potessi dire qualche cosa. In quest’orazione, se non erro, il Signore, come ho detto, comincia a farci intendere che ascolta la nostra domanda, introducendoci nel possesso del suo regno, affinché lo lodiamo sinceramente, santifichiamo il suo nome, e facciamo che tutti lo lodino e santifichino.

2 — Qui siamo già nel soprannaturale, e da noi stessi non vi potremmo mai arrivare, nonostante ogni nostra possibile diligenza. L’anima entra ormai nella pace o, per meglio dire, ve la fa entrare il Signore con la sua divina presenza, come fece con il giusto Simeone. Allora tutte le potenze si riposano e l’anima conosce, con una conoscenza molto più chiara di quella apportata dai sensi esterni, di essere vicinissima al suo Dio, tanto che innalzandosi un po’ di più, arriverebbe a farsi una cosa sola con Lui nell’unione. Non già che lo vegga con gli occhi del corpo o con quelli dell’anima. Il giusto Simeone guardando il glorioso Bambino non vedeva che un bambino poverello; e se l’avesse giudicato dai pannicelli che l’avvolgevano e dalle poche persone che lo accompagnavano, l’avrebbe piuttosto creduto figliuolo di un povero, non mai dell’eterno Padre. Ma il divino Infante gli aperse gli occhi, ed egli comprese il mistero. Così, benché non con la stessa chiarezza, Egli si manifesta all’anima nell’orazione di quiete. Essa però non conosce come ciò comprende. Sente solamente di essere nel suo regno, o, per lo meno, vicina al Re che glielo deve dare, talmente compenetrata di riverenza che non osa chiedere nulla. Le sue potenze interne ed esterne sono là come intontite, e l’uomo esteriore, o, per meglio dire, il corpo se ne rimane immobile, a guisa di un viaggiatore che vedendosi vicino al termine del cammino, si ferma un poco, per poi riprendere il viaggio con maggior lena, trovando in quella sosta come un raddoppiamento di energie.

3 — Il corpo sperimenta un diletto soavissimo, e l’anima una dolcissima soddisfazione. Ed è tanto contenta di vedersi vicina alla fonte, che si sente già sazia prima ancora di bere. Le sembra che non vi sia più nulla da desiderare. Le sue potenze sono nel riposo e non osano muoversi, sembrando loro di veder in tutto un impedimento a meglio amare. Tuttavia non sono così assopite da non accorgersi di Colui che han vicino. L’intelletto e la memoria sono liberi. Solo la volontà è schiava; ma se di questo suo stato può aver qualche pena, è soltanto nel sapere che può tornare ad essere libera. L’intelletto non vorrebbe intendere che una cosa, né d’altro occuparsi la memoria, perché vedono che essa sola è necessaria, mentre le altre non sono che di danno. Chi si trova in questo stato non vorrebbe che il corpo si muovesse, nel timore che ciò gli tolga la sua pace; e non ardisce muoversi. Gli è di pena anche parlare, tanto che impiegherebbe un’ora per la sola recita del Pater noster. È così vicina al Signore da intendersi ormai per via di cenni. Si sente nello stesso palazzo del Re, vicino a Lui, e capisce che Egli comincia a partecipargli il suo regno fin da questa terra. Gli pare di non esser più nel mondo, tanto che non vorrebbe vederlo né udirlo, ma bearsi soltanto col suo Dio. Non vi è nulla, e pare che nulla vi debba più essere che gli sia di pena. E in questo stato così dilettoso e inebriante va talmente assorto e compenetrato da neppure pensare, finché dura, se vi sia altro da bramare, godendo di ripetere con S. Pietro “Facciamo qui tre tabernacoli”.

Santa Teresa ci parla dell’orazione di quiete; in quest’orazione il Signore: (1) comincia a far intendere che ascolta la nostra domanda; (2) ci introduce nel possesso del suo Regno, per poterlo lodare sinceramente e poter santificare il suo nome, e affinché tutti lo possano lodare e santificare. 

Ecco, questo è un po’ in sintesi, che cosa accade in questa orazione di quiete, per cui: ascolta la nostra domanda, ci introduce nel possesso del suo Regno; questo perché? Perché lo si possa lodare noi, lo si possa santificare, e perché altri lo lodino e lo santifichino; molto chiaro.

Nel secondo paragrafo, S. Teresa ci dice che nello stato appena descritto siamo nel soprannaturale, quindi la persona, da sola, non può arrivare a questa orazione di quiete, nonostante qualunque diligenza, nonostante faccia bene tutte le cose; questa orazione è un dono di Dio.

