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Ciclo di catechesi – Essere malati d’amore (Ct 1,1-4; 5,2-9; 8,6-7) Lezione 27

Catechesi La Fede 2017-18

Catechesi di lunedì 26 marzo 2018

Ciclo di catechesi “La Fede: dubbio o Abbandono? La Scelta di una vita

Relatore: p. Giorgio Maria Faré

Ascolta la registrazione della catechesi:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

Brani commentati durante la catechesi:

Cantico dei Cantici

Cap. 1

2 Mi baci con i baci della sua bocca! Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino.
3 Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi, profumo olezzante è il tuo nome, per questo le giovinette ti amano.
4 Attirami dietro a te, corriamo! M’introduca il re nelle sue stanze: gioiremo e ci rallegreremo per te, ricorderemo le tue tenerezze più del vino. A ragione ti amano!

Cap. 5

2 Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! E’ il mio diletto che bussa: “Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia; perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne”.
3 “Mi sono tolta la veste; come indossarla ancora? Mi sono lavata i piedi; come ancora sporcarli?”.4 Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio e un fremito mi ha sconvolta.5 Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.6 Ho aperto allora al mio diletto, ma il mio diletto già se n’era andato, era scomparso. Io venni meno, per la sua scomparsa. L’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non m’ha risposto.
7 Mi han trovata le guardie che perlustrano la città; mi han percosso, mi hanno ferito, mi han tolto il mantello le guardie delle mura.
8 Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate il mio diletto, che cosa gli racconterete? Che sono malata d’amore!
9 Che ha il tuo diletto di diverso da un altro, o tu, la più bella fra le donne? Che ha il tuo diletto di diverso da un altro, perché così ci scongiuri?

Cap. 8

6 Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma del Signore!
7 Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio.

Testo della catechesi

Scarica il testo della catechesi in formato PDF

Questa sera tratteremo il libro più poetico dell’Antico Testamento; siamo al libro del Cantico dei Cantici. Spesse volte avrete sentito dire — anzi, speriamo poche volte, a dir la verità — che il Dio dell’Antico Testamento è un Dio cattivo, un Dio vendicativo, un Dio spietato, un Dio sanguinario, e che solo con l’avvento di Gesù si rivela il volto buono, il volto misericordioso, il volto paterno, amorevole, di Dio. Questa sera noi vedremo che, chi dice queste cose, semplicemente non conosce le Scritture; non l’ha mai lette o, se le ha lette, le ha lette male e le ha lette con una pregiudiziale personale. Perché sapete, spesse volte i nostri disagi psichici e spirituali noi li proiettiamo sugli altri e sui libri che leggiamo, e facciamo dire agli altri e ai libri quello che neanche si sognano di dire. Ma siccome abbiamo un disagio psicologico, un disagio spirituale dentro — magari abbiamo una sorta di irrisolto con la figura autorevole, paterna — beh, allora capite che questo è un po’ un problema. Se noi abbiamo davanti un Barbapapà come figura paterna, diventa tutto un problema. Dio ovviamente non è un Barbapapà, è un padre a tutti gli effetti e come padre lui si propone. Vediamo, allora, come è falsa questa immagine del Dio dell’Antico Testamento, cattivo, sanguinario e quant’altro.

Cantico dei Cantici — Capitolo 1 

 

1Cantico dei cantici, che è di Salomone.

La sposa

2Mi baci con i baci della sua bocca!

Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino.

3Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi,

profumo olezzante è il tuo nome,

per questo le giovinette ti amano.

4Attirami dietro a te, corriamo!

M’introduca il re nelle sue stanze:

gioiremo e ci rallegreremo per te,

ricorderemo le tue tenerezze più del vino.

A ragione ti amano!

È proprio un Dio sanguinario! È proprio un Dio cattivo, è un Dio non paterno, proprio un Dio lontano dall’uomo, un Dio che sta quasi in antitesi con il volto del Padre manifestato da Gesù. 

Vedete come si è ignoranti? Quando si è ignoranti di qualcosa, quando si hanno dei complessi non risolti, si fanno emergere dei volti che non esistono, si vedono cose che non sono reali, si proiettano sugli altri e sui testi i propri fantasmi oscuri.

