Catechesi di lunedì 19 marzo 2018
Ciclo di catechesi “La Fede: dubbio o Abbandono? La Scelta di una vita”
Relatore: p. Giorgio Maria Faré
Ascolta la registrazione della catechesi:
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Brani commentati durante la catechesi:
Libro di Tobia, Capitolo 8
1 Quando ebbero finito di mangiare e di bere, decisero di andare a dormire. Accompagnarono il giovane e lo introdussero nella camera da letto. 2 Tobia allora si ricordò delle parole di Raffaele: prese dal suo sacco il fegato e il cuore del pesce e li pose sulla brace dell’incenso. 3 L’odore del pesce respinse il demonio, che fuggì nelle regioni dell’alto Egitto. Raffaele vi si recò all’istante e in quel luogo lo incatenò e lo mise in ceppi. 4 Gli altri intanto erano usciti e avevano chiuso la porta della camera. Tobia si alzò dal letto e disse a Sara: “Sorella, alzati! Preghiamo e domandiamo al Signore che ci dia grazia e salvezza”.
5 Essa si alzò e si misero a pregare e a chiedere che venisse su di loro la salvezza, dicendo: “Benedetto sei tu, Dio dei nostri padri, e benedetto per tutte le generazioni è il tuo nome! Ti benedicano i cieli e tutte le creature per tutti i secoli! 6 Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno. Da loro due nacque tutto il genere umano. Tu hai detto: non è cosa buona che l’uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui. 7 Ora non per lussuria io prendo questa mia parente, ma con rettitudine d’intenzione. Degnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia”. 8 E dissero insieme: “Amen, amen!”. 9 Poi dormirono per tutta la notte.
10 Ma Raguele si alzò; chiamò i servi e andò con loro a scavare una fossa. Diceva infatti: “Caso mai sia morto, non abbiamo a diventare oggetto di scherno e di ribrezzo”. 11 Quando ebbero terminato di scavare la tomba, Raguele tornò in casa; chiamò la moglie 12 e le disse: “Manda in camera una delle serve a vedere se è vivo; così, se è morto, lo seppelliremo senza che nessuno lo sappia”. 13 Mandarono avanti la serva, accesero la lampada e aprirono la porta; essa entrò e li trovò che dormivano insieme, immersi in un sonno profondo. 14 La serva uscì e riferì loro che era vivo e che non era successo nulla di male. 15 Benedissero allora il Dio del cielo: “Tu sei benedetto, o Dio, con ogni pura benedizione. Ti benedicano per tutti i secoli! 16 Tu sei benedetto, perché mi hai rallegrato e non è avvenuto ciò che temevo, ma ci hai trattato secondo la tua grande misericordia. 17 Tu sei benedetto, perché hai avuto compassione dei due figli unici. Concedi loro, Signore, grazia e salvezza e falli giungere fino al termine della loro vita in mezzo alla gioia e alla grazia”. 18 Allora ordinò ai servi di riempire la fossa prima che si facesse giorno. 19 Raguele ordinò alla moglie di fare il pane in abbondanza; andò a prendere dalla mandria due vitelli e quattro montoni; li fece macellare e cominciarono così a preparare il banchetto. 20 Poi chiamò Tobia e sotto giuramento gli disse: “Per quattordici giorni non te ne andrai di qui, ma ti fermerai da me a mangiare e a bere e così allieterai l’anima già tanto afflitta di mia figlia. 21 Di quanto possiedo prenditi la metà e torna sano e salvo da tuo padre. Quando io e mia moglie saremo morti, anche l’altra metà sarà vostra. Coraggio, figlio! Io sono tuo padre ed Edna è tua madre; noi apparteniamo a te come a questa tua sorella da ora per sempre. Coraggio, figlio!”.
Libro di Tobia, Capitolo 12
1 Quando furon terminate le feste nuziali, Tobi chiamò il figlio Tobia e gli disse: “Figlio mio, pensa a dare la ricompensa dovuta a colui che ti ha accompagnato e ad aggiungere qualcosa d’altro alla somma pattuita”. 2 Gli disse Tobia: “Padre, quanto potrò dargli come salario? Anche se gli lasciassi la metà dei beni che egli ha portati con me, io non ci perderei. 3 Egli mi ha condotto sano e salvo, mi ha guarito la moglie, è andato a prendere per me il denaro e infine ha guarito te! Quanto posso ancora dargli come salario?”. 4 Tobi rispose: “E’ giusto ch’egli riceva la metà di tutti i beni che ha riportati”. 5 Fece dunque venire l’angelo e gli disse: “Prendi come tuo salario la metà di tutti i beni che tu hai portati e va’ in pace”. 6 Allora Raffaele li chiamò tutti e due in disparte e disse loro: “Benedite Dio e proclamate davanti a tutti i viventi il bene che vi ha fatto, perché sia benedetto e celebrato il suo nome. Fate conoscere a tutti gli uomini le opere di Dio, come è giusto, e non trascurate di ringraziarlo. 