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Ciclo di catechesi – Il viaggio di Tobia con l’angelo Raffaele (Tb 5) Lezione 25

Catechesi La Fede 2017-18

Catechesi di lunedì 12 marzo 2018

Ciclo di catechesi “La Fede: dubbio o Abbandono? La Scelta di una vita

Relatore: p. Giorgio Maria Faré

Ascolta la registrazione della catechesi:

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Brano commentato durante la catechesi:

Libro di Tobia, Capitolo 5

1 Allora Tobia rispose al padre: “Quanto mi hai comandato io farò, o padre. 2 Ma come potrò riprendere la somma, dal momento che lui non conosce me, né io conosco lui? Che segno posso dargli, perché mi riconosca, mi creda e mi consegni il denaro? Inoltre non sono pratico delle strade della Media per andarvi”. 3 Rispose Tobi al figlio: “Mi ha dato un documento autografo e anch’io gli ho consegnato un documento scritto; lo divisi in due parti e ne prendemmo ciascuno una parte; l’altra parte la lasciai presso di lui con il denaro. Sono ora vent’anni da quando ho depositato quella somma. Cercati dunque, o figlio, un uomo di fiducia che ti faccia da guida. Lo pagheremo per tutto il tempo fino al tuo ritorno. Và dunque da Gabael a ritirare il denaro”.

4 Uscì Tobia in cerca di uno pratico della strada che lo accompagnasse nella Media. Uscì e si trovò davanti l’angelo Raffaele, non sospettando minimamente che fosse un angelo di Dio. 5 Gli disse: “Di dove sei, o giovane?”. Rispose: “Sono uno dei tuoi fratelli Israeliti, venuto a cercare lavoro”. Riprese Tobia: “Conosci la strada per andare nella Media?”. 6 Gli disse: “Certo, parecchie volte sono stato là e conosco bene tutte le strade. Spesso mi recai nella Media e alloggiai presso Gabael, un nostro fratello che abita a Rage di Media. Ci sono due giorni di cammino da Ecbàtana a Rage. Rage è sulle montagne ed Ecbàtana è nella pianura”. 7 E Tobia a lui: “Aspetta, o giovane, che vada ad avvertire mio padre. Ho bisogno che tu venga con me e ti pagherò il tuo salario”. 8 Gli rispose: “Ecco, ti attendo; soltanto non tardare”. 9 Tobia andò ad informare suo padre Tobi dicendogli: “Ecco, ho trovato un uomo tra i nostri fratelli Israeliti”. Gli rispose: “Chiamalo, perché io sappia di che famiglia e di che tribù è e se è persona fidata per venire con te, o figlio”.

Testo della catechesi

Scarica il testo della catechesi in formato PDF

Buonasera a tutti, ben ritrovati. Proseguiamo con la nostra catechesi; questa sera, come vi avevo promesso, faremo un passo indietro, per affrontare un tema che credo sia di vostro grande interesse. Siamo al capitolo 5 del libro di Tobia, è un capitolo abbastanza lungo; quindi, lo leggerò e poi, dopo, lo affronteremo, anche se non so se riusciremo entro stasera.

1Allora Tobia rispose al padre: «Quanto mi hai comandato io farò, o padre. 2Ma come potrò riprendere la somma, dal momento che lui non conosce me, né io conosco lui? — Tobia deve andare a prendere del denaro da un suo parente dopo vent’anni — Che segno posso dargli, perché mi riconosca, mi creda e mi consegni il denaro? Inoltre non sono pratico delle strade della Media per andarvi». 3Rispose Tobi al figlio: «Mi ha dato un documento autografo e anch’io gli ho consegnato un documento scritto; lo divisi in due parti e ne prendemmo ciascuno una parte; l’altra parte la lasciai presso di lui con il denaro. Sono ora vent’anni da quando ho depositato quella somma. Cercati dunque, o figlio, un uomo di fiducia che ti faccia da guida. Lo pagheremo per tutto il tempo fino al tuo ritorno. Và dunque da Gabael a ritirare il denaro». 

Subito all’inizio di questo capitolo quinto, vediamo che sì affaccia, in modo molto chiaro e delineato molto bene, la figura del figlio, di Tobia. E, da questa figura del figlio, noi adesso abbiamo da imparare molto circa il tema della fede e quindi della fiducia, perché chi ha fede innanzitutto si riconosce figlio: l’uomo che ha fede, l’uomo che crede, è un uomo che porta dentro di sé, che sperimenta dentro di sé, l’essere figlio.

