Scroll Top

D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 50

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 50
Martedì 26 settembre 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Lc 8, 19-21)

In quel tempo, andarono da Gesù la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla.
Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti».
Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 26 settembre 2023.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa messa di oggi, tratto dal capitolo ottavo del Vangelo di San Luca, versetti 19-21.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Bonhoeffer, Sequela.

In questi giorni stiamo vedendo l’importanza del rispetto, dell’amore verso il fratello e dello stare molto attenti a non offendere, oltraggiare, diffamare, disonorare, calunniare…

Quest’oggi andiamo avanti e leggiamo quanto scrive Bonhoeffer. Ieri ci eravamo lasciati con questa frase: 

Infatti è il Padre di Gesù Cristo, fattosi fratello di tutti noi.

Prosegue:

Questa è la ragione ultima, per cui Dio non vuol più separarsi dal fratello. Il Figlio che ha assunto corpo umano è stato disonorato, oltraggiato, per amore dell’onore del Padre. Ma il Padre non si lascia separare dal Figlio, e quindi neppure da coloro cui il Figlio si è fatto uguale, per amore dei quali il Figlio ha subito oltraggio. Per amore dell’incarnazione del Figlio di Dio il servizio divino non può più separarsi dal servizio al fratello. Per questo chi dice di amare Dio e odia il fratello è un mentitore.

Chi vuol praticare il vero servizio divino nella sequela di Gesù ha pertanto davanti a sé una sola via, quella della riconciliazione con il fratello. Chi accede alla parola e alla Cena con il cuore non riconciliato riceve per ciò stesso il giudizio. È un omicida agli occhi di Dio. Perciò «va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello; poi torna e sacrifica la tua offerta». È un cammino difficile, quello che Gesù pretende dai suoi seguaci. Esso comporta una grande umiliazione e un grande oltraggio inferti a sé stessi. Ma è la via che porta a lui, al fratello crocefisso, quindi una via piena di grazia. In Gesù il servizio al minimo dei fratelli e il servizio divino sono diventati un tutt’uno. Egli andò e si riconciliò con il fratello, poi ha portato l’unico, vero sacrificio al Padre, sé stesso.

Bene, che cosa possiamo dire come concetti più importanti che emergono? Molto bella questa frase, dove Bonhoeffer scrive che Gesù si è incarnato — il Verbo si è incarnato — ed è stato

disonorato, oltraggiato, per amore dell’onore del Padre.

Ecco, non so quanto noi siamo disponibili, pronti, grati, di essere disonorati, oltraggiati per amore dell’onore del Padre. Quanto questo esempio ci modella. Noi facciamo di tutto, sempre, per evitare di essere disonorati, oltraggiati; proprio fuggiamo questa strada, noi fuggiamo questa croce in tutti i modi. L’onore del Padre è importante, ma noi vogliamo dimostrare questo amore senza dover per forza incorrere in una via crocifissa. Non vogliamo perdere del nostro; vogliamo farlo, vogliamo fare anche tante cose belle, però senza rimetterci. Essere disonorati, oltraggiati per amore dell’onore del Padre, no. Essere ritenuti da questo mondo dei bigotti, degli estremisti, dei rigidi, insomma, tutti gli oltraggi che possono cadere su chi è discepolo di Gesù, tutti i disonori non li vogliamo. Perché si perde anche l’onore per amore dell’onore del Padre. L’amore dell’onore del Padre costa in sacrificio il mio onore. Capite? È proprio un morire, io do la mia vita. Cosa ha una persona di più importante dell’onore? Una vita senza onore che valore ha? Una persona che non ha più onore si chiede: “Ma cosa sto al mondo a fare?”. Questo per dirvi quanto è importante l’onore. Per cui essere disposti a sacrificare la propria vita significa anche essere disposti a perdere l’onore. Sacrificare la propria vita, non vuol dire semplicemente morire per colpa di un colpo di pistola, di una coltellata, insomma di un agente esterno che mi colpisce e mi uccide; si muore anche quando ti portano via l’onore. Quindi: essere disposti.