7 E’ bene tener nascosto il segreto del re, ma è cosa gloriosa rivelare e manifestare le opere di Dio. Fate ciò che è bene e non vi colpirà alcun male. 8 Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l’elemosina con la giustizia. Meglio il poco con giustizia che la ricchezza con ingiustizia. Meglio è praticare l’elemosina che mettere da parte oro. 9 L’elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro che fanno l’elemosina godranno lunga vita. 10 Coloro che commettono il peccato e l’ingiustizia sono nemici della propria vita. 11 Io vi voglio manifestare tutta la verità, senza nulla nascondervi: vi ho già insegnato che è bene nascondere il segreto del re, mentre è cosa gloriosa rivelare le opere di Dio. 12 Sappiate dunque che, quando tu e Sara eravate in preghiera, io presentavo l’attestato della vostra preghiera davanti alla gloria del Signore. Così anche quando tu seppellivi i morti. 13 Quando poi tu non hai esitato ad alzarti e ad abbandonare il tuo pranzo e sei andato a curare la sepoltura di quel morto, allora io sono stato inviato per provare la tua fede, 14 ma Dio mi ha inviato nel medesimo tempo per guarire te e Sara tua nuora. 15 Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del Signore”. 16 Allora furono riempiti di terrore tutti e due; si prostrarono con la faccia a terra ed ebbero una grande paura. 17 Ma l’angelo disse loro: “Non temete; la pace sia con voi. Benedite Dio per tutti i secoli. 18 Quando ero con voi, io non stavo con voi per mia iniziativa, ma per la volontà di Dio: lui dovete benedire sempre, a lui cantate inni. 19 A voi sembrava di vedermi mangiare, ma io non mangiavo nulla: ciò che vedevate era solo apparenza. 20 Ora benedite il Signore sulla terra e rendete grazie a Dio. Io ritorno a colui che mi ha mandato. Scrivete tutte queste cose che vi sono accadute”. E salì in alto. 21 Essi si rialzarono, ma non poterono più vederlo. 22 Allora andavano benedicendo e celebrando Dio e lo ringraziavano per queste grandi opere, perché era loro apparso l’angelo di Dio.
Testo della catechesi
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Siamo al capitolo 8 del libro di Tobia e speriamo di riuscire a fare almeno la parte più importante del capitolo 12. Questo libro, come vi ho detto, è molto importante per riflettere sulla fede, sicuramente, ma anche per quanto riguarda il rapporto interpersonale soprattutto tra marito e moglie, ma non solo, anche il rapporto interpersonale con persone a noi molto vicine o molto care.
1Quando ebbero finito di mangiare e di bere, decisero di andare a dormire. — Siamo al punto in cui Tobia è arrivato a casa di Sara, c’è stata la presentazione — Accompagnarono il giovane e lo introdussero nella camera da letto. 2Tobia allora si ricordò delle parole di Raffaele: — vi ricordate che quando lui ha ucciso il pesce (la sua paura) dal pesce ha tolto il cuore, il fegato e la bile — prese dal suo sacco il fegato e il cuore del pesce e li pose sulla brace dell’incenso. 3L’odore del pesce respinse il demonio, — il demonio Asmodeo, che è il demonio che è responsabile della divisione nelle famiglie, di tutto ciò che affligge la famiglia — che fuggì nelle regioni dell’alto Egitto. Raffaele vi si recò all’istante e in quel luogo lo incatenò e lo mise in ceppi.
Da questa prima parte del testo comprendiamo l’importanza dell’attenzione e della memoria. Raffaele non è presente adesso, non dice qualcosa in questo momento, Raffaele ha già detto e ha già fatto. Ci sono dei momenti nei quali l’angelo c’è e dei momenti nei quali l’angelo non c’è; questo è uno di quelli. E questo per dire che cosa? Per dire che quello che fa Dio non è mai invadente nella nostra vita, non è una presenza ingombrante, non è una presenza che ci toglie la libertà di scegliere, di decidere. Dio non fa queste cose, Dio non forza la mano di nessuno, Dio propone, Dio provvede, Dio agisce, ma non impone. E quando arriva un certo momento, Dio si sottrae per lasciare spazio al fatto che tu, facendo la dovuta memoria, decida se vivere come lui ti ha proposto oppure no.
Tobia ha fatto memoria, quindi è stato attento quando — nel capitolo 5 — l’angelo gli disse: “Prendi il cuore, il fegato, la bile, portali con te perché ti serviranno per liberare Sara”. Qualcun altro avrebbe potuto dire: “Me li sono dimenticati, li ho lasciati sulla riva del fiume dove abbiamo preso il pesce”, oppure: “Non li trovo più, li avevo messi via ma non li trovo più”. Oppure proprio dimenticarsi di quello che Azaria (Raffaele) aveva dato come indicazione. In tutti e tre questi casi, che vi ho appena citato, l’esito sarebbe stato la morte di Tobia perché Sara aveva già avuto sette mariti (quasi mariti) e tutti e sette Asmodeo li ha fatti morire la notte antecedente le nozze. Questa è l’espressione della gelosia e invidia che il demonio nutre nei confronti dell’unità, della comunione, del volersi bene all’interno di una famiglia. Lui ha rinunciato a questi beni; quindi, vuole farci partecipi della maledizione che vive. Tobia, invece, si ricorda molto bene le parti del pesce e l’indicazione di Azaria, è stato molto attento e le ha con sé proprio al momento opportuno.
