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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 51

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 51
Mercoledì 27 settembre 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Lc 9, 1-6)

In quel tempo, Gesù convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro».
Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a mercoledì 27 settembre 2023. Festeggiamo quest’oggi San Vincenzo de Paoli, sacerdote.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo nono del Vangelo di San Luca, versetti 1-6.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Bonhoeffer, Sequela.

Concludiamo adesso il paragrafetto che abbiamo iniziato pochi giorni fa dal titolo: “Il fratello”.

Bonhoeffer, in conclusione di questo paragrafo scrive:

Il servizio al fratello, che mira a trovare l’accordo con lui, che rispetta il suo diritto e la sua vita, è la via del rinnegamento di sé stessi, la via che porta alla croce. Nessuno ha un amore più grande di colui che rinuncia alla vita per i suoi amici. Questo è l’amore del crocefisso. Così questa legge è adempiuta solo nella croce di Gesù.

Credo che sia esperienza di tutti noi quella per cui il servizio al fratello, l’accordarsi con lui, trovare un accordo, trovare punti di comunione con lui, rispettare il suo diritto — perché ogni fratello ha un suo diritto, questo è ovvio, come noi abbiamo dei diritti, anche gli altri hanno dei diritti — rispettare la sua vita, ecco, questo, guardate, è fondamentale. Non dobbiamo mai dimenticarci che abbiamo il dovere, proprio un dovere sacro, di rispettare la vita degli altri. Non solo non fare del male — che ovviamente è la cosa più importante, non fare del male agli altri — ma fare tutto il bene possibile come se lo dovessimo fare a noi. 

Rispettare la vita dell’altro vuol dire fare tutto il possibile perché la sua vita fiorisca, perché la sua vita maturi, perché la sua vita possa proprio sbocciare nel modo più bello possibile, dare frutti, essere posta nelle condizioni più belle possibili, perché abbia tutte le più grandi possibilità che gli si possano offrire. Questo vuol dire rispettare la vita dell’altro: vuol dire non abusare mai della sua fiducia, vuol dire non abusare mai del potere che abbiamo, il potere che viene dalla paternità, dall’essere padre, dall’essere madre, il potere che abbiamo dall’essere professori, insegnati, educatori, il potere che abbiamo, appunto, dell’essere sacerdoti; ognuno di noi partecipa un po’, chi più chi meno, chi in un modo chi nell’altro, all’unico grande potere di Dio. Ora, questo potere ci viene donato non per abusare della vita degli altri, non per esercitarlo così da sentirci più grandi, migliori, più potenti, schiacciando la vita degli altri, schiacciando l’anima delle altre persone. 

Ci sono situazioni in cui le persone si sentono schiacciate nell’anima. È terribile essere schiacciati nel corpo, pensate a quando ci sentiamo schiacciati sullo sterno, che non respiriamo. Si può uccidere una persona schiacciandola: se io premo in modo forte sullo sterno di una persona, sull’addome di una persona, se io premo fortemente su una gamba, io posso ammazzare una persona, la posso uccidere, posso mandare in necrosi un arto, tale per cui va poi imputato. Lo schiacciamento è una delle possibili cause di morte: morto per schiacciamento, per compressione. E pensate che sensazione si prova! Una sensazione terribile, ti senti proprio “premuto”, non riesci più a respirare. Infatti sapete, quando sta venendo un infarto, la persona dice: “Sento un’oppressione sul petto. Mi sento il petto oppresso”. Pensate quando una persona ha un attacco d’asma; che cosa dice? Mette la mano sullo sterno e dice: “Non respiro più. Mi sento qualcosa che mi schiaccia sullo sterno”. O quando ci viene la broncopolmonite, è la stessa cosa. Terribile, quel senso di soffocamento. Ecco questa cosa — credo con un valore maggiorato — la possiamo far sperimentare agli altri, schiacciando la loro anima. È terribile! L’abuso di potere è una delle cose più tremende, uno degli atti più criminali che possiamo fare verso il fratello, verso la sorella. 