L’essere figlio, come vi ho detto, è la caratteristica fondamentale per fare un’autentica esperienza di fede, e una persona, anche a novant’anni, nel momento in cui cessa di sentirsi figlio perché si sente qualcuno o qualcosa, cessa l’esperienza della fede, perché tutti noi siamo figli dell’unico padre, Dio, e lo saremo sempre, per sempre; anche nell’ultimo giorno della nostra vita, anche se uno diventa papà, rimane sempre figlio, infatti diciamo “Padre Nostro”. Purtroppo, c’è una certa riluttanza alla categoria della figliolanza, perché questa comporta diverse cose, che adesso vedremo, e che danno fastidio, perché danno un senso non di umiltà, ma di umiliazione, è come se uno, nel momento in cui è figlio, si percepisse inferiore, limitato, incapace, legato, dipendente. 

Allora, analizziamo questo figlio:

1Allora Tobia rispose al padre: «Quanto mi hai comandato io farò, o padre.

Allora, innanzitutto chi è figlio, vive di obbedienza. Non è che la sopporta, la brama! Perché la brama? Perché gli è connaturale, come le fibre del suo corpo; quando uno veramente è figlio, desidera profondamente obbedire a un padre; ma andiamo oltre: desidera profondamente obbedire a chi è degno di fede, che, per lui, in questo caso, è il padre. Non sarà sempre il padre, perché tra poco il padre non sarà più la figura di riferimento per Tobia, ma in questo momento è il padre, e lui la prima cosa che dice al padre è: «Quanto mi hai comandato io farò, o padre». Questo figlio non ha un rapporto di sudditanza verso suo padre, ha semplicemente un rapporto padre – figlio. E lui non vuole fare il padre, vuole fare il figlio. Guardate, obbedire è molto importante, perché è la forma più alta di umiltà. Quando uno obbedisce, sperimenta profondamente il senso dell’umiltà; quando uno obbedisce, esprime radicalmente il rinnegamento di sé; quando uno obbedisce, prende la sua croce e segue Dio, segue Gesù che è la croce della sua concupiscenza, del non riuscire a capire, del, del, del, del… Quando uno obbedisce, vive il Vangelo.

Purtroppo, la nostra esperienza ci insegna invece che noi vogliamo fare quello che vogliamo; noi vogliamo pensare a quello che pensiamo; vogliamo amare come ci piace a noi e vogliamo gestire la nostra vita come ci piace a noi. Per noi obbedire vuol dire rinunciare a tutto questo. In realtà è esattamente il contrario. Vedremo nel capitolo che sarà esattamente l’obbedienza la strada che condurrà Tobia alla sua pienezza, alla sua felicità, allo svelamento di Dio, al trovare l’amore della sua vita e a guarire suo padre. Lui ha obbedito e si è trovato completamente realizzato, spiritualmente e umanamente. Però, come vi ho detto prima, non è un’obbedienza bovina, non è “devo farlo”; si capisce, quando uno ubbidisce da servo e quando obbedisce da figlio, perché non prova l’insofferenza, non scuote le spalle, come per dire: “Questo giogo è troppo pesante”, ma anzi trova sicurezza; trova nell’obbedienza il suo nido, il nido nel quale sa che viene nutrito. L’obbedienza è un luogo di grande nutrimento della persona.

2Ma come potrò riprendere la somma, dal momento che lui non conosce me, né io conosco lui? Che segno posso dargli, perché mi riconosca, mi creda e mi consegni il denaro? Inoltre non sono pratico delle strade della Media per andarvi».

