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La devozione al Sacro Cuore pt.1 – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.53

Mistica della riparazione

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: La devozione al Sacro Cuore pt.1 – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.53
Sabato 28 settembre 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Lc 9, 43-45)

In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».
Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 28 settembre 2024. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal nono capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 43-45.

Volevo dirvi che oggi inizia la bellissima e importantissima novena di impetrazione alla Vergine del Rosario di Pompei, scritta dal beato Bartolo Longo. Io vi raccomando questa bellissima novena, che va da oggi 28 settembre a domenica 6 ottobre, ve la consiglio tanto, perché è veramente una bellissima novena.

Continuiamo la nostra lettura del libro di don Divo; ormai siamo giunti all’ultimo capitolo:

LA DEVOZIONE AL S. CUORE

Questo bellissimo libro, La mistica della riparazione, se vi ricordate, iniziava così:

ALMENO TU AMAMI e diceva:

Qual è l’oggetto della devozione al S. Cuore di Gesù?

E adesso questo libro finisce con l’ultimo capitolo, che porta proprio il titolo dedicato ancora al Sacro Cuore: «La devozione al S. Cuore»; ecco, proprio il Sacro Cuore avvolge tutto questo testo. Scrive:

La devozione al suo Cuore, nella intenzione di Gesù, non ci unisce a lui negli altri misteri della sua vita terrena, ma a quello del Getsemani, quando egli chiama, invita gli uomini perché gli siano presenti nella sua tristezza, perché siano con lui, soffrano essi stessi, portino essi stessi il peso della sua angoscia, vogliano pregare con lui, associandosi alla sua preghiera.

Quindi, nelle intenzioni di Gesù, essere devoti al Sacro Cuore — come noi vogliamo essere — ci unisce a lui in modo particolare nel momento del Getsemani. Ecco perché l’Ora Santa, il giovedì, è proprio stare in compagnia di Gesù nell’orto degli ulivi (vi ricordate che ve ne ho parlato); ed è lì, in quell’orto, che lui invita i discepoli e invita noi, per essere presenti a questo momento di profonda tristezza. Perché anche noi soffriamo, anche noi portiamo il peso dell’angoscia di Gesù, anche noi preghiamo con Gesù, anche noi ci associamo alla preghiera di Gesù.

Don Divo scrive:

Egli chiede una consolazione agli uomini e la consolazione consiste precisamente in questo essere con lui una cosa sola, nel vivere con lui il medesimo mistero.

Questa è la consolazione che ci chiede Gesù: “essere con lui una cosa sola e vivere con lui il medesimo mistero”.

Ecco, non so quanto nella nostra vita di preghiera, di fede, sia presente questo scopo, questo fine, quanto sia chiaro. 

Sulla Croce egli vivrà solo, i discepoli fuggiranno da lui, ma nel Getsemani egli chiede, egli invoca, egli implora un aiuto. Non lo fa sulla Croce, lo fa nel Getsemani; lì chiede la presenza dei discepoli — Ecco la devozione al Sacro Cuore: Gesù continua ad implorare questo aiuto e noi dobbiamo portare aiuto a Cristo. Dio e l’uomo debbono vivere una sola vita. L’unica consolazione che Gesù può avere da noi è che noi viviamo il suo mistero, che noi lo aiutiamo a portare la sua Croce, come il Cireneo, che ci associamo a lui nella sua tristezza, nel mistero della sua Morte.

Ecco, io ho sempre un pensiero un po’ diverso circa il Cireneo; l’unica cosa sulla quale, un po’, sono diverso rispetto a don Divo, nel senso che capisco il suo dire, ma a me personalmente la figura del Cireneo non piace molto. Non mi piace, perché è la figura di un uomo costretto, è la figura di un uomo che “deve” portare questa croce; non mi piace molto. Se devo pensare a qualcuno che ha aiutato Gesù sulla via del calvario, io penso a S. Veronica. È vero, non ha portato la croce, però quel gesto di asciugare il volto di Gesù nasce da un cuore che ama, ed è un gesto dolcissimo, tanto dolce, tanto bello, tanto vero, che Gesù le regala l’immagine del suo volto sul panno. Al Cireneo, Gesù non dona nulla, non lascia nulla in memoria di quel gesto, perché non è un gesto che nasce dal cuore.