Il rispetto della sua vita ci impone non a dirlo a parole, ma a farlo con i fatti e a usare il potere come servizio. Perché siamo tutti bravi, abbiamo tutti la bocca piena dell’autorità: il potere come servizio. Sì, certo, poi vediamolo nel concreto, se veramente lo fai come servizio, come Gesù che va a lavare i piedi ai discepoli, oppure se lo usi per farti lavare i piedi dagli altri, per schiacciare gli altri, per costringere gli altri ad annichilirsi, a rinnegarsi nel modo peggiore possibile — non in quello evangelico — e a dover star davanti a te come si sta davanti a un dittatore. Questo non è rispettare la vita dell’altro. 

Invece quando l’autorità viene vissuta proprio in questa logica di rispetto della vita, che vuol dire del rispetto del progetto di Dio su di te e non dell’abuso della tua coscienza, non dell’abuso del mio potere, ecco che allora la vita dell’altro sboccia. San Vincenzo de Paoli, di cui oggi facciamo a memoria, ci ricorda proprio questo: il potere che lui ha avuto, sia per i compiti che ha svolto e sia poi il potere legato alla santità — perché la santità dà molto potere — lui come l’ha usato? L’ha usato sempre per la gloria di Dio e come rispetto della vita dell’altro. Pensate a quante persone hanno goduto di questo potere di San Vincenzo, nell’ottica, nella prospettiva di rispetto della vita. 

Noi dovremmo fare una domanda a chi abbiamo accanto, alle persone che abbiamo più vicine, dovremmo dire: “Ma tu ti senti rispettato da me?”. Che non vuol dire non sgridare, non vuol dire non rimproverare, no no. Anche il rimprovero deve essere fatto nel rispetto dell’altro. Bisogna rimproverare, è giusto rimproverare, è giusto dare anche un castigo, tutti noi siamo cresciuti imparando a distinguere il bene dal male anche attraverso il castigo; è giusto, è assolutamente educativo, ma sempre con rispetto, senza mai umiliare l’altro, né davanti i nostri occhi, né davanti agli occhi degli altri. Anche questo è un altro tema importante: mai umiliare le persone, mai farle sentire come se fossero inutili, come se fossero sbagliate.

Qui si aprirebbe un capitolo enorme… Perché nel momento in cui umilio l’altro e lo faccio sentire sbagliato, la reazione dell’altro può essere quella di annichilirsi definitivamente oppure di reagire con moti di ribellione e di orgoglio. Ribellione e orgoglio: è una reazione possibile. Dopo è inutile che facciamo i puritani e diciamo: “Ah guarda quella persona com’è orgogliosa, com’e diventata orgogliosa? Guarda quelle persone come sono diventate orgogliose”; eh, certo, ma da dove è nato? È sempre facile accusare gli altri stigmatizzandoli. Dove è nata, come è nata, quando è nata quella reazione? Dove affonda le sue radici? Cosa è stato fatto di male, di mancanza di rispetto, di umiliazione verso quella persona, verso quelle persone? E allora, scava, scava, scava, scava, si va a scoprire che se fossero stati trattati con rispetto, in uno spirito di servizio, non sarebbe probabilmente successo quello che poi è successo. Non ci sarebbe stato bisogno di moti di orgoglio, di moti di ribellione; non ci sarebbe stata necessità! Perché, quando uno si sente e si vede amato, rispettato, accolto — ripeto — pur all’interno di un percorso fatto anche — non solo — di rimproveri, di correzioni, uno le accetta. Quando noi vediamo che una persona ci ama, accettiamo anche una sculacciata. Piangiamo — insomma, mettiamo giù un po’ il broncio — ma poi, dopo cinque minuti, siamo tra le braccia della mamma e del papà perché noi sappiamo che ci vogliono bene. Si, ci ha un po’ ferito nell’orgoglio personale, ci ha dato una sculacciata, però l’abbiamo capito che avevamo sbagliato, che chi ci ha fatto anche bene. Ma quando invece viene fatta un’azione anche più piccola, ma con l’intenzione di umiliare, di farti sentire sbagliato, inutile, fuori posto, dannoso… eh, lì poi può accadere qualcosa di molto brutto.