Tobia manifesta tutta la sua incapacità, non sa come si fa ad andare, non conosce il debitore, probabilmente è anche un po’ titubante, ha un po’ paura, perché non sa proprio niente, sa solo che deve andare a prendere questi soldi. È un po’ come noi che, nel momento in cui ci viene detto di fare qualcosa, non diciamo: “Quello che tu hai detto non lo faccio” (ovviamente a Dio non lo diciamo), ma diciamo immediatamente: “Ecco, però non so come si fa; non so se ce la farò, non so la strada. Poi, quando arrivo là, cosa gli dico? Poi, cosa succederà? E poi, come mi comporto? E poi, se mi risponde in quel modo? E poi, e poi, e poi …”. Ma questo cosa dice? Da una parte dice mancanza di esperienza e, dall’altra, dice mancanza di una vera decisione interiore. Seppure lui abbia capito e stia vivendo questa obbedienza al padre, di fatto c’è qualcosa dentro che ancora lo trattiene nel consegnarsi totalmente. E questo qualcosa che lo trattiene sono le sue paure, delle quali abbiamo parlato l’altra volta. Queste paure fanno sentire tutta la loro presenza, perché poi vedremo che, quattro righe dopo, tutte queste domande trovano una risposta immediata. Lui ha perso tempo a domandare: “Come si fa? Dove si va? Cosa gli dico? Cosa mi fa?”; lui doveva partire subito, perché — di fatto — il Signore poi provvede, e il Signore provvede sempre, nella nostra vita, se noi lo lasciamo agire.

La risposta che dà Tobi al figlio è una risposta molto naturale, molto umana, nella quale gli dice:

3Rispose Tobi al figlio: «Mi ha dato un documento autografo e anch’io gli ho consegnato un documento scritto; lo divisi in due parti e ne prendemmo ciascuno una parte; l’altra parte la lasciai presso di lui con il denaro. Sono ora vent’anni da quando ho depositato quella somma.

Poi prosegue dicendo:

Cercati dunque, o figlio, un uomo di fiducia che ti faccia da guida. 

Il padre naturale arriva fino a un certo punto, arrivato al quale, dice: “Io mi devo fermare qui — e questo, sia perché è cieco, sia perché è un po’ anziano — adesso devi fare tu, tocca a te, adesso, cercarti qualcuno”. E il padre gli dice come deve essere, questo qualcuno, gli dice che deve essere un uomo di fiducia, che lo sappia guidare.

Ecco, noi dobbiamo imparare bene, quando incontriamo le persone, a saperle valutare, a saperle pesare. Dobbiamo vedere se una persona è degna di fiducia; questa è la cosa più difficile in assoluto. Quando un ragazzo e una ragazza si innamorano, la prima domanda che si pongono non è: “Quella persona è degna di fiducia?”, ma: “Mi piace, mi sembra una brava persona, mi sono innamorato di…”; il centro sono io. Questo non è un criterio molto evangelico di valutazione. Il problema non è se ti piace; Tobia, infatti, sposerà Sara, che non ha mai visto; lui si innamorerà di Sara per obbedienza che è una cosa incredibile! Azaria, l’angelo, gli dirà che quella sarà sua moglie e lui, per obbedienza, si innamora; si innamora ancora prima di vederla. Tobia sarà il liberatore di sua moglie, la libererà da Asmodeo, e vivranno insieme un rapporto matrimoniale bellissimo, tanto che il libro di Tobia diventa il libro, nella Sacra Scrittura, per gli sposati.

Quindi, quando incontro qualcuno, non devo chiedermi: “Mi è simpatico? Mi è antipatico? È dolce? È aspro? È buono? È cattivo?”, io devo chiedermi: “Questa persona è degna di fiducia?”, che, tradotto meglio, vuol dire: “Questa persona è in grado di portarmi? È in grado di portare la realtà che io sono? Tutta la realtà che io sono? È in grado di portare, di custodire, di aver cura del mio cuore, della mia mente, della mia anima, del mio corpo?”. Perché io posso anche essere super innamorato, ma se ho davanti una triglia lessa, che non è capace di tirare insieme quattro conti neanche della sua vita, come farà a portare la mia? Come sarà in grado di portare la responsabilità del mio cuore, del mio corpo, della mia anima, della mia mente; come farà ad averne cura? Come potrà custodirla? Per questa ragione, molti matrimoni poi falliscono e, se non falliscono, di fatto, si ha in casa una s.p.a., dove si respira un’aria di estraneità incredibile, gelante. E questo perché all’inizio non ci si è chiesti: “Ci può essere fiducia, sì o no? C’è uno spazio, qui dentro, per la fiducia?”. Questo ragionamento va fatto sempre; quando incontriamo qualcuno, soprattutto se deve essere una persona di questa entità, come Azaria, io devo chiedermi se c’è questa possibilità di fiducia. E non si decide, non si valuta in un giorno, ma neanche in una settimana, ci vuole tempo. Ecco perché, nel rapporto uomo — donna, esiste il fidanzamento.