Questo è il Dio d’Israele, che la sposa definisce e chiama con questi fraseggi. E non so neanche quanti di noi hanno mai avuto il coraggio di scrivere parole così alla persona che hanno amato o che amano perché, per farlo, ci vuole il coraggio che viene dall’innocenza, il coraggio che viene dalla verginità. Abbiamo il coraggio di fare tutto il male possibile, abbiamo il coraggio di vivere la perversione, ma non abbiamo il coraggio di scrivere queste cose, men che meno di dirle; perché sono frasi troppo intime, sono frasi troppo profonde, troppo delicate, e noi non siamo capaci di queste delicatezze; pochi sono capaci di queste delicatezze, pochi sono capaci di sentirle, di provare questi sentimenti.

La prima cosa che la fede in Dio deve di necessità maturare è l’umanità. Ecco perché Santa Teresa di Gesù è innamorata dell’umanità di Cristo, ed ecco perché lei ne sottolinea fortemente l’importanza. Perché una fede che produce solo una spiritualità che è separata dal mondo della corporeità dei sentimenti, si chiama spiritualismo, si chiama gnosi, si chiama manicheismo ed è un’eresia, non è la fede in Gesù. Dopo capite perché quelli che si dicono credenti (ma non lo sono), quando li guardi, alle volte sembra di vedere dei pazzi, dei disadattati, degli asociali, delle persone che non sanno dove hanno la testa. Perché, per loro, la conversione vuol dire prendere tutta la parte umana, calpestarla, disintegrarla, per fare spazio solo alla parte spirituale. Ma noi siamo costruiti, pensati, voluti così, e fare questo non rientra nel progetto di Dio!

E il Cantico dei Cantici non inizia, come facciamo noi, con giri di parole che, per dire una roba del genere, ci impieghiamo tre giorni, sempre se ci riusciamo. Invece, il Cantico dei cantici comincia con: «Mi baci con i baci della sua bocca!», questo dice la sposa allo sposo. Ma quando mai noi, che siamo tutti spirituali, ci siamo rivolti a Dio così? Quando mai noi abbiamo avuto la fantasia, che viene mossa dall’amore, di dire a Dio: «Mi baci con i baci della sua bocca!».

Perché dopo, capite, a noi partono tutti i complessi mentali malati, che vanno ad affondare le loro radici nel male visto e/o compiuto, per cui, quell’ambito è tutto male, è solo male, è male allo stato puro. Non ci può essere niente di bene in quell’ambito, lì c’è solo l’affossamento totale nel fango, e chi si avvicina deve essere sporco.

Questi “qualcuno” cosa fanno? Prendono i propri irrisolti e li proiettano lì dentro. Siccome non hanno risolto certe cose nella vita, oppure hanno fatto esperienze negative, che li hanno inquinati a tal punto da non essere stati capaci di tirare via il cadavere che c’è dentro, mettere le cose in ordine e chiamare le cose col loro nome, dire che quello è male e questo non lo è, se non hanno questa onestà interiore, che cosa fanno? Proiettano, non solo su un libro, ma sugli altri, sulla realtà, sulle persone, i loro irrisolti, i loro pregiudizi. Questo può succedere a tutti noi, e così vediamo male, rischi, pericoli, dove non ci sono. Che poi, ovviamente, tutto può essere un rischio o un pericolo; ma, allora, non ci muoviamo più! È un abominio! Questa cosa è una delle cose più abominevoli che ci sia.

Le tenerezze di Dio non sono minimamente paragonabili con le tenerezze umane, ma sono tenerezze, sono tenerezze allo stato puro. È vero che Dio è tenero. Se possiamo usare queste categorie umane, che sono ovviamente insufficienti (ma noi non abbiamo altro), usiamole proprio nel modo più potente possibile: è vero che Dio è tenero, è vero che Dio insegna la tenerezza; e non è l’essere sdolcinati, ma è tenerezza.

Noi di ogni cosa, ma soprattutto di alcune cose, vediamo sempre il rischio, vediamo sempre il possibile male. Perchè non vedi il possibile bene? Perché devi vedere solo il possibile male, solo il rischio? Ma guarda anche il bene che ci può essere! 