Quindi, questo servizio del fratello, questo accordo con lui, questo rispetto, è la via del rinnegamento di sé stessi, capite? Questa è proprio la via del rinnegamento è la via che porta alla croce. Ecco perché non è così facile farlo e forse non è neanche così diffuso. Facendo così, noi applichiamo il Vangelo; avendo rispetto del diritto della vita degli altri, andando a cercare l’accordo con lui, e quindi servendo il fratello, noi impariamo che cosa vuol dire rinnegare sé stessi. Noi impariamo la via della croce, perché? Perché:

Nessuno ha un amore più grande di colui che rinuncia alla vita per i suoi amici.

È così! Fare questo o quello che abbiamo letto comporta un rinnegamento di noi stessi. Perché certamente a noi verrebbe da comportarci in un modo diverso, appunto nel modo peggiore. Ma per amore, per amore dell’altro, allora posso rinnegarmi e dire: “No, l’altro non va schiacciato, l’altro va servito, l’altro va rispettato, con l’altro devo trovare un accordo”.

Questo è l’amore del crocefisso.

Molto bella questa espressione: questo è l’amore del crocifisso. E questo amore è quello di cui c’è più bisogno e del quale si parla di meno. Perché oggi vengono insegnati tanti tipi di amore: l’amore del potere, l’amore del denaro, l’amore del piacere, l’amore dell’egoismo, l’amore dell’edonismo, l’amore del benessere, ma non l’amore del crocifisso. L’amore del crocifisso è “il contro” — sostanzialmente — a tutti gli altri amori che vi ho citato poc’anzi.

Bene, e oggi iniziamo un nuovo paragrafetto, credo tanto bello quanto i precedenti, e credo tanto attuale, e credo tanto utile. Adesso ve lo leggo. Come sapete sempre Bonhoeffer parte da un passo evangelico — anche questo famosissimo — e poi lo commenta.

Titolo di questo paragrafo: “La donna”.

Avete udito che agli antichi è stato detto: non commettete adulterio. Ma io vi dico che chiunque avrà guardato una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. Ora, se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te. È meglio per te che una delle tue membra perisca, piuttosto che tutto il tuo corpo sia gettato nell’inferno. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te; è meglio per te che una delle tue membra perisca, piuttosto che tutto il tuo corpo sia gettato nell’inferno. È stato pure detto: Chiunque si separa dalla propria moglie, le dia l’atto di ripudio. Ma io vi dico: Chi si separa dalla propria moglie (a meno che si tratti di adulterio) — adesso lui qui traduce con “adulterio” ma, in realtà la traduzione che lui sta facendo non è corretta, perché quella corretta è “concubinato”, quindi sarebbe “fidanzamento”) — la espone all’adulterio, e chi sposa la ripudiata commette pure adulterio».

Un passo assolutamente famoso: Matteo 5, 27-32. Leggiamo il commento che Bonhoeffer fa a questo testo e vediamo dove ci porta.

Il vincolo con Gesù Cristo non consente alcun piacere senza amore e lo proibisce ai seguaci di Gesù. Poiché sequela significa rinnegamento di sé e vincolo integrale a Gesù, perciò in nessun caso il discepolo può lasciare libero corso ad una propria volontà dominata dal piacere. Tale cupidigia, fosse pure per un solo sguardo, separa dalla sequela e porta il corpo con tutte le sue membra nell’inferno. Basta questo perché l’uomo venda la primogenitura nel regno dei cieli per un piatto di lenticchie del piacere. Egli non crede a colui che può ripagarlo con il centuplo della gioia per il piacere cui ha rinunciato. Non confida nell’invisibile, ma si attacca al frutto visibile del piacere. Egli fuoriesce così dalla via della sequela ed è separato da Gesù. L’impurità della cupidigia è incredulità. Solo per questo va respinta. Nessun sacrificio che possa recare al seguace la libertà da questo piacere che separa da Gesù è troppo grande. L’occhio è meno di Cristo, così pure la mano.

Fermiamoci qui. Aiuto, aiuto! Lo dico per me, perché adesso commentare tutto questo… quello che vi ho appena letto basterebbe per un anno.

Primo punto — e speriamo di andare oltre questo punto, oggi — prima frase:

Il vincolo con Gesù Cristo non consente alcun piacere senza amore e lo proibisce ai seguaci di Gesù.