Forse voi neanche sapete che la Chiesa (non la Chiesa al tempo di S. Francesco, ma quella di oggi) ha un rito bellissimo proprio per il fidanzamento, dove il ragazzo e la ragazza, dopo un tempo di prova, di verifica, se decidono di fidanzarsi, lo fanno davanti alla Comunità, con questo rito, dove ci si scambia un anello, che non è un anello matrimoniale, è l’anello di fidanzamento; questo è l’avviamento più serrato al momento del matrimonio. Quanti cristiani cattolici sanno dell’esistenza di questo rito? Quante volte, nella vostra vita, avete visto celebrare il rito del fidanzamento? Mai! Ma questo perché tanto noi non crediamo a queste cose, non crediamo nel potere del soprannaturale, della spiritualità, del chiamare in causa Dio per benedire e prendersi un impegno. Perché il fidanzamento è un impegno, è un impegno prematrimoniale e, quindi, non ha senso la convivenza, ma ha senso il fidanzamento sancito davanti a Dio, dove io, davanti a Dio, davanti a tutti, dico: “Dopo un congruo tempo di verifica e di confronto, mi sembra che questa persona possa essere la persona della mia vita per sempre. Non lo so ancora con definitività, per questo chiamo in causa Dio e la comunità, cominciando ad assumermi un impegno serio davanti a tutti voi; dico che io e lei siamo fidanzati. Chiediamo la vostra preghiera e anche i vostri occhi, perché ci guardino, perché ci osservino, perché magari qualcuno ha qualcosa da dire — voglia Dio — per aiutarci a discernere meglio la volontà di Dio”.

Il fidanzamento può finire, il matrimonio no. Quindi, in quel tempo di prova, uno può dire: “Adesso che siamo stati fidanzati, abbiamo capito che non siamo fatti l’uno per l’altro. Che Dio non ci chiama a stare insieme”. E quel tempo è il tempo nel quale io misuro ancora più da vicino — ognuno a casa sua — se tu sei capace di portarmi e io di portare te, se c’è una maturità di fondo. Perché voi capite che, dal momento in cui due si sposano, i bambini possono arrivare entro nove mesi, quindi uno diventa padre all’improvviso, che ancora non è in grado di pensare a sé, di gestire sé, di provvedere alla sua casa, a sua moglie e allora come farà a provvedere a un bambino? Si fa in fretta a fare un bambino, ma non si fa in fretta a essere padre e madre. Quindi, il mio futuro marito deve essere un uomo degno di fiducia; io devo sentire di avere fiducia in quella persona. In teoria, dovrebbe essere che mia moglie / mio marito siano la persona a me più amica, quindi “non dire a mia moglie che vado al bar a bere il cappuccino con la brioche, perché ho il diabete e non posso”, non va bene! Perché tu stai tradendo la fiducia. Oppure: “non dire a mia moglie che mi hanno trovato un problema nel sangue, sennò si preoccupa”, non va bene, vuol dire che tu reputi tua moglie incapace di portare il tuo peso, incapace di gestire la fiducia; allora, perché l’hai sposata? Perché lo vai a dire al tuo amico, che non è tuo sposo? Quella situazione, quella famiglia, dovrebbe essere un nido densissimo, dove si respira una profonda aria di fiducia ma, alle volte — anzi, molto spesso — quest’area di fiducia non si sente.

Tobi dice al figlio che questa persona di riferimento deve essere una guida, cioè mi deve guidare — adesso vedremo le caratteristiche di questa guida — ma è una guida, non è il compagno di merende. Oggi noi abbiamo questa mania orrenda di livellare tutto: il padre non è più padre, è un amico, e la madre non è più madre, è un’amica. “Una madre per amica”: no, è una madre / è un padre; l’amico è un’altra cosa, non confondiamo i piani. Che dentro a quel rapporto ci debba essere la fiducia, sì, ma la parola “madre” ha dentro molto di più della parola “amico”. Perché un amico non ti mette al mondo, tua madre sì; un amico non ti ha generato, tuo padre sì. Ma per quale motivo noi dobbiamo ridurre la figura paterna e materna all’amicizia? Lo facciamo perché è un problema gestirla in tutto il suo peso specifico; è un problema essere padre e madre fino in fondo.