Avere le cose giuste al momento giusto alle volte è importante quanto la vita; in questo caso lo è stato. Le distrazioni, le dimenticanze, le noncuranze, le superficialità possono, alle volte, avere effetti irreversibili. Quindi dobbiamo stare molto attenti. Che cosa sta alla base di una dimenticanza, di una noncuranza, alla base di: “ho smarrito il fegato, il cuore del pesce”? L’angelo avrebbe potuto dire: “Guarda, non c’è problema; quando arriviamo là ci sono io, lo prendo e lo incateno, ti salvo io!”; invece no, perché tu devi fare la tua parte; “Io ci sono e ti do l’indicazione giusta e la mia indicazione è: «Prendi questo, questo e quello che ti serviranno per…», ma poi sarai tu a decidere se fidarti o no”.
Spesse volte, alla base di una dimenticanza, di una noncuranza, di una superficialità, ci sta la mancanza di fede, la mancanza di percezione della serietà e della gravità della situazione e del dono. E la dimenticanza e la noncuranza sono l’espressione — e non un incidente di percorso — esattamente di questa mancanza di fede, di questa mancanza di ascolto. E quindi è bene che noi ci interroghiamo sulle nostre dimenticanze, noncuranze e superficialità, sui nostri ascolti molto distratti. Cosa sta alla base? Noi diciamo: “Sono stanco, sono stressato, ho tante cose da fare, ho tanti pensieri per la testa”. Non credo mai quando mi dicono: “Non ho memoria, devo fare le cure della memoria, sono molto distratto”. Sì, certo, questo è vero, sulle cose che a te non interessano sei distrattissimo, ma io noto che sulle altre cose sei assolutamente sul pezzo, sempre (tra l’altro). Quindi, vuol dire che queste cose ti interessano di più delle altre, tu lì hai un interesse, nelle altre no, o, quantomeno, è un interesse molto piccolo, molto “basic”, che comporta, appunto, la dimenticanza.
E, purtroppo, la nostra dimenticanza non va a incidere solo su di noi, ma anche sull’altro. Se Tobia si fosse dimenticato delle parole di Azaria e se Tobia si fosse dimenticato da qualche parte il cuore, il fegato e la bile, lui sarebbe morto ma avrebbe anche condannato Sara all’infelicità perché avrebbe continuato a rimanere agganciata al demonio. Stiamo attenti alle nostre dimenticanze, distrazioni e quant’altro perché, se poi vanno a riverberarsi sulla vita degli altri, noi abbiamo due responsabilità: la nostra e la vita altrui. Dobbiamo essere molto attenti; questo testo ci insegna che chi ci crede veramente e chi veramente pesa le parole che riceve, salva sé stesso e salva gli altri.
Quindi, abbiamo letto che il demonio se ne va. Prosegue:
4Gli altri intanto erano usciti e avevano chiuso la porta della camera. Tobia si alzò dal letto — è finalmente solo con Sara — e disse a Sara: «Sorella, alzati! Preghiamo e domandiamo al Signore che ci dia grazia e salvezza». 5Essa si alzò e si misero a pregare e a chiedere che venisse su di loro la salvezza, dicendo: …
Che cosa notiamo? Notiamo che, perché ci sia una vera amicizia, una vera comunione, una vera condivisione, ci deve essere un medesimo sentimento, pur nella diversità che è necessaria, importante e ovvia. Ci deve essere un medesimo sentire: entrambi amavano tanto Dio; e questo non è tangenziale dentro a un’amicizia, a un rapporto a due; la presenza di Dio non è un’opzione, è una conditio sine qua non perché ci sia effettivamente questa comunione profonda. Ed è molto bello che lui la chiami “sorella”, perché innanzitutto con questa donna lui sperimenta e sperimenterà sempre di più una grande amicizia, una fraternità, un essere fratelli e questo sarà fondamentale (vedi il discorso che ho fatto la volta scorsa). E allora ci può essere la comunione nella fede: lui la chiama ad alzarsi e lei volontariamente, gioiosamente, si alza e condivide questo invito, condivide questa intuizione che ha avuto Tobia: «si misero a pregare e a chiedere che venisse su di loro la salvezza». Queste sono due persone che hanno bisogno, per motivi diversi, di essere salvate. Tobia, ha bisogno della salvezza per il padre, che è diventato cieco e vive una situazione molto brutta; Sara perché ormai è un po’ disperata, cioè, è condannata a essere sola, perché il demonio le porta via tutte le persone che le si avvicinano. E sentite che preghiera (è come se la dicessero insieme):
«Benedetto sei tu, Dio dei nostri padri, e benedetto per tutte le generazioni è il tuo nome!
Così si inizia a pregare: si inizia benedicendo Dio.
Ti benedicano i cieli e tutte le creature per tutti i secoli! 6Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno.
Questa è l’identità di una moglie: essere aiuto e sostegno; il matrimonio non è una società per azioni; il compito della moglie è di aiutare e, nello stesso tempo, sostenere.
Da loro due nacque tutto il genere umano. Tu hai detto: non è cosa buona che l’uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui. 7Ora non per lussuria io prendo questa mia parente, ma con rettitudine d’intenzione.