“Chi perderà la sua vita per causa mia — ricordate Gesù? — la salverà”. Quindi chi perde la sua vita, chi perde il suo onore per amore dell’onore del Padre, fa esattamente quello che ha fatto Gesù: per amore dell’onore del Padre, viene disonorato, oltraggiato e ucciso. 

Quindi:

il servizio divino non puoi più separarsi dal servizio al fratello

Per questo se io dico di amare Dio e odio mio fratello — uno solo ne basta — sono un bugiardo. Lo dice Gesù nel Vangelo! Di conseguenza, se voglio essere discepolo di Gesù quale via ho davanti a me? Una sola, una e una soltanto, quella della riconciliazione con il fratello. Spieghiamoci bene: non vuol dire che io devo andare dalla parte di colui che mi offende e strappargli con violenza la riappacificazione, non è questo. Se io anche chiedo perdono, ma l’altro non mi vuol perdonare, cosa posso fare? Giusto, certo, non è questo. In alcuni casi non c’è proprio neanche lo spazio di andare a chiedere perdono, perché magari una persona non ti vuol più parlare, né vedere, né sentire, come fai? Benissimo. Oppure ci sono anche quelle situazioni nelle quali bisogna prendere una posizione forte, penso per esempio ad un papà o una mamma verso i loro figli e dire: “No, questo è un no e rimane no!”. E quindi quelli mettono giù il broncio, si offendono, fanno gli offesi e magari non ti salutano più, non ti parlano più, ti dicono delle parole brutte; quindi si spacca quella relazione. Uno dice: “Vabbè, allora io per la riconciliazione devo rinnegare la verità!”. No! No, neanche questo.

Essere disponibile a riconciliazione vuol dire:

Uno: se io ho mancato nei confronti di qualcuno, chiedere perdono. Questa è la prima cosa, da fare il prima possibile. Se è possibile, se c’è uno spazio per farlo — anche minimo — va fatto. Quindi, se non posso andare di persona, perché magari l’altra persona è troppo offesa, magari mandargli un messaggio, mandargli un biglietto, mandargli qualcosa, un’e-mail, qualcosa dove io riconosco il mio male e chiedo perdono.

Due: cosa vuol dire riconciliarsi nei casi in cui non è possibile chiedere perdono, perché non c’è lo spazio per raggiungere la persona, oppure perché è il caso del papà e della mamma, che devono assumere una posizione un po’ forte per educare il proprio figlio o la propria figlia che in quel momento sta proprio sbagliando e non possono chiedere perdono di aver detto o fatto il giusto? Vuol dire porsi nella condizione, nella disponibilità della riconciliazione. “Io non ho nessun sentimento cattivo verso di te. Non ti odio, non ho rancore, non ho spirito di vendetta, non ho risentimento, non ho niente; sono disponibile, se e quando tu darai spazio per un incontro, per un perdono, se quando tu capirai il tuo male (papà e la mamma con il figlio) capirai il tuo errore e quindi ti emenderai e ti pentirai e ti rimetterai in pista, ecco, noi siamo qui! Da parte mia, da parte nostra — papà e la mamma, ad esempio — non c’è nessun sentimento negativo; c’è il fatto che non possiamo andare contro ciò che è vero, ciò che è giusto. Tu stai sbagliando e te lo dobbiamo dire, l’abbiamo detto con le buone e non l’hai capito, adesso dobbiamo prendere una posizione un po’ più ferma”.

In tutti questi casi c’è una disponibilità alla riconciliazione, che alle volte non si può realizzare subito; non dobbiamo avere fretta in queste cose. Non dobbiamo avere fretta di vedere subito i frutti. Dobbiamo semplicemente essere moralmente certi che ci siamo resi disponibili — interiormente, quantomeno — alla riconciliazione. Questo basta. 

Perché invece ci sono persone che non solo non chiedono perdono quando si potrebbe e dovrebbe farlo, ma non lo vogliono, non vogliono aprirsi a una rivisitazione, quindi a una riconciliazione. Questo è un caso ben preciso e per questo caso Bonhoeffer dice: “Chi accede alla preghiera, chi accede alla meditazione, chi accede all’Eucarestia, alla Santa Messa, e non ha il cuore riconciliato, di per sé immediatamente riceve il giudizio che abbiamo letto all’inizio di questo paragrafetto sul fratello, per cui viene giudicato da Dio: 

È un omicida agli occhi di Dio.