Essere una guida è un problema, perché a noi subito viene il complesso di inferiorità, noi subito, immediatamente, ci sentiamo inferiori. Se avete notato — e già ai miei tempi non era così — oggi c’è questo vizio di dare del tu a tutti, che è sbagliatissimo. Perché tu, così, annulli la distanza e crei quella confidenza che non c’è. Se non c’è confidenza, perché dobbiamo far finta che ci sia? Se tu hai appena conosciuto una persona, come fai a darle del tu? Con che coraggio tu gli puoi dare del tu? Se io sono messo nella condizione di creare una relazione, va bene che questa relazione viva nella sproporzione: uno è padre, l’altro è figlio; uno è guida, l’altro è guidato. E noi, questa sproporzione, non dobbiamo risolverla, va bene! Le sproporzioni fanno bene, perché la vita è all’insegna della sproporzione. Noi non siamo perfettamente simmetrici; c’è una sproporzione che ci abita e non dobbiamo risolverla, dobbiamo viverla, è diverso.

Questa persona, che il padre di Tobia gli dice di trovare, deve essere degna di fiducia e guida. E la guida, appunto, “guida”, sta davanti! Sta insieme, ma davanti; non è il compagno del cammino, è una guida, perché lui sa dove mettere i piedi, tu no.

4Uscì Tobia in cerca di uno pratico della strada che lo accompagnasse nella Media. Uscì e si trovò davanti l’angelo Raffaele, non sospettando minimamente che fosse un angelo di Dio.

Avete visto? Il padre gli dà un comando, lui obbedisce, abbandona le sue paure e, appena esce dall’incontro col padre, perché doveva cercare questa famosa persona, immediatamente la incontra. Un tantino più di fede, no? Mamma mia! Ti ha appena detto di fare una cosa, ma cosa vai incontro con le domande! Ma comincia a vivere la vita! Perché devi andare incontro con le domande? Perché devi incontrare l’obbedienza coi dubbi? Ma tieniteli in gola, i tuoi dubbi, comincia ad obbedire! Vuoi mai che, nel momento in cui tu obbedisci, tu hai già tutte le risposte, non solo ai tuoi dubbi presenti, ma anche a quelli futuri? Vuoi mai che Dio, in premio di questa obbedienza, abbia già risolto tutto? Ha già messo, fuori dalla porta, la persona giusta? Hai perso tempo! E lo hai perso perché hai messo te stesso al centro, hai deciso di perdere tempo, per cominciare a dire: “Ma io… ma non lo so, ma come si fa; ma cosa devo dire; ma dove devo andare; ma non sono capace”. Ma vai dal tuo parente! Io, padre, ti dico che devi trovarti una guida di fiducia, obbedisci!

Perché non devi credere che il Signore farà la sua parte? Perché, come ho detto anche questa mattina nell’omelia, la fede è dura; avere fede è dura. È dura perché avere fede vuol dire veramente credere! Vuol dire credere profondamente; vuol dire affidarsi spes contra spem, sperando contro ogni speranza evidente; vuol dire credere che le mura di Gerico crollino; e crollano, se ci credi.

Allora Tobia esce in cerca di qualcuno pratico della strada che lo accompagni; esce e si trova davanti l’angelo; guarda caso, è già lì. Neanche ha trovato un uomo bravo, no, ha trovato un angelo, che poi è uno dei sette arcangeli che stanno sempre al cospetto di Dio, capite? Non un “angelotto” qualunque! E Tobia non sospetta minimamente che sia un angelo di Dio, perché lui sa nascondersi bene. Questo perché la fede la devi vivere fino in fondo; se lui avesse saputo che era un angelo, tutto sarebbe stato più facile. Ma tu devi imparare a fidarti della provvidenza, non dell’angelo. Dio provvede come vuole; il punto focale non è l’angelo, ma è Dio che provvede a te. Che sia un angelo o non sia un angelo, non ha importanza, sarà comunque un angelo, sia che sia di natura angelica, sia che sia di natura umana perché, se è inviato da Dio, è un angelo. Angelo vuol dire “mandato”; Raffaele è stato mandato da Dio. E, nella mia vita, posso incontrare un’altra persona — che è una persona — ma è mandata da Dio. Il punto della questione è: Dio cosa vuole da me?

