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I santi segni. Romano Guardini, parte 23

S. Messa

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: «I santi segni. Romano Guardini, parte 23»
Domenica 28 maggio 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 20, 19-23)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a domenica 28 maggio 2023. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo ventesimo del Vangelo di San Giovanni, versetti 19-23.

Oggi è la Domenica di Pentecoste. Quindi è proprio un giorno solenne nel quale siamo chiamati a riflettere, a meditare, a invocare lo Spirito Santo su di noi, sulla Chiesa e sul mondo.

Continuiamo la nostra lettura del libro di Romano Guardini: I Santi Segni.

Oggi vediamo il segno dei “Lini”.

Vengono spiegati sull’altare. — si aprono e vengono collocati — Vi sono sull’altare dov’è distesa la tovaglia. Vi sono sotto il calice e l’ostia dove si dispiega il «corporale», la veste del Signore. — Bellissima questa espressione, molto bella, dopo vi dico — N’è rivestito il sacerdote che, quando compie il sacro rito, indossa l’«alba», il camice. E n’è coperta pure la balaustra, la tavola del Signore, da cui vien porto il pane divino… Preziosi sono i veri lini; candidi, fini e robusti. Quando si dispiegano sì bianchi e freschi, io debbo pensare…

Guardate che espressioni bellissime: “quando si dispiegano”. Non so se ancora oggi, ma una volta sì, e io ho avuto la grazia di poter vivere questi momenti, di vedere queste cose e di sentire il profumo di queste cose. Purtroppo, non a tutti è stato dato di avere questa grazia. Questi lini sono “candidi, fini e robusti”. Le suore che ho incontrato nella mia vita sacerdotale — ma anche quando ero ragazzo, quando andavo a catechismo — erano veramente bravissime nello stirare questi sacri lini, e poi a farli! A fare il corporale, a fare il manutergio, a fare il purificatoio, a fare l’animetta. Insomma, bravissime! E poi erano ricamati, avevano dei ricami stupendi, con un tessuto bellissimo, poi tutto il pizzo intorno in chiacchierino, insomma veramente belli, delle opere d’arte.

Ed è vero quello che lui scrive: “quando si dispiegano così bianchi e freschi” perché erano bianchissimi più del bianco, e freschi più di ogni frescura possibile, solo a vederli ti veniva fresco. E lui, sentite cosa scrive: 

… io debbo pensare — ma succedeva così — a un viottolo di bosco invernale.

Guardate, adesso che lo leggo, devo dire: “Esattamente così!” Sì! Si aveva proprio questa sensazione fisica, bellissima.

Mi sono d’un tratto portato sopra un versante tutto rivestito di neve da poco caduta e biancheggiante tra il nereggiare degli alberi. Non ho osato corrervi sopra con le mie scarpe pesanti; mi ci sono mosso tutto pieno di reverenza… Allo stesso modo sono dispiegati i lini per il Santo.

Si, ecco, fanno venire un po’di nostalgia queste parole… Bisogna essere sinceri. Parole verissime ma non proprio così attuali oggi. Quindi, allora, c’è il corporale che lui chiama la “veste del Signore”, certo, perché nella messa in rito antico, quella alla quale lui sta facendo riferimento — quindi non quella che viviamo oggi, ma quella precedente al Concilio Vaticano II — in questa Santa Messa l’ostia veniva collocata direttamente sul corporale, perché la patena veniva messa sotto l’Ostia successivamente nella Santa Messa, quando l’Ostia era già stata consacrata. Quindi, veniva messa da consacrare, restava così appoggiata sul corporale, veniva consacrata e tornava ad essere appoggiata così sul corporale. Solo dopo, a un certo punto preciso della Santa Messa, sotto l’Ostia veniva messa la patena, perché poi lì veniva spezzata, insomma, c’era tutto quello che il rito antico prevedeva e, quindi, per evitare la dispersione dei frammenti allora veniva messa la patena sotto l’Ostia. Quindi è giusto dire che il corporale è la “veste del Signore” perché stava proprio a contatto! Corporale da “corpo”, perché il Corpo di Cristo stava proprio appoggiato su questo lino che era più spesso di tutti gli altri, aveva appunto questi ricami bellissimi, poi veniva inamidato.

E il sacerdote indossa l’alba. Lui dice che anche il sacerdote veniva rivestito per compiere questo sacrificio, “indossa l’alba” detta anche camice. 