Ecco perché la Scrittura dice:

«va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello; poi torna e sacrifica la tua offerta».

È un cammino difficile…

Certo, perché chiedere perdono è difficile, non è facile: ci vuole una grande umiltà, ci vuole un grande spirito di verità su di sé. Chiedere perdono, dire: “Guarda, ho sbagliato, mi dispiace” è difficile, molto difficile.

comporta una grande umiliazione e un grande oltraggio inferti a sé stessi.

Ma non c’è un’altra via. È che oltraggio il mio amor proprio, il mio orgoglio, la mia superbia, e quindi mi umilio. Ma è l’unica via, è l’unica via. Non dimentichiamoci che:

In Gesù il servizio al minimo dei fratelli e il servizio divino sono diventati un tutt’uno.

Non si possono scorporare. 

Prosegue:

È ancora tempo di grazia, perché ancora ci è dato un fratello, ancora siamo «in cammino con lui». Davanti a noi c’è il giudizio. Ancora possiamo accordarci col fratello, ancora possiamo sdebitarci con colui cui siamo debitori. Verrà l’ora in cui dovremo presentarci al giudice. — quando moriremo — Allora sarà troppo tardi — questo lo sappiamo tutti allora il giudizio e la punizione colpiranno fino all’ultimo debito. — come dice il Vangelo — Comprendiamo che qui per i discepoli di Gesù il fratello non è dato come legge, bensì come grazia? È grazia poter accordarsi con il fratello, riconoscergli il suo diritto; è grazia la possibilità di riconciliarsi con lui. Il fratello è la nostra grazia davanti al tribunale del giudizio.

Credo che abbiate compreso sicuramente meglio di me il cuore di queste parole: la presenza del fratello è una grazia perché mi offre la possibilità di accordarmi con lui, di riconoscergli il suo diritto — di essere amato, rispettato, onorato — e mi posso riconciliare con lui. 

Quindi, davanti al tribunale di Dio “un domani”, noi abbiamo “oggi” la grazia data dal fratello, di poter sistemare tutto quello che non va, tutti i nostri debiti, debiti di carità verso gli altri. Perché se aspettiamo e rimandiamo, rimandiamo, rimandiamo, quando moriremo, lì ci presenteremo con questi debiti. Ci sono situazioni di persone che non si parlano più da anni, anni, anni, anni, anni e anni. Prima magari amicizie bellissime, stupende, meravigliose, rapporti stupendi, si sono anche magari aiutate tantissimo vicendevolmente; poi, per un quid accaduto è cambiato tutto. 

Questi “incidenti”, a noi che li viviamo sembrano sempre la cosa più tragica del mondo… Guardate, secondo me il novanta per cento delle volte, quando accadono queste separazioni, queste lacerazioni tra le persone, sono sempre fondate sul fraintendimento. Basterebbe parlarsi, con molta semplicità, proprio con molta semplicità, mettersi a un tavolo, sedersi su una panchina in un bel parco, e parlarsi: prima l’uno e poi l’altro. Così, come tra due esseri umani, tra due figli di Dio, tra due fratelli, tra due cristiani. Con semplicità.