Dio solo sa quanto è importante la retta intenzione; che, di fatto, vede solo Dio ma, se non c’è, la vedranno anche gli altri. L’assenza della retta intenzione produce lo sfacelo perché, prima o poi, viene fuori. Se le mie intenzioni sono cattive, perverse, maliziose, non sono quello che appaiono, viene fuori. Quindi, stiamo attenti alle intenzioni con le quali noi avviciniamo le persone. Quella frase che dice: “Tra un ragazzo e una ragazza non ci può essere amicizia” è la frase più perversa, più volgare, più maliziosa che si possa dire. Non è assolutamente vero, tra un ragazzo e una ragazza ci possono essere amicizie bellissime e sante. Non è vero che tra un ragazzo e una ragazza ciò che domina e predomina è la lussuria, è l’impurità; dipende dalle intenzioni del cuore: se i cuori hanno intenzioni perverse, allora ci sarà la perversione, ma se il cuore ha un’intenzione buona, certo che ci può essere una bellissima amicizia.
La diversità non è per forza un agguato, non è una trappola, può essere un’occasione. La retta intenzione emerge ovunque e il fatto che l’altro non la veda non vuol dire che Dio non ti vede. A parte che poi, per vie traverse, si viene sempre a scoprire; non è oggi, non è domani, ma state tranquilli che viene sempre fuori. Tutti i nodi vengono al pettine; quindi, prima o poi, il Signore svela le tue intenzioni, le cose dette alle spalle, le cose fatte di nascosto. Se vado a fare il delatore di una persona con un’altra dicendo: “Tizio m’ha detto”, “Caio m’ha detto”, state tranquilli che, quella persona un giorno lo verrà a sapere, e io me la sarò giocata per sempre, perché ho spaccato la fiducia. Queste cose vengono sempre a galla, sempre! Quando le nostre intenzioni sono ambigue, false, brutte — tipo quelle di Giuda, che sta vicino a Gesù per tre anni e intanto dentro cova tutto quel pattume di roba: dubbi, sospetti, cattiverie, gelosie — tutta quella roba lì prima o poi viene fuori, con annessi e connessi. E ovviamente se la persona interessata lo viene a sapere, poi, è finita, perché, quando io spezzo il vaso di cristallo della fiducia, basta; lo dice la Scrittura!
Dègnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia». 8E dissero insieme: «Amen, amen!». 9Poi dormirono per tutta la notte.
Dormire la notte è un dono di Dio, perché vuol dire avere il cuore in pace. Quando il cuore è in pace, non rimprovera niente, il sonno è placidissimo, profondissimo; quando il cuore non è in pace, è un tormento da morire, è il letto di Tantalo: c’è veramente da impazzire, uno vede il letto e gli vengono i vermi.
10 Ma Raguele si alzò; chiamò i servi e andò con loro a scavare una fossa. — Avevano preparato la buca per Tobia, che sarebbe stato l’ottavo marito morto — Diceva infatti: «Caso mai sia morto, non abbiamo a diventare oggetto di scherno e di ribrezzo». 11 Quando ebbero terminato di scavare la tomba, Raguele tornò in casa; chiamò la moglie 12e le disse: «Manda in camera una delle serve a vedere se è vivo; così, se è morto, lo seppelliremo senza che nessuno lo sappia». — Uno molto pratico, Raguele! — 13 Mandarono avanti la serva, accesero la lampada e aprirono la porta; essa entrò e li trovò che dormivano insieme, immersi in un sonno profondo. — Questo è il sonno dei giusti: il sono delle anime in grazia di Dio — 14La serva uscì e riferì loro che era vivo e che non era successo nulla di male. 15Benedissero allora il Dio del cielo: «Tu sei benedetto, o Dio, con ogni pura benedizione. Ti benedicano per tutti i secoli! […] — fanno tutta la loro benedizione — 19Raguele ordinò alla moglie di fare pane in abbondanza; andò a prendere dalla mandria due vitelli e quattro montoni, li fece macellare e cominciarono così a preparare il banchetto.
E quindi iniziano a preparare per la festa. A questo punto passiamo al capitolo 12.
1Quando furon terminate le feste nuziali, Tobi chiamò il figlio Tobia e gli disse: «Figlio mio, pensa a dare la ricompensa dovuta a colui che ti ha accompagnato — Azaria, che è l’arcangelo Raffaele — e ad aggiungere qualcosa d’altro alla somma pattuita». 2Gli disse Tobia: «Padre, quanto potrò dargli come salario? Anche se gli lasciassi la metà dei beni che egli ha portati con me, io non ci perderei. 3Egli mi ha condotto sano e salvo, mi ha guarito la moglie, è andato a prendere per me il denaro e infine ha guarito te! Quanto posso ancora dargli come salario?».
Non c’è prezzo per chi mi fa del bene, per chi mi salva la vita; il prezzo c’è per la frutta al mercato, ma non c’è per una persona che mi salva la vita. E noi, alle volte, non sappiamo neanche essere come Tobia, non sappiamo coltivare un cuore riconoscente. Perché lui adesso che ha avuto tutto, non si dimentica di Azaria ma dice: “No, calma, un momento. Io ho un debito aperto”. Il padre, saggio, rispose:
4Tobi rispose: «È giusto ch’egli riceva la metà di tutti i beni che ha riportati». 5Fece dunque venire l’angelo e gli disse: «Prendi come tuo salario la metà di tutti i beni che tu hai portati e va’ in pace».
Vedete? Sono uomini giusti, uomini onesti, uomini coerenti, uomini che vanno fino in fondo, un padre e un figlio tutti d’un pezzo.
6Allora Raffaele li chiamò tutti e due in disparte e disse loro:
Ecco che finalmente Azaria si svela, è arrivato il momento, perché ha finito il suo compito.