Ecco, quindi consolare Gesù vuol dire: “vivere il suo mistero, aiutarlo a portare la sua croce, associarci alla sua tristezza”, è importante! Perché è importante? Perché noi non sappiamo, oggi, che cosa vuol dire, per ciascuno di noi “vivere il suo mistero, aiutarlo a portare la croce, associarsi alla sua tristezza”; per ciascuno di noi vuol dire qualcosa di diverso. Di sicuro è qualcosa che genera una grandissima angoscia, una tristezza sconfinata, una profonda mestizia. Portare la croce di Gesù, per ciascuno di noi, quante cose vuol dire! Dovremmo prendere ciascuno la nostra vita e vedere, questa vita, in che cosa è chiamata a portare la croce, bisognerebbe vedere.

Ciascuno ha la sua, veramente, ciascuno ha la sua. Però, l’importante è viverla. Beh, pensate a tutte le volte che noi, addirittura, ci vergogniamo di dirci cristiani, che ci vergogniamo di portare una medaglia al collo, un crocifisso al collo o abbiamo paura di fare un segno della Croce. Come si può avere paura di fare un segno della Croce? Come è possibile? Però bisogna portarla questa croce, se vogliamo essere veramente devoti al Sacro Cuore.

Il Getsemani! Là gli uomini furono con Cristo, sia pure addormentati, ma con lui nell’agonia. si potrebbe obiettare: ma si sono addormentati! Però non hanno fatto proprio nulla, nulla, nulla. Si sono addormentati, però c’erano — Sul Golgota fu solo — mistero della trascendenza di Cristo nella solitudine della sua Passione e della sua Morte! Ma egli c’invita anche oggi ad essere con lui. Il S. Cuore si manifesta a S. Margherita Maria chiedendo questa partecipazione: «Io non ricevo se non oltraggi, indifferenza e peccati… Almeno tu amami». Quindi, questo è il nostro compito: nel nostro piccolo amare il Signore. Non è che serve chissà quale cosa. Amarlo quotidianamente, amarlo tutti i giorni, amarlo nelle piccole cose; questo ci serve — (…) La devozione al S. Cuore ci impegna fino in fondo, esige lo spargimento del sangue; siamo devoti del S. Cuore se siamo vittime.

Ecco, vedete, don Divo ci ha proprio insegnato questo tema dell’essere vittime, e ci ha spiegato, in tutte queste pagine, cosa vuol dire (adesso non lo ripeto, perché è impossibile). 

Quando si parla di devozione al Sacro Cuore, non si parla mai dell’essere vittime con Gesù, si parla della devozione al Sacro Cuore; una cosa, quindi, che alle volte si ferma ad una sorta di devozionismo, come se essere devoti al Sacro Cuore volesse dire fare i Primi Nove venerdì del mese, punto. No, vuol dire: tutte le pagine che abbiamo letto fino ad oggi. E sicuramente, dice don Divo, è un impegno che ci chiama in modo totalizzante: «esige lo spargimento del sangue; siamo devoti del S. Cuore se siamo vittime», vittime d’amore per il mondo e per offrirci con Gesù al Padre. Scrive:

Intorno a noi vediamo quanti sono immemori e ingrati: s’impone che noi portiamo il peso del loro peccato. Viviamo in un mondo di peccato non per condannarlo, ma per salvarlo come Gesù. Questo vuol dire essere pronti alla morte, sentire la vita come preparazione al martirio, al martirio segreto delle prove interiori, delle incomprensioni da parte delle creature, della malattia…

Vediamo questa ingratitudine? Certo che la vediamo! Anche perché la vediamo in noi, questa smemoratezza e questa ingratitudine verso Gesù. E allora vuol dire essere pronti alla morte, prepararci al martirio, alla testimonianza. E questo martirio, a cui lui fa riferimento, è il martirio bianco, “un martirio delle prove interiori, il martirio dell’incomprensioni da parte degli altri”, delle persecuzioni, delle prese in giro: “Ah, ma tu credi ancora in quelle cose lì? Ma questa spiritualità ottocentesca cosa ci rappresenta? Cosa ci dice questa spiritualità romantica?”