Guardate, veramente, la stragrande maggioranza delle volte c’è di mezzo sempre un problema affettivo, credetelo. Per una qualche ragione, l’altro si è sentito meno amato, meno guardato, meno considerato, e da lì è partito tutto; cioè, il problema della forchetta sul tavolo…. Sapete che io porto avanti questa tesi, che nella stragrande maggioranza dei divorzi, uno dice: “Ma qual è la causa di queste separazioni, queste lacerazioni familiari gravissime?”. Ecco, in apparenza è “il problema della forchetta”; io l’ho chiamato così, dopo venti e rotti anni di sacerdozio. Poi voi al posto della forchetta mettete quello che volete, ma c’è sempre il problema della forchetta, per dire la banalità. Nasce sempre per delle ragioni veramente banali, uno che le ascolta dall’esterno dice: “Ma voi non starete mica litigando per questa roba?” Non è possibile che due persone normodotate, intelligenti — laureate, magari anche — due persone giovani, belle, sane, con tanta energia, siano pronte a distruggere una famiglia per una forchetta: perché è messa in un modo piuttosto che nell’altro, è messa prima invece che dopo, è messa non è messa, è messa a sinistra invece che a destra, è raccolta prima piuttosto che dopo… Tutto così! Che uno dice: “Ma scusa, ma guarda, la forchetta mettila quando vuoi tu e come vuoi tu. Ma cosa mi interessa? Non sarà mica questo un problema? Ma fai quello che vuoi”. 

Potete sostituire al tema della forchetta quello che volete. Perché poi i fraintendimenti, le occasioni che poi diventano la sintesi e sembrano, in apparenza, la causa di questi dissidi, sono veramente infinite, tante quante sono le teste delle persone. 

Stranamente, quando invece le cose vanno bene, tu sul tavolo puoi mettere un caco marcio, e quello torna a casa la sera, ti guarda e ti sorride, dice: “Oh, ma che bel regalo!” — che uno dice: “Ma è un caco marcio!” — “No, ma in realtà non è vero, ma sì, ma no, però è simpatico, guarda che belle bestioline che si muovono lì dentro”. 

Quando invece le cose non vanno bene, tu gli metti sul tavolo un grappolo di uva buonissima, fantastica, quello arriva e ti dice: “Ecco, hai visto? Questa è una sfida, tu sai che io non posso mangiare l’uva, tu sai che l’uva mi fa male, tu l’hai messa apposta sul tavolo per provocarmi”.

Capite? Succede così, succede così quando abbiamo l’innamoramento con gli occhi a cuore, tutto diventa “cuorato”; tutto è occasione di amore e baci eterni. Quando invece siamo nell’altra fase, anche se uno versa il suo sangue: “Eh sì, ma in realtà lo fa perché…” e ci vediamo sotto chissà quale secondo fine. 

Che cosa sta alla base di tutto questo? Alla base di tutto questo fraintendersi, ci sta di solito questo problema di lettura e di comunicazione degli affetti: l’altro, per un fraintendimento appunto, ma un fraintendimento radicale, non percepisce più quell’amore, quell’amicizia, quella stima, quella fiducia, quell’accoglienza che magari percepiva prima, o che vorrebbe percepire, che si aspetta di percepire e che, per tante ragioni, in quel momento non arriva. Da lì inizia a crearsi la lacerazione. 

Quindi è nostro compito sederci e dircele, queste cose. Dobbiamo pensare: perché l’altro — chiunque esso sia — dovrebbe volere il nostro male? Ma provate a pensare: se è una persona che noi conosciamo, con la quale magari abbiamo fatto anche un figlio, per esempio, ma comunque anche un amico o un’amica con cui siamo amici magari da anni, con cui abbiamo condiviso delle bellissime cose, ma perché dovremmo pensare che quella persona vuole il nostro male improvvisamente?

Guardate, a conforto di queste parole che vi sto dicendo, ve lo dico perché a me è capitato tantissime volte; beh, mi sono stupito in negativo di me stesso, ma mi è successo, devo ammetterlo, tantissime volte.