Questo, però, non lo facciamo su tutte le cose, ma solo su quelle dove abbiamo i nostri irrisolti, solo su quelle dove abbiamo le nostre paure, dove abbiamo il nostro male passato e magari presente, che non abbiamo avuto ancora il coraggio di affrontare veramente, di dargli un nome e metterlo al suo posto. Allora, su quelle cose — siccome non siamo in pace con Dio, perché non siamo in pace con noi stessi — diciamo: “Eh … ma è pericoloso, è rischioso! Può succedere questo; può succedere quello; può succedere quell’altro”; ma non succede niente, se tu non lo vuoi. Ma forse lo vuoi! È questo, che non dici! È questo, che tu non stai dicendo! Che tu, forse, quel male lo vuoi, ed è per questo che lo pensi! È per questo che lo vedi nell’altra persona! È per questo che hai paura! Perché tu, sotto sotto, quel male lo cerchi, quel male ti piace! Ma dillo! Ma non è forse giunto il tempo nella vita di dirtelo? Dillo, che tu cerchi quel male! Dillo, che quella cosa non è risolta! Invece di continuare a flagellare quelli che si esprimono, che vivono così, che sperimentano queste profonde, bellissime tenerezze di Dio. 

Infatti, voi vedete certi cristiani a muso duro, che si spaccano in mille, fanno delle cose incredibili, ma sono di una durezza, di una freddezza, di una incapacità di empatizzare, quasi assoluta; è come avere davanti un blocco di ghiaccio siderale, che fa tutto quello che deve fare (le cose le fa), ma peccato che il cuore è morto, peccato che ha dimenticato che Dio è amore. Ma non può dimenticarsi di questo dettaglio, che è centrale, che è la Trinità. Quindi: Dio è amore, ma io non amo perché è pericoloso. Eh, certo, ma anche essere qui è pericoloso, perché può crollare il convento, viene il terremoto e moriamo tutti; anche prendere la macchina è pericoloso, ma anche mangiare è pericoloso, si può morire per un boccone che va di traverso, può venire un infarto, possono succedere tante cose; tutto è pericoloso! Anche parlare è pericoloso: mi va la saliva di traverso e mi strozzo. E allora cosa facciamo: non facciamo più niente e stiamo fermi immobili? Ma anche stare fermo, immobile, è pericoloso. E allora? Allora forse dobbiamo smetterla di avere paura, dobbiamo imparare a credere che Dio è provvidenza.

Avete mai assaggiato un vino dolce? Ecco, Dio è di più. Peccato che lo trattiamo peggio del vino; perché il vino lo beviamo e lo desideriamo, Dio no, poco, perché abbiamo dentro quell’immagine del Dio che è severo. Ma questa immagine non viene da nessuno, non è che colpa di qualcuno, è colpa mia! Sono io che mi creo questa immagine, io la voglio, mi fa comodo averla, perché è comodo avere un Dio così, perché una volta che l’hai messo a posto, l’hai sfamato, tu sei in pace.

Solo che “se Dio è il Dio che ti bacia con i baci della sua bocca e le sue tenerezze sono più dolci del vino”, non lo metti a posto facendo delle cose, non lo metti a posto assolvendo dei doveri morali, con le preghierine; eh no, non basta!

profumo olezzante è il tuo nome,

per questo le giovinette ti amano.

Anche qua: chissà se noi, dicendo il nome di Dio, proviamo gusto! Chissà se, dicendo il nome di Dio, sentiamo il profumo.

Insomma, non penso di dire cose nuove per nessuno, sarete tutti più esperti di me: vi sarà capitato nella vita, almeno una volta, di innamorarvi di qualcuno. Quando ti innamori di qualcuno, la prima cosa che ti rimane impressa di questo qualcuno sono io suo profumo e il suo rumore. Ognuno di noi ha addosso un profumo, che non è il profumo commerciale della profumeria, ma è proprio il suo odore, il suo profumo. Ciascuno ha il suo profumo, che non lo sente lui, lo sentono gli altri. Questo profumo suo tipico, fatto: dalla sua pelle, dai suoi ormoni, dalle sue secrezioni, dai suoi lavaggi; da tante cose, è “il profumo della persona” e ciascuno ha il suo. E ciascuno ha il suo rumore: il modo di suonare al citofono, il modo di partire o arrivare con la macchina. E questo persino il cane lo riconosce; il cane ti riconosce da come tu suoni il campanello, il cane riconosce dai passi una persona, il cane riconosce il rumore della tua macchina, non parliamo poi del profumo. Chissà se Dio per noi è un profumo ed è un passo; se per noi Dio ha il suo rumore, ha il suo modo di esserci vicino, di esserci prossimo. E chissà se noi riusciremmo a riconoscere la persona che amiamo dal suo rumore e dal suo profumo!