Vedete? Questo accade quando noi ignoriamo, quando noi non conosciamo, perché i nostri interessi sono altri e il tempo, quindi, lo dedichiamo a fare altro (perché bisogna scegliere a cosa dedicare il tempo) e quindi non conosciamo quello che il Signore ha chiesto ai santi e, se lo conosciamo, non lo rispettiamo volutamente; sappiamo quello che il Signore ha chiesto ai santi, quello che i santi chiedono a noi, e noi non lo facciamo. È chiaro che, chi vive così, poi reagisce male, molto male, quando incontra qualcuno che invece vive secondo questa adesione al Sacro Cuore di Gesù. È chiaro, è chiarissimo; dà fastidio, perché è un rimprovero, è questo il problema. Con la tua vita di rispetto, di semplice rispetto al Signore, alle sue richieste, tu sei per me un rimprovero, e quindi si scatena l’incomprensione, la calunnia, la diffamazione, la persecuzione — alcuni santi hanno conosciuto l’esilio — e tutte le cose più brutte del mondo, pensate a padre Pio. Ma perché quella vita è un rimprovero? Perché io non faccio quello che dovrei fare e che so che dovrei fare, ma non lo voglio fare, fine del discorso. Questo è un martirio!

Io probabilmente — anzi, mi vien da dire sicuramente — mi dimenticherò di queste parole che vi sto dicendo adesso, quando inizierò il nuovo ciclo di meditazioni — tra qualche giorno, il primo di ottobre, inizieremo un nuovo testo che ci accompagnerà per tutto il mese — io mi dimenticherò probabilmente di queste parole, perché sono tante le cose da ricordare, ma voi ricordatevele. Quando vedremo che l’osservanza di ciò che è scritto in quel testo non c’è praticamente più, ed è invece la Chiesa che ci chiede questa osservanza, ecco, tutti coloro che cercano invece di vivere quell’osservanza, ovviamente, devono prepararsi al martirio. Perché gli altri, vuoi per innocenza, vuoi per malafede, ti perseguitano, ti ostracizzano, ti prendono in giro, ti banalizzano, ti mettono ai margini, ti trattano da pazzo o da esagerata. È un martirio, sono incomprensioni profonde. E poi, per altri, c’è la malattia, anche questo è un altro tema, assolutamente!

Esser devoti al Sacro Cuore vuol dire accettare la Croce con Gesù, essere ostie immolate con lui. — andiamo alla Messa tutti i giorni per questo! Noi sull’altare dobbiamo mettere la nostra vita insieme all’ostia; noi dobbiamo essere piccola ostia con la Grande Ostia, con l’Ostia Magna. Quindi: “accettare la Croce ed essere ostie immolate — Consacrarsi al Sacro Cuore — cosa che dovremmo fare tutti i giorni; noi tutti i giorni dovremmo consacrarci al Cuore Immacolato di Maria e al Sacro Cuore di Gesù — vuol dire esser pronti a tutto quel che il Signore vorrà da noi, non porre più limiti o riserve a questo amore. E l’amore esige da tutti la morte, offre a tutti la Croce, su cui dobbiamo essere innalzati per la salvezza di tutti.

Ma sentite che parole forti? Guardate che sono parole fortissime! “L’amore esige da tutti la morte”, ma chi oggi ci dice più che l’amore esige la morte? Oggi ci viene detto esattamente il contrario da tutti: che l’amore è la felicità, che l’amore è la realizzazione, che l’amore è fare quello che voglio. Ma chi ti dice oggi che l’amore esige la morte, che l’amore offre la Croce?