Ovviamente non in questi tre anni in cui ho dovuto studiare, per cui ero dedicato solo a quello, ma fino a questi tre ultimi anni ero immerso nell’attività pastorale e a me è successo tantissime volte — non dico tante ma tantissime volte — siccome ero sempre di corsa (mi sembrava di essere un “Italo treno” che schizzava a destra e a sinistra dalla mattina alla sera) mi è successo tantissime volte che io sono passato accanto a delle persone che conoscevo benissimo e non le ho salutate! Ma a un millimetro di distanza! Che uno dice: “O padre Giorgio è impazzito o è diventato cieco. Cosa gli è successo? Ma non mi vede? Non sono mica una pulce!”. Qualcuna di queste persone, per grazia di Dio, ha fatto esattamente quello che vi ho detto adesso, quindi dopo una, due, tre volte, si è avvicinata e mi ha detto: “Scusi padre, vorrei farle una domanda: ma per caso ho sbagliato, ho fatto qualcosa di male per cui lei ha una sorta di risentimento, qualcosa contro di me?”. Io mi ricordo che, soprattutto le prime volte, li guardavo e dicevo: “Io?? Ma io no, ma cosa sta dicendo?”. Cadevo proprio giù dal pero, avete presente proprio come se voi aveste un’anguria su un albero, boom, cade giù e si sfonda. Veramente mi cadeva addosso una doccia ghiacciata, li guardavo e dicevo: “Ma cosa state dicendo? Ma no. Ma non mi avete fatto assolutamente niente! Come vi è venuta in mente una roba del genere? Come avete fatto a pensare una cosa così?”. Io davo la colpa a loro e dicevo: “Ma perché? Ma cosa avete pensato?”. E queste persone mi dicevano: “Guardi, padre, è già la seconda, terza volta che in questo mese lei ci passa accanto e neanche ci saluta” — “Io??” — ho detto: “Guardate, impossibile. Ma io assolutamente non vi ho visti, non mi ricordo assolutamente, ma quando?”. E mi descrivevano il giorno, il momento… Io dicevo: “No, ma guardate, vi siete sbagliati, mi avete confuso con qualcun altro. Ma non sono io” — “No padre, guardi che era lei, lei ci è passato accanto e non si è minimamente accorto”. Allora io ho detto: “Guardate, io vi credo e metto in dubbio me stesso, perché non voglio assolutamente dire che voi state sbagliando e ho ragione io, per l’amor del cielo, se siete convinti di questo, rinuncio alla mia evidenza e mi scuso. Però vi chiedo una cortesia, perché sennò qui andiamo avanti all’infinito: per favore, dovesse risuccedere, mi potete subito chiamare? Perché adesso io non posso andare indietro di un mese con la memoria, se già non mi ricordo di avervi incontrato, immaginatevi come faccio a ricordarmi di questo evento. Facciamo così, per correggermi, così che mi rendete edotto di questo mio difetto, voi la prossima volta che succede mi tirate lo scapolare, appena io passo — siccome tanto non vado a trecento all’ora — mi tirate lo scapolare, e mi dite: «Padre, ha visto che ci è passato accanto e non ci ha salutati?». Così almeno subito mi bloccate e io mi renderò conto”. 

Voi non ci crederete: è risuccesso! Anche con altre persone. E questi mi hanno tirato lo scapolare; io mi son girato, come per dire: “Ma chi è che mi sta tirando?”. Li ho visti, li ho guardati, mi hanno detto: “Ha visto padre?”. Ho detto: “Avete ragione: io non vi ho visti. Non vi ho visti!”. 

E allora, grazie a questa chiarezza, a questa chiarezza reciproca — per me è stato di un aiuto incredibile, perché mi hanno edotto di un difetto che non sapevo di avere — allora io ho detto: “Guardate, adesso so perché succede; perché se voi non me l’aveste detto, vi sareste risentiti da morire e forse mi avreste anche voluto male, pensando che io non vi saluto perché non vi apprezzo, non vi stimo — non lo so — per maleducazione, e non è così. E vi ringrazio perché avete avuto questa carità adesso di rifarlo, tirandomi lo scapolare, perché così mi avete fatto capire dov’è il problema”. Il problema dov’era? Era che io ero completamente sovrappensiero, cioè mi sono reso conto che — ma vi ripeto, non ne ero a coscienza, adesso lo so che è un mio difetto — quando sono sovrappensiero, cioè quando c’è un pensiero molto forte che mi occupa la testa, è come se gli occhi non registrassero. È un difetto. 