«Benedite Dio e proclamate davanti a tutti i viventi il bene che vi ha fatto, perché sia benedetto e celebrato il suo nome. Fate conoscere a tutti gli uomini le opere di Dio, come è giusto, e non trascurate di ringraziarlo.
Quindi, la prima cosa che gli dice è: “Beneditelo”; la seconda è: “Raccontate, dite che cosa è successo”. Cioè, dite che cosa Dio ha fatto nella vostra vita, parlatene, si sappia, si abbia l’occasione di saperlo, non perché voi dovete apparire come bravi, ma perché, sapendolo, gli altri possano dire: “Guarda cosa fa Dio in questa vita; cos’è capace di fare Dio!”.
Questa che segue è una frase classica, molto importante:
7È bene tener nascosto il segreto del re, ma è cosa gloriosa rivelare e manifestare le opere di Dio.
Quindi, da una parte, quello che riguarda il rapporto intimo personale con Dio, il “tu a tu”, l’unione col Signore, quello che il Signore opera nella mia vita, va tenuto nascosto. Come nel rapporto marito e moglie, ci sono delle cose belle, che possono essere dette e raccontate, ci sono anche delle cose belle, bellissime, che sono talmente uniche e speciali, che non possono essere dette, perché sono solamente mie e tue, sono proprio intime, caratteristiche, peculiari della nostra relazione; queste non possono essere raccontate, perché non possono neanche essere capite. Ecco, così succede con Dio: ci sono delle cose di Dio, che agisce nella mia vita, che possono e devono essere dette. Ci sono invece delle cose di Dio, che agisce nella mia vita, che non possono essere comunicate, e sono il segreto del re. Dobbiamo stare molto attenti a non svelarlo, perché il segreto del re è del re, appunto, è di Dio, non è mio, non mi appartiene, l’ho ricevuto, ma non è mio.
Fate ciò che è bene e non vi colpirà alcun male.
Qui emerge il tema che poi ritornerà anche nel Nuovo Testamento: quando Gesù guarisce, ad esempio, lo storpio alla piscina gli dice: “Alzati, prendi e vai, non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio”. E questa cosa ritorna anche in altri testi. C’è un legame — come vi ho già detto tante volte — molto misterioso e a noi “non dato”, che la Scrittura rivela, tra il peccato e il male che mi accade. C’è un legame che non è un legame di equazione: “se faccio il male, di necessità mi succede che…”; no, non è detto, ma il fatto che non ci sia un’equazione, non vuol dire che non ci sia una relazione; c’è una relazione che, alle volte, viene a emergere e a manifestarsi, non sempre ma, alle volte, succede. Perché questa relazione rivela che il peccato è morte. E allora, questa situazione di male fisico ti fa sperimentare che cosa vuol dire la morte interiore; quindi, la morte interiore produce un effetto sul corpo.
Quindi, l’arcangelo Raffaele dice: non vi colpirà il male, se voi fate ciò che è bene, non succederà niente.
8Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l’elemosina con la giustizia. Meglio il poco con giustizia che la ricchezza con ingiustizia.
Meglio avere un amico giusto, che cento compagnie ingiuste. Meglio avere una solitudine giusta, che una ressa ingiusta. È ingiusto tutto ciò che è contro, ciò che noi dobbiamo a Dio per il suo diritto divino, ciò che noi dobbiamo alla nostra coscienza, perché la nostra coscienza ci chiama ai doveri nostri personali, morali, interiori.
Meglio è praticare l’elemosina che mettere da parte oro. 9L’elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato.
Guardate, per elemosina non intendiamo solamente il soldino dato al povero fuori dalla chiesa, attenzione a non fare questo errore. Elemosina è anche il fatto che io sto attento a chi ho accanto. Che non deve essere per forza un barbone con i pantaloni stracciati, distrutto e pieno di pulci; non è per forza il bambino del Biafra ma è una persona che apparentemente sta bene, ma che ha dei bisogni. Quindi, ci sono tanti modi di fare l’elemosina. A una persona che è in un momento di fatica e di sofferenza, di aridità di tante cose, un’elemosina può essere il fatto che tu gli faccia un dono inaspettato: un fiore, una torta; questa è un’elemosina di tempo, di generosità, di attenzione, di memoria, di ricordo. Se io non ho niente in cambio è un’elemosina.
Quante cose ci sono dentro a un dono! E questo, quanto bene può fare! Perché la persona ti dice: “Come mai?” — “Non c’è un motivo burocratico, c’è il fatto che ti ho pensato e mi ha fatto piacere farti un dono”. E il dono è proporzionato a quello che tu puoi ricevere, a quello che tu puoi avere, a quello che tu hai bisogno di avere. Dobbiamo stare molto attenti a chi abbiamo accanto perché è importante essere presenti alle persone. I simboli e i segni non sono stupidaggini, perché noi viviamo di simboli e di segni; noi non viviamo di puri concetti. Quindi stiamo attenti perché, dopo ci lamentiamo e diciamo: “Mio figlio non ha più fede; mio nipote non crede più; quell’altro non sa più fare il Segno di Croce”. Certo, è la logica del carciofo: togli qui, togli là, togli su, togli giù, alla fine non c’è più niente! Perché il dono in sé che cos’è? Niente, ma è la carica simbolica che tu gli metti dentro che rende quell’oggetto vivo. Quindi:
9 L’elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro che fanno l’elemosina godranno lunga vita. 10 Coloro che commettono il peccato e l’ingiustizia sono nemici della propria vita.