Pensate a quando due persone si sposano, quando un uomo e una donna, davanti a Dio, dicono sì per sempre. Pensate se queste due persone vivessero, da quel giorno in avanti, con questa consapevolezza, e se il sacerdote dicesse loro esattamente queste parole: “L’amore che voi avete scelto di mettere al centro delle vostre vite, tale per cui, da oggi, non siete più due ma uno — sarete da oggi una sola carne — esige da entrambi la morte”. Il giorno del matrimonio! “Esige da entrambi la morte. Da oggi questo amore offre a entrambi la croce sulla quale dovrete essere innalzati per la salvezza di tutti”. I divorzi finirebbero, basta! È la fine del divorzio, è la fine della separazione. Questa frase è la fine del divorzio, della separazione, è la fine di ogni più piccola forma di adulterio; sia dell’adulterio fisico, ma anche e soprattutto dell’adulterio degli occhi, dell’adulterio del pensiero, dell’adulterio delle parole.

Quante volte noi dissacriamo l’amore che mi unisce a mia moglie o mio marito attraverso discorsi impuri, volgari, a doppio senso, illazioni, battute sciocche, battute volgari, quante volte noi tradiamo questo amore? “L’amore esige la morte”. Quindi: tu ti sei sposato? Benissimo, hai messo al centro l’amore che unisce te a tua moglie o tuo marito, bene, sappi che questo amore esige la tua morte, fine. E chi è sposato sa benissimo di cosa sto parlando, sa benissimo quanto sono vere queste parole. Quanto il coniuge deve morire a sé stesso perché l’amore trionfi in quella famiglia. Quanto la moglie e quanto il marito devono morire a sé stessi, devono salire sulla croce che quel medesimo amore gli ha messo davanti; scegliendo quell’uomo e non gli altri, scegliendo quella donna e non le altre.

Di fatto, l’adulterio è questo, eh! Si pensa che l’adulterio sia il peccato della lussuria, il peccato dell’intemperanza, la mancanza di carità, no! Se voi ci pensate bene, l’adulterio da come frutto marcio questa realtà sessuale, cioè la sua manifestazione è poi un qualcosa di fisico, ma innanzitutto, spiritualmente, l’adulterio è la fuga dalla morte, dalla croce che l’amore matrimoniale esige e ti offre; è questo, è una fuga. L’adulterio è una fuga da questo amore crocifisso che tu hai scelto il giorno del tuo matrimonio, questo è l’adulterio. È per questo che è tanto grave! 

Per cui don Divo scrive:

Si esige da noi un cuore docile, un amore generoso.

Quando uno si sposa e, mi verrebbe da dire, quando uno viene ordinato sacerdote, bisogna vedere se ha un cuore docile, un cuore generoso. Perché sennò, come farà a essere disposto a morire, a essere messo in croce per questo amore? Per un sacerdote, infatti, è la stessa cosa: nel momento in cui viene ordinato sacerdote, l’amore che lo unisce a Gesù e alla Chiesa, in quel modo così speciale, questo amore — chi è sacerdote sa bene di cosa sto parlando — ogni giorno esige da te la tua morte, ogni giorno. Ogni giorno ti offre la croce sulla quale devi essere innalzato, ogni giorno. E per questo ci vuole un cuore docile e un cuore generoso, è fondamentale.

Come fa a sposarsi una persona che non è capace di avere un cuore generoso? Che non è capace di un amore generoso? Che non è capace di avere un cuore docile, ma che deve sempre avere l’ultima parola, che è una persona polemica, che è una persona vendicativa, che è una persona iraconda, che è una persona intemperante, che è una persona che non sa stare al suo posto, che è una persona violenta; come fa? Come fa a mettere l’amore al centro? Al centro c’è lui!

Questo abbandono all’amore di Dio potrebbe dapprima spaventare, ma, se ci abbandoniamo davvero, sentiremo anche di partecipare alle opere del Cristo, sentiremo che dalla nostra povera vita dipendono i destini del mondo.

Dio ci ha scelto fra tanti per essere i continuatori della sua opera: potremo opporre un rifiuto a questo amore?

Con questi sentimenti facciamo il nostro atto d’offerta. Che Dio ci prenda totalmente! Se ci risparmia, è perché non ci siamo donati.

A un’anima che veramente si dona, non potrà mancare l’immolazione. Anche a noi sarà riservata questa sorte.

Non si scappa da qui!