Ma se nessuno te lo fa presente, come fai tu a renderti cosciente e a poterlo combattere? Non puoi! Se queste persone fossero rimaste chiuse in sé stesse, vantandosi della loro ragione… — ma avevano ragione, perché era vero, era tutto reale, dicevano la verità — ma era vero anche quello che dicevo io, perché ero vittima di me stesso, loro credevano probabilmente che io lo facessi per maleducazione, perché non gli volevo bene, perché non so che cosa; io pensavo che loro si fossero sbagliati, in realtà loro avevano ragione, ma avevo ragione anch’io, perché era vero che non li vedevo. Non è che non li volessi salutare, io non li vedevo, non li ho visti, anche se ci sono passato a due millimetri di distanza, i miei occhi non hanno registrato quelle persone e quindi non mi potevo fermare a salutarli. E uno dice: “Ma perché questi si, gli altri no?” E chi lo sa? Non ve lo so dire, perché poi magari dopo un po’, altri li salutavo. Chissà nella testa questi pensieri come mi si muovevano, per cui in alcuni momenti registravo chi avevo accanto, in altri momenti probabilmente ero talmente inabissato che non registravo la persona. 

Guardate, mi è successo pochi giorni fa. Incredibile, mi è risuccesso pochi giorni fa. Adesso che sono edotto di questo, sto molto più attento e cerco di… Ma pochi giorni fa, siccome c’è stata una questione che mi ha proprio catturato interiormente in maniera molto, molto forte, ero molto preoccupato, una persona mi è passata accanto, io non l’ho vista, ma proprio non l’ho vista. Grazie al cielo, con la coda dell’occhio — non so come mai — mi sono accorto di un movimento, edotto del mio difetto, mi son girato, ho detto: “Non vorrei mai che magari è uno che conosco”, quindi mi son girato ed era uno che conoscevo veramente, allora sono andato dietro: “Mi scusi, eh?” — “No, ci mancherebbe…”. Dico: “Guardi, mi dispiace, non l’ho vista” — che sembrava una bugia, perché mi era passato a un centimetro di distanza — dico: “Guardi, mi dispiace, non l’ho vista, ma non perché era invisibile, ma perché io ero talmente sovrappensiero che non mi sono minimamente accorto. Mi scusi, ho sbagliato, purtroppo è un mio difetto”, ma adesso lo posso dire, capite? Adesso posso effettivamente chiedere scusa, confessare il mio limite e il mio difetto, che sto combattendo, e l’altra persona non rimane anche lei vittima di questa cosa. Immaginatevi se queste persone non mi fossero venute a dire queste cose. Io sarei ancora dentro che annego dentro a questa cosa, vittima di me stesso, senza sapere che sto facendo del male senza volerlo: l’ultimo dei miei pensieri è non salutare le persone.

Capite perché è importante sedersi a un tavolo e dirle, queste cose? Loro, poverini, mica potevano immaginare che io avessi questo limite. Non lo sapevo neanch’io, come facevano a saperlo loro? Adesso lo sappiamo in due. E adesso, quando rivedo queste persone, paradossalmente appena le vedo da lontano, alzo la mano e cominciò a salutarle da lontano, e dico: “Non si sa mai, mica che un’altra volta ancora ci cado dentro, quindi cominciamo a salutarle subito, che poverine hanno già patito abbastanza, evitiamo di farle nuovamente patire”. Però, guardate, credetelo, date credito alle persone che avete accanto. Se una persona vi ha dato prova di volervi bene e fa un passo falso, prima di giudicare, prima di sentirvi offesi, veramente credetelo…