5Gli disse: «Di dove sei, o giovane?». Rispose: «Sono uno dei tuoi fratelli Israeliti, venuto a cercare lavoro». Riprese Tobia: «Conosci la strada per andare nella Media?». 6Gli disse: «Certo, parecchie volte sono stato là e conosco bene tutte le strade. 

Vedete, Dio un po’ si svela nella nostra vita, solo che noi siamo talmente distratti che neanche facciamo due più due. Notate: come fa un uomo a conoscere bene tutte le strade? Questa frase già avrebbe dovuto aprire la testa di Tobia e fargli pensare: questo ragazzo è giovane come me, più o meno, cerca lavoro, e come fa, data la giovane età, a conoscere tutte le strade? Ma esiste un uomo che conosce tutte le strade del mondo? No. Da dove viene? Chi è? Ma Tobia se la pone la domanda? Assolutamente no. Queste sono le domande che uno deve porsi, non le domande folli di prima: “Come faccio? Come non faccio?” Ma tu non ti preoccupare, tu devi porti la domanda giusta: “Chi è quest’uomo che è improvvisamente apparso sulla mia strada e che dice di conoscere tutte le vie?”. Prosegue:

Spesso mi recai nella Media — guarda caso — e alloggiai presso Gabael un nostro fratello che abita a Rage di Media.

Guarda te, di tutti gli uomini dell’Orbe Terrarum, a me capita quello che conosce tutte le strade, che è andato spesso nella Media e che ha alloggiato esattamente dove io devo andare, cioè, conosce la persona, è già andato in casa sua: una coincidenza incredibile!

E Tobia, si pone la domanda: chi è questo qui? Ma figuriamoci! Lui non ha in testa di cogliere la Provvidenza di Dio, lui ha in testa un problema solo: io devo andare là e non so come si fa, tutto il resto mi passa sopra, neanche lo vedo, perché io ho la mia paura, che mi dice: “Come faccio ad andare là? Come faccio a prendere i soldi?” Chi vive nella paura non ha spazio interiore per accorgersi della provvidenza di Dio, perché ha in mente solo la sua paura.

Ci sono due giorni di cammino da Ecbàtana a Rage. Rage è sulle montagne ed Ecbàtana è nella pianura». 7E Tobia a lui: «Aspetta, o giovane, che vada ad avvertire mio padre. Ho bisogno che tu venga con me e ti pagherò il tuo salario».  8Gli rispose: «Ecco, ti attendo; soltanto non tardare».

A Tobia non sembra vero: ha trovato la guida, ha trovato l’uomo di fiducia. Quindi deve tornare indietro ad avvertire il suo papà. Ma l’angelo gli dice una frase tutt’altro che scontata; l’angelo gli mette fretta. Pensiamo a noi, che siamo dei pachidermi — soprattutto nelle cose spirituali, ma non solo — lenti come la morte, noi riusciamo a fare una cosa alla volta, forse; siamo lenti, dei perditempo incredibili. Noi che abbiamo fretta solo per le cose che ci interessano, per il resto… Noi diciamo: “Ci devo pensare; non lo so, vedremo, ti farò sapere”. Ma con Dio non funziona così; sulle cose importanti, non si può perdere un minuto, devi cogliere l’ora, la tua ora, quel momento lì, e ci sono cose che vanno fatte immediatamente. L’angelo gli mette fretta, gli dice: “Sì, ti aspetto, ma non tardare, spicciati”. E questo, sulla nostra fede, ci fa pensare perché, anche qualora noi dovessimo decidere che va bene fare quel passo, prima che accendiamo la macchina e ci muoviamo… “Eh sì, va bene, lo farò, però…”. Ci sono delle cose che vanno fatte di corsa: “Non tardare, fai in fretta”.

I chilometri di tempo perso nelle telefonate, è tempo buttato via, del quale tu devi rendere conto a Dio. Perché il tempo non è mio, è Suo, è Lui che me lo dona, non lo produco io nell’esistenza. Noi buttiamo via tanto di quel tempo… Pensate al tempo che buttiamo via per il disordine, a cercare le cose.

9Tobia andò ad informare suo padre Tobi dicendogli: «Ecco, ho trovato un uomo tra i nostri fratelli Israeliti».

Ci fermiamo qui.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

Informazioni

Padre Giorgio Maria Faré ha tenuto queste catechesi tutti i lunedì alle ore 21 presso il Convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Monza.

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