Mi colpiva, quando abbiamo fatto l’Atto di Offerta all’Amore Misericordioso di S. Teresina a Rosa Mistica — ma io lo faccio sempre, ogni volta che ci vediamo propongo l’atto di offerta — che qualcuno mi chiedeva: “Ma padre Giorgio, che impegno comporta? Ma questa cosa che vuol dire, che cosa mi succede ora, mi viene il tumore? Mi viene la sclerosi in multipla? Che cosa succede, che allora il Signore mi fa venire un brutto male? Cos’è che succede, se io faccio quest’atto di offerta?” Il problema non è cosa succede se faccio l’atto di offerta, il problema è: ti vuoi donare sì o no? Se è sì, è tutto, punto. E se ti doni veramente, l’immolazione non potrà mancare. Tu non sai, oggi, in cosa consiste quest’immolazione, ma stai sicuro che ci sarà, è sicuro, e sarà proprio quello che tu non immagini.

Ma, del resto, noi vogliamo essere un seme che si conserva in un fazzoletto o vogliamo essere un seme che è caduto nel terreno e marcisce per produrre frutto? E allora, quando facciamo l’atto di consacrazione al Sacro Cuore di Gesù, facciamolo col cuore, facciamolo bene, diamogli tutto.

“Dio ci ha scelti per essere i continuatori della sua opera”, perché opporre un rifiuto a questo amore? Ma dire: “Signore guarda, io sono qua (domani vedremo questa bellissima preghiera che scrive don Divo, adesso non ve la leggo), succeda quel che succeda. Mi abbandonano tutti, se ne vanno, mi tradiscono, mi fraintendono… Signore io sono qua, non ha importanza, hanno abbandonato anche te, hanno tradito anche te, se ne sono andati anche da te, fa niente, io sono qua, io resto qua, punto. Costi quel che costi, io resto qua”.

Già, ve l’ho detto un po’ di tempo fa e l’ho detto anche nell’ultima omelia che feci l’ultimo giorno del ritiro a Monza; l’ho detto quel giorno, non ho problemi a ripetervelo oggi: io ho sempre in mente S. Atanasio. Ho in mente quando lui resiste a Papa Liberio e non va a Roma. Siamo nel tempo dell’arianesimo e Papa Liberio ha un momento di défaillance, diciamo così, e per un attimo cede al semi-arianesimo. S. Atanasio viene convocato a Roma, perché il Papa voleva fargli accettare quel compromesso nel quale lui era caduto, e a me colpisce questa cosa. Vi leggo proprio la lettera Studens paci ai vescovi orientali della primavera del 357, ce l’ho sempre qui, nel mio iPad, perché mi fa proprio tanto riflettere.

Lettera “Studens paci” ai Vescovi d’Oriente.

Nell’impegno per la pace e la concordia tra le Chiese, dopo aver ricevuto la lettera scritta dalla Vostra Carità circa la persona di Atanasio e degli altri, indirizzata alla persona del vescovo Giulio di buona memoria, seguendo la tradizione dei predecessori ho inviato, dal mio fianco, Lucio, Paolo ed Eliano, presbiteri della città di Roma, ad Alessandria, presso il suddetto Atanasio, per invitarlo a venire nella città di Roma affinché alla sua presenza fosse stabilito nei suoi confronti ciò che si è sviluppato come disciplina della Chiesa.

Capite cosa vuol dire? Fuori dalla frase, forse un po’ tecnica, il Papa dice: Atanasio, devi venire a Roma, perché adesso ti dobbiamo mostrare, alla tua presenza, ciò che è stabilito verso di te, come sviluppo della disciplina della Chiesa. Cioè, la disciplina della Chiesa è cambiata, c’è stato uno sviluppo, e io te lo voglio far vedere, ma voglio che tu sia presente — perché così poi lo devi accettare (questo non è scritto ma è chiaro).

Ho mandato a lui, tramite i suddetti presbiteri, anche una lettera in cui veniva spiegato che — attenti — se non fosse venuto, sapesse di essere escluso dalla comunione con la Chiesa romana.