per questo le giovinette ti amano

Perché innanzitutto Dio è da amare, ed è da amare perché è bello amarlo. Noi invece presentiamo un Dio medicina, spesse volte, fatto del bugiardino che contiene: la posologia, le avvertenze, gli effetti indesiderati e le sovra-somministrazioni. Ma Dio non è un medicinale, che bisogna prenderlo secondo una posologia; non ha un principio attivo, non ci sono controindicazioni, non c’è un dovere morale, come lo intendiamo noi, c’è il dovere legato all’amore; perché l’amore è il dovere assoluto, l’amore detta la legge di sé stesso, l’amore ti mostra la via precisa che devi seguire per il suo raggiungimento, il suo nutrimento e il suo coronamento.

Attirami dietro a te, corriamo!

Chissà se noi siamo desiderosi di essere attirati, se abbiamo questa fede, di essere attirati dietro a Dio, se noi corriamo dietro a Dio, se noi corriamo per Dio, se noi corriamo volendo stare con Dio, se c’è il cito cioè, l’essere svelto, l’avere fretta per le cose di Dio, per Dio, per la sua presenza, la sua compagnia, per lo stare con lui. Oppure se per noi è una noia e pensiamo: che barba, che noia, adesso devo fare questo, e poi mi devo svegliare presto, e poi devo fare le preghiere, e poi devo fare questo e poi devo fare quell’altro… Pensate che brutto che deve essere per Dio vedersi servire così! Che tristezza! Io direi: “Lascia stare, non farlo, lasciami stare”, io direi proprio così. Meglio essere coperti di freddezza, cioè non essere proprio considerati, che essere trattati in questo modo qui.

M’introduca il re nelle sue stanze:

gioiremo e ci rallegreremo per te,

ricorderemo le tue tenerezze più del vino.

A ragione ti amano!

C’è una ragione nell’amore; l’amore non è un colpo di testa, non è ubriachezza, non è sbornia; l’amore è assolutamente ragionevole. Quella cosa che mi fa perdere la testa non è amore, l’amore è ragionevole, è iscritto nell’amore l’essere ragionevole; se perdi la testa, non c’è amore. Tutta la persona ama, anche il cervello, e il cervello è quello che proprio dirige e ti mostra la promessa buona, che è scritta dentro l’amore, aiuta a purificare l’amore da tutto ciò che è un suo sentimentalismo e lo orienta verso il fulcro. E fa parte di chi ama voler stare nelle segrete stanze.

Apro una parentesi che chiudo subito: se avete possibilità, leggete il commento al Cantico dei Cantici di San Bernardo, che è un’opera bellissima; S. Bernardo è veramente un innamorato.

Chi ama cerca l’os ad os, che vuol dire “bocca a bocca”, che vuol dire l’intimità, il “cor ad cor”. Chi ama cerca di stare solo, perché ne ha bisogno. C’è una ragionevolezza nell’amore, c’è un senso nell’amore, c’è un perché nell’amore, e questo amore chiede solitudine. Se io non bramo lo stare da solo con l’amato o con l’amata, non c’è amore; ma questo bisogno di stare soli non è una roba solipsistica, non è un guardarsi addosso, è proprio un bisogno di intimità interiore, innanzitutto, dell’essere intimi dentro, questa è la solitudine di cui si parla, questa intimità interiore che è comunione profonda interiore. Se non desidero questo, che amore è?

Allora, stanti così le cose che abbiamo letto e come la sposa si è espressa, vediamo adesso questa sposa che cosa vive.