Ve ne dico un’altra: poi mi date l’assoluzione, però, che vi sto facendo la confessione. Ve ne dico un’altra, mi è successo anni fa. Ero in ginocchio dopo la Santa Messa davanti all’altare della Vergine Maria e stavo facendo il ringraziamento. Una persona è venuta e mi ha dato una busta, una bustina verde. Ce l’ho ancora. Una busta verde con un biglietto verde. Pensate cosa è successo: io ho ricevuto il biglietto e la persona è andata. Davanti alla Vergine Maria, alla fine del mio ringraziamento, ho letto quel biglietto, erano poche righe. L’ho letto — quindi capite, in un momento molto pacifico, calmo, tranquillo di raccoglimento — l’ho rimesso via, e sono andato. In questo biglietto verde questa persona mi chiedeva una cosa, mi chiedeva la possibilità di fare una cosa, di fare una cosa insieme, di vivere una cosa insieme. Io quando l’ho letto — perché poi sono andato via — ho detto: “Mamma, che bella questa cosa che mi è stata scritta, molto, molto bella, molto toccante. Anche le parole usate, molto bella”. E nel mettere via il biglietto ho detto: “Sì, vabbè, però sicuramente non è che intende…”. Perché è una cosa veramente molto, molto, molto bella, ma molto impegnativa. Quindi io dentro di me ho detto: “Ma sì, vabbè, l’ha scritto come per dire: talmente è grande la stima e quant’altro, che mi spingo a scrivere che mi piacerebbe così e cosà…” — e ho detto: “Sì, ma è una cosa talmente enorme che è un modo di dire, è un iperbole, quindi attraverso questa iperbole mi vuole mandare un messaggio, io recepisco il messaggio, ma non l’iperbole”, cioè capite, è come se togliessi l’involucro e prendessi il contenuto. Quindi io ho pensato che quell’iperbole, quelle parole, erano l’involucro e io dovevo prendere il contenuto e il contenuto l’ho preso. Ho detto: “Beh, una cosa bellissima, certo”. Infatti ho sempre conservato questo biglietto, ce l’ho ancora. E invece no. E invece no. Passano i giorni, passa il tempo, e io mi accorgo che questa persona cambia, inizia a cambiare. Io dicevo: “Mah! Chissà perché. Non è successo niente. Non è accaduto nulla di strano, chissà come mai si è raffreddata questa persona: mi sembra più fredda, più assente, più lontana, più distante”. Passa un po’, passa un po’, passa un po’ e poi la situazione finisce male. E allora io dico: “Chiedo scusa, però vorrei capire perché? Perché è finita male questa cosa?”. E alla fine vengo a scoprire che tutta la ragione era legata al biglietto verde. “Oh cielo”, ho detto; “Ma io non avevo mica capito che — appunto — quelle parole volessero proprio dire quello che dicevano”. 

Gesù nel Vangelo dice: “Se il tuo occhio destro è questione di scandalo, cavalo, gettalo via da te, perché è meglio entrare nel Regno dei Cieli con un occhio solo che con due andare nella Genna”. Ma questo non vuol dire che adesso tutti andiamo in giro ciechi, perché il mio occhio è stato occasione di scandalo e me ne cavo uno; o la mia mano … che tra l’altro vedete Gesù poi dice: “Ne cavi uno”, non due, ma noi guardiamo con due occhi; quindi, vuol dire che ti risparmia un occhio per cui… “E se la mano ti è occasione di scandalo, tagliala”, perché non è che andiamo tutti in giro monchi, perché una mano ha fatto un peccato, capite? È un modo, un’iperbole, per dire: “Devi essere disponibile a separarti, a tagliare ciò che è occasione di male”. Ok? Io l’ho inteso così, quel biglietto verde l’ho inteso così.

E invece no. Invece quella persona, nella sua intenzione, l’aveva inteso proprio così, non era un’iperbole, quella forma equivaleva al contenuto, tutte e due erano la stessa cosa, ma io non avevo capito così. Niente, non c’è stato niente da fare. Non è andata bene come nel primo caso, io ho cercato di spiegare: “Guardi, mi spiace, ma non l’ho capita così, mi sembrava una cosa talmente grossa che ho pensato che lei intendesse il contenuto, quindi ho recepito questa bellissima cosa, questo bellissimo contenuto, ma non pensavo che lei si aspettava da me anche questo”. Niente, non c’è stato niente da fare. Purtroppo, non sempre il chiarirsi va a buon fine, perché? Perché entra in gioco il dubbio. Il dubbio che l’altro ormai non mi voglia più bene. E poi diventa una certezza. “Siccome non ha risposto adeguatamente al mio biglietto verde, questo vuol dire che non corrisponde, non accoglie, non corrisponde a quanto io porto nell’anima, nel cuore verso questa persona e quindi allora mi ritiro”. E capite che, se fosse vero, potrebbe anche starci. Ma capite che noi rischiamo di buttare all’aria delle situazioni bellissime per niente. Perché magari c’è semplicemente un fraintendimento. Che, capite, se questo accade in un matrimonio, veramente c’è da uscirne matti, veramente c’è da disperarsi.