Certo, perché il peccato è morte, e l’ingiustizia è un peccato; più noi facciamo il peccato più noi ci autodistruggiamo.
11 Io vi voglio manifestare tutta la verità, senza nulla nascondervi: vi ho già insegnato che è bene nascondere il segreto del re, mentre è cosa gloriosa rivelare le opere di Dio. 12 Sappiate dunque che, quando tu e Sara eravate in preghiera, io presentavo l’attestato della vostra preghiera davanti alla gloria del Signore.
Gli angeli esistono, eh! Il cielo ci ascolta! Il cielo ci vede! Non è che le nostre preghiere siano messe lì come niente; lassù hanno orecchie per noi!
Così anche quando tu seppellivi i morti. 13 Quando poi tu non hai esitato ad alzarti e ad abbandonare il tuo pranzo e sei andato a curare la sepoltura di quel morto, — sta parlando al padre qui; è stato il padre a fare questo — allora io sono stato inviato per provare la tua fede, — l’atto di misericordia corporale che lui ha compiuto (seppellire i morti), gli ha meritato l’invio dell’arcangelo, in quel momento l’arcangelo è partito — 14 ma Dio mi ha inviato nel medesimo tempo per guarire te e Sara tua nuora. 15 Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del Signore». 16 Allora furono riempiti di terrore tutti e due; si prostrarono con la faccia a terra ed ebbero una grande paura.
Ma che strano! Questi qui, davanti a un Arcangelo — che sarà importante, per amor del cielo, con tutto il rispetto di San Raffaele — cadono prostrati con la faccia a terra ed ebbero grande paura, ora, ditemi se sbaglio il ragionamento logico: se io cado con la faccia a terra e ho paura e terrore davanti a un Arcangelo, che cosa dovrei fare davanti a Dio, presente veramente, realmente, sostanzialmente nell’Eucarestia? Dovrei disatomizzarmi, dovrei liquefarmi, cosa dovrei fare? Non si sa! O meglio: si sa molto bene, però poi ognuno fa quello che vuole e se la gira come vuole lui.
17 Ma l’angelo disse loro: «Non temete; la pace sia con voi. Benedite Dio per tutti i secoli. 18 Quando ero con voi, io non stavo con voi per mia iniziativa, ma per la volontà di Dio: lui dovete benedire sempre, a lui cantate inni. 19 A voi sembrava di vedermi mangiare, ma io non mangiavo nulla: ciò che vedevate era solo apparenza.
Vedete noi come siamo sapienti? Noi crediamo di vedere tutto, invece non vediamo niente! Loro lo vedevano mangiare, ma in realtà lui non mangiava niente. Vedete come Dio ci insegna che noi siamo poveri? Noi crediamo di vedere tutto e di sapere tutto, in realtà non sappiamo niente. Non sappiamo andare oltre l’apparenza, non abbiamo gli occhi di Dio.
20 Ora benedite il Signore sulla terra e rendete grazie a Dio. Io ritorno a colui che mi ha mandato. Scrivete tutte queste cose che vi sono accadute». E salì in alto. 21 Essi si rialzarono, ma non poterono più vederlo. 22 Allora andavano benedicendo e celebrando Dio e lo ringraziavano per queste grandi opere, perché era loro apparso l’angelo di Dio.
Prima di concludere, vi dico una cosa che ho dimenticato di dirvi; quando l’arcangelo dice: «Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l’elemosina…». Qui vorrei aprire una parentesi e chiuderla, in riferimento a quanto io vi ho detto tante volte, sia pubblicamente sia a qualcuno privatamente; l’ho detto nelle omelie e anche qui, nelle catechesi. Quando qualcuno mi viene a dire: “Padre, io voglio fare del volontariato, voglio andare ad aiutare qualcuno, da chi mi consiglia di andare?”, io rispondo: “Ma vuoi proprio andare dall’ultimo degli ultimi?” — “Sì, proprio quello più difficile!” — “Allora vai davanti al Tabernacolo!”. Qual è la ragione della mia risposta? È la stessa dell’arcangelo, c’è scritto anche qui nella Scrittura, non l’ho inventata io, è scritta anche nel Concilio Vaticano II — perché sapete, l’ignoranza poi la fa da padrona — io l’ho presa là. Allora, prima di tutto c’è la preghiera, che è il rapporto con Dio. Ma non perché è un dovere moralistico, ma perché, come dice Madre Teresa di Calcutta — e nessuno più di lei ha aiutato il prossimo — tu non puoi aiutare il prossimo se innanzitutto non hai fatto una vera esperienza di Dio. Quindi, prima ti metti bene a fare un’esperienza di Dio “soda”, dove tu vieni a essere messo in discussione e vieni a essere riequilibrato. Dopo, dice l’arcangelo, ci sarà il digiuno e poi l’elemosina; ma dopo! Non il contrario, non insieme, non prima: dopo! Infatti, Madre Teresa di Calcutta, la santa dei poveri per eccellenza — e nessuno più di lei è stato attaccato ai poveri e ha fatto tutte le assistenze del mondo — innanzitutto, lei “nasce” come congregazione, per rispondere a una rivelazione mistica di Gesù, che dice: “Sitio” (”Ho sete”). Se voi andate a cercare nel suo libro — dove sono contenute le sue lettere — qual è la ragione che l’ha spinta ai lebbrosi, voi non trovate i lebbrosi, voi trovate Gesù che le dice: “Tu mi devi portare anime, tu devi andare nei buchi di Calcutta a essere la mia luce; sii la mia luce!”. Quando lei va là capisce e scrive nel suo libro, che andava lì per salvare le anime dei bambini, per evitare che si dannassero per il livello di male, di perversione, che c’era là dentro. Tutto nasce così, tutto nasce come risposta al crocifisso; leggetelo, è un libro alto, nero, che si intitola “Sii la mia luce”.