QUARTO POEMA

La sposa

Questo capitolo lo potremmo definire non “quarto poema”, ma: “la disgrazia di una vita”. Cioè, chi ha capito certe cose, chi le ha sperimentate, chi le ha vissute, non è al riparo dalla disgrazia, perché può fallire gravemente. Che cosa può fallire? L’attimo, la sua ora, il momento.

La sposa dice:

2Io dormo, ma il mio cuore veglia.

Un rumore! È il mio diletto che bussa:

Sentite Dio come si esprime: “il mio diletto”. Non sono un profeta, tranquilli, ma ve lo posso profetizzare che mai nessuno, nella nostra vita, ci ha mai chiamati così, mai nessuno si è rivolto a noi così. Noi solitamente, quando arriviamo, diciamo: “Aprimi! Le chiavi! Allora, dai, ma dove sei? Allora, mi apri o no? Ma lo sai che arrivo io?”.

Dio è un po’ diverso…:

«Aprimi, sorella mia,

mia amica, mia colomba, perfetta mia;

perché il mio capo è bagnato di rugiada,

i miei riccioli di gocce notturne».

Questo è Dio! Il Dio dell’Antico Testamento di cui sopra. Dio tratta lo sposo, la sua sposa, l’anima, con questa delicatezza: non apre lui la porta, lascia che venga aperta. Qui ci sarebbe da fare un corso di esercizi spirituali di trenta giorni ininterrottamente, solo su questo, solo sulle parole: «Aprimi, sorella mia …». Perché dice “aprimi”? Come vedremo, la porta era già aperta, infatti sono quelle porte a chiavistello, che uno dall’esterno può aprire. Ma devi essere tu ad aprirla, non la apro io, perché il concorso della tua volontà dice la qualità del tuo amore, e io devo sempre misurarlo. Perché tu devi avere chiaro davanti ai tuoi occhi: chi, come, quanto ami e se ami, perché può essere un’illusione: tu puoi credere di amare, ma non amare! «Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia …», cioè, il suo tutto. Dio sta dicendo: “Tu sei il mio tutto e, soprattutto, tu sei mia”, cioè, tu mi appartieni; perché l’amore crea appartenenza, che è una cosa che noi assolutamente non sopportiamo, e diciamo: “Io faccio la mia vita e tu fai la tua vita. Io penso quello che voglio e tu pensa a quello che vuoi. Io mangio quello che voglio e tu mangia quello che vuoi. Io vado a dormire quando voglio, tu vai a dormire quando vuoi. Io guardo quello che voglio e tu guardi quello che vuoi”. Guardate… un amore, un’amicizia, una sintonia di cuore che commuove… Commuove vedere delle persone così… Quando sono fidanzati, sono appiccicati uno all’altro come il francobollo alla busta, tre mesi dopo il matrimonio, quando camminano, uno è avanti dieci metri e l’altro indietro. Ma dov’è l’amore? Ma non eravate appiccicati, tre mesi fa, uno all’altro? E rispondono: “Eh, ma sa… l’amore passa, quello è l’innamoramento”; eh, no! O c’è o non c’è mai stato, non c’è una via di mezzo, o hai amato o non hai amato. Non esiste quella roba lì dell’innamoramento, come dicono gli adulti delusi, questa è la consolazione della vedova che, siccome non c’è più il marito, dice: “Eh, ma io…”. La consolazione della vedova lasciamola da parte, stiamo nella realtà.

Tu sei mia in nome dell’amore, al di là di qualunque vincolo; l’amore rende uno all’altro uniti. L’amore dà questo diritto “di possessione”, che non è la possessione egoistica, dominatrice, dispotica; è la passione di appartenenza, è l’appartenere uno all’altro, è il riconoscere di essere dell’altro, perché si è condivisa la parte più profonda di sé; non si può condividere la parte più profonda di sé e mantenersi “altri”, nel senso di “autonomi”. Non è possibile! Figuriamoci poi se condividiamo il corpo… ma a noi, figuriamoci cosa interessa! Siamo capaci di condividere il corpo senza condividere l’anima! Sono scoperte anche queste, non è che sia chiara per tutti, questa cosa, grazie al cielo… Per qualcuno, il fatto che si possa condividere il corpo senza condividere l’anima può essere una scoperta! Perché la logica non è così, la natura non è così! Come fai a condividere il corpo, se non condividi l’anima? Se non c’è dentro l’anima, che anima il corpo, come fa il corpo a reagire per condividersi? Eppure, è possibile! Si scoprono anche queste cose, in confessionale…

perché il mio capo è bagnato di rugiada,

i miei riccioli di gocce notturne».