Questo è esattamente il contrario radicale di quello che oggi viviamo e insegniamo. Oggi noi ovunque sentiamo e vediamo che la legge del vivere quotidiano è proprio questa: per provare piacere, per assecondare il piacere, non serve l’amore. L’amore non è più necessario quale sorgente, quale alveo, quale custodia del piacere. Il piacere ha preso il primo posto, ha scalzato il primo posto, l’ha occupato all’amore. Quindi viviamo secondo la legge del piacere in tutto e non più secondo la legge dell’amore. Guardate che è terribile, è terribile. Quando il rapporto con l’altro non è più guidato, custodito, protetto, alimentato, dall’amore, ma dal piacere personale, è finita: quel rapporto lì è già condannato; perché? Perché l’amore è capace del sacrificio, della rinuncia di sé, il piacere no. Il piacere non sarà mai capace di sacrificio e di rinuncia di sé. Il piacere dura finché dura e, quando non c’è più, finisce tutto. E il piacere non può durare per sempre. Il piacere ha sempre bisogno di novità, deve sempre trovare qualcosa di nuovo, perché sennò si annoia, si stufa. È come un fuoco che va continuamente alimentato, altrimenti si spegne. Solo che, capite, uno ad un certo punto può dire: “Si, ma io di paglia non ne ho più; eh, basta! Di legno non ne ho più; è finita”. E quindi cosa diciamo? “È finita, non ti amo più” — “No, in realtà non mi hai mai amato”. Perché l’amore non può finire. L’amore, se finisce, è perché non c’è mai stato. Quindi, ciò che è finito è il piacere. Tu non provi più piacere, non provi più gusto a stare con me. 

È terribile, eh? Questo richiede a noi una verifica molto serrata, di noi stessi, del nostro modus operandi. Noi le cose le facciamo, noi coltiviamo le relazioni per amore o per piacere? Che cosa sta al primo posto? Dobbiamo stare attenti, perché facilmente si confonde il piacere con l’amore. Perché in nome del piacere noi siamo capaci di dire le frasi più belle, le parole più belle, non siamo capaci di fare sacrifici — è da quello che si riconosce che non è l’amore ma il piacere — però le frasi bellissime, i sorrisi, gli ammiccamenti e quant’altro, noi siamo capaci di farli in nome del piacere: del piacere che noi ne potremo trarre. Il piacere non permette nessuna progettualità vera, perché non da stabilità. Il piacere non dà stabilità. Proprio ciò che sta al contrario della stabilità è il piacere. Il piacere è estemporaneità pura.

“Il vincolo con Gesù, l’essere discepolo con Gesù, proibisce il piacere senza l’amore”. È l’amore che genera il piacere di tutto ciò che tu hai intorno. È quando tu ami che quindi sei autorizzato a vivere — o, meglio — a ricevere anche l’effetto del piacere. Ma poiché ami, non perché soddisfi te stesso, non come atto di egoismo. E guardate che questo discorso si applica a tutti gli ambiti del nostro vivere. Per cui dice Bonhoeffer che in nessun modo — proprio il nome di questo rinnegamento di sé, di questo vincolo integrale con Gesù — il discepolo può lasciare libero corso alla propria volontà dominata dal piacere. In nessun modo! Mai! Ripeto, dalle più piccole alle più grandi cose, non è possibile. Non posso scegliere, decidere di fare quel passo, in nome o a motivo del piacere. E guardate che qua ci può essere veramente dentro di tutto. Pensiamo anche alla gola. Quante volte noi compiamo delle scelte sbagliate, che ci fanno male, solo in nome del piacere, non in nome dell’amore.

Mi fermo qui — ve l’ho detto che non sarei riuscito a spiegare tutto questo testo, ma ho voluto leggervelo tutto perché mi sembrava comunque che interromperlo non andasse bene — e domani andiamo avanti a spiegarlo. 

Mi fermo qui perché domani affronteremo questo tema dello “sguardo”, perché su questo credo che non siamo molto preparati e quello che ha scritto Bonhoeffer sono delle frasi veramente densissime, molto belle e molto vere. Quindi c’è bisogno di un po’ di tempo per spiegarlo bene, per capirlo bene, per non fraintendere, e quindi preferisco rimandarlo a domani perché ormai sono già trenta minuti che vi parlo.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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