Se tu il volontariato — che vuol dire l’assistenza al prossimo — la fai coi sacri crismi, guardate che c’è da morire! C’è da morire a essere veramente prossimi all’altro, secondo quello che dice la Scrittura, c’è da morire davvero, perché vuol dire vivere in pienezza la parabola del buon samaritano, che non è: “Bene, oggi è mercoledì, sono le 15:00, adesso scatta l’ora “x”, io mi metto la veste del volontario (bello, che così mi si riempie bene l’ego) vado, faccio il mio servizio ai poveri, poi tolgo la veste e ritorno a quello che sono”. No, no, caro, non funziona così! Madre Teresa di Calcutta non viveva così! Non usava il volontariato per sentirsi più brava, più bella, più buona, più giusta, più a posto, per vedere che lei sapeva fare. No, no, il volontariato non nasce così! Se nasce da un cuore di preghiera si muove su altra linea: il volontariato è l’assunzione totale dell’altra persona, cioè, vuol dire che tu ti devi far carico di quella persona lì; nei modi e nei tempi propri, ma devi farti carico. Non è che tu entri a fare il volontario ed esci che non sei più volontario, perché, quando inizi a fare una carità, la fai per sempre e la fai costantemente, ogni minuto di quella giornata, costantemente e questo cambia tutto; ma questo è possibile solamente quando c’è la preghiera. Allora, come ho detto la volta scorsa, alla persona che poi torna e ha fatto questa esperienza, io dico: “Adesso sì che sei pronto per accorgerti che non sei solo su questa terra e per poter vedere chi hai accanto. Adesso sì, che lo sai vedere, perché hai imparato a vedere l’invisibile. Siccome tu hai imparato a vedere l’invisibile, che è Dio, adesso puoi vedere il visibile che è l’uomo è l’invisibile che è il suo cuore. Adesso però, non prima! Adesso è probabile che tu, andando là, servirai lei, non userai lei per servire te. Adesso potrebbe succedere che tu veramente cambi la vita di una persona, perché tu non porterai te stesso, ma porterai Dio; non porti le tue idee, i tuoi gusti e le tue fantasie, ma porti il Signore, porti quello che è giusto e quello che è vero”. E infatti poi si vedono i frutti! Le persone che vivono così sono persone di preghiera.
Un padre maestro, che mi accolse in postulandato, mi disse: “Ricordati Giorgio, la preghiera non è tutto, ma tutto si fa con la preghiera”. Parole sante!
Impostandola così, con questa vita di preghiera, poi diventi una persona assolutamente attiva. Infatti, la Chiesa ha nominato patrona delle missioni Santa Teresa di Gesù Bambino, monaca di clausura, che non è mai stata un giorno a fare volontariato! Non è mai stata un giorno a contatto con uno che venisse dall’estero. Patrona delle missioni, una monaca di clausura, morta a 24 anni: follia pura! Come stanno insieme le cose? Prendiamo don Orione; sapete dove è nata la vocazione di don Orione e tutto il tema del Cottolengo? È nata nella chiesa del Santissimo Sacramento di Torino, dove c’è stato il miracolo eucaristico. Lì, lui ha capito che doveva fondare la congregazione. Prendiamo S. Giovanni Bosco o S. Teresa d’Avila; cosa ha fatto santa Teresa d’Avila? Quanti monasteri ha fondato? Era una monaca di clausura! Andate a leggere come lei viveva il suo volontariato nel suo libro “Fondazioni”; andate a leggere cosa dice lei sulla preghiera! Andate a leggere San Giovanni della Croce. Vogliamo prendere madre Teresa di Calcutta? Bene: tre ore di preghiera, di Adorazione Eucaristica, tutti i giorni, dopo dodici ore di servizio ai lebbrosi; tre ore, tutti i giorni, in ginocchio: le suore svenivano, le rimetteva in ginocchio, nessun problema, ma le tre ore le dovevano fare, punto, così era. Vogliamo vedere anche San Camillo De Lellis, fondatore dei Camilliani? Bene, prendiamolo. Andiamo a leggere tutto quello che scrive San Camillo De Lellis sul valore della preghiera: “Prima si incontra Cristo e si fa esperienza di Cristo, e solo chi ha fatto veramente esperienza di Cristo può fare veramente un’esperienza di uomo ed essere un uomo significativo per gli altri”. Diversamente, sarà un fantoccio, farà un grande cinema, e non aiuterà nessuno; certo, a riempire la pancia, siamo capaci tutti, ma a riempire l’anima no, questo è per pochi. E, di fatto, l’uomo, una volta che ha lo stomaco pieno, poi ti chiede altro, poi ti chiede cose sostanziose per l’anima, non per lo stomaco, perché alla fine tutti noi non siamo un buco da riempire, siamo persone, che hanno innanzitutto dei bisogni spirituali.