È bellissima, questa immagine: lui vuole che lei gli apra, per mostrare questa chicca, questa bellezza un po’ particolare; una cosa un po’ straordinaria, che vuole condividere con la sua colomba. E la sua colomba risponde:

3«Mi sono tolta la veste;

come indossarla ancora?

Ma non si ferma! Va oltre dicendo:

Mi sono lavata i piedi; …

Lui parla di capo, di riccioli, di rugiada, la sposa parla di veste e di piedi. Cioè, rendiamoci conto noi dove siamo. Dopo noi diciamo di credere in Dio! Noi lasciamo Dio per i piedi, che sono le cose più sporche, più a contatto della terra possibile, come Barabba; uguale!

Mi sono lavata i piedi; …

come ancora sporcarli?».

Che, tradotto, vuol dire: a me non interessa niente di essere la tua colomba, la tua amica, tua sorella; tu sei venuto qua con i riccioli d’oro bagnati di rugiada, ma a me questa roba non interessa, non fa parte della mia vita. Ma Lui non si arrende, nonostante questa tristezza. Lei sta vedendo consumarsi davanti a sé il suo momento, che tra poco si spegnerà. Lei lo vede, è cosciente, sta vedendo proprio che si consuma, e rimane inetta, rimane ferma nel suo letto, quale indegna è.

4Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio…

(Dovete immaginare queste porte di una volta, che tu entravi con la mano e tiravi su il chiavistello). Mettendo la mano nello spiraglio, tenta fino in fondo di farla alzare, di fare in modo che faccia un passo.

e un fremito mi ha sconvolta.

Certo… è dura resistere all’amore, è dura avere un cuore di ghiaccio, è dura disprezzare un amore di questo livello; altro che fremito! Essere chiamati così, poter ricevere in dono la rugiada di questo amore, ricevere la vita — perché il bagnato (l’acqua) richiama alla vita — di questo amore, la totalità di questo amore; vedere che questo amore tenta, tenta, mettendo la mano nello spiraglio, di sollevare il chiavistello, tenta di avvicinarla, tenta di farle fare il salto, il passo, lei si accorge di tutto e dice:

e un fremito mi ha sconvolta.

Questo è il fremito di chi ha perso l’occasione della sua vita. È il fremito che poi preannuncia una tragedia; perché l’amore ha un tempo, l’amore ha un’ora, un’occasione. L’amore è troppo prezioso per essere un mercato che va bene sempre e comunque, con chiunque.

5Mi sono alzata per aprire al mio diletto

e le mie mani stillavano mirra,

fluiva mirra dalle mie dita

sulla maniglia del chiavistello.

6Ho aperto allora al mio diletto,

ma il mio diletto già se n’era andato, era scomparso.

Io venni meno, per la sua scomparsa.

L’ho cercato, ma non l’ho trovato,

l’ho chiamato, ma non m’ha risposto.

7Mi han trovato le guardie che perlustrano la città;

mi han percosso, mi hanno ferito,

mi han tolto il mantello

le guardie delle mura.

8Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,

se trovate il mio diletto,

che cosa gli racconterete?

Che sono malata d’amore!

Certo, adesso è malata d’amore, quando ne ha voglia lei! Lei si alza, ora, ma non per il diletto, ma per il suo fremito nella schiena, cioè quel momento di terrore che noi non sappiamo perché ci viene, ma ci viene, quel sudore freddo che improvvisamente ci prende e ci fa sentire che ci sta per venire addosso uno tsunami. Non sai bene da che parte, perché, per come, ma, quel fremito nella schiena, quel sesto senso, ti dice: l’hai fatta troppo grossa, adesso preparati. Questo fremito — e non l’amore — la fa alzare; lei non si alza per amore del diletto, si alza per sé stessa. E questi siamo noi, che diciamo: “Ma io l’ho fatto! Ma io l’ho detto! Eh, ma io volevo! Eh, ma io però mi sono impegnato! Eh, ma cos’è che devo fare ancora di più?”. “Ho aperto, ma il mio diletto se n’era andato”; l’amore non attende. Quando incontra l’indegnità, l’amore non attende.