Che cosa succede in quest’orazione di quiete? Che l’anima entra nella pace o, meglio — proprio perché siamo nel mondo del soprannaturale, dice Santa Teresa — è il Signore che ve la fa entrare, attraverso la sua presenza, come fece col giusto Simeone. Quindi: la presenza del Signore fa entrare nella pace; le potenze si riposano e l’anima conosce — non con la conoscenza che viene dai sensi, ma con una conoscenza migliore, mi verrebbe da dire con una conoscenza d’amore, con una conoscenza di intimità — di essere vicinissima a Dio, «tanto che innalzandosi un po’ di più, arriverebbe a farsi una cosa sola con Lui», a unirsi. Ecco, in questa orazione di quiete, l’anima non vede Dio, non vede nulla con gli occhi del corpo o dell’anima. Santa Teresa, qui, fa l’esempio di Simeone che, grazie al fatto che Gesù bambino gli apre gli occhi, può comprendere il mistero. E la stessa cosa, anche se non con la stessa chiarezza — dice lei — si manifesta all’anima nell’orazione di quiete.

«Essa però non conosce come ciò comprende» cioè, non lo sa, non può dirti: “Ah, io comprendo in questo modo, in quest’altro”, non lo sa, «non conosce come ciò comprende», sente solamente di essere nel Regno di Dio, o comunque vicina al Re che glielo vuole dare. È «compenetrata di riverenza — vedete, questo è molto importante — tanto che non osa chiedere nulla». Le potenze — sia quelle interne che quelle esterne — sono come intontite, il corpo è immobile.

E adesso, qui, nel paragrafo terzo, ci spiega cosa succede al corpo.

«Il corpo sperimenta un diletto soavissimo, e l’anima una dolcissima soddisfazione», tanto che «le sembra che non vi sia più nulla da desiderare». Cioè, è talmente ripieno di diletto e di soddisfazione, che dice: sono a posto così, non ho veramente bisogno di nient’altro. 

Quindi, continua: le potenze sono nel riposo, non osano muoversi, e sembra che tutto sia un impedimento a meglio amare Dio. Cioè, sono talmente unito al Signore, sono talmente in questo stato di pace e di riposo, che non si muove nulla, anzi, tutto quello che abbiamo, risulta quasi — appunto — un impedimento ad amare meglio il Signore.

Si accorgono del Signore che hanno vicino; «l’intelletto e la memoria sono liberi. Solo la volontà è schiava», quindi: «l’intelletto non vorrebbe intendere che una cosa», la memoria occuparsi di questa medesima cosa perché è necessaria (che è Dio, ovviamente), tutto il resto invece è di danno. Chi si trova in questo Stato — dice Santa Teresa — vorrebbe che il corpo non si muovesse, perché ha paura che gli può togliere la pace — è talmente bello questo momento! — e non vuole muoversi: «gli è di pena anche parlare».

Vi ricordate quando vi dicevo che, stando davanti all’Eucaristia, magari all’inizio, quando non ci siamo abituati, siamo un po’ tormentati, quindi ci muoviamo, ci sdraiamo, ci guardiamo in giro, il tempo sembra non passare mai, non sappiamo cosa fare, ecco; quando poi persistiamo in questo stare, che cosa succede? Succede che, piano piano, tutto si calma e il corpo si calma — non è come se avessimo addosso le formiche — tutto si calma; anzi c’è proprio un bisogno interiore di stare fermi, e in questi momenti certamente non si riesce a parlare.

È bella questa espressione: «È così vicina al Signore da intendersi ormai per via di cenni», bello; questo dice proprio la profonda intimità che c’è. «Gli pare di non esser più nel mondo, tanto che non vorrebbe vederlo né udirlo, ma bearsi soltanto col suo Dio». E poi dice: vede che il Signore «comincia a partecipargli il suo regno fin da questa terra»; «non vi è nulla, e pare che nulla vi debba più essere che gli sia di pena». Vedete? È proprio libero, libero (questa è l’orazione di quiete, eh!). E Santa Teresa scrive che così, in questo stato, così dilettoso, così inebriante, così assorto, è talmente assorto, è compenetrato, «da neppure pensare, finché dura, se vi sia altro da bramare, godendo di ripetere con S. Pietro “Facciamo qui tre tabernacoli”». Bello, no? “Dilettoso, inebriante, assorto, compenetrato; non c’è altro da bramare che: facciamo qui tre tabernacoli”.

Ecco, mi sembra che oggi abbiamo potuto aprire questo grande bel capitolo dell’orazione di quiete, adesso possiamo chiedere al Signore di poterne fare esperienza (magari l’abbiamo già fatta) e, quindi, sappiamo adesso un po’ come funziona.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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