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Domande
D): Qual è l’atteggiamento spirituale corretto per stare davanti al Tabernacolo?
R): Non so se lei è mai stato innamorato, ma credo che qualora sia stato innamorato o lo è adesso, se uno le venisse vicino e le dicesse: “Scusi, qual è il modo giusto per stare davanti alla sua amata?”. Lei direbbe: “Boh! Il mio! Il modo in cui ci sto. Non ci ho mai pensato”. Qual è il modo giusto per stare davanti al Tabernacolo? È quello di chi ama: nella misura in cui tu ami, crei con Gesù — presente veramente, realmente, sostanzialmente — un’amicizia profondissima, un’intimità profondissima e, soprattutto, una confidenza profondissima; per cui respiri tutta la libertà e la serenità della confidenza. Per cui lei, adesso che è qui, in mezzo a noi, è compunto e composto, come me, come tutti; quando lei è a casa, in camera sua, è un po’ diverso, no? Ora, davanti a Gesù, pur mantenendo il decoro necessario perché sono davanti a Dio, l’anima poi si libera. E, guardate, io ripeto sempre questo: davanti al Tabernacolo è l’unico luogo dove uno può veramente respirare; dove uno dice: finalmente! Qui posso essere me stesso fino in fondo, senza l’ansia, l’angoscia e le varie cose che pretendono gli altri. Io qui, davanti al Signore, finalmente posso essere me stesso, perché so che Gesù mi conosce fin nel midollo e mi ama così come sono, per farmi essere così come vuole lui. E quindi poi si apre tutta una gamma di possibilità bellissime, che sono tanto numerose quanto numerose sono le anime. Per cui ci sarà l’anima che va in estasi, ci sarà l’anima che invece ha dei moti di tenerezza, di affezione, nei confronti del Signore, ci sarà l’anima che invece si sprofonda nell’umiltà e nelle lacrime per il senso del peccato, ci sarà l’anima che invece ringrazia il Signore di averla riservata, riparata e quant’altro, ci sarà l’anima che invece vive una grande silenzio e solamente quello, ci sarà l’anima che vive una grande meditazione, una grande introspezione interiore… Non c’è un format, l’importante è essere veri e l’importante — come dice Santa Teresa — è sapere quello che dici a chi lo dici, sapere davanti a chi sei. Fatto questo, c’è spazio per tutto e per tutti, e la fantasia si può sbizzarrire nel modo più bello.
Io dico sempre: lasciamo libertà davanti al Signore. Il Signore è libero e lascia liberi, lasciamo liberi anche noi, non chiudiamo dentro nei formati, nei precostituiti. Lasciamo libertà alle persone, ognuno si senta libro, l’importante è “stare”, l’importante è esserci, anche se sono distratto, anche se sento il freddo, anche se non combino niente, anche se non medito niente, anche se mi sembra che non serva a niente. Stai tranquillo, ricordati le bellissime spiagge dell’estate, quando ti stendi al sole; non devi fare niente per abbronzarti: puoi distrarti, dormire, studiare, leggere, saltare, correre, star seduto, parlare, ma se tu stai sotto al sole, prova a non metterti la crema per un giorno e poi vedrai se quel sole ti ha fatto qualcosa o no; anche se tu non ci hai pensato, anche se non l’hai guardato, anche se non gli hai parlato, anche se hai dormito! Prova ad addormentarti magari da mezzogiorno alle quattro, sotto il sole della Sardegna, senza crema, ad agosto, poi vedi il giorno dopo, cosa succede! Uno dice: “Ma io non ho pensato, al sole!”, ma non è un problema, ci ha pensato lui! E la stessa cosa la fa Gesù, ci pensa Lui, tu stai davanti al Tabernacolo — “Mi distraggo!” — e distraiti, pazienza! Un giorno non ti distrarrai più. Ma ha senso stare così? Certo, ha un grande senso, perché il senso non lo determini tu, in base a quanto fai e a quanto “porti a casa”, il senso lo determina Gesù, per il fatto che Lui è lì e ti guarda. L’importante è che tu sia lì a Lui presente.
“È uguale pregare a casa, davanti al crocifisso, o davanti al Tabernacolo?” No, non è uguale! Perché davanti al crocifisso c’è una presenza spirituale di Gesù, in chiesa c’è una presenza vera, reale e sostanziale, è completamente diverso; sono due cose diverse. “Ma io sono più comodo”. Scegli tu! Se per te è uguale parlare davanti al crocifisso, piuttosto che essere davanti al Tabernacolo dove è presente Gesù! No, non è uguale. Allora devi scegliere Gesù, devi scegliere il Tabernacolo; abitiamo i nostri Tabernacoli. Infatti, sempre Teresa di Gesù dice: “Mi stupisco che le nostre chiese non siano piene di guardie, di soldati a guardia dei Tabernacoli”. Dovrebbero essere talmente stracolme di gente che fa ressa e si accalca, che ci vuole qualcuno per tenerla lontano.
Ma, a dir la verità, le nostre chiese sono dei deserti dei tartari, non c’è nessuno…
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.
Informazioni
Padre Giorgio Maria Faré ha tenuto queste catechesi tutti i lunedì alle ore 21 presso il Convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Monza.