Poi veniva coperta la balaustra, forse quasi tutti sapete che cos’è. In alcune chiese ancora ci sono, in altre non più, sono state tolte. Le balaustre stavano proprio di fronte all’altare ed erano di norma collocate sul presbiterio. Quindi si facevano due o tre gradini, poi ci si metteva in ginocchio alla balaustra. Di solito c’era anche un cancelletto — che vabbè ci sarebbero da dire tante cose anche sul cancelletto — che veniva chiuso una volta che il sacerdote saliva al presbiterio e si avvicinava all’altare. Quindi tutto il presbiterio era chiuso perché c’erano le balaustre e poi il cancelletto. Il sacerdote stava sul presbiterio e il popolo di Dio stava nei banchi. Quando arrivava il momento della Comunione tutte le persone andavano a mettersi, una accanto all’altra, in ginocchio alle balaustre — c’erano le balaustre di sinistra e le balaustre di destra — e il sacerdote passava lui a dare la comunione uno dopo l’altro, a tutte le persone che erano in ginocchio. Poi, chi era il ginocchio, ricevuta la comunione, si alzava, andava al posto e veniva un altro. Io ho fatto in tempo, nel Duomo a Milano, mi ricordo, a ricevere la Comunione così. C’erano ancora le balaustre e si andava a ricevere la comunione così. Tutta la gente si metteva proprio in ginocchio e il sacerdote ci dava la comunione alla balaustra. Se poi la veste, la tovaglia —diciamo così — era particolarmente ampia, allora potevi anche mettere le mani sotto, se invece era molto aderente alla balaustra non si riusciva.

E quindi lui descrive il profumo, la frescura che si avvertiva dispiegando questi lini. E allora lui “si pensa” portato su questo versante tutto rivestito di neve, da poco caduta, biancheggiante, e dice “non oso” — si ha timore a camminare in mezzo alla neve appena caduta — bellissima, sofficissima, bianchiccia — perché si ha la sensazione di rovinarla. Ti genera una riverenza, non ti viene di buttarti dentro la neve fresca, perché ti dà un senso particolare. E lui dice che allo stesso modo sono dispiegati i lini per il Santo. Bisognerebbe trattarli molto di più e molto meglio di come si tratta la neve fresca. Però è un paragone che rende bene.

Innanzitutto non possono mancare sull’altare, dove è innalzata l’offerta divina. Abbiamo già parlato dell’altare: come esso se ne stia elevato quale luogo santissimo del santuario; come l’altare esteriore sia similitudine di quello interiore ch’è nell’anima. Anzi, più che similitudine: l’altare visibile non simboleggia soltanto l’altare del cuore, dell’interiore disposizione all’offerta, bensì altare visibile e altare del cuore sono intimamente uniti. In maniera misteriosa formano una cosa sola. L’altare vero e proprio, quello cui si è offerto il sacrificio di Cristo, è l’unità vivente di ambedue. — Cioè questa unità stretta — Perciò i lini parlano così efficacemente al cuore. Noi avvertiamo che a essi qualcosa ha da rispondere nel nostro intimo. Li sentiamo come un’ingiunzione, un rimprovero, un’aspirazione. Solo da cuor puro s’innalza la vera offerta, e i lini personificano appunto la purezza quale ha da essere nel cuore, affinché l’offerta riesca ben accetta a Dio.

Beh, immaginatevi se dovessimo celebrare la Santa Messa, il Santo Sacrificio, su dei lini sporchi! Tutti sporchi, tutti macchiati, tutti brutti. Non è bello e non è giusto e non rispecchierebbe il significato profondo del momento del rito che stiamo celebrando.

E ci dicono qualcosa sulla purezza. I veri lini sono fini e nobili. Una natura grossolana e violenta non costituisce per sé purezza alcuna; ma neppure essa ha a che fare con facce accigliate. La sua forza è la forza della finezza: la sua disciplina è nobile. Ma in essa vibra del vigore. I lini schietti sono robusti. Non leggeri tessuti che si sfilacciano a ogni soffio di vento. La vera purezza non è cosa da malati, — Bella questa espressione: la vera purezza non è cosa da malati —  non fugge dinanzi alla vita, non si avanza consumandosi in sogni equivoci o perseguendo ideali esagerati. La vera purezza — ma sentite! Sentite che espressioni bellissime — ha le guance rosee della vita gioiosa e la mossa energica e sicura della lotta valorosa. 