Io so già che voi ora avete nella testa il figliol prodigo e pensate che il padre ha aspettato suo figlio, questo è vero, ma è un’altra cosa. Qui stiamo parlando proprio di quel rapporto d’amore sponsale, proprio quello che poi i santi chiamano il matrimonio mistico, questo rapporto sponsale che vuol dire proprio il momento culminante dell’unione dell’anima con Dio, che non è quella cosa del figliol prodigo, che dice: “Io voglio farmi la mia vita, voglio fare i miei peccati, prendo e me ne vado”, non è quel livello lì, qua siamo a un livello alto, molto alto. È proprio questo momento di incontro, di unione di Dio con l’anima, questo momento di fusione tra i due. È una cosa delicatissima, importantissima, bellissima, questa ricerca, da parte di Dio, di questa possibilità di entrare, di possedere totalmente la persona. E, a questo livello, una resistenza del genere, è gravissima: cento volte di più del peccato del figliol prodigo.

Questo tentennare, questo indugiare, questo aspettare, questo rimandare, questo trovare scuse, ti fa perdere l’occasione dell’amore, e lei perde l’amore e l’amato, tutto in un colpo. Ma non solo questo! Lei ha capito che non è lei il centro del mondo, e che amare non vuol dire stare in ginocchio, amare non è una dipendenza, lo sposo non è dipendente da lei, lo sposo dipende dall’amore e l’amore è verità. Tu hai mancato alla verità dell’amore, quindi io non ci sono più, fine. Perché non è che mi interessa che tu ci sia, a me interessa che tu rispetti, che ami la legge dell’amore, la struttura portante dell’amore, che è la verità — non c’è amore senza verità, non c’è verità senza amore; lei non l’ha fatto, quindi ha perso lo sposo, perché così lei possa capire che non è quello il modo di amare. E poi, lei ha indugiato un po’, non è che abbia fatto chissà che cosa, non è che lo ha tradito, come siamo abituati noi! Semplicemente ha detto: “Ma, non lo so, boh, vedrò, aspetta, dopo, un attimo”.

Se vi ricordate, abbiamo già trovato nella Scrittura queste parole: “Fallo subito, fallo presto, non perdere tempo”, che ci fa capire che c’è una fretta nelle cose di Dio, una fretta santa, che non è la fretta che abbiamo noi di fare o di sapere, ma è proprio la fretta di Dio. Non puoi perdere il tempo, quando si tratta delle cose vere; non rimandare mai, fallo subito, perché tu non sai, tra un’ora, se lo potrai fare ancora.

Io venni meno, per la sua scomparsa.

A questo possiamo credere perché, quando ti trovi davanti a questa verità, e cioè che tu l’hai perso e magari per sempre… altro che venir meno! Perché ti viene fuori tutta l’assurdità e la follia del tuo comportamento; improvvisamente capisci di aver fallito una vita. Improvvisamente, in quel momento, tu capisci di aver sbagliato tutto, perché hai perso l’unica ragione per vivere, che è l’amore. E l’hai persa coscientemente, sapendo che la stavi perdendo, perché hai resistito.

L’ho cercato, ma non l’ho trovato,

Puoi cercare quanto vuoi…

l’ho chiamato, ma non m’ha risposto.

Hai amato? Hai corrisposto all’amore? Hai ritenuto i piedi più importanti dei miei riccioli, della mia rugiada? Hai ritenuto più importanti le tue vesti della mia voce? E allora, adesso, è inutile che chiami!

7Mi han trovato le guardie che perlustrano la città…

Certo, perché tu hai rinnegato lo sposo, tu hai rinnegato la sua protezione, hai rinnegato la sua presenza, il suo conforto; bene, adesso incontrerai un’altra presenza, e vedrai come è diversa la presenza dello sposo che ti chiama colomba, sorella, amica, perfetta mia, dalla presenza dell’estraneo, che non ti chiamerà mai così e che non avrà mai pensieri di questo genere, perché non ti vede, non ti pensa e non ti legge così! Adesso vedrai queste guardie cosa saranno capaci di fare! Lui ha avuto il rispetto di non aprire neanche una porta, al massimo ha messo dentro le dita; adesso vedrai cosa faranno questi qui con le loro mani!

mi han percosso, mi hanno ferito,

mi han tolto il mantello

le guardie delle mura.