Stiamo attenti. Andiamo a chiarire. Accordiamoci col fratello, come dice Bonhoeffer. Riconosciamo il suo diritto, il diritto di essere capito. Quindi, prima di arrivare a dei giudizi, facciamo come hanno fatto quelle persone di cui parlavo prima e diciamo: “Ah, padre, guardi, è successo così e così e così, perché l’ha fatto?” e l’altro ti dice: “Io l’ho fatto? No, io non l’ho fatto”. 

In questo secondo caso, del biglietto verde, la persona poteva dire: “Padre, le ho scritto un biglietto verde, gliel’ho consegnato davanti all’altare della Madonna, però non ho visto realizzarsi niente. Come mai?”. E io avrei risposto: “Guardi, io non avevo capito che lei aspettava che si realizzasse concretamente qualcosa, avevo capito solo che devo recepire un messaggio. Punto. Ecco perché non si è realizzato nulla concretamente”. Basta. La cosa finiva lì e io subito avrei detto: “Guardi, realizziamolo! Se lei si aspetta una realizzazione concreta, è una cosa bellissima che lei mi ha proposto, non c’è proprio niente di male in questa cosa, è proprio bella, volentieri! Solo che non mi sembrava che lei si aspettasse questo, tutto lì”. E tutto sarebbe finito nel modo migliore possibile. 

Se noi però scegliamo di non chiarire… che, guardate, è una via superba quando noi scegliamo di non chiarire, quando noi scegliamo di chiuderci; perché ci vuole umiltà, come hanno fatto i primi, ci vuole umiltà ad andare a dire: “Guardi, è successo così e così”; perché magari uno ha anche paura di una risposta sgarbata dell’altro, che si offenda, no? Quindi ci vuole molta umiltà e molto coraggio, ma è questo che richiede essere discepoli di Gesù. E devo riconoscere all’altro il diritto di potersi spiegare. E diamogliela questa possibilità, riconosciamogli questo diritto. E già questo è riconciliarsi. E così abbiamo guadagnato il fratello.

Io spero con questi due piccoli esempi che vi ho portato di potervi aiutare veramente a non buttare via le grazie, perché ogni fratello e ogni sorella sono una grazia nella nostra vita. Non buttate via queste grazie. Se c’è qualcosa con qualcuno, chiarite, chiedete spiegazioni, non costa niente. “Magari mi risponde male”, fa niente. Va bene, tu hai fatto il tuo passo. Sapete, magari può anche succedere che l’altra persona stia soffrendo tanto; quindi, magari è anche per quello che risponde male. Ma voi fate quel passo, magari oggi vi risponde male, domani magari ci ripensa e vi risponde bene, vi dice: “Guarda, mi dispiace, ho sbagliato”. A questa scuola siamo tutti alunni, non c’è il maestro, il maestro è uno solo, Gesù, siamo tutti alunni: oggi tocca a me fare la parte dell’alunno alla lavagna, e domani toccherà a te.

Io ho portato due esempi della mia vita, voi potete portarne altri cento della vostra, tutti noi ne abbiamo. Esempi di quando siamo riusciti a ricucire relazioni, grazie magari soprattutto al buon cuore dell’altro, esempi dove invece non siamo riusciti. Però l’importante è metterci tutta la buona volontà e la disponibilità. E dire “Signore guarda, queste esperienze mi fanno capire quanto sono limitato. Queste esperienze mi fanno capire quanto devo supplicarti ogni giorno per essere delicato nel rapporto con gli altri”. Purtroppo, non sempre si riesce. Purtroppo, non sempre si è all’altezza. Va bene, chiederemo perdono, chiederemo chiarimenti, ricominceremo. Mai arrendersi. Sempre aperti su questa strada della riconciliazione.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

Post Correlati