Questo, se avete dei ragazzi, glielo dovete leggere, glielo dovete dire, andate a fare i catechisti con queste espressioni bellissime! Quindi i «veri lini sono fini e nobili. La natura grossolana e violenta non costituisce purezza». Ci sono persone che sono grossolane. E ci sono persone che sono anche violente nel modo di fare, di parlare, di atteggiarsi, hanno proprio dei tratti grossolani e violenti, proprio affettati, brutti, brutti e questo non dice purezza. Uno può dire: “No, ma io, però”. No! Guardate, ha ragione Romano Guardini, non si può dire niente perché è vero: dove c’è grossolanità, dove c’è violenza non ci sarà mai purezza.

Però neanche le facce accigliate, ‘sti musi lunghi…  

Ve l’ho già detto tante volte, se uno viene alle nostre messe a vedere la gente che esce dice: “Per me è no. Io lì mai!”. Perché non ho capito: escono dal bar, escono dalle cene, escono dalla parrucchiera, escono dalla manicure, escono da non lo so, dall’essere andate a fare una gita in montagna, escono dal mare in spiaggia, escono dalla giornata in piscina, escono da scuola, e sono tutti allegri, felici, gioiosi. Escono dal ristorante tu li vedi belli, “paffutoni”, tutti belli satolli con questi occhi belli, tondeggianti, che uno dice: “Mamma, anch’io!”.

Escono dalla chiesa… sembrano quelle acciughe appena prese nelle reti dei pescatori, sembra il plancton finito nelle fauci della balena. Che uno dice: “Mamma, ma dove sei stato…?” Queste facce tirate, questi occhi scavati, tristi, che si trascinano, immusoniti come se avessero assistito a un qualcosa di tremendo, di funebre, di funesto, di angosciante, di depauperante, di depersonalizzante… una roba mostruosa! Escono dal cinema che sono lì, che saltano, come non so che cosa; escono dalla Messa che li vedi lì che camminano, sembrano questi… bah!

Questo non dice purezza, questo dice morte. Questo dice contro-testimonianza, o meglio non è contro-testimonianza, è la testimonianza di ciò che c’è, cioè il nulla. Non c’è stata nessuna esperienza di vero incontro d’amore con Gesù. Non c’è stata nessuna vera esperienza spirituale e non c’è stata nessuna esperienza umana, non c’è stato niente, nulla. È terribile questa cosa. Anzi, probabilmente c’è stata una mal sopportazione, una noia mortale.

«La sua forza è la forza della finezza: la sua disciplina è nobile», capite, siamo in un altro mondo. La finezza: «ma in essa vibra del vigore». Non è la finezza del debosciato! Non è la finezza di quello che non riesce a stare in piedi! No! È la finezza del vigoroso!

«La vera purezza non è cosa da malati». Guardate questa è un’espressione… Vuol dire che il puro non è un represso. Il puro non è quello che ha paura di tutto e di tutti, il puro non è quello che si guarda dalla vita in su, e dice: “No perché il resto è assolutamente peccato, assolutamente male, assolutamente innominabile, assolutamente sbagliato”. 

Sant’Agostino scriveva di non chiamare “pudenda” ciò che Dio ha fatto “glorianda”, quindi stiamo attenti. Stiamo attenti perché la purezza non è cosa da malati. 

Il puro non è uno — come vi ho detto prima —  che vive di ansie di angosce, di ossessioni, che vede il male da tutte le parti. Non è uno per il quale ogni cosa che parla di corporeità, che parla di sessualità, che parla di genitalità, che parla di affettività, che parla di dolcezza, che parla di sensibilità, che parla di gentilezza, che parla di finezza… è fatto da parole misteriose, impronunciabili, che solo a pensarle chissà cosa succede; no! 

Fanno parte di tutta la nostra sfera umana e spirituale, fanno parte della nostra persona, della totalità della nostra persona, noi siamo tutto questo, noi non siamo semplicemente uno spirito che vive in un corpo, quindi noi siamo tutta questa realtà. Quindi o la nostra fede si fonda, catalizza tutto questo mondo che siamo noi e lo educa e gli fa scoprire la bellezza di tutto quello che vi ho detto, unito a tutto il resto, oppure è da malati. 