Lo scomunicano! Io, quando leggo questa cosa, dico: ma santa pace! Sta dicendo che “se tu non vieni a Roma”, non se tu non accetti, se tu non ti presenti a Roma dal Papa sarai scomunicato, per il fatto che non ti presenti.

Quindi i presbiteri vanno da Atanasio e glielo dicono.

Al loro ritorno, dunque, i tre presbiteri riferirono che non voleva venire.

Atanasio non ha detto: vabbè, obbedisco. Il Papa mi dice “vieni a Roma”, io sicuramente gli avrei detto: “Obbedisci al Papa, prendi e vai a Roma. Poi, se quando sei a Roma, ti propongono delle cose che sono appunto l’arianesimo o il semi-arianesimo, tu dici di no, che non lo puoi accettare, perché ti stanno proponendo un’eresia. Dirai: ‘Io sto combattendo Ario dalla mattina alla sera, quindi, se voi mi proponete un Ario o un semi-Ario o un qualcosa di simile, io non lo posso accettare’. E quindi gli dirai di no. Però, perché ti devi rifiutare in principio? Vai, ti rendi presente e poi dopo là discuterai, ma non devi rifiutarti di andare!”. Io avrei detto sicuramente così a S. Atanasio

S. Atanasio si rifiuta. Ma non: si rifiuta di aderire all’errore, all’eresia, si rifiuta di andare, non ci vuole proprio andare.

Ho seguito allora, appunto, la lettera della Vostra Carità, che ci avete inviato riguardo del suddetto Atanasio, e sappiate, mediante questa lettera, mandata al fine di mostrare unanimità con voi, che sono in pace con tutti voi e con tutti i Vescovi della Chiesa cattolica, mentre il suddetto Atanasio, è escluso dalla comunione con me, ossia con la Chiesa romana, e dalla comunanza di scritti e di incombenze ecclesiastiche.

L’hanno scomunicato! Atanasio è scomunicato. Poi lo riabiliteranno, perché Papa Liberio capirà di aver sbagliato, di aver ceduto a un ricatto per paura, e quindi si rende conto, si ravvede e riprende Atanasio, e toglie la scomunica; va bene, però in questo momento lui è scomunicato. Io ho detto: Gesù, ma cosa sarà passato nel cuore di quest’uomo, di questo vescovo, di questo martire? Io lo ritengo veramente un martire della fede. Cosa sarà passato nel suo cuore? Vedersi scomunicato dal Papa perché lui dice: no.

Ecco, probabilmente Atanasio aveva capito che non doveva andare, evidentemente il Signore, interiormente, gli ha fatto comprendere che non si doveva presentare. Già il presentarsi era, probabilmente, un cadere in trappola, mi vien da pensare, perché non c’era altra ragione. E quindi a quest’uomo gliene hanno fatte di tutti i colori: i cinque esili che gli buttano addosso, le calunnie — è stato calunniato delle cose più terrificanti — le diffamazioni, fino ad arrivare alla scomunica; tutto perché lui si è opposto all’arianesimo. Questa non è una croce? Questo non è un morire a sé stessi? Questo non è uno stendersi sulla croce?

E lui l’ha fatto. Anche noi dobbiamo farlo. Non tutti siamo Atanasio e non tutti finiremo in esilio, no! La mamma di famiglia non condividerà, probabilmente, la storia di Atanasio, per lei la croce sarà un’altra, ognuno ha la sua.

Ecco quindi, davvero, siamo generosi, impariamo da questi santi: “l’amore esige questo”. Noi vogliamo amare il Signore, dobbiamo dire: “Signore, io sono qua, io sono pronto, come Atanasio, a perdere tutto e tutti, non ha importanza. A vivere come S. Giovanni Maria Vianney, col pane rinsecchito di un mese e le patate marce. Se tu mi chiedi questo, io devo essere pronto. Poi, quel che succederà, succederà; quel che accadrà, accadrà. Ma almeno, quando morirò, potrò dire: “Io sono morto, innanzitutto a me stesso. Mi sono steso su questa croce che il Signore mi ha dato”, questa è la mia, ognuno ha la sua, Atanasio aveva la sua.

E vedrete, domani, che bella preghiera che ci insegnerà don Divo, veramente bella.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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