L’hanno ridotta a niente, le hanno portato via tutto, l’hanno lasciata mezza morta! Toglierle il mantello vuol dire proprio spogliarla e toglierle l’unica sicurezza che aveva di coprirsi dal freddo — ricordate il tema del mantello che torna nel Vangelo, e nel profeta Elia, dove era il simbolo della sua vocazione profetica; è fondamentale il tema del mantello — le tolgono proprio la cosa più preziosa che ha. Le hanno tolto tutto, l’hanno dilapidata, lasciata mezza morta! Adesso tocca con mano che cosa vuol dire aver mancato l’appuntamento, aver lasciato l’amore per il proprio egoismo, le proprie paure, per le proprie stupide cose (i piedi, la veste…); adesso sperimenta che cosa sono le guardie e come loro sanno amare. Lei passa dall’amore alla legge, e la legge poi va fino in fondo! Non sei stata capace di stare dentro la libertà dell’amore, che è fatto di legge, ma di un’altra legge, e così sei entrata in una legge senza amore.

8Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,

se trovate il mio diletto,

che cosa gli racconterete?

Che sono malata d’amore!

Ma cosa vuoi che ne capiscano, queste! Hai usato “le parole giuste” con le persone sbagliate. Il coro risponde:

9Che ha il tuo diletto di diverso da un altro,

o tu, la più bella fra le donne?

Che ha il tuo diletto di diverso da un altro,

perché così ci scongiuri?

Vedete? Dopo è un fallimento dietro l’altro; dopo vai sempre più giù, dopo cadi sempre di più, perché non solo ti spogliano, non solo ti percuotono, non solo tirano via tutto ma, in più, ti deridono anche, come per dire: ma cosa vuoi? Adesso non sarà mica così speciale, questo diletto! E tu sei “così speciale” per essere dentro a un amore così!? Ma sei come tutti gli altri, ma piantala di fare tutti questi versi e vai avanti, cammina come tutti gli altri e prendi il primo che trovi.

È esattamente l’esperienza di San Pietro, uguale. Certo che poi pianse amaramente!

Il diletto ritorna — perché il diletto è il diletto — e, per grazia del cielo, la sposa matura, cresce e, quindi, finalmente riesce a fare il passo, riesce a comprendere in cosa consiste questo amore. E allora c’è questo passo bellissimo, che è il capitolo 8, versetto sei:

La sposa

6Mettimi come sigillo sul tuo cuore,

come sigillo sul tuo braccio;

perché forte come la morte è l’amore,

tenace come gli inferi è la passione:

le sue vampe son vampe di fuoco,

una fiamma del Signore!

7Le grandi acque non possono spegnere l’amore

né i fiumi travolgerlo.

Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa

in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio.

Esattamente!

Ma a noi chi è che mai ha detto: “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio”. Non ci siamo! Abbiamo mai pensato che l’amore è forte come la morte? Con Gesù vedremo che l’amore vince la morte. Quindi vuol dire che l’amore — attenti — supera lo spazio e il tempo, questa è la grandezza dell’amore, ed è per questo che Cicerone dice che è eterno, perché l’amore non sta chiuso nello spazio e nel tempo. La morte è chiusa nello spazio e nel tempo, ma non l’amore. Quindi vuol dire che, nonostante lo spazio e nonostante il tempo, se l’amore c’è, l’amore è un sigillo, è una consacrazione, è un qualcosa che non può essere rimosso quando è vero, e niente e nessuno lo può togliere. Le grandi acque non lo possono spegnere, i fiumi non lo possono travolgere. E chi dà qualcosa in cambio dell’amore, cioè chi mercanteggia il finito con l’infinito, l’eterno con il mortale, è un Giuda, “non ne avrà che dispregio”. Esatto, proprio così.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

Informazioni

Padre Giorgio Maria Faré ha tenuto queste catechesi tutti i lunedì alle ore 21 presso il Convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Monza.

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