Ma «la purezza non è cosa da malati» e poi «non fugge davanti alla vita», il puro non è un fuggitivo. Non c’è da fuggire da niente. Perché, da che cosa dobbiamo fuggire? Non c’è da fuggire. «non si avanza consumandosi in sogni equivoci o perseguendo ideali esagerati».

Perché poi dopo stai lì (con il pensiero) a tutte le cose che non diciamo che però pensiamo: “Eh però mi vengono i sogni, però c’ho i pensieri che però dopo quando vengono li caccio, però quanto mi son venuti”. Oppure: “Voglio diventare puro come un Serafino”. Eh, ma non lo so, io ve lo auguro, però magari non ci riusciamo. Cerchiamo di essere puri, così come vi sto dicendo. Uno dice: “Ma cosa vuol dire essere puri?”. Ecco: «La purezza ha le guance rosee della vita gioiosa». Perché se sei puro sei gioioso, sei bello rubicondo, nel senso proprio spirituale del termine. Si vedono queste persone che proprio sprizzano gioia, che hanno le “guanciotte” rosee come i bambini, che uno dice: “Ma quella persona lì è proprio in pace!”, sta proprio bene, «e la mossa energica e sicura della lotta valorosa». È in pace, sta proprio bene, è gioiosa, è un combattente. Essere combattente non vuol dire essere tristi, assolutamente.

E ancor una cosa suggeriscono i lini a chi ha sensi aperti e spirito riflessivo: essi non furono subito così fini e candidi come si presentano ora. Da principio erano rozzi, senza decoro: e si dovette lavarli spesso e lavorare perché ottenessero codesta freschezza odorosa. Neppur la purezza esiste fin da principio. Certo essa è grazia; certo vi sono degli uomini che la portano qual dono nelle loro anime, così che l’intera loro natura possiede la vigorosa freschezza d’un’intima castità naturale. Ciò invero che negli altri casi si chiama purezza è spesso una cosa molto dubbia e significa che nessun turbine l’ha ancora investita. La vera purezza non sta all’inizio, bensì alla fine. Solo con lunga e indomita fatica essa viene conquistata. I lini stanno dispiegati sull’altare, candidi, fini, robusti; sono purezza, nobiltà di cuore, freschezza di forza. 

Nell’Apocalisse di San Giovanni si parla in un certo punto di 

«una grande schiera che nessuno avrebbe saputo numerare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Essa stava in piedi dinanzi al trono ed ognuno indossava una veste bianca», e uno domanda:

«Quelli là che sono vestiti di bianco, chi sono e donde sono venuti?». 

E fu data risposta: 

«Sono coloro che vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato e purificato le loro vesti nel sangue dell’Agnello. Perciò stanno ora dinanzi al trono di Dio e Lo servono giorno e notte». 

«Avvolgimi in una bianca veste, o Signore», 

prega il sacerdote, quando indossa il camice per il santo Sacrificio …

Così dice il sacerdote: “Dealba me, Domine, et munda cor meum”, rivestimi, avvolgimi di questa alba bianca e purifica il mio cuore, “ut, in sanguine Agni”, affinché io venga rivestito del Sangue dell’Agnello.

E dove si va a trovare il sangue dell’Agnello? Guardini dice che la vera purezza sta alla fine. Eh, ci vuole una conquista per raggiungere questa vera purezza. Come i lini che vengono lavati spesso, così la nostra anima per avere la vera purezza, deve essere immersa nel Sangue dell’Agnello. Bene, dove lo troviamo questo Sangue dell’Agnello? Uno dice: “Sì, va bene, ma io allora dove vado a prendere questo Sangue dell’Agnello?”. Lo troviamo esattamente nel Vangelo di oggi, Giovanni 20,19-23: 

Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati»

Nel confessionale!

Lì noi troviamo il Sangue dell’Agnello che ci purifica dei nostri peccati.

Come i sacri lini vengono lavati settimanalmente — perché di solito si lavano settimanalmente, le suore bravissime ogni settimana raccoglievano tutto e lavavano con un metodo particolarissimo che magari un giorno vi spiegherò — così noi dobbiamo frequentemente lavarci nel Sangue dell’Agnello. Certo che se io mi confesso una volta ogni sei mesi, beh, insomma, non è che sono molto paragonabile ai sacri lini! Perché quelli sono bianchi, profumati, tutto il discorso del bosco odoroso che abbiamo sentito. Quindi tutti vediamo i sacri lini, ma soprattutto i sacerdoti che si vestono con l’alba e poi toccano questi sacri lini.

I sacri lini hanno tutti un significato: il purificatoio ha un significato, il corporale ha un significato, il manutergio ha un significato, l’animetta ha un significato; tutto ha un significato. Non è che uno prende le cose e le butta lì e dice: “Ma sì, vabbè, non mi interessa, questo non mi serve quello non mi serve quello non mi serve”. Hanno tutti un significato. 

Ecco perché noi non celebriamo la messa consacrando il vino nel Sangue di Cristo dentro il vaso della Nutella — usato, pulito con l’acqua, certamente, ma sempre il vaso della nutella è con su Batman e Robin — No! Questa cosa non si fa. Non si può e non si deve fare. 

Ecco perché non mi posso mettere a consacrare il Corpo di Cristo sulla tovaglia sulla quale ho mangiato l’hot dog pieno di ketchup e di maionese sbrodolata da tutte le parti. No! C’è un significato di ognuno di questi segni che è importantissimo. 

E questo rimando alla purezza è fondamentale, ma non perché siamo gente malata e quindi ossessionata, sessuofobica e che vede il male da tutte le parti. Ma neanche per sogno! Neanche per sogno! Anzi, tutt’altro, tutt’altro. Proprio perché si percepisce il grandissimo valore del mondo degli affetti, del mondo della sessualità, del mondo della genitalità, del mondo della procreazione, del mondo dell’amore e via di seguito, dell’amicizia e tutto questo, proprio perché si percepisce il grande valore, la densità profonda di significato che sta dietro tutte queste realtà.

Proprio per questo non la si può né banalizzare, né volgarizzare, né ridicolizzare. Non si fanno battute su queste cose. “Ma io ho raccontato una barzelletta!” No, ma tu non racconti le barzellette su cose che sono così importanti. Non c’è da raccontare barzellette su queste cose, queste cose riguardano l’uomo in un modo molto particolare. Ci riguardano in aspetti ben precisi della nostra vita. Non si può scherzare, non si possono fare battutine o doppi sensi o allusioni maliziose su realtà che addirittura hanno un rimando così significativo all’interno della Santa Messa, non si può.

Quindi stiamo anche attenti a come ci presentiamo agli altri, a come parliamo con gli altri. Su certe cose non si scherza. Che non vuol dire — ripeto per la terza volta — essere persone malate e quindi spaventate, fuggitivi. No! Vuol dire che su queste cose, data la loro importanza, non si può scherzare e non si può far battute. Quantomeno non alla mia presenza. Perché su queste cose io non scherzo. 

Se se ne vuole parlare possiamo star qua a parlarne fino alla fine del mondo e le possiamo sviscerare sotto tutti i punti di vista che volete, le possiamo affrontare nei modi e con i sistemi che preferite. Benissimo! Nessuna paura, nessuna vergogna e nessun falso pudore. Ma deve essere un discorso serio, deve essere un discorso dignitoso, deve essere un discorso fine. Allora va bene, allora parliamone finché volete. Ma che sia ridotto alla volgarità, la grossolanità di un’ambiguità, di una barzelletta, di una allusione… no, questo no! Questa è una cosa dalla quale ci dobbiamo sottrarre e se uno ci rimane male si risponde: “Guarda, mi spiace, ma su queste cose io non scherzo. No, non scherzo”. Perché son cose troppo belle e son cose troppo importanti e allo stesso tempo son cose troppo delicate. Perché richiedono delicatezza di coscienza. Ci va di mezzo la vita di altre persone. Perché capite, se voi pensate a tutta questa dinamica del mondo degli affetti, non è che io mi amo da solo. Cioè, non è che sto allo specchio e mi dico: “Oh come sei bello, come sei bravo, come sei simpatico, come desidero amarti”, perché sennò sono da ricovero. Quindi è chiaro che richiede un volto, un’altra persona alla quale rivolgere tutto questo e con la quale condividere tutto questo, alla quale esprimere tutto questo e dalla quale vedere tutto questo ricevuto e custodito, apprezzato e gestito nel modo migliore possibile, capite, allora va bene. Allora tutto questo, siccome coinvolge anche l’altro non può diventare motivo di scherzo, assolutamente!

Domani vedremo il Santo segno del calice.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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